Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2020-06-01, n. 202003449

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2020-06-01, n. 202003449
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202003449
Data del deposito : 1 giugno 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 01/06/2020

N. 03449/2020REG.PROV.COLL.

N. 04485/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4485 del 2019, proposto da
M e G S, G L S di G L, G e G C, M M, G S e G V S, B A e B E S, C A e P S, P V - M e S L S, B E e A S, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato M M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Vincenzo Cannizzaro in Roma, corso D'Italia 106;

contro

Inps, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati A Coretti, Mauro Sferrazza, Vincenzo Triolo, Vincenzo Stumpo, domiciliato in Roma, via Cesare Beccaria ,29;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche (Sezione Prima) n. 00777/2018, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Inps;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza tenuta nelle modalità di cui all’art. 84, D.L. n. 18/2020, del giorno 30 aprile 2020 il Cons. Raffaello Sestini;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1 - Gli appellanti, esercenti nelle forme di società armatrici, attività imprenditoriale nel settore della pesca, presentavano all’INPS di Ascoli Piceno distinte domande per ottenere il trattamento di integrazione salariale in deroga per il settore pesca relativo all’anno 2015, ai sensi del Decreto Interministeriale di concessione n. 91411 del 7 agosto 2015, estendendo la richiesta anche per i soci, anche essi appellanti nel presente procedimento, delle medesime società armatrici imbarcati sulle unità navali di pesca.

L’INPS di Ascoli Piceno, con distinti ed autonomi provvedimenti, respingeva le domande per tale parte motivando che il trattamento di cassa integrazione Guadagni in deroga non era riconoscibile agli armatori ed ai proprietari armatori imbarcati sulle navi dai medesimi gestite.

1.1 - Avverso i provvedimenti di rigetto le società ed i soci personalmente proponevano ricorso collettivo al Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche, chiedendo l'annullamento, previa sospensiva, delle distinte ed autonome deliberazioni di rigetto delle domande in esame deducendo i vizi di violazione di legge, specificatamente del Decreto Interministeriale n. 91411 del 7 agosto 2015;
del D.M. 6 agosto 2015, del DPR n. 1199/1971, dell'art. 3 della L. 241/90, dell’art. 24 Costituzione, nonché l’eccesso di potere, sotto plurimi profili, per difetto di motivazione, travisamento ed erronea valutazione dei fatti;
manifesta illogicità e contraddittorietà dell’atto, contraddittorietà tra atti;
violazione del legittimo affidamento.

1.2 – L’INPS, costituitasi in giudizio depositando copiosa documentazione, eccepiva la inammissibilità del ricorso proposto in forma collettiva e, comunque, deduceva l’infondatezza delle doglianze dedotte.

1.3 - Con ordinanza n. 84/2017, l’adito TAR respingeva la proposta istanza cautelare, ordinando incombenti istruttori all’Amministrazione con la successiva ordinanza n. 208/2018, ottemperati dall’INPS con memoria del 22 maggio 2018. L’INPS in particolare illustrava gli esiti degli incombenti e rilevava che con nota prot. 15055 dell’11 luglio 2016 il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali aveva espresso parere negativo «in relazione alla possibilità di beneficiare della cassa integrazione in deroga per le figure degli armatori, e dei proprietari armatori imbarcati sulle navi dai medesimi gestite, in quanto non è configurabile nei loro confronti un rapporto di lavoro subordinato».

2 - Il TAR per le Marche, con la sentenza citata in epigrafe, rigettava le eccezioni sollevate dall’I.N.P.S., ritenendole comunque assorbite, e nel merito respingeva il ricorso, compensando le spese di giudizio.

