Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-05-25, n. 202003274

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-05-25, n. 202003274
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202003274
Data del deposito : 25 maggio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 25/05/2020

N. 03274/2020REG.PROV.COLL.

N. 03827/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3827 del 2019, proposto dal Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

il signor-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato G G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sezione staccata di Lecce, n. -OMISSIS-;


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del signor-OMISSIS-;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 maggio 2020 - svoltasi in videoconferenza ai sensi dell’art. 84, commi 5 e 6, d.l. n. 18 del 2020 – il consigliere S M;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’odierno appellato, con decreto dirigenziale della Direzione Generale per il Personale Militare n. 144 del 2 luglio 2012, veniva immesso nel ruolo dei volontari in servizio permanente dell’Esercito, con il grado di Primo Caporal Maggiore, con decorrenza giuridica e amministrativa dalla data di presentazione presso l’Ente di formazione (11 settembre 2012) e con riserva di superamento del corso propedeutico nonché dell’accertamento degli ulteriori requisiti previsti dall’art. 635, comma 1, del d.lgs. 15 marzo 2010 n. 66.

Con decreto dirigenziale n. 269 del 27 novembre 2013, egli veniva dichiarato decaduto dall’immissione nel ruolo dei volontari, essendo stato accertato che lo stesso, sin dall’immissione in ruolo, era “ imputato in procedimento penale per delitto non colposo ”.

2. Avverso il suddetto decreto veniva interposto ricorso dinanzi al TAR per la Puglia, Sezione staccata di Lecce che, con la sentenza n. -OMISSIS-, respingeva la domanda di annullamento del provvedimento gravato.

3. Detta pronuncia veniva impugnata dinanzi al Consiglio di Stato il quale, in accoglimento del gravame proposto, con sentenza n.-OMISSIS-, riformava la decisione del TAR, disponendo l’annullamento del provvedimento di decadenza.

4. In esecuzione della suddetta sentenza, il Ministero della Difesa, Direzione Generale per il Personale Militare, con il documento M D

GMIL

0743755 del 22 ottobre 2015 disponeva l’immissione in ruolo dell’odierno appellato con effetti giuridici a far data dall’11 settembre 2012 ed effetti economici decorrenti dalla diversa e posteriore data di assunzione in forza.

5. Avverso il suddetto provvedimento, il signor -OMISSIS- proponeva ricorso al TAR per il Lazio, chiedendone l’annullamento.

Egli proponeva, altresì, domanda di risarcimento del danno patrimoniale subìto a causa dell’illegittimo provvedimento di destituzione, quantificato in €. 30.785,96, pari alle retribuzioni non percepite per il periodo compreso tra l’11 settembre 2012 e il 9 novembre 2015.

6. In seguito alla declaratoria di incompetenza territoriale da parte del TAR per il Lazio, il ricorso veniva riassunto innanzi al TAR per la Puglia, Sezione staccata di Lecce, innanzi alla quale si costituiva, in resistenza, il Ministero della Difesa.

7. Nelle more, il suddetto Ministero adottava il decreto n. 149 del 10 agosto 2016, con il quale disponeva: 1) l’annullamento del d.d. n. 269 del 27 novembre 2013;
2) l’immissione del signor -OMISSIS- “a pieno titolo nel ruolo dei volontari in servizio permanente nell’esercito, con decorrenza giuridica 11 settembre 2012 e amministrativa 9 novembre 2015 ”.

8. Con ricorso notificato in data 20 ottobre 2016 e depositato il 7 novembre 2016, il signor -OMISSIS- proponeva motivi aggiunti, reiterando le censure svolte nel ricorso introduttivo, come pure la domanda risarcitoria.

9. Il TAR respingeva la domanda impugnatoria e accoglieva quella risarcitoria, condannando l’intimata amministrazione a corrispondere a tale titolo il 50% delle retribuzioni non erogate.

