Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-05-08, n. 202304569
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Pubblicato il 08/05/2023
N. 04569/2023REG.PROV.COLL.
N. 08709/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8709 del 2022, proposto dalla società -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante p.t., sig. -OMISSIS--OMISSIS-, con sede in -OMISSIS-, rappresentata e difesa, giusta procura in allegato al ricorso introduttivo, dall’avv. L T e dall’avv. E S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
il Ministero dell’Interno – UTG - Prefettura di Caserta, in persona del Ministro
pro tempore
, rappresentato e difeso
ex lege
dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
il -OMISSIS- - -OMISSIS-, in persona del Direttore del Dipartimento Affari Legali, Regolatori e Istituzionali dott. -OMISSIS-, giusta procura autenticata per atti notaio -OMISSIS- – rilasciata dal legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avv. Giovanni Crisostomo Sciacca e Antonio Pugliese ed elettivamente domiciliato presso lo studio dei primi due in Roma, Via di Porta Pinciana, n. 6, come da procura speciale rilasciata su foglio separato che verrà depositato con modalità telematiche unitamente all’atto di costituzione considerata apposta in calce ai sensi dell’art. 8, dPCM n. 40/2016, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
l’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), in persona del suo leale rapp.te p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
per l’annullamento e/o riforma, previa sospensione dell’efficacia,
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sede di Napoli, Sezione Prima, n. -OMISSIS-, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’interno;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del -OMISSIS- - -OMISSIS- e dell’ANAC;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 maggio 2023 il Cons. Paolo Carpentieri e uditi per le parti gli avvocati viste le conclusioni delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La società -OMISSIS- ha proposto appello, con domanda cautelare di sospensione dell’efficacia, avverso la sentenza n. -OMISSIS- con la quale il T per la Campania, sede di Napoli, Sez. I, ha respinto il suo ricorso diretto a ottenere l’annullamento dell’informativa antimafia prot. n. -OMISSIS- con la quale la Prefettura di Caserta ha accertato la presunta sussistenza nei suoi confronti delle “ situazioni di cui all’art. 84, comma 4 e all’art. 97, comma 6 del D.Lgs. n. 159 ”, nonché del provvedimento dell’ANAC del 3 novembre 2021 di comunicazione di avvenuta segnalazione e dell’inserimento nel Casellario della relativa annotazione e del provvedimento di risoluzione delle convenzioni degli incentivi da parte del GSE prot. n. -OMISSIS-.
2. Ha articolato sei motivi di appello.
3. Si sono costituiti in giudizio per resistere al proposto appello il Ministero dell’interno, il -OMISSIS- - -OMISSIS- e l’ANAC.
4. Con l’ordinanza n. -OMISSIS- la Sezione ha respinto la domanda di sospensione cautelare dell’efficacia della sentenza appellata.
5. Le parti hanno depositato memorie e documenti.
6. Nella memoria di replica in data 16 febbraio 2023 la società ricorrente ha riferito di aver adottato in data 1 febbraio 2023 il modello organizzativo ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001, parte generale, parte speciale, codice etico, modello antimafia, manuale delle procedure, deliberando la nomina dell’Organismo di vigilanza per l’anno 2023, ed ha altresì riferito di aver presentato in data 6 febbraio 2023 un’istanza di ammissione al controllo giudiziario ex art. 34- bis , comma 6, del d.lgs. n. 159 del 2011 presso il Tribunale di-OMISSIS--, Sezione misure di prevenzione.