2.1 - In particolare, il TAR rilevava che la norma primaria (legge n. 164/1975e s.m.i.) individua i soggetti beneficiari del trattamento di integrazione salariale (lavoratori dipendenti), risultando irrilevante che soltanto il decreto interministeriale relativo all’anno 2016 (D.I. n. 1600069 del 5 agosto 2016) avesse introdotto espressamente la limitazione contestata dai ricorrenti, e non invece il D.I. n. 91411 del 2015, relativo alla controversia in esame, emanato in attuazione del disposto della legge n. 190/2014, non venendo quindi in questione un problema di retroattività della normativa regolamentare sopravvenuta.

2.2 - Per il TAR non sussisteva neppure un problema di lesione dell’affidamento, in relazione al riconoscimento negli anni precedenti di un beneficio che, comunque, non spettava ai ricorrenti.

2.3 – Per il giudice di primo grado neppure sussisteva la rilevata disparità di trattamento, non potendo la P.A. perseverare nell’errore commesso ed essendo semmai tenuta a revocare i benefici indebitamente concessi e non già a concedere il beneficio in nome di una malintesa par condicio.

2.4 – Non avrebbe, poi, avuto valore decisivo la questione del codice da utilizzare per il versamento dei contributi previdenziali, avendo l’Istituto previdenziale l’onere di verificare se il versamento fosse stato effettuato utilizzando il codice corretto, invitando ove necessario l’interessato a rettificare l’operazione.

2.5 – Non persuasive venivano altresì ritenute le argomentazioni fondate su alcune disposizioni di favore per le imprese di pesca introdotte nel corso degli anni, nonché su una ormai risalente pronuncia della Corte di Cassazione, secondo la quale i soci delle società proprietarie o di armamento che sono imbarcati sui natanti utilizzati per l’attività aziendale non sono imprenditori, ma lavoratori dipendenti a tutti gli effetti, essendo la pronuncia riferita solo a specifici profili previdenziali.

2.6 – Secondo il TAR, dunque, la disciplina rilevante ai fini di causa doveva, invece, essere rintracciata nelle disposizioni del Codice della Navigazione relative alle società di armamento, in base alle quali, in mancanza della dichiarazione di armatore riportata nel ruolino di equipaggio, come nel caso di specie, armatore si presume il proprietario della nave, e per le quali nelle società di armamento ciascun socio riveste anche la qualifica di imprenditore nel caso in cui, come nella fattispecie in esame, l’esercizio della nave sia diretto alla pesca professionale, essendo irrilevante che per la sicurezza della navigazione il socio o proprietario, in quanto imbarcato, sia comunque soggetto all’autorità del comandante della nave.

3 - La predetta sentenza veniva fatta oggetto del gravame in epigrafe, con il quale erano dedotti i seguenti motivi di appello:

3.1 - errore nel giudicare: travisamento del fatto e del diritto, illogicità, erroneità e carenza della motivazione, erronea valutazione delle censure mosse dai ricorrenti in primo grado (violazione del decreto interministeriale n. 91411 del 7 agosto 2015, eccesso di potere per difetto di motivazione, travisamento ed erronea valutazione dei fatti, manifesta illogicità e contraddittorietà dell’atto e tra atti, con conseguente violazione dei principi di irretroattività delle norme giuridiche secondarie e di tutela delle situazioni giuridiche ormai acquisite;

3.2 - errore nel giudicare: erroneità della motivazione, travisamento delle risultanze istruttorie, in relazione alla omessa rilevazione dell’eccesso di potere per disparità di trattamento dedotta in primo grado con riguardo ai diversi orientamenti di altre direzioni provinciali dell’INPS;

3.3 - errore nel giudicare: travisamento del fatto e del diritto, travisamento delle risultanze istruttorie, illogicità, erroneità, perplessità e carenza della motivazione della sentenza appellata, per la parte in cui ha ritenuto irrilevante la questione del codice da utilizzare per il versamento dei contributi previdenziali poiché, se è vero come affermato dal TAR che “non è ovviamente il codice utilizzato a determinare a quale categoria appartiene un lavoratore che esegue un versamento, essendo semmai vero il contrario”, è pur vero che è stata la stessa INPS ad aver imposto alle imprese armatrici o proprietarie di unità da pesca di non indicare i loro soci con il codice riservato ai lavoratori imbarcati;

