Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2024-01-22, n. 202400669

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2024-01-22, n. 202400669
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202400669
Data del deposito : 22 gennaio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 22/01/2024

N. 00669/2024REG.PROV.COLL.

N. 03839/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3839 del 2023, proposto da
Associazione “Pro Loco Aquilano di Tossicia”, rappresentata e difesa dagli avvocati F C, A R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio F C in Roma, viale delle Milizie, n. 1;

contro

Comune di Tossicia, rappresentato e difeso dall'avvocato M C C C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma,

previa sospensione cautelare,

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo, sez. I, n. 383/2022, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Tossicia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 ottobre 2023 il Cons. Antonino Masaracchia e uditi per le parti gli avvocati Camerini e Cheng Chi Chang;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. – L’associazione “Pro Loco Aquilano di Tossicia” ha domandato la riforma, previa sospensione cautelare, della sentenza del

TAR

Abruzzo, meglio indicata in epigrafe. Si tratta della decisione che ha respinto, compensando le spese, il suo ricorso proposto avverso il provvedimento inibitorio, emesso in data 13 agosto 2021 dallo Sportello Unico delle Attività produttive del Comune di Tossicia (TE), riferito alla precedente segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) avente ad oggetto l’attività di bar e ristorante, con valorizzazione dei prodotti tipici locali, da esercitarsi presso i locali dell’associazione ubicati in Tossicia, fraz. Aquilano.

A fronte della motivazione del provvedimento inibitorio comunale, incentrata sul contrasto dell’attività di bar e ristorante con la destinazione urbanistica dei locali – i quali risultano autorizzati e accatastati come E3 (per svolgimento di esigenze pubbliche) e non come C1 (edificio commerciale) – il TAR ha respinto entrambi i motivi del ricorso di primo grado, evidenziando, in sintesi, che:

- (quanto al primo motivo di ricorso) l’attività svolta dalla ricorrente ha natura commerciale, come desumibile dalle norme della legge della Regione Abruzzo n. 23 del 2018 (recante il testo unico regionale in materia di commercio), e, come prescritto dall’art. 53 di tale legge regionale, essa va esercitata nel rispetto della destinazione d’uso dei locali;
nella SCIA, la ricorrente aveva inequivocabilmente indicato “ l’attività per bar, ristoranti e altri esercizi di somministrazione di alimenti e bevande ”, pur se finalizzata alla promozione dei prodotti tipici locali, ma quest’ultima rimaneva “una mera finalità estrinseca a cui è diretta la somministrazione ed appare irrilevante ai fini della qualificazione giuridica dell’attività in termini commerciali”;
il rispetto della destinazione d’uso dei locali non può essere derogato nemmeno dalla disposizione di favore di cui all’art. 71, comma 1, del d.lgs. n. 117 del 2017 (c.d. codice del terzo settore), a norma della quale “ Le sedi degli enti del Terzo settore e i locali in cui si svolgono le relative attività istituzionali, purché non di tipo produttivo, sono compatibili con tutte le destinazioni d’uso omogenee previste dal decreto del Ministero dei lavori pubblici 2 aprile 1968 n. 1444 e simili, indipendentemente dalla destinazione urbanistica ”, e ciò in quanto l’attività svolta dalla ricorrente, ha precisato il TAR, “ha carattere lucrativo e non costituisce quindi un’attività istituzionale degli enti del Terzo settore, risultando estranea dal novero delle attività di interesse generale che possono essere svolte da detti enti ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs.03/07/2017, n. 117”;
in definitiva, a giudizio del TAR, “l’attività di ‘somministrazione di alimenti e bevande’ oggetto di scia presentata dall’Associazione ricorrente non è un’attività istituzionale della Pro Loco, ma è un’attività sussidiaria di carattere commerciale soggetta alla normativa regionale di cui alla L.R. n. 23 del 2018 e non trova deroga nelle previsioni legislative in favore degli enti del terzo settore”;

- (quanto al secondo motivo di ricorso) la censura incentrata su una presunta violazione della convenzione stipulata inter partes in data 16 luglio 2013, è inammissibile perché riguardante un profilo che, pur essendo stato indicato dall’amministrazione (nella comunicazione di preavviso di diniego) come possibile sostegno dell’inibitoria, non è poi stato riprodotto quale ragione fondante a supporto del divieto di prosecuzione dell’attività.

