Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2013-09-13, n. 201304536

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2013-09-13, n. 201304536
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201304536
Data del deposito : 13 settembre 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 10338/2010 REG.RIC.

N. 04536/2013REG.PROV.COLL.

N. 10338/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10338 del 2010, proposto da:
Maurizio D'Antonio, rappresentato e difeso dall'avv. G L L, con domicilio eletto presso Giovanbattista Santangelo in Roma, via Giovan Battista De Rossi, n. 30;

contro

Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato , domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I TER n. 04719/2010, resa tra le parti, concernente diniego trasferimento nei ruoli della carriera prefettizia;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 giugno 2013 il Cons. Alessandro Palanza e uditi per le parti l’ avvocato Lamberti su delega di Lemmo e l’avvocato dello Stato Spina Maria Luisa;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. - Il dottor Maurizio D'Antonio - in servizio nei ruoli della Polizia di Stato, con la qualifica di vice questore aggiunto – ha impugnato la sentenza n. 4719/2010 del Tribunale Regionale per il Lazio che ha respinto il suo ricorso,

per l'annullamento:

- del provvedimento del Ministero dell’Interno – Direzione Centrale del Personale del 4 aprile 2001, prot. n. M/11507/21, notificato il 20 maggio 2001, di reiezione dell’istanza del ricorrente di trasferimento, ai sensi dell’art. 5, comma 3, della legge n. 78/2000, nei ruoli della carriera prefettizia con la qualifica di vice prefetto od altra equiparata;

- di ogni altro atto presupposto, collegato, conseguente o comunque connesso, se ed in quanto lesivo degli interessi del ricorrente;

e per la declaratoria del diritto del ricorrente al trasferimento nei ruoli della carriera prefettizia con la qualifica di vice-prefetto od altra equiparata.

2. - La sentenza del TAR respinge il ricorso ritenendo che la risposta dell’Amministrazione sia stata espressa correttamente entro il termine perentorio di 30 giorni previsto dall’art. 5, comma 3, ultimo periodo, della legge n. 78/2000 e che l’ordinamento della carriera prefettizia sia stato disciplinato in modo speciale e distinto dalle altre amministrazioni pubbliche. Ciò, in particolare, dall’ultima riforma di cui al d.lgs. 19 maggio 2000, n. 139 il cui articolo 4 – nel rispetto del criterio direttivo dell’art. 10 della legge delega 28 luglio 1999, n. 266 - prevede che alla carriera “si accede…….. mediante pubblico concorso con esclusione di ogni altra possibilità di immissione dall’esterno, fatto salvo quanto previsto per la nomina a prefetto”.

3. L’appellante contesta la sentenza in quanto il giudice di primo grado, pur riconoscendo che la giurisprudenza ha individuato nell’applicazione dell’art. 5, comma 3, della legge n. 78/2000 un’ipotesi di silenzio assenso in caso di mancata adozione di un provvedimento espresso di rifiuto da parte dell’Amministrazione entro trenta giorni dal ricevimento dell’istanza di trasferimento, non ha computato esattamente i termini, nonostante che - sia pure con note tardive - la difesa del ricorrente in primo grado avesse fornito tutti i dati per correggere l’errore contenuto negli atti iniziali dello stesso ricorrente e nella memoria del Ministero resistente. Inoltre la sentenza è errata perché attribuisce all’ordinamento dei prefetti un carattere speciale sulla base del d.lgs. 19 maggio 2000, n. 139, art. 4, il quale non fa che riprodurre le precedenti disposizioni del DPR n. 340/1982, che non sono mai state di ostacolo a norme speciali che hanno di volta in volta consentito il passaggio dalla carriera prefettizia di funzionari della Polizia di Stato come quella di cui si discute (legge n. 78/2000, art. 5, comma ), ma in precedenza anche apposite disposizioni del DPR n. 551/1981, n. 339/1982 e dell’art. 45 dello stesso DPR n.340/1982, tutti attuativi della legge delega n. 121/1981 di riforma dell’Amministrazione di Pubblica Sicurezza. Infine va sottolineato che la legge n. 78/2000 ha una carattere speciale ed eccezionale ed è perciò per sua natura derogatoria di altre disposizioni di tipo generale e permanente, prevedendo una forma straordinaria di mobilità per le forze di polizia. Il Ministero dell’Interno poteva opporre il proprio rifiuto esclusivamente sulla base dei soli limiti previsti dalla medesima norma;
vale a dire i posti disponibili e la corrispondenza delle medesime qualifiche tra le due Amministrazioni. Dalla natura tassativa della norma discende che il Ministero doveva limitarsi a verificare il possesso dei requisiti e a pronunciarsi nei termini perentori previsti.