3.4 - errore nel giudicare: travisamento del fatto e del diritto, illogicità, erroneità e carenza della motivazione, per l’omessa o erronea valutazione delle censure, mosse dai ricorrenti in primo grado, di violazione del decreto Interministeriale n. 91411 del 7 agosto 2015 e di eccesso di potere sotto plurimi profili, sia con riguardo alla sentenza della Cassazione n° 6795/1996 che, pur trattando di “assegni familiari” e non di “cassa integrazione guadagni” afferma che lo status di armatore e di proprietario dell’imbarcazione da pesca “non è stato considerato mai espressione di uno status imprenditoriale, quale connotazione capitalistica”, sia con riguardo alla circolare INPS n° 61 del 16 marzo 1999, secondo la quale i caratisti, gli armatori e proprietari armatori e, quindi, ancor più i soci di società armatrici o proprietarie di imbarcazioni da pesca sono da ritenersi, ove imbarcati, lavoratori dipendenti, ed infine con riguardo al decreto interministeriale n° 5 del 23.11.2017, avente ad oggetto ”riconoscimento di una indennità a sostegno del reddito in favore dei dipendenti da imprese adibite alla pesca marittima – anno 2017”, che prevede la corresponsione di una indennità giornaliera per i lavoratori di imprese adibite alla pesca marittima nelle ipotesi di fermo pesca, prevedendo una indennità giornaliera che sostituisce la cassa integrazione guadagni in deroga prevista fino all’anno 2016 per il settore pesca chiedendo, per i soci proprietari dell’imbarcazione che risultino imbarcati, una autocertificazione circa l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra il socio e la società proprietaria”;

3.5 - errore nel giudicare: travisamento del fatto e del diritto, illogicità, irragionevolezza, erroneità e carenza della motivazione per la erronea valutazione delle censure, mosse dai ricorrenti in primo grado, di violazione del decreto interministeriale n. 91411 del 7 agosto 2015 e di eccesso di potere sotto plurimi profili, avendo il TAR travisato la natura delle società ricorrenti, non società di armamento disciplinate dal codice della navigazione, ma società in nome collettivo o società in accomandita semplice, disciplinate dal codice civile quali società di persone.

3.6 - errore nel giudicare: travisamento del fatto e del diritto, difetto di istruttoria e di motivazione, per la erronea valutazione delle censure, mosse dai ricorrenti in primo grado, di violazione dell’art. 2 del d.m. 6 agosto 2015, che si riferisce ai “marittimi imbarcati sulle unità” che eseguono l’interruzione temporanea dell’attività di pesca;

3.7 - errore nel giudicare: difetto di istruttoria e di motivazione, per la erronea valutazione delle censure, mosse dai ricorrenti in primo grado, di eccesso di potere per violazione del legittimo affidamento e per contraddittorietà con precedenti provvedimenti amministrativi;

4 – Resisteva l'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, che con propria ampia memoria contro deduceva su ogni motivo di appello argomentando l’infondatezza delle censure proposte, ed inoltre proponeva ricorso incidentale reiterando le eccezioni, non accolte dal TAR, di inammissibilità del ricorso di primo grado.

5 – Gli appellanti, a propria volta, contro deducevano ampiamente, con propria memoria, confutando le argomentazioni del ricorso incidentale. Entrambe le parti, poi, ribadivano e motivavano ulteriormente le rispettive difese e stigmatizzavano a propria volta le ulteriori argomentazioni di controparte con un plurimo scambio di memorie.