7. Chiamata alla pubblica udienza del 9 marzo 2023, la causa è stata rinviata a una data successiva.
8. Alla pubblica udienza del 4 maggio 2023 la causa è stata discussa e assegnata in decisione.
DIRITTO
1. L’appello è giudicato dal Collegio infondato e non meritevole di accoglimento.
2. Con il provvedimento oggetto di lite il Prefetto di Caserta, recependo la proposta formulata dal Gruppo ispettivo antimafia il 17 settembre 2021, ha in primo luogo dato atto che “ Con atto di donazione del 21.09.2020, -OMISSIS--OMISSIS- ha definito e redistribuito il proprio patrimonio societario assegnando l'intera quota del capitale sociale dell'azienda in questione al figlio -OMISSIS--OMISSIS-, cl. 77. Lo stesso, con atto del 23.09.2020, è stato nominato anche amministratore unico della società in esame ” ed ha quindi ritenuto che dalla lettura dei provvedimenti giudiziari, in particolare della sentenza della Corte di appello di Napoli, VII^ sezione penale, n. 10438/2013 R.G. AP, n. -OMISSIS- Reg. Ins. Sent. del 30 dicembre 2014, passata in giudicato il 26 febbraio 2015 (confermativa della sentenza del GUP del Tribunale di Napoli del 2 dicembre 2011 con la quale gli imputati della famiglia -OMISSIS-erano stati assolti dai reati loro ascritti) emergesse, con riferimento al gruppo -OMISSIS-, “ con assoluta certezza il costante passaggio nel tempo di denaro dal gruppo -OMISSIS-al clan camorristico -OMISSIS-, specificamente alle donne, a titolo di estorsione mai denunciata ”;che tale sentenza, pur dando atto dell'insussistenza di elementi che denotino la condivisione con l’associazione criminale di propositi di infiltrazione, nondimeno avrebbe ritenuto “ compatibile con il suo profilo l’assoggettamento all’intimidazione mafiosa o - quanto meno – l’intesa con l’organizzazione per limitare l'ingiusto male patibile da questa ”, risultando “ che -OMISSIS--OMISSIS-, da individuarsi dietro il soprannome "sergente", sia stato sempre inserito tra gli imprenditori taglieggiati e che costui abbia dovuto versare somme alle mogli dei -OMISSIS-in relazione alle numerose opere edili realizzate dalla società del gruppo ”, sicché “ La protezione del clan all’importante imprenditore, dunque, è perfettamente giustificabile con l'interesse del secondo a conservare per sé i lauti profitti derivanti dalle attività del gruppo -OMISSIS- ”. Su tali basi il Prefetto ha ritenuto il quadro istruttorio complessivo, alla luce degli approfondimenti compiuti e degli elementi informativi acquisiti, tale da indurre a ritenere concreto ed attuale il rischio di condizionamento mafioso a carico della ditta istante ed ha pertanto affermato la sussistenza nella fattispecie di elementi sufficienti per ritenere comprovato il pericolo di tentativi di infiltrazioni malavitose preordinati a condizionare le scelte e gli indirizzi della ditta ricorrente.
3. La società appellante ha così riassunto (punto “A” del ricorso in appello) “ I principali motivi di censura rappresentati nell’ambito del giudizio di primo grado innanzi al TAR, in forza dei quali la ricorrente ha richiesto l’annullamento dei provvedimenti gravati ”, integralmente riproposti in questa sede: “ 1) la Corte d’Appello di Napoli sezione penale, con la sentenza n. -OMISSIS-, ha assolto il sig. -OMISSIS- -OMISSIS-, ritenendo che lo stesso fosse un imprenditore vittima e non imprenditore colluso ed ha assolto i figli ritenendo che gli stessi non si siano prestati ad alcuna forma di intestazione fittizia dal padre -OMISSIS- ai figli -OMISSIS- e -OMISSIS-;2) la Corte d’Appello di Napoli sezione misure di prevenzione, con il decreto n. 184/12, ha revocato la misura di prevenzione sul patrimonio di -OMISSIS- -OMISSIS-e dei suoi figli, ivi compreso le quote sociali a se appartenenti, ritenendo che gli stessi non avessero alcuna sproporzione rispetto ai redditi prodotti e confermando che gli stessi abbiano formato il loro patrimonio mediante le attività lavorative svolte. Si è dunque rilevata con il ricorso introduttivo l’illegittimità dell’operato della Prefettura di Caserta che ha valorizzato solo le tesi e le conclusioni del pubblico ministero, tralasciando di considerare la parte motiva della sentenza con cui la tesi accusatoria è stata ritenuta infondata (cfr. TAR Sicilia – Palermo, 1^, 3.8.2020 n. 1724). 