Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-03-30, n. 202002159

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-03-30, n. 202002159
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202002159
Data del deposito : 30 marzo 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 30/03/2020

N. 02159/2020REG.PROV.COLL.

N. 08723/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8723 del 2012, proposto dai signori IN GA e AR NI, rappresentati e difesi dagli avvocati Ermes Coffrini e Massimo Colarizi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Massimo Colarizi in Roma, via Giovanni Antonelli, n. 49;



contro

il Comune di Guidizzolo, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati Alberto Arrigo Gianolio e Orlando Sivieri, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Orlando Sivieri in Roma, via Cosseria, n. 5;



per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia -sezione staccata di Brescia- (Sezione Prima) n. 642/2012, resa tra le parti, concernente l’accertamento del diritto di retrocessione su un’area ceduta al Comune in zona P.E.E.P.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Guidizzolo;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 gennaio 2020 il Cons. Antonella Manzione e uditi per le parti l’avvocato Anna Palmerini, su delega dell’avvocato Massimo Colarizi e l’avvocato Orlando Sivieri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

1. Con ricorso n.r.g. 425/2006, proposto innanzi al T.A.R. per la Lombardia, i signori IN GA e AR NI chiedevano l’accertamento del diritto a vedersi reintegrati nella proprietà di un terreno oggetto di procedura di esproprio a seguito dell’inclusione nell’ambito del Piano per l’edilizia economica e popolare (P.E.E.P.), a loro dire mai utilizzato, perché neppure sottratto alla loro disponibilità. Il terreno, censito al N.C.T. al foglio 10, mappali 846 e 848, era stato ceduto in forza di un accordo sostitutivo di provvedimento ai rogiti del notaio Antonio Marocchi del 19 aprile 1995, in quanto destinato a “verde pubblico” dal richiamato strumento di pianificazione attuativa. Essi in particolare evidenziavano la permanenza in loco di una recinzione legittimata a titolo precario ai loro danti causa, ma di fatto mai rimossa, tant’è che se ne fa menzione finanche nella nota del 21 settembre 2005, di risposta alla richiesta di copia della dichiarazione di pubblica utilità avanzata da una delle parti.

2. Il T.A.R. per la Lombardia, sez. I, con sentenza n. 642/2012, dopo aver affermato la propria giurisdizione anche in ragione del fatto che il trasferimento della proprietà era conseguito ad un accordo sostitutivo di provvedimento ex art. 11 della l. n. 241/1990, rigettava il ricorso, ritenendo attuale la destinazione a “verde pubblico” dell’area de qua , la quale ex se richiede opere minimali di sistemazione funzionale. « Sicché una dedicazione siffatta finisce col conformare in termini normativi una configurazione del tutto pressoché identica in termini fattuali e di stato ». Evidenziava altresì l’assenza nel contratto assentito tra le parti di una qualsivoglia clausola restitutoria da poter azionare in caso di mancata realizzazione della dedicazione specifica.

3. Avverso tale pronuncia i signori IN GA e AR NI hanno interposto appello, proponendo un unico articolato motivo: violazione e/o erronea applicazione degli artt. 8, 9, 46 e 47 del d.P.R. n. 327/2001 (T.U.es.), difetto di motivazione e travisamento dei fatti. La mera destinazione urbanistica dell’area, cui il giudice ha inteso dare valore, può assumere rilievo ai fini della apposizione del vincolo espropriativo, ma non della dichiarazione di pubblica utilità. Il mantenimento del terreno nella disponibilità delle parti senza alcuna soluzione di continuità dimostrerebbe la natura meramente fittizia della immissione in possesso, rispettosa della recinzione dell’area, perfino ripristinata all’esito di un intervento finalizzato alla realizzazione di un tratto stradale nel 2007. Infine, sottolineare la mancanza di una clausola restitutoria ai fini dell’operatività della retrocessione, indifferentemente anche parziale, risponde ad una logica civilistica aliena dalla tipologia di atto di riferimento, ovvero un accordo sostitutivo di provvedimento.

