Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2015-02-12, n. 201500750

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2015-02-12, n. 201500750
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201500750
Data del deposito : 12 febbraio 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 06754/2014 REG.RIC.

N. 00750/2015REG.PROV.COLL.

N. 06754/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello nr. 6754 del 2014, proposto dalla CROCE ROSSA ITALIANA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati presso la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12,

contro

- i signori A C, L R, R A, C M, E M, P S, O A C, M C, A C, A B, S M, I M, M P, C FERRI, Roberto SOLAZZO, Armando PUCCI, Bernardino VALENTINI, Vittorio PICARELLI, Aldo ILLIANO, Valentina RENZO DALLA, Fedele PANI, Antonio Michele ARCA, Antonello DIANA, Antonino PIRAS, Sergio ETZI, Giovanni SPATOLA, Angelo IADEVAIA, Domenico SERVA, Paolo GALLO, Tonino MARTINI e Lucio FIDANZA, rappresentati e difesi dagli avv.ti Marco Valerio Santonocito, Laura Angelisanti e Alberto Polini, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, via Etruria 65;
- il signor Salvatore PROVENZANO, non costituito;

per la riforma e/o l’annullamento,

previa sospensione,

della sentenza nr. 3941/2014 resa inter partes dal T.A.R. del Lazio, Sezione Terza, in data 19-21 febbraio 2014 e depositata in data 3 aprile 2014, notificata il 15 maggio 2014.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio degli appellati in epigrafe indicati, nonché l’appello incidentale dagli stessi proposto;

Vista l’ordinanza di questa Sezione nr. 4117 del 17 settembre 2014, con la quale è stata accolta la domanda di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, all’udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2014, il Consigliere Raffaele Greco;

Uditi l’avv. dello Stato Fabio Tortora per la parte appellante e l’avv. Santonocito per gli appellati;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La Croce Rossa Italiana ha impugnato, chiedendone la riforma previa sospensione dell’efficacia, la sentenza con cui il T.A.R. del Lazio, in relazione ai provvedimenti con cui era stata richiesta agli appellati indicati in epigrafe la restituzione di emolumenti indebitamente versati negli anni che vanno dal 1994 al 2002, ha accolto in parte il ricorso proposto dagli interessati nel senso di dichiarare il credito parzialmente prescritto, con il conseguente annullamento in parte qua dei provvedimenti impugnati, e per il resto considerando il ricorso infondato e pertanto respingendolo.

A sostegno dell’appello, l’Amministrazione appellante ha dedotto un unico motivo d’appello, deducendo l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto maturata parzialmente la prescrizione dell’azione di recupero.

Si sono costituiti gli appellati come indicati in epigrafe, i quali, oltre a opporsi all’accoglimento del gravame, hanno proposto appello incidentale riproponendo come segue i motivi del ricorso di primo grado sui quali il T.A.R. non si è pronunciato:

1) illegittimità del recupero delle somme al lordo e non al netto;

2) eccesso di potere per errore sul presupposto e difetto di congrua istruttoria (in relazione all’obliterazione di un’apposita relazione interna evidenziante l’inutilità e la contraddittorietà del recupero);

3) violazione della direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica del 17 ottobre 2005 (avente a oggetto i criteri e parametri da seguire nell’esercizio della potestà di autotutela);

4) violazione dell’art. 21- nonies della legge 7 agosto 1990, nr. 241;
violazione del combinato disposto degli artt. 3 e 36 Cost. e dell’art. 2126 cod. civ. (in relazione al difetto, nella specie, dei presupposti per l’intervento in autotutela);

5) incompetenza funzionale del titolare dell’Ufficio Contenzioso Militare e Affari Giuridici.

Inoltre, gli appellanti incidentali hanno chiesto la condanna dell’Amministrazione appellante al pagamento di una somma equitativamente determinata, ai sensi dell’art. 26, comma 2, cod. proc. amm.

Alla camera di consiglio del 16 settembre 2014, questa Sezione ha accolto la domanda incidentale di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata.