3) si è rilevata l’illegittimità dell’informativa stante la completa carenza del parametro dell’attualità e di concretezza dell’asserito pericolo di condizionamento mafioso. Non solo infatti non è oggi possibile sostenere la permeabilità dell’imprenditore -OMISSIS- -OMISSIS-alle eventuali pressioni del clan, dovendosi relegare al 2007 la cessazione della condizione di asserita soggiacenza all’estorsione ma non è possibile individuare per tutto l’arco temporale successivo al 2007 ovvero fino al 2021, alcun elemento nuovo ascrivibile al catalogo aperto di situazioni sintomatiche del condizionamento. Nel periodo intercorrente tra la predetta data e l’emanazione del provvedimento gravato (ovvero tra il 2007 ed il 2021), non risulta alcun singolo nuovo elemento che possa dare atto di una effettiva attuale permeabilità della società alla criminalità organizzata. Di contro, nel detto periodo la ricorrente ha dato prova dell’esistenza di una serie di fatti positivi idonei a dar conto del superamento di qualsivoglia pericolo di permeabilità mafiosa (come si avrà modo di approfondire, ci si riferisce in particolare alle denunce effettuate dal sig. -OMISSIS--OMISSIS- nonché all’avvenuta sottoposizione della società al controllo giudiziario);4) non è stata presa in adeguata considerazione il cambio di assetto societario, avvenuto nel 21.9.2020 (cfr. atto di donazione e divisione), e l’assurda conseguenza per cui il figlio (-OMISSIS--OMISSIS-, amministratore e socio unico della ricorrente) di un imprenditore taglieggiato (-OMISSIS- -OMISSIS-), invece di essere adeguatamente tutelato dallo Stato, debba risultare anche destinatario di un provvedimento interdittivo (peraltro a distanza di oltre tredici anni dall’avvio del processo e di circa 7 anni dalla conclusione dello stesso) evidentemente solo in quanto asseritamente e potenzialmente permeabile alla mafia in via ereditaria! 5) si è infine rilevato che finanche la Prefettura di Caserta, in seguito alla deflagrazione di una bomba nel dicembre 1996 e della denuncia del sig. -OMISSIS- -OMISSIS-, in data 18.12.1996, avesse invitato lo stesso a fare istanza di accesso al fondo di solidarietà per le vittime di estorsione! A fronte di dette premesse, il TAR, ha invece ritenuto che: - sia sufficiente per la Prefettura non provare la permeabilità vera e propria ma solo ‘provare… soltanto la sussistenza di elementi sintomatico – presuntivi” concretizzatisi nella specie con il pagamento in un certo periodo delle estorsioni al Clan;- l’informativa antimafia possa “legittimamente fondarsi anche su fatti risalenti nel tempo tant’è vero che il mero decorso del tempo è in sé un elemento neutro, che non smentisce da solo la persistenza di legami vincoli e sodalizi e comunque non dimostra da solo l’interruzione di questi se non corroborato da ulteriori e convincenti elementi indiziari”;- possa avere rilievo la sussistenza di rapporti di parentela tra titolari di un’impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici o contigui a contesti malavitosi;- la logica della probabilità cruciale a cui fa riferimento l’istituto della informativa antimafia consente di prescindere anche da valutazioni concrete espresse nell’ambito dei giudizi penali definitisi invece con sentenze di proscioglimento o assoluzione, risultando le valutazioni prefettizie sindacabili solo in caso di “manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti ”.
