Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2016-03-31, n. 201601268

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2016-03-31, n. 201601268
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201601268
Data del deposito : 31 marzo 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 09502/2010 REG.RIC.

N. 01268/2016REG.PROV.COLL.

N. 09502/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso iscritto in appello al numero di registro generale 9502 del 2010, proposto dalla Eurostrade S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato E B, con domicilio eletto presso l’avvocato F L in Roma, Via del Viminale, n. 43

contro

Comune di Golasecca, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato L L, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18

per la riforma

della sentenza del T.A.R. della Lombardia, Sezione II, n. 583/2010;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Golasecca;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 febbraio 2016 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti gli avvocati E B e L L;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue


FATTO

Con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. della Lombardia (n. 1262/2007) la società Eurostrade s.r.l. ha impugnato l’ordinanza n. 5 del 5 marzo 2007 con cui il Comune di Golasecca (VA) le ha ingiunto di provvedere alla remissione in pristino di un’area asseritamente sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi dell’art. 142 del decreto legislativo n. 42 del 2004, in conseguenza della posa di materiale inerte compattato, della presenza di numerosi mucchi di terra e macerie provenienti da attività di escavazione e demolizione, nonché di ferri derivanti da attività di demolizione.

Con un primo ricorso per motivi aggiunti la ricorrente ha poi impugnato l’ordinanza n. 24 del 27 agosto 2007, con cui il Comune di Golasecca - sul presupposto della natura di mera diffida preliminare del precedente atto - le ha nuovamente ingiunto la remissione in pristino dell’area occupata da beni aziendali, ed il verbale di sopralluogo del 27 luglio 2007.

La ricorrente ha chiesto, altresì, il risarcimento dei danni cagionati dall’eventuale esecuzione del provvedimento.

Con un secondo ricorso per motivi aggiunti la ricorrente ha inoltre chiesto l’annullamento dell’atto dell’8 settembre 2008, con cui il Comune di Golasecca le ha comunicato che l’area su cui sono stati commessi gli abusi è divenuta di proprietà comunale, e del verbale di sopralluogo del 21 agosto 2008, all’esito del quale si è riscontrata l’inottemperanza dell’ordinanza di remissione in pristino;
ha chiesto, inoltre, il risarcimento dei danni cagionati dalla esecuzione del provvedimento.

Con la sentenza in epigrafe l’adito tribunale ha respinto il ricorso, ritenendolo infondato.

La sentenza in questione è stata impugnata in appello dalla Eurostrade s.r.l. la quale ne ha chiesto la riforma, formulando plurimi motivi.

Con un articolato motivo rubricato ‘ Erroneità – Travisamento dei fatti – Mancata applicazione delle norme sull’attività edilizia e sullo Jus utendi – Errores in procedendo – Mancata considerazione dei documenti e delle richieste istruttorie ’ l’appellante ha contestato l’erroneità della sentenza in epigrafe.

Inoltre, l’appellante ha riproposto (dalle pagine 38 alla pagina 56 dell’atto di appello) i motivi di ricorso articolati in primo grado e che sarebbero stati “ ampiamente assorbiti ” dal primo Giudice.

Si è costituito in giudizio il Comune di Golasecca, il quale ha concluso nel senso della reiezione dell’appello.

Alla pubblica udienza del 25 febbraio 2016 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dalla società Eurostrade s.r.l. (già proprietaria di un’area nel territorio comunale di Golasecca – VA -) avverso la sentenza del T.A.R. della Lombardia con cui è stato respinto il ricorso avverso gli atti con cui il Comune

- dapprima l’ha diffidata a rimuovere alcuni interventi di inghiaiatura dell’area e i materiali ivi depositati (ritenendo che gli stessi comportassero trasformazioni del territorio richiedenti un titolo edilizio)

- successivamente (stante la ritenuta inottemperanza al richiamato ordine), ha disposto l’acquisizione coattiva del fondo ai sensi dell’articolo 31 del d.P.R. 380 del 2001.

2. Rilevato in limine litis che non risulta rispettato da parte dell’appellante il principio di sinteticità degli atti processuali di cui all’articolo 3, Comma 2, cod. proc. amm., in via preliminare la Sezione deve dichiarare l’inammissibilità dei motivi di ricorso di primo grado che l’appellante lamenta essere stati “ ampiamente assorbiti ” dal primo Giudice e che pertanto la stessa ha provveduto a riproporre in appello ai sensi dell’articolo 101, comma 2 del cod. proc. amm.

