Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-12-21, n. 202211159

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-12-21, n. 202211159
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202211159
Data del deposito : 21 dicembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 21/12/2022

N. 11159/2022REG.PROV.COLL.

N. 09394/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9394 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto dal signor G V, in qualità di titolare dell’omonima impresa individuale, rappresentato e difeso dagli avvocati S C e F R, con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia;

contro

Gestore dei servizi energetici - G.s.e. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati A C e F V, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, piazza San Bernardo, n. 101;

per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, sezione terza ter, n. 4433/2016, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio del Gestore dei servizi energetici - G.s.e. s.p.a.;

visti tutti gli atti della causa;

relatore, nell’udienza pubblica del giorno 14 giugno 2022, il consigliere Francesco Frigida e uditi per le parti gli avvocati F R e F V;

ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’odierno appellante, in qualità di titolare dell’omonima impresa individuale, ha proposto il ricorso di primo grado n. 1482 del 2015 dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, avvero: la nota del Gestore del servizio elettrico prot. GSEWEB/P20140042737 del 19 novembre 2014, contenente l’esito finale della richiesta di concessione della tariffa incentivante, ai sensi del decreto del Ministero dello sviluppo economico 5 luglio 2012, per l’impianto fotovoltaico denominato “Azienda”, di potenza pari a 98,67 kW, ubicato nel Comune di Oristano, identificato con il numero 1067779, con cui gli è stato comunicato il mancato accoglimento della sua richiesta di ammissione alle tariffe incentivanti di cui al d.m. 5 luglio 2012;
la nota del G.s.e. prot. n. GSE/P20130194885 dell’8 ottobre 2013, con cui gli è stato comunicato il preavviso di rigetto ex art. 10- bis della legge n. 241/1990 della richiesta di ammissione alle tariffe incentivanti del d.m. 5 luglio 2012;
il bando pubblico per l’iscrizione al secondo registro degli impianti fotovoltaici di cui al d.m. 5 luglio 2012, pubblicato sul sito internet del G.s.e. in data 18 marzo 2013, e delle regole applicative del G.s.e. per l’iscrizione ai registri e per l’accesso alle tariffe incentivanti del citato d.m. (cosiddetto quinto conto energia), datate 7 agosto 2012, se del caso e limitatamente alla parte in cui le suddette previsioni prescriverebbero la decadenza dal registro per differenze e/o difformità riscontrate dal G.s.e. in relazione a requisiti rivelatisi irrilevanti ai fini della formazione della graduatoria.

1.1. Il Gestore dei servizi energetici si è costituito nel giudizio di primo grado, resistendo al ricorso.

2. Con l’impugnata sentenza n. 4433 del 14 maggio 2016, il T.a.r. per il Lazio, sede di Roma, sezione terza ter , ha respinto il ricorso e ha condannato il ricorrente al pagamento, in favore del G.s.e., delle spese di giudizio, liquidate in euro 1.500, oltre agli accessori di legge.

3. Con ricorso ritualmente notificato e depositato – rispettivamente in data 14 novembre 2016 e in data 12 dicembre 2016 – la parte privata ha interposto appello avverso la su menzionata sentenza, articolando quattro motivi, di cui l’ultimo in via subordinata.

4. Il G.s.e. si è costituito in giudizio, chiedendo il rigetto del gravame.

5. Con successivi motivi aggiunti ritualmente notificati e depositati – rispettivamente in data 27 febbraio 2018 e in data 23 marzo 2018 – l’interessato ha sollecitato la « rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 3, del D.Lgs. 28/2011, come modificato dall’art. dall’ art. 1, comma 960, lett. a), L. 27 dicembre 2017, n. 205, per violazione degli articoli 2, 3, 41 e 97 della Costituzione, nonché degli artt. 10 e 117, comma 1, della Costituzione, in relazione al Protocollo n. 1 alla CEDU e alla violazione del relativo principio di proporzionalità ».