All’udienza pubblica del 18 dicembre 2014, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Il presente giudizio riguarda la procedura di recupero coattivo di somme indebitamente erogate, nel periodo che va dal 1994 al 2012, ai sottoufficiali del Corpo Militare della Croce Rossa Italiana meglio indicati in epigrafe, disposta con ordinanza commissariale nr. 394 del 2012.

L’esigenza di tale recupero è conseguita a una vicenda amministrativa che giova sinteticamente ricostruire.

1.1. Con ordinanza commissariale nr. 470 del 2003, fu disposta una serie di promozioni di grado del personale militare di assistenza della Croce Rossa Italiana, con decorrenza retroattiva dal 1994, con susseguente disposizione di pagamento delle competenze e degli arretrati connessi alle promozioni (come da successiva ordinanza nr. 1383 del 2003).

1.2. Tuttavia a seguito dell’ispezione del competente Servizio Ispettivo di Finanza Pubblica, delle raccomandazioni formulate dal Ragioniere Generale dello Stato e delle successive osservazioni del Ministero dell’Economia e Finanze, è stata disposto l’annullamento della citata ordinanza nr. 470/2003 e di tutte le conseguenti promozioni del personale di assistenza effettuate in forza di essa, in quanto “ le vacanze nei gradi di Maresciallo si sono verificate con i quadri di avanzamento 2000-2001 e non 1994-1995 ”;
in sostanza, le predette promozioni di grado risultavano disposte in assenza di posti in organico, in contrasto con quanto disposto dal r.d. 10 febbraio 1936, nr. 484, in cui all’art. 89 si prevede che “ non possono aver luogo promozioni nel personale di assistenza del ruolo normale se non vi siano posti vacanti nei ruoli organici dei singoli gradi ”.

1.3. Il Commissario Straordinario della C.R.I. ha pertanto adottato l’ordinanza nr. 394 del 2012, con cui ha annullato la precedente ordinanza nr. 470/2003, e conseguentemente le promozioni del personale di assistenza del Corpo Militare della C.R.I. effettuate in forza di essa;
contestualmente si è proceduto a reinquadrare giuridicamente il personale militare in questione, operando anche un reinquadramento economico con ricalcolo delle somme da ripetere per effetto delle illegittime promozioni attribuite.

2. I dipendenti della C.R.I. - odierni appellati - hanno proposto ricorso dinanzi al T.A.R. del Lazio per chiedere l’annullamento dei provvedimenti suindicati, in forza dei quali la C.R.I. aveva provveduto a richiedere loro la restituzione delle somme a titolo di recupero per gli emolumenti indebitamente versati negli anni dal 1994 al 2002.

I ricorrenti hanno dedotto l’illegittimità della procedura di recupero, sulla scorta di plurimi motivi di censura;
con successivi motivi aggiunti, essi hanno impugnato anche la retrostante circolare Is -C.R.I./0021325/Pers., assumendo non esser mai stata loro notificata.

2.1. Il T.A.R. adito, con la sentenza oggetto dell’odierna impugnazione, ha accolto in parte il ricorso, ritenendo prescritto il diritto al recupero delle somme indebitamente corrisposte dall’Amministrazione per quanto riguarda il periodo dal 1994 al 31 dicembre 2001, dal momento che i provvedimenti di recupero sono rispettivamente del 23 novembre 2012 e del 4 dicembre 2012;
per quanto concerne il periodo successivo, invece, la sentenza ha ritenuto infondato il ricorso proposto e lo ha respinto, assumendo che l’Amministrazione fosse ancora nel diritto di riottenere le somme al momento della emanazione dei provvedimenti di recupero sopra citati.

3. Avverso la predetta sentenza propone appello la Croce Rossa Italiana, assumendo come unico motivo di gravame l’erroneità della sentenza per aver ritenuto maturata la prescrizione dell’azione di recupero delle somme.

La medesima sentenza è stata altresì appellata in via incidentale dagli originari ricorrenti, i quali hanno riproposto i residui motivi del ricorso in primo grado, ai sensi dell’art. 101 cod. proc. amm., poiché su di essi il T.A.R. non si è pronunciato.

4. Tutto ciò premesso, va esaminato prioritariamente l’appello principale che la Sezione, confermando quanto anticipato in fase cautelare, reputa fondato e quindi meritevole di accoglimento.