Si osserva al riguardo che l’appellante si è limitata alla riproposizione testuale dei quattordici motivi già articolati in primo grado, senza indicare – se non con una formula di stile – per quali ragioni ed entro quali limiti dovrebbe ritenersi che tali motivi siano stati “ ampiamente assorbiti ” dal T.A.R.

Al contrario, da un semplice esame dei motivi in parola emerge con evidenza che, in numerosissimi casi, la loro articolazione si riferisca a questioni che non solo sono state puntualmente divisate dal primo Giudice, ma che hanno altresì costituito motivo di specifica censura in appello (ci si riferisce, solo a mo’ di esempio: i ) al settimo motivo del ricorso di primo grado [con cui si contestavano le statuizioni relative alla riconducibilità degli interventi per cui è causa al genus delle ‘nuove costruzioni’]; ii ) al quarto e al nono motivo [con cui si contestava l’omessa motivazione del provvedimento impugnato in primo grado, per ciò che riguarda la disponibilità ed accessibilità allo stesso]; iii ) al quinto, al decimo, all’undicesimo e al quattordicesimo motivo [con cui si contestava sotto diversi profili la mancata idonea individuazione degli interventi asseritamente abusivi e delle aree da acquisire]).

Ne consegue che, sotto tale aspetto, la testuale riproposizione dei motivi di ricorso di primo grado (in assenza di una specifica indicazione dei motivi in concreto assorbiti e delle ragioni per cui ciascuno di essi viene riproposto in relazione alle diverse statuizioni della sentenza gravata) si pone in contrasto:

- con il generale principio della specificità dei motivi di appello;

- con il consolidato principio secondo cui è inammissibile la mera riproposizione dei motivi di primo grado, senza che sia sviluppata alcuna confutazione della statuizione del primo giudice (sul punto, ex multis, Cons. Stato, V, 22 ottobre 2015, n. 4865);

- con il parimenti consolidato principio secondo cui l'effetto devolutivo dell'appello non esclude l'obbligo dell'appellante di indicare nell'atto di appello le specifiche critiche rivolte alla sentenza impugnata e le ragioni per le quali le conclusioni cui il primo giudice è pervenuto non sono condivisibili, non potendo il ricorso in appello limitarsi ad una generica riproposizione degli argomenti dedotti in primo grado (sul punto, ex multis , Cons. Stato, III, 23 luglio 2015, n. 3650).

Ed infatti, laddove si ammettesse la possibilità di formulare l’atto di appello secondo modalità simili a quelle qui in esame, si finirebbe per attribuire inammissibilmente al giudice i compiti:

- di individuare e soprattutto di selezionare (nell’ambito dei motivi pedissequamente riproposti) quelli effettivamente idonei a palesare una volontà d’impugnativa;

- di scegliere, a fronte di motivi di primo grado e di appello solo in parte sovrapponibili, quelli su cui incentrare l’esame, violando il principio dispositivo del processo e di conseguenza quello di difesa dell’art. 24 della Costituzione.

Pertanto, i motivi riproposti dall’appellante ai sensi dell’articolo 101, cpv. del cod. proc. amm. devono essere dichiarati inammissibili.

3. Allo stesso modo devono essere dichiarati inammissibili i motivi di doglianza disseminati nell’ambito della narrativa in fatto e di cui non è in alcun modo chiara la configurabilità quali veri e propri motivi di impugnativa ovvero quali generiche doglianze semplicemente finalizzate a palesare la complessiva inattendibilità dell’operato del Comune di Golasecca prima e dei primi Giudici poi.

Al riguardo deve essere richiamato il condiviso orientamento secondo cui lo scopo della disposizione di cui all’articolo 40 del cod. proc. amm. è quella di incentivare la redazione di ricorsi dal contenuto chiaro e di porre argine ad una prassi in cui i ricorsi oltre ad essere poco sintetici, non contengono una esatta suddivisione tra fatto e motivi, con il conseguente rischio che trovino ingresso i c.d. ‘motivi intrusi’, ossia i motivi inseriti nelle parti del ricorso dedicate al fatto, che, a loro volta, ingenerano il rischio della pronuncia di sentenze che non esaminino tutti i motivi per la difficoltà di individuarli in modo chiaro e univoco e, di conseguenza, incorrano in un vizio revocatorio (sul punto, ex multis, Cons. Stato, VI, 4 gennaio 2016, n. 8; id ., VI, 25 ottobre 2012, n. 5469).

