Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2022-03-23, n. 202202104

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2022-03-23, n. 202202104
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202202104
Data del deposito : 23 marzo 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 23/03/2022

N. 02104/2022REG.PROV.COLL.

N. 01926/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1926 del 2016, proposto da
Ente Strumentale alla Croce Rossa Italiana, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

L M, rappresentato e difeso dagli avvocati D G, F T, con domicilio eletto presso lo studio F T in Roma, largo Messico, 7;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 688/2015, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di L M;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 marzo 2022 il Consigliere Ugo De Carlo e viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La Croce Rossa Italiana impugna la sentenza 688/2015 del T.a.r. per la Liguria, che ha accolto il ricorso presentato dall’odierno appellato per ottenere l’annullamento dell’atto del 24 novembre 2014, con cui era stata annullata una precedente compensazione dei debiti del ricorrente con gli arretrati contrattuali, con conseguente recupero delle somme erroneamente corrisposte.

2. La vicenda può essere così riassunta:

- il ricorrente aveva conseguito l’idoneità al grado di sottufficiale nel 1993, ma la progressione in carriera non era stata applicata in ragione dell’allegata assenza di posti in organico, alla luce dell’allora vigente art. 89 del r.d. 10.2.1936, n. 484 (ora sostituito dall’art. 1700 del d.lgs 15 marzo 2010, n. 66, dall’identico tenore), ai sensi del quale “… non possono avere luogo promozioni del personale di assistenza del ruolo normale se non vi siano posti vacanti nei ruoli organici dei singoli gradi …”;

- il ricorrente aveva comunque radicato giudizio per ottenere la corresponsione delle somme in tesi dovute in relazione alla prestazione del servizio quale sottufficiale;

- con ordinanza n. 470 del 17 marzo 2003 la Croce Rossa aveva quindi disposto la progressione al grado superiore con anzianità giuridica retroattiva, ma senza alcuna indicazione circa la decorrenza degli assegni;

- con successive ordinanze nn. 1382, 1383 e 1384 del 17 luglio 2003 la Croce Rossa aveva stabilito di corrispondere al personale in tal modo promosso “ le competenze economiche arretrate, limitatamente alla sorte capitale con esclusione di ogni somma a titolo di interessi ”: la corresponsione di tali somme era subordinata alla “ sottoscrizione da parte di ciascun militare di apposito atto di transazione con contestale rinuncia ad ogni azione giuridico-amministrativa ”;

- quindi, a seguito di un’attività ispettiva sulla gestione contabile della Croce Rossa svolta dall’apposita struttura dell’Amministrazione delle finanze, all’esito della quale era emersa l’anomalia occorsa nella promozione dei militari al di fuori di posti in organico, con ordinanza n. 394 del 22 agosto 2012 la Croce Rossa annullava la citata ordinanza n. 470 del 17 marzo 2003;

- il ricorrente impugnava tale atto, ma il T.a.r. per la Liguria ne rigettava il ricorso con sentenza n. 951 del 27 giugno 2013;

- nelle more, con nota del 7 febbraio 2013 la Croce Rossa disponeva la compensazione fra gli importi a debito conseguenti al citato re-inquadramento giuridico e gli importi a credito;

- infine, con l’ordinanza in questa sede impugnata la Croce Rossa annullava siffatta compensazione e avviava il procedimento di recupero delle somme indebitamente corrisposte nel corso del tempo a seguito dell’illegittimo inquadramento nel grado superiore, al netto delle ritenute previdenziali e fiscali.

3. L’odierno appellato ha radicato ricorso avanti il T.a.r., lamentando:

- la violazione dell’art. 1965 c.c.;

- l’assenza di presupposti per il recesso unilaterale da una pattuizione in tesi privatistica;

- la violazione delle disposizioni che presiedono al legittimo esercizio del potere di autotutela;

- la mortificazione delle facoltà partecipative;

- la violazione del dovere di motivazione.

4. Con la sentenza impugnata, il T.a.r. ha accolto il ricorso, osservando che:

- il modulo contrattuale impedirebbe una successiva modificazione unilaterale, difettando in radice l’Amministrazione di potere;

- l’art. 2113 c.c. sarebbe dettato esclusivamente a favore del lavoratore e non potrebbe essere posto a giustificazione di iniziative datoriali;

- l’eventuale qualificazione degli atti impugnati come recanti un annullamento d’ufficio cozzerebbe, in disparte ogni altra considerazione, con il decorso di un significativo lasso temporale (11 anni).

- per analoghe ragioni, non sussisterebbe in capo all’Amministrazione un potere unilaterale e pubblicistico di revoca.

5. La Croce Rossa ha interposto appello, sostenendo, per quanto qui di interesse, che:

- l’annullamento degli atti amministrativi che costituivano il presupposto delle transazioni farebbe venir meno anche le stesse;

- comunque, non si sarebbe in presenza di transazioni in senso tecnico-giuridico, difettando la res dubia e la stessa disponibilità del diritto, trattandosi di personale in regime di diritto pubblico;

- tra l’ordinanza annullata (2003) e l’atto di annullamento (2012) non sarebbe trascorso il decennio prescrizionale.

6. L’appellato si è costituito in giudizio, eccependo preliminarmente la tardività della notifica dell’atto di appello (perché alle controversie lavoristiche non si applica la sospensione feriale) e l’acquiescenza alla sentenza (per essersi l’Amministrazione già attivata per il pagamento delle spese di lite);
nel merito, l’appellato ha sostenuto l’infondatezza dell’appello.