6. Con ulteriori motivi aggiunti ritualmente notificati e depositati – rispettivamente in data 2 gennaio 2020 e in data 27 gennaio 2020 – l’appellante ha sollecitato la « rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 bis , comma 2 del D.L. 3 settembre 2019, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla L. 2 novembre 2019, n. 128 e dell’art. 42, comma 3, del D.Lgs. 28/2011, come modificato dall’art. dall’ art. 1, comma 960, lett. a), L. 27 dicembre 2017, n. 205 e dall’art. 13 bis, comma 1, lettera a) del D.L. 101/2019, per violazione: (i) degli articoli 2, 3, 41 e 97 della Costituzione, nonché degli artt. 10 e 117, comma 1, della Costituzione, in relazione al Protocollo n. 1 alla CEDU e alla violazione del relativo principio di proporzionalità, e per l'effetto annullare i provvedimenti citati in epigrafe;
(ii) nonché per violazione degli artt. 24, 113 della Costituzione, dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE e dell’art 13 della CEDU (effettività della tutela giurisdizionale) e dell’art. 111 della Costituzione e 6 della CEDU (giusto processo)
».

7. In vista dell’udienza di discussione ambedue le parti hanno depositato memoria e memoria di replica, in cui hanno ulteriormente illustrato le proprie tesi e hanno insistito sulle rispettive posizioni.

L’appellato ha, tra l’altro, eccepito l’inammissibilità dei due atti di motivi aggiunti, siccome, in sintesi, costituenti domande nuove;
sul punto l’appellante ha replicato evidenziando, in sintesi, la rilevanza nel caso di specie della normativa sopravvenuta oggetto dei motivi aggiunti.

8. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 14 giugno 2022.

9. In via pregiudiziale va dichiarata l’inammissibilità dei due atti di motivi aggiunti, in quanto recanti nuove domande, giacché discendenti da circostanze cronologicamente successive alla pubblicazione della pronuncia di primo grado e, pertanto, inammissibili ai sensi dell’art. 104, comma 3, del codice del processo amministrativo, per cui in appello « Possono essere proposti motivi aggiunti qualora la parte venga a conoscenza di documenti non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado da cui emergano vizi degli atti o provvedimenti amministrativi impugnati ».

Al riguardo va sottolineato che « il thema decidendum del giudizio di secondo grado è circoscritto ai motivi dedotti in primo grado con il ricorso introduttivo e con i motivi aggiunti(salva la residua possibilità di proporre motivi aggiunti in appello, nell'eccezionale fattispecie prevista dal comma 3 del medesimo articolo 104), con la conseguenza che il giudizio svolto innanzi al T.a.r. perimetra necessariamente il processo di appello, con conseguente declaratoria di inammissibilità di qualunque nuova domanda o eccezione » (Consiglio di Stato, sezione IV, sentenze 1° febbraio 2022, n. 678, e 31 gennaio 2022, n. 651). Esse, infatti, non derivano dalla conoscenza di provvedimenti o documenti sopravvenuti (come previsto, invece, dal citato art. 104, comma 3), bensì da un’evoluzione normativa non applicabile alla fattispecie in esame, siccome emanato su una piattaforma normativa e fattuale esistente al momento della sua adozione, che rappresenta il metro di valutazione della sua legittimità, senza che abbiano valenza, a tal fine, i successivi sviluppi legislativi (cfr. Consiglio di Stato, adunanza plenaria, 11 settembre 2020, n. 18: « questa Adunanza ritiene che la fattispecie oggetto del giudizio, in quanto originante da un provvedimento del 2 marzo 2017, debba essere vagliata e decisa unicamente alla luce dell'originario e indistinto tenore dell'art. 42 comma 3 cit.. Ivi era contemplata una generica "decadenza dagli incentivi", causalmente collegata alla rilevanza delle violazioni »).

Ne discende che lo ius superveniens a cui fa riferimento l’appellante nei due atti di motivi aggiunti non può costituire legittimo presupposto per la loro proposizione e di conseguenza per la riforma della sentenza impugnata, poiché, in forza del principio “ tempus regit actum ”, la legittimità di un provvedimento amministrativo deve essere accertata unicamente con riferimento alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della sua adozione, né le statuizioni del T.a.r. possono essere valutate sulla base di disposizioni normative entrate in vigore successivamente alla pubblicazione della sentenza impugnata e comunque inapplicabili alla fattispecie in esame, siccome aventi palese carattere innovativo – e non interpretativo – della normativa previgente, introducendo speciali deroghe per gli impianti che al momento dell’accertamento della violazione percepiscano incentivi e successivamente anche per gli impianti realizzati e in esercizio « oggetto di procedimenti amministrativi in corso » e, « su richiesta dell’interessato », per « quelli definiti con provvedimenti del Gestore dei servizi energetici (GSE) di decadenza dagli incentivi » sub iudice , nel cui quadro non rientra il caso di specie.