4. L’esame dell’appello deve quindi essere concentrato sull’unico motivo articolato dalla pagina 29 alla pagina 38 dell’atto di appello, rubricato ‘ Erroneità – Travisamento dei fatti – Mancata applicazione delle norme sull’attività edilizia e sullo Jus utendi – Errores in procedendo – Mancata considerazione dei documenti e delle richieste istruttorie ’.

Nel merito l’appello è infondato, dovendosi ritenere che il complesso delle circostanze in atti giustifichi comunque l’adozione dei provvedimenti impugnati in primo grado .

In particolare (anche a tralasciare gli aspetti relativi al contestato deposito sull’area per cui è causa di mezzi e materiali di varia origine e consistenza), i provvedimenti con cui è stata dapprima contestata la trasformazione del sito ai fini urbanistici e edilizi e successivamente la sua acquisizione coattiva ai sensi dell’articolo 31 del d.P.R. 380 del 2001 risultano adeguatamente supportati in relazione alla contestata inghiaiatura dell’area (con posa di ghiaietto stabilizzato e sistemazione dell’area attraverso materiale inerte rullato e compattato).

Tale circostanza, secondo un condiviso orientamento giurisprudenziale, comporta l’effettiva trasformazione dell’area e palesa la correttezza delle deduzioni che ne ha tratto il Comune sia ai fini dell’ordine di ripristino, sia ai fini della conseguente adozione della misura acquisitiva.

Deve essere al riguardo richiamato l’orientamento secondo cui l'attività di spargimento di ghiaia su di un'area che ne era precedentemente priva, è soggetta a concessione edilizia, allorché appaia preordinata alla modifica della precedente destinazione d'uso (in tal senso, ex multis, Cons. Stato, V, 27 aprile 2012, n. 2450; id ., V, 22 dicembre 2005, n. 7343).

Pertanto la cospicua attività di spargimento di ghiaia sull’area ( olim ) di proprietà dell’appellante avrebbe dovuto essere preceduta dal previo rilascio di un titolo abilitativo, se solo si consideri:

- che, al tempo della prima contestazione, il PRG comunale qualificava l’area come “ zona per attrezzature pubbliche ” (in relazione alla quale non era quindi consentito porre in essere interventi di notevole modificazione dello stato dei luoghi come la contestata ‘inghiaiatura’);

- che il vincolo in tal modo impresso sull’area non presenta(va) carattere pre-espropriativo, ma soltanto conformativo, con la conseguenza di non essere soggetto a decadenza per infruttuoso decorso del termine quinquennale;

- che, in particolare, un consolidato orientamento qualifica come di carattere meramente conformativo i vincoli di destinazione che siano realizzabili (al pari di quello che qui interessa) anche ad iniziativa privata o mista pubblico-privata (sul punto, ex multis, Cons. Stato, IV, 11 giugno 2015, n. 2878; id ., IV, 12 maggio 2010, n. 2843);

- che, infatti, l’art. 27 delle N.T.A. al P.R.G. stabilivano che fosse consentito ai privati proprietari delle aree “ [di] realizzare a propria cura e spese [e] gestire opere e impianti in conformità alle esigenze comunali ”.

Restano in tal modo confermate le deduzioni del Comune (sostanzialmente confermate dai primi Giudici) secondo cui l’attività consistita nell’ampia inghiaiatura del sito comportasse una trasformazione urbanistico-edilizia che avrebbe richiesto il previo rilascio di un permesso di costruire, nel caso di specie pacificamente mancante.

5. Tanto premesso dal punto di vista generale è ora possibile esaminare gli ulteriori motivi di doglianza articolati dalla soc. Eurostrade.

5.1. Con un primo argomento la società appellante contesta il passaggio di cui al punto 11.3 della motivazione della sentenza in epigrafe (con il quale i primi Giudici hanno respinto il motivo fondato sulla mancata corretta individuazione delle aree su cui sarebbe stato realizzato il presunto abuso e il motivo con cui si era sottolineato che le aree in parola erano affidate in locazione ad altra società, cui erano imputabili in via esclusiva le condotte per cui è causa).

5.1.1. Il motivo è infondato.

Per quanto riguarda l’oggetto del contratto di locazione stipulato nel febbraio del 2007 con la soc. C s.r.l. si osserva che tale circostanza, anche laddove delineata nel senso precisato dall’appellante, non conduce all’accoglimento delle tesi dalla stessa proposte.