L’appellante, nel precisare di proporre impugnazione “unicamente in relazione alla reiezione del primo motivo”, affida le proprie ragioni agli argomenti di critica che sono esposti alle pagine 17 e seguenti dell’atto di appello, ove (senza una rubrica dei motivi di appello) si deduce, in sintesi, quanto segue. L’associazione svolgerebbe un’attività priva di scopo di lucro, in quanto, conformemente all’art. 8 del d.lgs. n. 117 del 2017, “gli utili risultanti dalla gestione, se prodotti, non sono ripartiti ma vengono interamente reimpiegati”;
di conseguenza, nel caso di specie, non sarebbe stato necessario alcun mutamento della destinazione d’uso dei locali e, ciò, per effetto della norma di favore per le associazioni di promozione sociale, di cui all’art. 32, comma 4, della legge n. 383 del 2000, oggi confluita nell’art. 71, comma 1, del d.lgs. n. 117 del 2017. In proposito, l’appellante invoca la sentenza di questa Sezione n. 1737 del 2021 ed aggiunge che, nella presente fattispecie, non sarebbe configurabile alcuna violazione dell’art. 53 della legge regionale n. 23 del 2018, posto che, per effetto dell’attività esercitata nei locali, non è emerso alcun aumento del carico urbanistico della zona;
di conseguenza, il mutamento d’uso (oltre a non aver comportato il passaggio da una ad un’altra delle categorie funzionali indicate dall’art. 23- ter del d.P.R. n. 380 del 2001) dovrebbe ritenersi “urbanisticamente irrilevante” e, quindi, non subordinato al rilascio di un preventivo titolo edilizio.

2. – Nel presente giudizio di appello si è costituito il Comune di Torricia, in persona del Sindaco pro tempore , chiedendo la reiezione delle censure avversarie.

3. – Con ordinanza 26 maggio 2023, n. 2125, questa Sezione ha accolto l’istanza cautelare presentata dall’appellante, ma ciò solo ai fini di consentire la prosecuzione dell’attività intrapresa fino alla decisione sul merito della controversia, riservando dunque alla sede del merito il necessario approfondimento delle questioni sollevate.

4. – In vista della pubblica udienza di discussione, entrambe le parti hanno svolto difese, anche nella forma delle reciproche repliche.

Alla pubblica udienza del 26 ottobre 2023, quindi, la causa è stata trattenuta in decisione.

5. – L’appello non è fondato.

La sentenza di prime cure ha colto il fulcro dell’odierna controversia, che riposa nell’applicabilità, o meno, della clausola di favore prevista, per le associazioni del c.d. terzo settore, dall’art. 71, comma 1, del d.lgs. n. 117 del 2017 (tale è, pacificamente, la disposizione cui il TAR fa riferimento nella sentenza, e non l’art. 79, erroneamente indicato, con lapsus calami , dall’appellante che ne lamenta l’inconferenza al caso da decidere). Come già anticipato nelle premesse in fatto, tale clausola consente eccezionalmente di derogare alle destinazioni d’uso omogenee indicate dal d.m. n. 1444 del 1968 per lo svolgimento, nelle sedi e nei locali degli enti del terzo settore, delle relative attività istituzionali, purché queste ultime siano “ non di tipo produttivo ”.

Orbene, nel caso di specie è pacifico che l’attività oggetto di SCIA fosse quella di bar e ristorante, pur se affiancata dall’intento di promuovere i prodotti tipici locali;
intento che, come correttamente rilevato dal TAR, assumeva nella specie solo una mera colorazione di contorno, inidonea a revocare in dubbio l’effettiva qualificazione giuridica dell’attività come somministrazione di alimenti e bevande (come tale, indicata dalla stessa appellante nell’intitolazione della segnalazione inviata al Comune). Ed è altresì pacifico che simile impiego dei locali non corrispondeva alla loro attuale destinazione d’uso, come bene messo in luce dall’amministrazione;
né vi sono discussioni sulla natura giuridica dell’associazione appellante, che rientra tra i soggetti appartenenti al c.d. terzo settore, cui dunque è applicabile la disciplina del d.lgs. n. 117 del 2017. La questione giuridica rilevante attiene, dunque, alla possibilità, o meno, che la presente fattispecie sia regolata dalla clausola di favore dettata dall’art. 71, comma 1, del d.lgs. n. 117 del 2017, la quale, ai fini di derogare alle norme sulla destinazione urbanistica, si riferisce alle attività “ non di tipo produttivo ”;
dovendosi, pertanto, verificare se l’attività in concreto esercitata dall’appellante sia rispettosa di tale ultima condizione.

La questione deve essere risolta nei sensi già indicati dal TAR, con le seguenti opportune precisazioni.