Infatti, è consolidato in giurisprudenza il principio per cui il diritto alla repetitio indebiti da parte della p.a., a norma dell’art. 2946 cod. civ., è soggetto a prescrizione ordinaria decennale il cui termine decorre dal giorno in cui le somme sono state materialmente erogate (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 24 aprile 1993, nr. 294;
Corte Conti, sez. giur. Veneto, 19 novembre 2009, nr. 782).

Più specificamente, l’azione di ripetizione di indebito ha come suo fondamento l’inesistenza dell’obbligazione adempiuta da una parte, o perché il vincolo obbligatorio non è mai sorto o perché è venuto meno successivamente, a seguito ad esempio di annullamento.

È quanto avvenuto nella fattispecie de qua: risulta infatti incontestato tra le parti che l’erogazione delle somme è avvenuta in esecuzione dell’ordinanza nr. 470/2003, con la quale era stato disposto l’inquadramento nelle rispettive posizioni superiori, ai fini sia giuridici che economici, di militari che all’esito delle procedure di avanzamento a suo tempo espletate erano risultati semplicemente idonei ma non promossi;
pertanto, a nulla vale il richiamo dell’appellante incidentale al periodo di servizio anteriore cui vanno formalmente imputati gli emolumenti indebitamente corrisposti, dovendosi avere riguardo unicamente al momento della loro materiale erogazione, verificatasi nel 2003, poiché è solo da tale momento che il diritto dell’Amministrazione alla restituzione avrebbe potuto essere fatto valere.

L’ordinanza che ha annullato l’erogazione delle somme è stata emanata nel 2012, e pertanto l’attività di ripetizione è certamente tempestiva rispetto al termine decennale prevista dall’art. 2946 cod. civ.

Da quanto sopra discende la riforma in parte qua della sentenza impugnata, con la conseguente reiezione della pretesa azionata in primo grado.

5. Passando all’esame dell’appello incidentale, questo risulta solo parzialmente fondato.

5.1. In particolare, la Sezione ritiene fondato il secondo motivo di censura qui riproposto in via incidentale, col quale si lamenta l’illegittimità del recupero delle somme disposto al lordo e non al netto delle ritenute fiscali.

Ed invero, costituisce jus receptum che l’Amministrazione, nel procedere al recupero delle somme indebitamente erogate ai propri dipendenti, deve eseguire detto recupero al netto delle ritenute fiscali, previdenziali e assistenziali;
non può invece pretendere di ripetere le somme al lordo delle ritenute fiscali (e previdenziali e assistenziali), allorché le stesse non siano mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente (cfr. Cons. Stato, sez. III, 4 luglio 2011, nr. 3984;
id., sez. VI, 2 marzo 2009 nr. 1164).

Nella fattispecie che qui occupa, come risulta dalle diffide di pagamento, la C.R.I. ha chiesto la restituzione delle somme al lordo, disattendendo il principio sopra richiamato: ne consegue l’annullamento in parte qua dei provvedimenti censurati in prime cure.

5.2. Infondato, invece, è il motivo col quale si contesta la mancata osservanza della relazione istruttoria nr. prot. 47863 del 18 agosto 2012.

In effetti, in tale relazione si rappresentava l’inopportunità di procedere al recupero delle somme indebitamente erogate, evidenziando i possibili rischi di contenzioso: pertanto, l’opposta risoluzione dell’Amministrazione è seguita a una valutazione di merito, rispetto alla quale sarebbe inammissibile qualsiasi sindacato giurisdizionale.

Al di là di ciò, non si ravvisano significativi profili di illegittimità, non potendo accordarsi alcuna rilevanza all’osservazione per cui non esisterebbe alcuna norma idonea a consentire la revoca di gradi già attribuiti ai militari: infatti, l’ iter procedimentale seguito dall’Amministrazione si è svolto in applicazione delle regole generali in tema di autotutela, e segnatamente in applicazione dell’art. 21- nonies della legge 7 agosto 1990, nr. 241, essendosi accertato in sede ispettiva che il conferimento dei gradi superiori era avvenuto in violazione della norma regolamentare di cui al già citato art. 89 del r.d. nr. 484 del 1936.