Ed infatti, una volta accertato che il contratto di locazione avesse ad oggetto l’intero compendio (e non anche il solo capannone), ciò non esclude che le ordinanze di ripristino e il successivo provvedimento di acquisizione ai sensi dell’articolo 31, cit., siano stati correttamente adottati nei confronti della società appellante, nella sua veste di proprietaria e a prescindere dall’esclusiva riferibilità delle condotte sanzionate nei propri confronti.

E’ qui appena il caso di richiamare le previsioni di cui all’articolo 31, commi 2 e 3 del d.P.R. 380 del 2001, secondo cui “ 2. Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l'esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell'articolo 32, ingiunge al proprietario e al responsabile dell'abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l'area che viene acquisita di diritto, ai sensi del comma 3.

3. Se il responsabile dell'abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione, il bene e l'area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L'area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita ”.

Del resto, quand’anche si ammettesse (il che appare tutt’altro che pacifico) che il proprietario possa evitare l’applicazione nei propri confronti delle disposizioni di cui al richiamato articolo 31 semplicemente invocando la propria estraneità alle condotte contestate, l’appellante non potrebbe comunque rivendicare l’illegittimità dell’operato del Comune.

Ciò in quanto essa si è limitata ad affermare (senza fornire sul punto neppure un’allegazione minimale) che la contestata inghiaiatura sarebbe esclusivamente riferibile all’operato della conduttrice soc. C.

A tacer d’altro, tale affermazione si pone in evidente contrasto con quanto affermato dall’appellante nell’ambito del medesimo ricorso in appello, ove si afferma che l’inghiaiatura per cui è causa fosse riscontrabile in loco già da un’epoca anteriore alla stipula del contratto di locazione con la soc. C, e precisamente dal 1972, ovvero dal 2000/2001 (periodo durante il quale le era stata contestata dal comune l’intervenuta trasformazione del sito, senza che la contestazione sfociasse poi nell’adozione di puntuali atti sanzionatori).

5.1.2. Per quanto riguarda più in particolare il momento di contestazione dell’abuso per cui è causa la Sezione si limita qui a richiamare il consolidato orientamento secondo cui la repressione degli abusi edilizi costituisce espressione di attività strettamente vincolata e non soggetta a termini di decadenza o di prescrizione, potendo la misura repressiva intervenire (e in modo del tutto legittimo) in ogni tempo, anche a notevole distanza dall'epoca della commissione dell'abuso (in tal senso, ex multis, Cons. Stato, VI, 29 gennaio 2016, n. 357).

Inoltre, deve qui essere richiamato il consolidato orientamento secondo cui ricade sul privato l’onere della prova in ordine alla realizzazione di interventi di rilievo urbanistico ed edilizio e in ordine alla loro ultimazione. Ciò, in quanto soltanto l'interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell'epoca di realizzazione di un intervento (sul punto, ex multis , Cons. Stato, VI, 27 luglio 2015, n. 3666;
id., VI, 5 gennaio 2015, n. 13).

Si osserva al riguardo che l’appellante non ha fornito al riguardo alcuna prova certa, limitandosi ad allegare indizi eterogenei volti a dimostrare (in modo sostanzialmente ambulatorio e quindi inammissibile) che la trasformazione dell’area attraverso la sua massiccia inghiaiatura sarebbe stata realizzata nel 1972, ovvero fra il 2000 e il 2001, ovvero ancora a seguito della stipula del contratto di locazione con la soc. C.

E un siffatto stato di sostanziale incertezza (apparentemente volto a fornire una sorta di ‘bersaglio mobile all’attività di accertamento del Comune) potrebbe giovare alla posizione dell’appellante solo laddove gravasse in capo all’amministrazione l’onere di provare in modo esatto l’epoca esatta dell’intervenuta trasformazione.

Al contrario, tale stato di incertezza non giova in alcun modo all’appellante nella presente vicenda nel cui ambito (secondo i richiamati principi) sarebbe spettato alla stessa l’onere di fornire una prova certa – e quindi sostanzialmente liberatoria – in ordine all’epoca della realizzazione dei più volte richiamati interventi.