In particolare, relativamente all’elemento soggettivo, il TAR osservava che la difesa erariale non aveva dedotto alcunché circa l’eventuale scusabilità dell’errore del Ministero nel disporre l’illegittima destituzione. Inoltre, dalla disamina della sentenza del Consiglio di Stato n. -OMISSIS- di annullamento del provvedimento di decadenza, avrebbe potuto evincersi che l’amministrazione militare aveva tenuto una condotta in contrasto con fondamentali principi di rango costituzionale, tra cui, in primis , il principio della presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27 comma 2 Cost.. Alla luce di tale disposizione il Ministero avrebbe dovuto interpretare e applicare l’art. 635 comma 1 lettera g) d.lgs. n. 66/2010, anche ricorrendo agli strumenti indicati dall’art. 7 comma 2 e dall’art. 21 quater della l.n. 241/90.

10. La sentenza è stata impugnata dal Ministero della Difesa, rimasto soccombente.

L’amministrazione ha dedotto:

1) Violazione e falsa applicazione dell’art.30 c.p.a. e dell’art. 2043 cod. civ.;
confusione tra provvedimento illecito e provvedimento solo illegittimo;
erronea applicazione di “presunzione di colpa” e dell’art. 2727 cod.civ.;
mancata considerazione dell’assenza di “colpa” nell’operato dell’amministrazione
.

Il ritardo dell’assunzione del ricorrente non è ascrivibile ad un comportamento colposo dell’amministrazione, ma è frutto dell’applicazione di una norma del codice dell’ordinamento militare che, ai fini dell’assunzione, attribuisce rilievo ostativo alla pendenza di un procedimento penale per delitto non colposo (cfr. gli articoli 705, comma 1, lett. c) e l’art. 635, comma 1, lett. g);
cfr. anche l’art. 4, comma 2, del D.M. 27 aprile 2015).

Il provvedimento di decadenza è stato adottato nei confronti del -OMISSIS- sulla base del riscontro del fatto oggettivo che – nell’arco temporale tra la data della domanda di partecipazione alla selezione (5 aprile 2012) e la data della verifica del mantenimento dei requisiti, coincidente con l’effettiva immissione in servizio permanente (11 settembre 2012) - l’interessato è risultato imputato in un procedimento penale per delitto non colposo attivato con la richiesta di citazione diretta a giudizio in data 26 gennaio 2012.

A sostengo dell’assenza di colpa, l’amministrazione ha richiamato, ad esempio, un orientamento giurisprudenziale di questa Sezione (da ultimo, sentenza n. 629 del 2017), in cui è stato affermato che la posizione di imputato è ex se impeditiva della partecipazione ad un concorso per l’arruolamento e che a nulla rileva l’assoluzione intervenuta successivamente alla definizione della procedura concorsuale.

11. Si è costituito, per resistere, il signor -OMISSIS-, con articolate argomentazioni.

12. Con ordinanza n. -OMISSIS-, è stata accolta l’istanza cautelare.

13. L’appellato ha depositato una memoria conclusionale.

14. All’udienza pubblica del 7 maggio 2020, la causa è stata trattenuta in decisione ai sensi dell’art. 84, comma 5, del d.l. n. 18 del 2020.

15. L’appello è fondato.

All’uopo, si osserva quanto segue.

16. In primo luogo, rileva il Collegio che la sentenza n. -OMISSIS-di questa Sezione, che ha annullato il provvedimento di decadenza del signor -OMISSIS- dall’immissione in ruolo dei volontari in SPE, non contiene specifiche statuizioni relative alla responsabilità e/o diligenza dell’amministrazione intimata nella vicenda di cui trattasi.

Per quanto interessa in questa sede, la pronuncia ha valutato, in relazione all’art. 635 del codice dell’ordinamento militare, applicato dall’amministrazione, che tale disposizione “ laddove stabilisce i requisiti inderogabili d’ammissione al reclutamento, nonché l’obbligo dei singoli candidati di mantenerne il possesso al momento in cui scade il termine di partecipazione alla procedura, durante quest’ultima e fino all’immissione definitiva nei ruoli ”, non si può dire “ del tutto irragionevole ”.