4. Si è costituito in giudizio il Comune di Guidizzolo con atto di stile. Con successiva memoria in controdeduzione depositata il 18 ottobre 2019, ha evidenziato come nel caso di specie trovi applicazione ratione temporis la disciplina della retrocessione di cui agli artt. 60 e seguenti della l. 25 giugno 1865, n. 2359, essendo già intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità alla data del 30 giugno 2003 (art. 59 del T.U.es.). Trattandosi di un’ipotesi di retrocessione parziale, e non totale, la parte avrebbe dovuto attivare la speciale procedura funzionale ad escludere formalmente la permanenza dell’interesse pubblico all’utilizzo del terreno espropriato, essendo titolare al riguardo di un mero interesse legittimo e non di un diritto soggettivo. In mancanza di tale valutazione in ordine alla perdurante convenienza ad utilizzare l’area, non sarebbe ipotizzabile in alcun modo l’attivazione del procedimento di retrocessione. I vincoli rivenienti dal P.E.E.P. decadono ai fini espropriativi, ma non in termini di destinazione urbanistica, comunque confermata nel Piano dei Servizi approvato con delibera n. 17 del 9 aprile 2003 e in quello di governo del territorio (P.G.T.), di cui alla delibera n. 22 del 25 marzo 2011. Infine, l’inapplicabilità del diritto alla retrocessione si desumerebbe anche dalla disciplina di cui all’art. 21 della l. 22 ottobre 1971, n. 865, oggi confluito nell’art. 48, comma 3, del d.P.R. n. 327/20013, applicato alle aree P.E.E.P., in relazione alle quali è impensabile che il Comune eserciti nei confronti di se stesso la prelazione ivi prevista per l’acquisto della proprietà delle aree espropriate, ma non interessate dalla esecuzione dell’opera di pubblica utilità.

5. Con documento di replica depositato il 25 ottobre 2019, gli appellanti hanno in particolare negato il contraddittorio sulle argomentazioni di cui al punto II della memoria di controparte del 18 ottobre 2019, trattandosi di questioni di diritto non presenti nel giudizio di primo grado, e come tali eccepibili solo nella memoria di costituzione (art. 101 c.p.a.).

6. Con nota depositata in data 15 novembre 2019, ipotizzando la definizione della controversia in via transattiva, la parte avanzava istanza di rinvio della trattazione, già fissata alla data del 19 novembre 2019.

In data 27 gennaio 2020, ovvero il giorno prima dell’odierna udienza di trattazione, fissata in accoglimento della ridetta istanza di rinvio, ne veniva formulata una ulteriore, motivata stavolta sullo stato di avanzamento delle trattative, necessitanti di “affinamenti tecnici”, chiedendo anche, in alternativa, la cancellazione della causa dal ruolo.

All’udienza del 28 gennaio 2020, sentite le parti, senza che peraltro sia stata riproposta o meglio motivata l’istanza di rinvio, la causa è stata trattenuta in decisione.



DIRITTO

7. Preliminarmente il Collegio ritiene di non accogliere la nuova istanza di rinvio depositata dagli appellanti, né quella, alternativa, della cancellazione della causa dal ruolo .Infatti essa è stata presentata il giorno prima dell’udienza e senza documentare in alcun modo la serietà delle ipotizzate trattative poste a base della richiesta stessa. Tanto vale per la richiesta di cancellazione della causa dal ruolo, peraltro non assentita dalla controparte.

8. Nel merito, la Sezione ritiene l’appello infondato e come tale da respingere.

9. Lamentano gli appellanti che la pronuncia del T.A.R. per la Lombardia si basa esclusivamente sull’erroneo riconoscimento dell’attualità della destinazione dei terreni di cui è causa a “verde pubblico”, di per sé non appalesata da interventi empiricamente percepibili e della mancanza di una clausola restitutoria nell’accordo siglato tra le parti. Con ciò equivocando da un lato sul concetto di destinazione pubblica, necessitante comunque di “effettività”, nel caso di specie mancante, per il riconoscimento della quale occorrerebbe far riferimento solo alla dichiarazione di pubblica utilità che dà avvio al procedimento espropriativo e non alla qualificazione urbanistica; dall’altro, sulla portata dell’accordo sostitutivo di provvedimento, che è stato interpretato avvalendosi di canoni ermeneutici propri del diritto civile e come tali estranei alla natura dell’istituto.

10. L’assunto, in quanto strumentalmente rivolto ad una lettura riduttiva della sentenza impugnata, non è condivisibile e necessita di integrazioni.

Secondo le parti, il giudice di prime cure avrebbe escluso l’applicabilità dell’istituto della retrocessione -nella sostanza, invocata nel suo atteggiarsi “totale” nel ricorso di primo grado - per un’errata qualificazione dell’atto attraverso il quale si è addivenuti alla definizione del procedimento di esproprio, ovvero l’accordo di cessione del bene. Egualmente errata sarebbe la valorizzazione dell’avvenuta trasformazione del suolo espropriato in termini esclusivamente funzionali, senza attribuire alcun rilievo alla circostanza che i terreni non sarebbero mai stati sottratti alla disponibilità dei titolari, come dimostrato dalla tollerata permanenza in loco di una recinzione a delimitarne i confini, teoricamente in via del tutto precaria, in realtà senza soluzione di continuità quanto meno dalla data dell’immissione in possesso.

11. La ricostruzione non fotografa con esattezza il sintetico costrutto del giudice di prime cure.

Il thema decidendum su cui lo stesso è stato chiamato a pronunciarsi e che costituisce, di riflesso, l’oggetto della presente decisione, è ravvisabile nella ammissibilità o meno di una richiesta di retrocessione di terreni oggetto di una procedura di esproprio. Esso trova fondamento

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