Per ragioni del tutto connesse a quelle appena esposte neppure può essere accolto il motivo di appello con cui si è contestata la correttezza del punto 12.4 della motivazione, in ordine alla contestata circostanza temporale dell’inghiaiatura e alla sua rilevanza ai fini urbanistici ed edilizi al momento della sua realizzazione.

5.2. Con un secondo argomento la società appellante contesta il passaggio di cui al punto 12.2 della motivazione della sentenza in epigrafe (con il quale i primi Giudici hanno respinto il motivo fondato sulla dedotta irrilevanza edilizia del deposito di materiali e mezzi sul’area).

5.2.1. Il motivo non può trovare accoglimento in quanto, per le ragioni già in precedenza esposte, i provvedimenti comunali impugnati in primo grado rinvenivano adeguata giustificazione nella contestata inghiaiatura dell’area, senza che rilevassero gli ulteriori argomenti (invero, di minore pregnanza) fondati sul contestato deposito in loco di materiali e mezzi.

5.3. Con un terzo argomento l’appellante contesta il passaggio di cui al punto 12.3 della motivazione, laddove si richiama l’orientamento secondo cui assumerebbe rilevanza ai fini edilizi e urbanistici lo spargimento di ghiaia su un’area che ne era in precedenza priva.

L’appellante osserva al riguardo che il richiamato orientamento si riferirebbe in modo esclusivo all’ipotesi – che qui non ricorrerebbe – in cui lo spargimento di ghiaia abbia comportato la modifica dell’assetto e della destinazione dei fondi.

5.3.1. L’argomento non può essere condiviso in quanto, per le ragioni già evidenziate retro, sub 5, 5.1 e 5.2, risulta invece che la risistemazione dell’area con posa di ghiaietto stabilizzato abbia determinato una trasformazione rilevante in relazione alla destinazione dell’area a “ zona per attrezzature pubbliche ”.

Ne consegue che la giurisprudenza richiamata dai primi Giudici a supporto delle proprie statuizioni risulti effettivamente pertinente.

5.4. Non risulta determinante ai fini del decidere (né in senso favorevole all’appellante, né in senso ad essa sfavorevole) la controversa circostanza relativa alla sussistenza di un vincolo paesaggistico sull’area per cui è causa.

Si ribadisce al riguardo che la complessiva correttezza delle determinazioni adottate dal Comune emerge ex se dal dato relativo alla trasformazione impressa attraverso l’inghiaiatura del sito, ragione per cui la circostanza relativa alla sussistenza o meno anche di un vincolo paesaggistico non assume rilievo dirimente ai fini del decidere.

Per ragioni del tutto connesse a quelle appena richiamate neppure può essere accolto il motivo con cui si è contestato il punto 13.1 della motivazione, per avere i primi Giudici ritenuto nel complesso adeguatamente motivati i provvedimenti impugnati in primo grado.

Sul punto può osservarsi che, una volta ritenuta dirimente ai fini del decidere la circostanza relativa all’avvenuta trasformazione dell’area a cagione della sua inghiaiatura, i provvedimenti impugnati in primo grado risultano esenti dalla rubricata censura per avere sottolineato in modo adeguato tale circostanza sfavorevole all’odierna appellante.

5.5. Neppure può trovare accoglimento il motivo con cui si sottolinea la presunta erroneità della sentenza per la parte in cui (punti 14 e 15) non sarebbe stato colto dai primi Giudici il carattere viziante della mancata indicazione dell’ufficio di deposito del verbale ivi richiamato.

Il motivo è infondato sia perché l’infondatezza dell’appello emerge in modo autoevidente dai rilievi in precedenza svolti, sia in quanto (in base ad orientamenti più che consolidati) la mancata indicazione dell’ufficio presso cui sono depositati gli atti del procedimento non rappresenta ex se un vizio del provvedimento finale.

5.6. E’ inammissibile per genericità il motivo di appello (pagine 36 e 37) con cui si lamenta il mancato accoglimento dei motivi di ricorso inerenti “ il profilo della corretta identificazione delle aree acquisende, sul presupposto che su ampia parte di tali aree non era affatto presente della ghiaia e che i piazzali sono stati realizzati lungo tempo addietro ”.

L’articolazione di tale motivo di doglianza viola il generale principio della specificità dei motivi in quanto non esplicita (se non con formula di stile) le ragioni per cui i punti 15.1 e 15.2 della sentenza in epigrafe non avrebbero risposto in modo perspicuo alle ragioni di doglianza dinanzi richiamate.