Il ricorso, rinviato al merito alla camera di consiglio del 28 aprile 2016 con impegno di parte appellata a non portare ad esecuzione la sentenza, è stato trattato alla pubblica udienza del 10 marzo 2022.

7. Preliminarmente, il Collegio osserva che le eccezioni dell’appellato sono infondate.

7.1. Non vi è alcuna tardività nell’appello della Croce Rossa Italiana in quanto la mancata sospensione dei termini feriali si applica solamente per i processi innanzi al giudice del lavoro, in relazione a controversie rette da disposizioni privatistiche. La giurisdizione in materia di pubblico impiego innanzi al giudice amministrativo rientra invece nell’ambito della generale giurisdizione di legittimità alla quale si applicano gli ordinari termini di sospensione di cui alla L. 742/1969, le cui eccezioni sono tassative e di stretta interpretazione.

7.2. Parimenti infondata è l’eccezione di intervenuta acquiescenza per essersi l’Amministrazione attivata per il pagamento delle spese processuali liquidate con la sentenza impugnata. La pronuncia di prime cure è ex lege provvisoriamente esecutiva e, pertanto, il pagamento delle spese ivi liquidate costituisce un atto dovuto da parte dell’Amministrazione e non certo una manifestazione implicita di volontà di conformarsi in toto alla pronuncia, come del resto dimostra la relativa impugnazione.

8. Nel merito, l’appello è fondato.

A seguito dell’ispezione del Servizio Ispettivo di Finanza Pubblica era emersa la necessità di annullare in autotutela l’Ordinanza Commissariale 470/2003 del 17 marzo 2003 con cui erano state riconosciute ad alcuni appartenenti alla Croce Rossa, tra cui l’appellato, le differenze stipendiali connesse all’attribuzione della promozione al grado superiore con decorrenza retroattiva, poi oggetto delle citate transazioni.

Orbene, tali atti sono impropriamente qualificati come transazioni, consistendo semplicemente in una presa d’atto, da parte dell’interessato, del disposto amministrativo con contestuale rinuncia “ ad ogni azione giuridico-amministrativa ” in proposito.

In termini generali, infatti, la transazione costituisce un negozio privatistico nel quale le parti attraverso reciproche concessioni giungono a definire una res litigiosa: in tema di pubblico impiego una controversia retributiva non è in radice definibile attraverso atti transattivi, poiché, in base al principio di legalità, gli atti dell’amministrazione devono semplicemente applicare quanto disposto dalla norma applicabile al caso concreto (difetta, cioè, la disponibilità del diritto).

Nella specie, oltretutto, le transazioni sono tali solo nominalisticamente, essendo in realtà mere dichiarazioni del privato previste, quale corollario formale, da un provvedimento amministrativo (le ordinanze 1382, 1383 e 1384 del luglio 2003), cui strutturalmente e funzionalmente afferiscono, senza alcuna autonomia causale.

Tali “transazioni”, pertanto, non possono che seguire la sorte del provvedimento a monte, essendo prive di un autentico contenuto negoziale ed essendo, al contrario, debitrici della propria causa dal provvedimento stesso (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 18 giugno 2021, nn. 4736 e 4737).

In conseguenza di quanto ricostruito, l’Amministrazione si è limitata ad annullare atti ab origine illegittimi prima che fosse maturato il termine di prescrizione decennale, che inizia a decorrere nel momento in cui le somme indebitamente percepite entrano nel patrimonio del dipendente.

Quindi è fondata l’azione di ripetizione di indebito che ha come suo fondamento l’inesistenza dell’obbligazione adempiuta da una parte, o perché il vincolo obbligatorio non è mai sorto o perché è venuto meno successivamente, a seguito ad esempio di annullamento.

Non può neanche lamentarsi la presunta tardività dell’azione di annullamento: infatti “ è consolidato l’indirizzo giurisprudenziale che considera quale atto dovuto l’esercizio del diritto-dovere dell’Amministrazione di ripetere le somme indebitamente corrisposte ai pubblici dipendenti. Il recupero di tali somme costituisce il risultato di attività amministrativa, di verifica, di controllo, priva di valenza provvedimentale;
in tali ipotesi l’interesse pubblico è in re ipsa e non richiede specifica motivazione: infatti, a prescindere dal tempo trascorso, l’oggetto del recupero produce di per sé un danno all’Amministrazione, consistente nell’esborso di denaro pubblico senza titolo ed un vantaggio ingiustificato per il dipendente. Si tratta dunque di un atto dovuto che non lascia all’Amministrazione alcuna discrezionale facultas agendi e, anzi, configura il mancato recupero delle somme illegittimamente erogate come danno erariale;
il solo temperamento ammesso è costituito dalla regola per cui le modalità di recupero non devono essere eccessivamente onerose, in relazione alle condizioni di vita del debitore (cfr. Cons. Stato, sez. III, 9 giugno 2014, nr. 2902;
id., 28 ottobre 2013, nr. 5173).
” (Cons. Stato, Sez. IV, 12 febbraio 2015 n. 750).

9. L’appello deve dunque essere accolto poiché l’Amministrazione ha diritto a procedere al recupero di quanto indebitamente corrisposto, ma le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate in considerazione della complessità della controversia.

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