6 – Infine, con brevi note per l’udienza pubblica, gli appellanti facevano richiamo all’articolo 22 del Decreto Legge n. 18 del 17.03.2020 che, a seguito dell’emergenza epidemiologica COVID-19, ha disposto trattamenti di cassa integrazione salariale in deroga, tra gli altri, per il settore della pesca, prevedendo che i trattamenti di CIG in deroga siano concessi con decreto delle Regioni. In tale quadro, ad avviso degli appellanti, la Regione Marche, similmente ad altre Regioni come la Puglia, l’Abruzzo e la Calabria, in data 20 marzo 2020, a seguito di intesa istituzionale territoriale per la regolamentazione della Cassa integrazione in deroga ai sensi dell’art. 22 del Decreto Legge 17 marzo 2020 n. 18, ha individuato quali lavoratori beneficiari del suindicato ammortizzatore sociale in deroga i pescatori anche delle acque interne, imbarcati a qualunque titolo e /o iscritti a ruolino di equipaggio.

6.1 - Ciò avvalorerebbe le tesi degli odierni appellanti, che hanno sempre affermato come fosse l’accordo governativo per l’anno 2015, poi fatto proprio dal decreto interministeriale n. 91411/2015, ad individuare i destinatari del citato ammortizzatore sociale nel “personale imbarcato” delle imprese di pesca, visto che, quando la cassa integrazione in deroga viene di nuovo applicata al settore della pesca, come avvenne nell’anno 2015, sarebbero proprio gli accordi regionali, e non certo la L. 164/1975, come disposto dall’art. 22 del D.L. n. 18/2020, a definire i destinatari della CIG in deroga, individuando proprio gli “imbarcati iscritti a ruolino di equipaggio”, come erano nel 2015 gli odierni ricorrenti secondo le stesse risultanze dei verbali di consultazione sindacale attestati dal Comandante dell’Ufficio Circondariale Marittimo di Civitanova Marche in data 15.01.2016.

6.2 – L’INPS, premessa la tardività delle produzioni documentali sulle quali le deduzioni avversarie erano basate, controbatteva che la CIG in deroga introdotta per l’emergenza sanitaria da COVID-19 costituisce una fattispecie giuridica diversa e distinta dalla CIG in deroga per il settore della pesca per l’anno 2015 e che, comunque, la stessa Intesa Istituzionale Territoriale per la

regolamentazione della Cassa integrazione in deroga ai sensi dell’art. 22 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18 - anno 2020 contrasterebbe con le tesi degli appellanti, indicando quali “Lavoratori beneficiari” i «lavoratori dipendenti sia a tempo determinato che indeterminato (operai, impiegati, quadri, apprendisti con contratto professionalizzante, soci lavoratori delle cooperative con rapporto di lavoro subordinato, lavoranti a domicilio in regime di mono commessa, pescatori anche delle acque interne, imbarcati a qualunque titolo e /o iscritti a ruolino di equipaggio e tutti gli altri lavoratori dipendenti con qualsiasi forma contrattuale di lavoro subordinato)».

7 – Come detto, L’INPS proponeva altresì ricorso incidentale, con il quale deduceva che il TAR non si sarebbe avveduto della violazione dell’art. 40 c.p.a., anche in relazione all’art. 70 c.p.a. ed all’art. 4 del D.I. 7 agosto 2015, n. 91411, che deponeva per l’inammissibilità del ricorso collettivo e cumulativo di primo grado. In particolare, narra l’appellante incidentale, il TAR con la sentenza impugnata ha rigettava pregiudizialmente l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposto in forma collettiva e cumulativa sulla base della seguente motivazione: «…dall’istruttoria non è emersa alcuna sostanziale differenza tra le posizioni individuali delle imprese ricorrenti (né tantomeno un potenziale conflitto di interessi fra le stesse), il che induce ad escludere l’inammissibilità del proposto gravame. In ogni caso, in ragione dell’infondatezza nel merito della domanda impugnatoria …, la questione dell’ammissibilità del ricorso può essere

assorbita» .