4. – L’Amministrazione appellata si costituisce con memoria della Avvocatura dello Stato a sostegno di tutte le argomentazioni della sentenza impugnata, precisando in aggiunta che il TAR Lazio, pur non pronunciandosi sulla configurabilità del silenzio assenso, ha richiamato anche la giurisprudenza che si è espressa in senso contrario alla configurabilità del silenzio assenso nel termine individuato dall’ art. 5, comma 3, della legge n. 78/2000. Infatti il legislatore quando ha voluto associare al mancato rispetto di un termine un effetto di silenzio assenso lo ha espressamente previsto.


5. – La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 7 giugno 2013.


6. – L’appello è infondato.

6.1. Il Collegio, in disparte le questioni relative all’effettivo rispetto del termine da parte dell’Amministrazione e anche le condivisibili considerazioni della sentenza del TAR in ordine ai limiti rigorosi stabiliti dalla normativa per le modalità di accesso alla carriera prefettizia, ritiene che la controversia debba essere decisa accogliendo in tema di silenzio assenso la tesi della difesa erariale e negando pregiudizialmente la configurabilità di una procedura di silenzio assenso in applicazione del termine previsto dall’art. 5, comma 3, della legge n. 78/2000.

La sentenza del TAR Sicilia n. 2424/2003 e del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la regione Siciliana n. 105/2006 si pronunciano nel senso della configurabilità applicando la stessa norma ad un caso analogo.

Peraltro T.A.R. Napoli, sent. n. 4038/2006, ha escluso che l’art. 5, comma 3, per la parte ora in esame configuri una ipotesi di silenzio-assenso (o silenzio-accoglimento).

Alle stesse conclusioni di quest’ultima decisione si giunge se si tiene conto della più ampia e generale giurisprudenza sul silenzio assenso che si è sviluppata interpretando la disciplina vigente prima della novella recata dalla legge 14 maggio 2005 n. 80, che ha introdotto nella legge 7 agosto 1990 n. 241 la nuova versione dell'art. 20, alla luce degli effetti di quest’ultima.

6.2. – Quest’ultima giurisprudenza ha chiarito che, fino al 29 maggio 2005, data di entrata in vigore della legge 14 maggio 2005 n. 80, il legislatore ha disciplinato l'istituto del silenzio-assenso limitandolo ai soli casi in cui una norma (anche di fonte secondaria) avesse indicato espressamente le ipotesi in cui tale istituto potesse ritenersi operativo (e ciò in virtù della disciplina generale recata dal D.P.R. 26 aprile 1992 n. 300, recante il regolamento concernente le attività private sottoposte alla disciplina degli articoli 19 e 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241);
la novella del 2005 rovescia questa impostazione indicando invece i casi in cui il silenzio assenso non opera e apre una nuova problematica intorno alla quale la giurisprudenza è ancora oggi oscillante. Fino ad allora, tuttavia l'operatività dell’istituto del silenzio assenso è certamente e rigorosamente ancorata alla previa individuazione normativamente tipizzata ed espressamente disciplinata delle ipotesi in cui l'inerzia dell'Amministrazione realizza la stessa conseguenza dell'adozione di un provvedimento espresso favorevole a colui che aveva presentato l'istanza (Sentenze Consiglio di Stato Sez. VI 28 giugno 2010, n. 4137 e 4138;
TAR Lazio, Sez II, 22 aprile 2011, n.3542;
5 marzo 2013, n. 2326).

6.3. – Le caratteristiche che il silenzio assenso doveva certamente possedere fino al 2005 non si riscontrano nel dettato normativo di cui all’art. 5, comma 3, della legge n. 78/2000: “ Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, è consentito, a domanda e previa intesa tra le amministrazioni interessate, il trasferimento dei dipendenti appartenenti alle qualifiche dirigenziali e direttive della Polizia di Stato nelle altre amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, nei limiti dei posti disponibili per le medesime qualifiche possedute nelle rispettive piante organiche, nel rispetto delle disposizioni di cui all'art. 20 della legge 23 dicembre 1999, n. 488 (...). Per un periodo non superiore a novanta giorni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1 il trasferimento può essere effettuato, con le medesime modalità, ad istanza dei dipendenti interessati, salvo rifiuto dell'amministrazione destinataria dell'istanza, da esprimere entro trenta giorni dal ricevimento dell'istanza medesima” .