Come questa Sezione ha già avuto modo di affermare, l’art. 71 del d.lgs. n. 117 del 2017 non è una norma di natura urbanistica, “non avendo a oggetto il governo o la regolazione del territorio in sé;
[essa] si limita piuttosto a prevedere un trattamento speciale in favore di certe categorie soggetti, non già a disciplinare l’uso del territorio in quanto tale” (sentenza n. 1737 del 2021, ricordata anche dall’appellante). Pertanto, il riferimento, in essa compiuto, alla tipologia “non produttiva” delle attività svolte non può essere intesa in senso strettamente rispondente alla classificazione delle categorie urbanistiche di destinazione dei luoghi, ma va opportunamente collocata nella disciplina dettata dal d.lgs. n. 117 del 2017, volta a introdurre previsioni di favore per le associazioni appartenenti al c.d. terzo settore, sulla base del riconoscimento, compiuto all’art. 2, del loro “ valore ” e della loro “ funzione sociale ”, in vista del “ perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale ”. Tali forme di attività, come precisa l’art. 4, comma 1, devono essere perseguite rigorosamente “ senza scopo di lucro ”, come anche ribadiscono i successivi artt. 5, comma 1, e 8. L’assenza dello scopo di lucro costituisce il tratto qualificante delle attività poste in essere dagli enti del terzo settore e dalla disciplina che, all’uopo, viene dettata;
non a caso, essa costituisce un’indicazione necessaria dell’atto costitutivo dell’associazione (art. 21, comma 1). In tale contesto, allora, il richiamo alla tipologia “non produttiva” dell’attività svolta non può che rimandare all’assenza della caratteristica industriale o commerciale latamente intesa, nel senso cioè che il legislatore ha voluto evitare che la deroga alle regole urbanistiche sulla destinazione d’uso possa essere sfruttata da una compagine che, nello svolgere un’attività sostanzialmente imprenditoriale, possa anche solo far insorgere il sospetto di perseguire un lucro.

Ne deriva che l’attività di somministrazione di alimenti e bevande, cui a rigore – secondo le norme urbanistiche – dovrebbe essere riconosciuta la natura di attività “commerciale”, e non certo “produttiva”, non può comunque, in linea generale, giustificare l’applicazione della clausola di favore di cui all’art. 71, comma 1, del d.lgs. n. 117 del 2017 tutte le volte in cui essa sia esercitata, pur se da un ente ascrivibile al c.d. terzo settore, in forma sostanzialmente imprenditoriale. A ragionare diversamente, infatti, si giungerebbe a tradire la ratio della previsione, come detto inserita in un ben preciso contesto normativo, volto a salvaguardare le attività di interesse sociale, svolte senza scopo di lucro.

Per l’effetto, l’associazione appellante non può giovarsi della clausola in questione, in quanto l’attività posta in essere – nonostante non sia prevista alcuna redistribuzione degli utili – per la natura intrinsecamente commerciale e/o produttiva che la contraddistingue non può in astratto far escludere il perseguimento di un guadagno e deve, pertanto, essere considerata “ produttiva ” ai sensi e per gli effetti dell’art. 71, comma 1, del d.lgs. n. 117 del 2017. Ciò, evidentemente, anche a prescindere dall’esistenza di un ulteriore risvolto dell’attività posta in essere, che nel caso di specie – ma solo in forma meramente accessoria, come ricostruito dal TAR – mira a perseguire anche la finalità (di indubbio rilievo civico) di promozione dei prodotti tipici locali.

È appena il caso di aggiungere che rimane del tutto ininfluente, vieppiù nella prospettiva che predilige la natura non urbanistica della norma da ultimo citata, la circostanza – dedotta dall’appellante – per cui l’attività esercitata nei locali in questione non abbia comportato, nel caso di specie, alcun aumento del carico urbanistico della zona, né parimenti la circostanza che non via stato il passaggio da una ad un’altra delle categorie funzionali indicate dall’art. 23- ter del d.P.R. n. 380 del 2001. Quello che rileva, infatti, è unicamente l’impiego dei locali in modo non conforme con la loro destinazione urbanistica, situazione che, di per sé, determina una situazione di illegittimità dell’attività svolta, ai sensi dell’art. 53, comma 3, della legge della Regione Abruzzo n. 23 del 2018, a norma del quale “ È fatto obbligo a tutti i soggetti che svolgono l’attività di somministrazione di alimenti e bevande di esercitarla nel rispetto delle vigenti norme, prescrizioni e autorizzazioni in materia edilizia, urbanistica, igienico-sanitaria e di inquinamento acustico ”, ivi incluse quelle “ sulla destinazione d’uso dei locali e degli edifici ”.

6. – L’appello, pertanto, è integralmente da respingere.

Le spese del grado seguono la soccombenza e si liquidano in euro 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori di legge.

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