5.7. Sono infondati i motivi di ricorso che censurano il passaggio motivazionale (punti 19, 20 e 21 della sentenza) con cui si è affermato che l’amministrazione avrebbe agito in modo sostanzialmente sleale e non collaborativo, omettendo in un primo momento di effettuare il sopralluogo richiesto dalla parte e provvedendovi poi in un secondo momento secondo modalità occulte e non collaborative.

Analoghe considerazioni devono svolgersi per i motivi di appello relativi ai passaggi della sentenza relativi alla contestata circostanza secondo cui, al momento dell’ulteriore sopralluogo dell’agosto del 2008 fosse davvero in corso un trasloco (che avrebbe giustificato la presenza sull’area esterna di materiali e masserizie ivi temporaneamente depositati).

5.7.1. Al riguardo ci si limita ancora una volta ad osservare che la complessiva infondatezza delle tesi dell’appellante emerge in modo evidente dalla consistenza oggettiva delle risultanze in atti e dall’oggettiva, rilevante trasformazione dello stato dei luoghi impressa attraverso la più volte richiamata inghiaiatura.

Esulano, quindi, dall’ambito della presente decisione le modalità (invero, piuttosto singolari) con cui l’amministrazione ha proceduto all’‘appostamento’ dell’agosto del 2008.

Del resto (e per le ragioni ampiamente divisate in precedenza) i provvedimenti impugnati in primo grado risultano ex se motivati e giustificati sulla base della contestata (e sussistente) modifica dello stato dei luoghi, risultando quindi non rilevante ai fini del decidere l’ulteriore circostanza (su cui ampiamente si sofferma la difesa dell’appellante) relativa al se nell’agosto del 2008 fosse davvero in corso un trasloco oppure no.

6. Va conclusivamente notato che l’appellante non può invocare in proprio favore la sopravvenuta disciplina di cui all’articolo 5 del decreto-legge n. 40 del 2010 (il quale, nel sostituire l’articolo 6 del d.P.R. 380 del 2001, ha stabilito - nuovo comma 2, lettera c) - che rientrano nell’ambito dell’attività di edilizia libera “ le opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni, anche per aree di sosta, che siano contenute entro l'indice di permeabilità, ove stabilito dallo strumento urbanistico comunale, ivi compresa la realizzazione di intercapedini interamente interrate e non accessibili, vasche di raccolta delle acque, locali tombati ”).

Si osserva in primo luogo al riguardo che è quanto meno dubbio che l’appellante possa invocare l’applicabilità di tale disposizione ai fini della regolarità del proprio operato.

Ed infatti, l’alinea del comma 2, nel richiamare il rispetto dei presupposti di cui al comma 1, include altresì la previsione secondo cui le disposizioni in tema di attività edilizia libera operano pur sempre nel rispetto “ [delle] prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia ” (si tratta di prescrizioni e normative che nel caso in esame, per le ragioni già esaminate, non risultano rispettate).

Si osserva inoltre che, quand’anche la novella normativa del 2010 avesse introdotto disposizioni di maggior favore rispetto a quella vigente al momento della realizzazione delle proprie condotte antigiuridiche, l’appellante non potrebbe comunque invocare il principio del favor rei di cui all’articolo 2 cod. pen. (richiamato a pag. 25 dell’atto di appello).

Ciò in quanto, alla luce di un consolidato e condiviso orientamento giurisprudenziale, in tema di illeciti amministrativi i canoni di legalità, irretroattività e divieto di analogia, di cui all'articolo 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689, comportano l'assoggettamento del fatto alla legge del tempo del fatto commesso, con conseguente inapplicabilità della disciplina posteriore anche se più favorevole (in tal senso – ex multis -: Cons. Stato, VI, 20 settembre 2012, n. 4992; id ., V, 2 dicembre 2011, n. 6365).

7. Per le ragioni dinanzi esposte neppure può essere accolta la domanda qui riproposta finalizzata al ristoro del danno patrimoniale asseritamente patito in conseguenza dell’adozione degli atti impugnati in primo grado.

E’ sufficiente sul punto osservare che, per le ragioni già esposte, non sono ravvisabili nel caso in esame gli elementi costitutivi della fattispecie oggettiva dell’illecito foriero di danno risarcibile.

9. Per le ragioni dinanzi esposte l’appello in epigrafe deve essere respinto.

Il Collegio ritiene che sussistano giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti per il doppio grado di giudizio.

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