10. L’appello è infondato e deve essere respinto alla stregua delle seguenti considerazioni in fatto e in diritto.

11. Tramite il primo motivo d’impugnazione, l’appellante ha lamentato: «Error in iudicando in relazione al primo e secondo motivo di diritto del ricorso di primo grado per violazione e falsa applicazione dell’art. 13 e dell'allegato 3b del dm 5 luglio 2012, dell'art. 23 del d.lgs. 28/2011, del dpr 445/2000, del paragrafo 4.4.1 delle regole applicative del gse, della circolare esplicativa del 6 settembre 2012, carenza di motivazione - Violazione e falsa applicazione del d.m. 5 luglio 2012, delle regole applicative del gse per l’iscrizione ai registri e per l’accesso alle tariffe incentivante del dm 5 luglio 2012 (quinto conto energia) e del bando del 18 marzo 2013 - Violazione del principio di proporzionalità e del principio di buon andamento di cui all’art. 97 cost. - Violazione del principio della par condicio tra i concorrenti e del principio del favor partecipationis - Eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità manifesta, contraddittorietà, travisamento dei presupposti, sviamento di potere ».

In sostanza, l’interessato ha dedotto che « la sentenza impugnata, nel confermare il provvedimento di diniego opposto dal GSE sulla base della contestata erronea indicazione di due criteri di priorità di cui all'art. 4, comma 5 lett. a) e lett. d) del DM 5 luglio 2012, merita di essere riformata perché gravemente viziata sotto il profilo dell'irragionevolezza e contraddittorietà, si fonda su un'interpretazione della normativa applicabile profondamente errata e richiama in modo inconferente i principi relativi alle procedure selettive che nel caso di specie non si sono svolte », sostenendo l’irrilevanza della dichiarazione non veritiera resa in sede di iscrizione al registro, come asseritamente sarebbe stato affermato dalla sesta sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 4576/2016.

Siffatta doglianza è infondata. Ed invero, premesso che la citata sentenza fa riferimento ad un caso di riscontrata contraddittorietà della motivazione dell’esclusione laddove il G.s.e. aveva prima dichiarato di non fare applicazione dei criteri di priorità e poi aveva fondato il rigetto all’accesso agli incentivi sul mancato rispetto dei predetti criteri di priorità, mentre nella fattispecie in esame il Gestore ha motivato il rigetto della richiesta di incentivazione con la riscontrata difformità di taluni dati ed informazioni relativi all’impianto in essa dichiarati ed espressamente qualificati nel provvedimento alla stregua di criteri di selezione dell’offerta e come tali immodificabili. Il G.s.e., infatti, ancorché abbia riconosciuto che la classe energetica dell’impianto (D) e la provenienza europea dei componenti principali dell’impianto, che erano stati dichiarati dall’interessato quali criteri di priorità ai fini dell'accesso ai meccanismi di incentivazione, ha comunque rilevato che: « l’utilizzo di componenti realizzati unicamente all'interno di un Paese membro dell’Unione Europea o parte dell'Accordo sullo Spazio Economico Europeo, costituisce un criterio di selezione dell’“offerta”, dichiarato nell’ambito della richiesta di iscrizione al Registro e come tale, dunque, immodificabile (…) l’installazione dell'impianto su un edificio in classe energetica superiore o uguale a D costituisce un criterio di selezione dell’“offerta”, dichiarato nell'ambito della richiesta di iscrizione al Registro e come tale, dunque, immodificabile ».

Ne discende che non vi è alcuna illogicità o contraddittorietà nella motivazione del provvedimento di rigetto della richiesta di incentivazione, che non è stato assunto in dipendenza della mancata applicazione dei due criteri di priorità, ma per la distinta ragione che le informazioni fornite dall’odierno appellante circa la classe energetica e della provenienza UE/SEE dei componenti dell’impianto sono parte integrante della domanda di incentivazione presentata dal soggetto responsabile, sicché non possono essere modificate una volta chiuso il registro.

Tanto chiarito, essendo nel caso di specie presente oggettivamente una dichiarazione non veritiera – l’impianto, invero, era stato installato su un edificio in classe energetica inferiore (G) a quella dichiarata (D), oltre che per mancata idonea documentazione della conformità normativa dei componenti dell’impianto – non rilevano le deduzioni dell’appellante secondo cui tale discrasia sarebbe dipesa da errore del tecnico incaricato della certificazione e che, conseguentemente, il soggetto istante avrebbe prodotto la certificazione energetica non veritiera senza colpa e in assoluta buona fede.