7.2 - Secondo l’INPS, al contrario, la giurisprudenza amministrativa (citando Cons. Stato, V, 30-3-2017, n. 1463) avrebbe chiarito che il “petitum” dell’azione impugnatoria davanti al giudice amministrativo è, in linea generale, circoscritto ad un solo provvedimento, mentre è ammessa in via eccezionale l’impugnazione di più atti con un solo ricorso quando tra essi sia ravvisabile una connessione procedimentale o funzionale, che però deve essere accertata in modo rigoroso, al fine di evitare la confusione di controversie con conseguente aggravio dei tempi del processo o l’abuso dello strumento processuale per eludere le disposizioni fiscali in materia di contributo unificato.

7.3 - Inoltre, il ricorso collettivo, presentato da una pluralità di soggetti con un unico atto, sarebbe ammissibile nel solo caso in cui sussistano, congiuntamente, i requisiti dell’identità delle situazioni sostanziali e processuali (ossia che le domande giudiziali siano identiche nell’oggetto, che gli atti

impugnati abbiano lo stesso contenuto e vengano censurati per gli stessi motivi) e dell’assenza di un conflitto di interessi tra le parti (citando Cons. Stato, VI, 14-6-2017, n. 2921, , 15-1-2019, n. 382). Tali requisiti sarebbero però assenti, considerato che l’impugnazione riguarda distinti ed autonomi provvedimenti scaturiti da differenti procedimenti iniziati con differenti istanze di parte, e che sussiste un almeno potenziale conflitto di interessi fra i singoli ricorrenti, atteso che lo stanziamento per finanziare il trattamento salariale integrativo potrebbe non essere sufficiente a permettere l’erogazione dell’intera prestazione a tutti i richiedenti.

8 – L’esame della complessa fattispecie contenziosa in esame –che non concerne, è appena il caso di ricordare, procedure di appalto armonizzate dalla UE- deve dunque prendere avvio, alla stregua di un criterio di economia processuale, dal suindicato ricorso incidentale, il cui accoglimento determinerebbe la riforma della appellata sentenza nel senso della inammissibilità del gravame di primo grado, precludendo l’esame dei relativi motivi di gravame.

9 – Le censure dedotte con il ricorso incidentale si rivelano peraltro palesemente infondate.

9.1 - Infatti, considera il Collegio che la invocata regola generale dell’impugnabilità con il ricorso di un solo provvedimento, riferibile peraltro ad un originario e risalente modello meramente impugnatorio oramai superato dalla evoluzione del giudizio amministrativo nel senso della effettiva tutela del bene della vita oggetto della pretesa, per pacifica giurisprudenza non trova applicazione nelle ipotesi in cui la cognizione di più provvedimenti nel medesimo giudizio sia imposta dall’esigenza di concentrare in un unico contesto processuale l’accertamento di profili suscettibili di inficiare la legittimità di diverse ma connesse sequenze di atti.

9.2 - A tal fine è necessario che i distinti provvedimenti impugnati con il ricorso cumulativo siano riferibili ad un medesimo procedimento amministrativo, che vengano dedotti motivi di illegittimità identici volti a definire compiutamente gli eventuali profili di illegittimità di ciascun provvedimento e che vi sia una omogeneità di condizioni, sotto il profilo considerato, dei diversi ricorrenti, fra i quali non devono poter essere ravvisate possibili situazioni di conflitto di interesse.