Di tanto, peraltro, appaiono consapevoli gli stessi ricorrenti in primo grado, i quali con distinte censure hanno lamentato proprio la violazione delle regole e dei principi in materia di autotutela.

5.3. Del pari vanno respinti il quarto e il quinto mezzo, con i quali gli originari ricorrenti lamentano – appunto - la violazione del precitato art. 21- nonies, nonché di direttive preordinate a disciplinare l’esercizio della potestà di autotutela, per non essere stato valutato l’interesse dei destinatari e il loro affidamento sulla validità degli atti pregressi.

Al riguardo, è consolidato l’indirizzo giurisprudenziale che considera quale atto dovuto l’esercizio del diritto-dovere dell’Amministrazione di ripetere le somme indebitamente corrisposte ai pubblici dipendenti. Il recupero di tali somme costituisce il risultato di attività amministrativa, di verifica, di controllo, priva di valenza provvedimentale;
in tali ipotesi l’interesse pubblico è in re ipsa e non richiede specifica motivazione: infatti, a prescindere dal tempo trascorso, l’oggetto del recupero produce di per sé un danno all’Amministrazione, consistente nell’esborso di denaro pubblico senza titolo ed un vantaggio ingiustificato per il dipendente. Si tratta dunque di un atto dovuto che non lascia all’Amministrazione alcuna discrezionale facultas agendi e, anzi, configura il mancato recupero delle somme illegittimamente erogate come danno erariale;
il solo temperamento ammesso è costituito dalla regola per cui le modalità di recupero non devono essere eccessivamente onerose, in relazione alle condizioni di vita del debitore (cfr. Cons. Stato, sez. III, 9 giugno 2014, nr. 2902;
id., 28 ottobre 2013, nr. 5173).

Si aggiunge anche che l’affidamento del pubblico dipendente e la stessa buona fede non sono di ostacolo all’esercizio del potere-dovere di recupero: l’Amministrazione non è tenuta a fornire un’ulteriore motivazione sull’elemento soggettivo riconducibile all’interessato (cfr. Cons. Stato, sez. III, 12 settembre 2013, nr. 4519;
id., sez. V, 30 settembre 2013, nr. 4849).

Ne discende, ancora, che è destinato a essere recessivo il richiamo ai principi in materia di autotutela amministrativa sotto il profilo della considerazione del tempo trascorso e dell’affidamento maturato in capo agli interessati (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. III, 4 settembre 2013, nr. 4429;
id., 31 maggio 2013, nr. 2986;
id., 10 dicembre 2012, nr. 11548).

5.4. Per quanto riguarda l’ultima censura, riguardante l’asserita incompetenza del funzionario istruttore, anche questa risulta destituita di fondatezza.

In particolare, parte istante evidenzia come in una nota riservata fosse stata evidenziata una possibile incompatibilità del titolare dell’ufficio incaricato di istruire il procedimento, Col. De Laurentis, per avere egli aderito a un ricorso giurisdizionale analogo a quello che qui occupa.

Tuttavia, deve ritenersi difettare in capo agli odierni appellanti qualsivoglia effettivo interesse a una doglianza di questo tipo – che integra tutt’al più una questione di conflitto di interesse, più che di difetto di competenza – , sia perché, a quanto emerge dagli atti, il ricorso in questione aveva oggetto analogo a quello proposto nel presente giudizio (e dunque, a tutto voler concedere, un’ipotetica prevenzione dell’interessato avrebbe potuto essere in senso favorevole alle posizioni degli odierni istanti, e non in senso avverso), sia perché verosimilmente il detto giudizio si era già definito in epoca ben anteriore all’adozione degli atti qui censurati.

6. L’accoglimento del motivo dell’appello principale implica, infine, la reiezione del primo motivo dell’appello incidentale proposto dagli originari ricorrenti, con il quale si chiedeva la condanna dell’Amministrazione ai sensi dell’art. 26, comma 2, cod. proc. amm.: è evidente infatti che, in considerazione dell’accoglimento dell’appello proposto dalla C.R.I. nessuna condanna alle spese può essere pronunciata nei confronti della stessa.

Al contrario, in considerazione della parziale soccombenza reciproca, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio.

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