6.4. - Il primo periodo della norma sopra riportata indica requisiti necessari e sufficienti che devono sussistere nel caso in cui il trasferimento avvenga di intesa tra le Amministrazioni . Ne deriva che dunque l’intesa libera tra le Amministrazioni costituisce l’elemento determinante al quale si aggiungono gli ulteriori requisiti, che valgono come limiti alla volontà delle stesse amministrazioni (posti disponibili e corrispondenti qualifiche). Analogamente nell’altra procedura su istanza del dipendente deve necessariamente esserci un’identica intesa con l’Amministrazione destinataria come presupposto essenziale, insieme al concorso dei necessari requisiti di disponibilità di posti e corrispondenza delle qualifiche. Il consenso dell’Amministrazione deve essere pertanto necessariamente espresso, trattandosi di un atto del tutto discrezionale e non vincolato come pretende la parte appellante nella sua ricostruzione. Il rigore e la brevità del termine serviranno dunque ove necessario solo a costringere l’Amministrazione a pronunziarsi con la dovuta sollecitudine sulla richiesta di un singolo dipendente. Se non lo farà potrà certamente essere obbligata a farlo attraverso la ordinaria procedura del silenzio, ma non certo con il meccanismo automatico e significativo del silenzio assenso per il quale manca il supporto normativo e anche quello della ragionevolezza, dato che, in via sostanziale, sbilancerebbe tutto l’equilibrio della procedura a vantaggio solo dell’interesse del dipendente e non considerando affatto quello pubblico della appropriatezza, convenienza e opportunità amministrativa del trasferimento, contro la logica che ispira la procedura di intesa definita dalla prima parte comma e che dunque deve ispirare anche la seconda parte del più volte citato art. 5, comma 3.

6.5. – Sulla base di questa ricostruzione della ratio della normativa da applicare, vengono meno le stesse basi primarie sulle quali la parte appellante ha costruito la sua pretesa: il carattere vincolato dell’assenso dell’Amministrazione condizionato solo alla verifica dei requisiti formali e il conseguente meccanismo del silenzio assenso associato alla perentorietà del termine. Tale conclusione esime il Collegio dall’entrare nel merito degli altri motivi di appello, sui quali il Collegio condivide le argomentazioni contenute nella sentenza impugnata, la quale risulta convalidata anche dalla motivazione aggiuntiva di ordine sistematico fornita da questa decisione.

7. Quanto ora detto appare risolutivo ed assorbente, ma meritano tuttavia conferma anche le ulteriori considerazioni con le quali il T.A.R. del Lazio ha respinto il ricorso, e che qui si possono riprendere e sviluppare come segue.

Le disposizioni dell’art. 5, comma 3, e in particolare quella dell’ultima parte (relative alla procedura di mobilità semplificata ed accelerata, con il termine di 30 gioni per il “rifiuto” dell’amministrazione ad quam ) hanno un carattere marcatamente eccezionale che rende necessaria una loro interpretazione restrittiva, soprattutto nella parte in cui implicano deroghe all’ordinamento delle amministrazioni di destinazione riguardo alle rispettive regole di selezione del personale.

Non si può, cioè, ritenere che con la speciale procedura di cui all’art. 5, comma 3, alle amministrazioni diverse dalla Polizia di Stato sia consentito, o addirittura fatto obbligo, di accettare nei propri ruoli dipendenti sprovvisti di titoli e requisiti specificamente richiesti nei rispettivi ordinamenti. Fra le regole che non si possono ritenere derogate dall’art. 5, comma 3, vi è anche quella, propria della carriera prefettizia, secondo la quale non è consentito l’accesso “dall’esterno”, escludendo così l’applicabilità delle norme concernenti, in generale, la mobilità fra amministrazioni.

D’altra parte, anche dove non vi fossero preclusioni derivanti dall’ordinamento specifico di singole carriere, logicamente l’art. 5, comma 3, non poteva impedire alle amministrazioni diverse dalla P.S. di negare la mobilità in base a motivate valutazioni discrezionali di opportunità.

Ciò posto, dato e non concesso che con la disposizione concernente il “rifiuto da esprimere entro trenta giorni” il legislatore abbia inteso istituire un vero e proprio meccanismo di silenzio-accoglimento con l’inerente perentorietà del termine, si dovrà comunque ritenere che detto meccanismo incida solo sulla suddetta facoltà discrezionale di negare la mobilità per ragioni di opportunità, e non certo sul potere-dovere di far valere le preclusioni legali.

Sicché, sussistendo nel caso in esame una preclusione legale, questa poteva e doveva essere opposta dall’amministrazione ad quam prescindendo dal termine stabilito per il “rifiuto”, anche volendo ammettere che si trattasse di un termine perentorio.

Infine, è da condividere quanto osservato dal T.A.R. sul punto che il termine in questione si deve intendere rispettato con riferimento alla data di formalizzazione dell’atto di diniego, non a quella della sua comunicazione all’interessato. Siffatta interpretazione si impone, fra l’altro, in considerazione della brevità di detto termine.

8. L’appello deve essere di conseguenza respinto e la sentenza del TAR confermata con più ampia motivazione.

9. – In presenza di una giurisprudenza ancora non univoca si ravvisano giusti motivi per compensare le spese per la presente fase del giudizio.

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