In tal senso, la sentenza ha evidenziato che siffatta disposizione “ è preordinata a disciplinare, nella quasi totalità dei casi, la selezione d’un gran numero di militari da una platea assai ampia di candidati, sì da restringerne la scelta solo a quelli per i quali non sia discussa la condotta morale neppure in termini di rischio ”.

La ragione dell’annullamento è invece scaturita da una “ lettura costituzionalmente orientata ” della normativa di riferimento, riguardata alla luce della finalità di “ proteggere il reclutamento da seri rischi ”, in rapporto ad una fattispecie in cui questa funzione doveva considerarsi ormai esaurita per effetto dell’intervenuta assoluzione dell’appellato.

Detto evento è stato assimilato dalla pronuncia al mancato avveramento di una sorta di condizione risolutiva, avente efficacia retroattiva “ di talché l’intervenuto proscioglimento del sig. -OMISSIS- elide in radice la funzione protettiva della clausola, in assenza d’una diversa e più specifica scelta del legislatore in ordine al termine massimo di vigenza di essa e di sua graduazione con riguardo alle modalità estintive ”.

E’ quindi solo in tale ottica che il Consiglio di Stato ha censurato l’azione amministrativa, attribuendo alla p.a. “ l’onere di verificare in concreto, se del caso con una più approfondita istruttoria e, ove occorra, anche con l’adozione di misure cautelari ex artt. 7, c. 2 e 21-quater della l. 7 agosto 1990 n. 241, l’eventuale intervenuta definizione in senso favorevole al candidato, del procedimento penale che attiva la clausola di protezione ”.

17. Ciò posto, è anzitutto necessario ricordare che il risarcimento del danno non è conseguenza automatica dell’annullamento di un atto amministrativo ma necessita dell’ulteriore positiva verifica circa la ricorrenza dei presupposti richiesti dalla legge, tra cui quello della colpevole condotta antigiuridica della p.a..

Affinché sussista il requisito della colpa è necessario verificare se l’emanazione e l’esecuzione dell'atto impugnato siano avvenute in violazione delle regole dell’imparzialità, correttezza e buona fede alle quali l’esercizio della funzione pubblica deve costantemente attenersi (Cons. Stato, sez. IV, 30 gennaio 2017, n. 361).

18. Nella fattispecie, il TAR ha sostenuto che l’amministrazione avrebbe violato “ il principio della presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27 comma 2 Cost.” e che “Alla luce di tale disposizione il Ministero avrebbe dovuto interpretare e applicare l’art. 635 comma 1 lettera g) D. Lgs. 66/2010, anche ricorrendo agli strumenti indicati dall’art. 7 comma 2 e dall’art. 21 quater L. 241/1990 ”.

Tuttavia, il primo giudice non ha considerato, in primo luogo, che “ coloro che esercitano le funzioni amministrative hanno l’obbligo di applicare le leggi (anche se ritenute illegittime), in ossequio al principio di legalità, visto che l’ulteriore dimensione della legalità costituzionale ha il proprio presidio naturale nella competenza (esclusiva) della Corte costituzionale ” (Cons. Stato, sez. V, sentenza n.1862 del 14 aprile 2015).

Nel caso di specie, va peraltro evidenziato che, come traspare chiaramente dalla sentenza n. -OMISSIS- della Sezione, l’inequivoca disposizione contenuta nell’art. 635, comma 1, lett. g) del c.o.m. è stata considerata in sé non irragionevole, anche perché, diversamente opinando, il Collegio avrebbe dovuto sollevare una questione di legittimità costituzionale.

Di essa è stata tuttavia fornita una interpretazione “costituzionalmente orientata” attraverso l’attribuzione alla p.a., pur in assenza di espresse indicazioni da parte del legislatore, dell’obbligo di adottare misure “cautelari” fino all’eventuale intervenuta definizione in senso favorevole al candidato del procedimento penale in ipotesi ostativo al reclutamento.