9.3 – Tutti i predetti presupposti sono peraltro visibilmente presenti nella fattispecie considerata, posto che le posizioni dei ricorrenti rispetto alla pretesa azionata sono identiche, che i singoli provvedimenti di diniego impugnati sono identici e sono stati adottati dalla medesima autorità secondo il medesimo procedimento;
identiche sono anche le censure dedotte, di modo che l’accertata illegittimità di uno degli atti travolgerà necessariamente tutti gli altri. Neppure sono ipotizzabili situazioni di conflitto di interessi, considerato che tutti gli istanti hanno formalmente chiesto e ora reclamano l’applicazione di una provvidenza economica di legge, ciascuno affermando per sé il possesso di requisiti che la legge considera necessari e sufficienti ai fini dell’ingresso nella platea degli aventi diritto, aventi diritto che sono tutti accumunati dalla medesima condizione giuridica rispetto alla pretesa secondo l’ordine storico, ormai cristallizzato, dell’ordine di presentazione delle domande, Ne consegue che ciascuno dei ricorrenti vanta un proprio interesse differenziato, comune agli altri ricorrenti, a che l’intera categoria di soggetti cui appartiene, ed alla quale appartengono anche gli altri ricorrenti, entri a far parte della platea dei beneficiari, senza che la solo eventuale futura applicazione, a ciascuno di essi, delle regole che disciplinano le conseguenze per l’intera platea dei beneficiari nella dedotta eventualità di esaurimento delle risorse finanziarie possa determinare, nella fase attuale, alcun seppure ipotetico conflitto di interessi.

9.4– Il ricorso incidentale deve pertanto essere rigettato.

10 – Venendo dunque all’esame del ricorso, principale, il Collegio considera non dirimenti ai fini del riconoscimento del beneficio richiesto, e quindi non suscettibili di accoglimento, le dedotte censure di violazione del principio di irretroattività della legge - rectius delle fonti di diritto di secondo grado - (primo motivo di appello), di disparità di trattamento rispetto ad altri uffici provinciali e di contraddittorietà rispetto a precedenti o successive determinazioni della medesima autorità (secondo, sesto e settimo motivo) e di erroneo utilizzo del codice riferito al soggetto richiedente -lavoratore o imprenditore (terzo motivo), oltrechè d difetto d motivazione (ultimo motivo) in quanto l’ottenimento di un beneficio economico speciale posto a carico della finanza pubblica deve trovare una espressa base normativa in una specifica disposizione di legge vigente, restando del tutto irrilevante, in mancanza, sia la sinteticità della motivazione di diniego, sia il diverso operato degli uffici nella procedura, nel tempo e nello spazio, che porterà se del caso a una responsabilità dei titolari di quegli uffici, ma mai ad un diritto dei richiedenti non aventi titolo.

10.1 – Non conferente rispetto alla pretesa azionata appare, poi, la censura concernente la erronea rubricazione delle società ricorrenti come società di armamento (con la conseguente qualifica imprenditoriale dei soci secondo il codice della navigazione) anziché come società in nome collettivo o in accomandita semplice, disciplinate dal codice civile come soggetti vestiti di autonoma soggettività giuridica rispetto ai singoli soci (quinto motivo di ricorso).

Infatti, l’assoluta preminenza, nel nostro ordinamento, del lavoro, quale fondamento della Repubblica e quale diritto e dovere di ogni consociato ai sensi degli artt. 1, 2, secondo periodo, 3, secondo comma e 4 della Costituzione, impone di valutare dal punto di vista del lavoratore e non dell’impresa la applicabilità della misura in esame, in quanto riferita a categorie predeterminate di lavoratori (i marinai imbarcati) mediante una integrazione della loro retribuzione in ragione della interruzione o riduzione delle attività produttive aziendali, e quindi delle loro prestazioni lavorative, che potrebbe mettere a rischio la loro fonte di sussistenza.

10.2 - Ne consegue il carattere recessivo, ai fini della presente decisione, della normativa speciale del codice della navigazione concernente le società di armamento, ovvero della disciplina societaria del codice civile, dovendosi invece avere riguardo alla disciplina delle modalità di svolgimento e di retribuzione della prestazione lavorativa oggetto della integrazione.