Tutto il meccanismo di riconoscimento degli incentivi postula, infatti, una corretta autodichiarazione da parte degli interessati dei requisiti tecnici necessari per ottenere il beneficio richiesto, essendo chiaro che, se si consentisse l’uso in materia di criteri difformi da quanto il G.s.e. ha stabilito, la possibilità di abusi aumenterebbe in modo tale da pregiudicare l’esistenza del sistema.

La non corrispondenza al vero dei dati dichiarati ha di per sé rilievo decadenziale dei benefici, giacché in un sistema basato sulle autodichiarazioni la funzionalità delle operazioni, le esigenze di celerità procedimentale e di parità di trattamento, nonché il principio di autoresponsabilità impongono un onere di veritiera dichiarazione di tutti i dati in possesso dell'interessato.

Si sottolinea peraltro che l’art. 4, comma 3, del d.m. 5 luglio 2012 (richiamato anche dal paragrafo 2.2.4, ultimo capoverso, delle regole applicative dettate dal Gse per l’attuazione delle disposizioni di legge, che ne specifica in modo più dettagliata la portata applicativa), dopo avere disposto che la domanda di iscrizione avvenga con la presentazione di una dichiarazione sostitutiva ai sensi dell’art. 47 del d.P.R. n. 445/2000, stabilisce, all’ultimo periodo, che « Non è consentita, successivamente alla chiusura del registro, l’integrazione dei documenti e delle informazioni presentati », cosicché non residuano margini di discrezionalità per il Gse, il quale, a differenza di quanto sostenuto dall’appellante, può soltanto verificare la corrispondenza tra quanto dichiarato e la realtà dei fatti e procedere obbligatoriamente in senso sfavorevole all’istante nell’ipotesi di accertata incongruenza o modifica delle dichiarazioni successivamente alla chiusura dei termini per l’iscrizione al registro.

Il provvedimento del G.s.e. è dunque legittimo e doveroso.

12. Mediante la seconda doglianza, l’interessato ha dedotto che: « Error iudicando in relazione al primo motivo di diritto del ricorso di primo grado per violazione e falsa applicazione del dm 5 luglio 2012, del paragrafo 4.4.1 delle regole applicative e della circolare esplicativa del 6 settembre 2012 - Carenza di motivazione, per violazione e falsa applicazione del dm 5 luglio 2012, delle regole applicative del gse per l’iscrizione ai registri e per l'accesso alle tariffe incentivanti del dm 5 luglio 2012 (quinto conto energia) - Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 10-bis della legge 241/1990 - Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, carenza dei presupposti, irragionevolezza, ingiustizia manifesta ».

In sintesi, ad avviso dell’appellante, il secondo requisito di priorità dichiarato dall’impresa in sede di iscrizione al registro – ovverosia che l’impianto è realizzato con componenti principali realizzati unicamente all’interno di un Paese membro dell’UE/SEE ex art. 2, comma 1, lettera v) del d.m. 5 luglio 2012) – non sarebbe stato applicato dal G.s.e. e non le avrebbe attribuito alcun vantaggio.

Tale censura è infondata.

In proposito si evidenzia che l’interessato ha dichiarato l’installazione di moduli fotovoltaici marca “LSP”, modello “SK60P6-230W” indicando la Spagna come paese d’origine delle componenti principali dell’impianto e tuttavia la documentazione da egli prodotto al Gestore non era idonea, in quanto né l'attestato di “ Factory Inspection n. CFQ 013, né i certificati di conformità attestano che, nei siti di produzione dei moduli, siano stati eseguiti controlli in fabbrica a verifica del rispetto della qualità del processo produttivo e dei materiali utilizzati, in riferimento alla normativa CEI EN 61215, cosicché non è stato comprovato il rispetto del requisito previsto dall’art. 7, comma 5, lett. c) del d.m. 5 luglio 2012 per l’ammissione alle tariffe incentivanti.

13. Attraverso il terzo motivo di gravame, l’appellante ha lamentato: « Error in iudicando in relazione al terzo motivo di diritto del ricorso di primo grado per violazione e falsa applicazione dell’art. 6 della legge n. 241/1990 e dell’art.

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