Orbene, l’obbligo di ricercare una interpretazione costituzionalmente orientata delle fonti appartiene, in primis , al giudice comune (sull'obbligo di interpretazione costituzionalmente conforme cfr. ad esempio. Corte Cost., 26 maggio 2015, n. 92).

Per quanto non possa in assoluto escludersi che una simile, delicata attività esegetica incomba anche alla pubblica amministrazione, tuttavia, perlomeno in assenza di un diritto “vivente” e quindi di una consolidata interpretazione in sede giurisprudenziale, l’opzione ermeneutica fondata sul dato letterale non può sicuramente costituire fonte di responsabilità per l’amministrazione che vi si attenga.

Nel caso di specie, va altresì rimarcato che l’interpretazione dell’art. 635, comma 1, lett. g) del d.lgs. n. 66/2010, propugnata dalla sentenza n. -OMISSIS-, non è affatto pacifica né consolidata.

In senso contrario vi sono infatti numerose pronunce, sia precedenti che successive, della Sezione (tra cui, da ultimo, sez. IV, n. 247 dell’11 gennaio 2019 e n. 629 del 14 febbraio 2017) nelle quali è stato messo in luce che:

- “ come imposto dall’art. 638 d.lgs. 66/2010, i requisiti necessari per il reclutamento (salvo alcune eccezioni non ricorrenti nella specie) debbono essere posseduti dall’aspirante Militare per tutta la durata della procedura selettiva propedeutica all’incorporazione, senza soluzione di continuità (cfr . Cons. St., Sez. IV, n. 261 del 2017, relativa a reclutamento di personale militare;
sez. VI, n. 3642 del 2010 relativa a reclutamento di VV.FF.);
che si tratti di un principio generale delle procedure selettive lo si evince inoltre, nell’affine materia dei requisiti di partecipazione a gare d’appalto, dai plurimi arresti dell’Adunanza plenaria e della Corte del Lussemburgo (Ad. plen., nn. 8/2015, 5/2016, 6/2016 e 10/2016, nonché Corte giustizia UE, sez. IX, 10 novembre 2016, Ciclat);
inoltre, l’attuale qualità di imputato per delitti non colposi è sempre stata condizione
ex lege impeditiva del reclutamento nelle Forze Armate, a prescindere dalla conoscenza che ne avesse il candidato (art. 635 d.lgs. 66/2010 e, in precedenza, art. 4, comma 1, lett. e] ed art. 11 l. 226/2004) ”;

- inoltre non può “ fondatamente sostenersi la natura sanzionatoria del provvedimento di decadenza, di contro mero riflesso dell’assenza a monte, in capo al Militare vincitore di pubblico concorso, dei requisiti previsti ex lege per la stessa legittima partecipazione a quel concorso ”;

- né rileva una assoluzione sopravvenuta alla definizione della procedura concorsuale poiché “ la legittimità di un atto amministrativo deve essere delibata in relazione alle circostanze di fatto e di diritto coeve alla sua emanazione ”;
in tale ottica “ il riferimento all’art. 27 della Carta fondamentale è improprio, giacché, nella specie, si controverte del possesso di requisiti per la partecipazione ad un pubblico concorso e non dell’ascrizione di responsabilità penale ” (sentenza n. 629 del 2017).

18.1 A fronte di tale quadro giurisprudenziale, risulta quindi insussistente la violazione, da parte dell’amministrazione, dei principi di rango costituzionale ravvisati dal TAR e, correlativamente, dell’elemento soggettivo della colpa.

19. In definitiva, per quanto testé argomentato, l’appello deve essere accolto, con conseguente reiezione, in parziale riforma della sentenza impugnata, della domanda di risarcimento del danno proposta in primo grado.

Appare tuttavia equo, in considerazione della peculiarità della vicenda, disporre l’integrale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio tra le parti.

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