11 – Alla stregua delle pregresse considerazioni il nodo centrale della presente controversia deve essere sciolto valutando se il “personale imbarcato” destinatario della CIG in deroga del settore pesca possa essere costituito dal solo “personale imbarcato dipendente” e se a tal fine la qualifica di armatore-socio amministratore imbarcato sia incompatibile con la qualifica di lavoratore subordinato, restando estranea alla fattispecie la sentenza della Corte di Cassazione n. 6795/1996, così come ritenuto dal giudice di primo grado e come sostenuto dall’Istituto resistente, oppure se, così come dedotto con il quarto motivo del presente appello, l’impugnata esclusione sia erronea e quindi illegittima per la violazione del decreto Interministeriale n. 91411 del 7 agosto 2015 e del presupposto accordo governativo per l’anno 2015, che individuava i destinatari del citato ammortizzatore sociale nel “personale imbarcato” delle imprese di pesca, in quanto posto agli ordini del capitano dell’imbarcazione e con retribuzione commisurata all’attività lavorativa svolta e non all’utile d’impresa derivante dall’investimento imprenditoriale effettuato in caso di proprietà o comproprietà del bene produttivo (il peschereccio), con un contratto di lavoro che risulta, quindi, del tutto assimilabile, ai fini che qui rilevano, ad un rapporto di lavoro dipendente.

11.1 - Dunque la circostanza che si tratti di CIG in deroga, se da un lato consente l’estensione a nuovi settori come quello della pesca senza far venire meno i requisiti di fondo (e in particolare la necessità di un rapporto di lavoro dipendente) previsti dalla normativa primaria, dall’altro impone di valutare la sussistenza di quei requisiti alla luce delle peculiarità dei nuovi settori di intervento che, nel caso del settore pesca, hanno indotto la giurisprudenza (Corte di Cassazione, sentenza n° 6795/1996, citata) a statuire che il ruolo di armatore e di proprietario o comproprietario dell’imbarcazione da pesca sulla quale si è imbarcati come marinaio non è espressione di uno status imprenditoriale, e quindi è compatibile con la configurazione di un rapporto che deve essere considerato, almeno ai fini che qui rilevano, di lavoro dipendente.

11.2 – Vengono in rilievo, al riguardo, la circolare della stessa INPS n° 61 del 16 marzo 1999, secondo la quale i caratisti, gli armatori e proprietari armatori e, quindi, ancor più i soci di società armatrici o proprietarie di imbarcazioni da pesca sono da ritenersi, ove imbarcati, lavoratori dipendenti, e anche il decreto interministeriale n° 5 del 23.11.2017 che prevede, nelle ipotesi di fermo pesca, la corresponsione di una indennità giornaliera per i lavoratori di imprese adibite alla pesca marittima estesa ai soci proprietari dell’imbarcazione che risultino imbarcati, previa autocertificazione circa l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato;
nonché infine gli accordi regionali che, ai sensi dell’articolo 22 del decreto legge n. 18 del 17.03.2020 hanno disposto, nell’ambito dell’emergenza epidemiologica COVID-19, la concessione della cassa integrazione salariale in deroga per i pescatori anche delle acque interne, imbarcati a qualunque titolo e /o iscritti a ruolino di equipaggio, e ciò non perché l’Amministrazione debba adeguarsi a tali altri provvedimenti, ma perché gli stessi provvedimenti risultano coerenti con una più vasta impostazione volta a valutare l’applicabilità della CIG in deroga, come sopra esposto, in relazione alle effettive esigenze di tutela dei lavoratori perseguite dalla normativa di riferimento prescindendo da distinzioni che si rivelano estranee a tali finalità.

12 – In conclusione, il ricorso deve essere accolto conseguendone, per l’effetto, l’accoglimento del gravame di primo grado in riforma dell’appellata sentenza, affermando il diritto degli appellanti a percepire, senza ritardo, la pretesa indennità di CIG in deroga, oltre agli interessi legali per il ritardato pagamento.

La complessità, non univocità e novità della questione controversa giustifica tuttavia la compensazione fra le parti delle spese dei due gradi di giudizio.

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