4. La lettura degli atti di causa e la disamina del ricorso in appello, nel suo complesso e nei singoli motivi di censura, nei termini che qui di seguito si espongono, inducono il Collegio, come anticipato, ad esprimere un giudizio di non accoglibilità del proposto appello, alla stregua dei noti, consolidati canoni di giudizio elaborati in subiecta materia dalla giurisprudenza costituzionale e amministrativa, appieno condivisa dal Collegio (Corte cost., sentenze 27 febbraio 2019, n. 24, 24 luglio 2019, n. 195 e 26 marzo 2020, n. 57;Cons. Stato, sez. III, sentenze del 3 maggio 2016, n. 1743, 4 maggio 2018, n. 2655, 5 settembre 2019, n. 6105, 24 aprile 2020, n. 2651 e 23 dicembre 2022, n. 11265, nonché, della Sez. I, parere n. 487/2023 del 20 marzo 2023), anche avuto riguardo al modo del sindacato giurisdizionale logicamente esercitabile sull’ampia discrezionalità di apprezzamento riservata al Prefetto nell'adozione dell'interdittiva antimafia, sindacato che, pur pieno e profondo, non può spingersi fino a sostituire alle non illogiche deduzioni e valutazioni della competente Autorità amministrativa quelle dell’organo giudicante: come ribadito dalla citata giurisprudenza, infatti, il giudice amministrativo è chiamato a valutare la gravità del quadro indiziario posto a base della valutazione prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa e il suo sindacato sull’esercizio del potere prefettizio, con un pieno accesso ai fatti rivelatori del pericolo, consente non solo di sindacare l’esistenza o meno di questi fatti, che devono essere gravi, precisi e concordanti, ma di apprezzare la ragionevolezza e la proporzionalità della prognosi inferenziale che l’autorità amministrativa trae da quei fatti secondo un criterio che, necessariamente, è probabilistico per la natura preventiva, e non sanzionatoria, della misura in esame;ma nell’esercizio di tale sindacato il Giudice non può e non deve sostituirsi alla competente Autorità di pubblica sicurezza nel giudizio discrezionale sulla sussistenza o meno dei presupposti per l’adozione dell’informativa sfavorevole.
5. In sintesi, risulta dagli atti che non è carente sotto il profilo istruttorio o motivazionale, né illogica o sproporzionata, la deduzione, operata dal Prefetto, secondo la quale gli intensi e continuativi rapporti intercorsi tra il Gruppo -OMISSIS-(e, soprattutto, tra il suo principale e originario esponente, -OMISSIS--OMISSIS-) e il clan -OMISSIS-, dominante nell’area di operatività dell’impresa, rapporti definitivamente accertati in fatto dalle sentenze penali, fanno emergere un quadro sufficiente e adeguato per affermare la probabilità, ancora attuale e concreta, di una potenziale permeabilità dell’impresa a forme di condizionamento malavitoso.
5.1. Come condivisibilmente affermato dall’Avvocatura dello Stato, il provvedimento interdittivo si fonda su una pluralità di elementi che, valutati complessivamente, inducono a ritenere non irragionevole il giudizio del Prefetto circa il pericolo di esposizione dell’impresa odierna appellante al condizionamento mafioso, anche alla stregua della costante giurisprudenza secondo la quale gli elementi posti a base dell'informazione antimafia, oltre a poter essere penalmente irrilevanti, possono anche essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione, atteso che le organizzazioni criminali, per condurre le loro lucrose attività economiche nel mondo delle pubbliche commesse, non si avvalgono solo di soggetti organici o affiliati ad esse, ma anche e sempre più spesso di soggetti compiacenti, cooperanti, collaboranti, nelle più varie forme e qualifiche societarie, sia attivamente, per interesse, economico, politico o amministrativo, che passivamente, per omertà o, non ultimo, per il timore della sopravvivenza propria e della propria impresa.
6. Con il primo, articolato, motivo di appello (rubricato “ Error in iudicando – Sul difetto di motivazione della sentenza. Sulla carenza dei presupposti, dei parametri dell’attualità e di concretezza del pericolo di condizionamento ”), la società ricorrente lamenta in primo luogo la mancata considerazione, da parte del Giudice di prime cure, dell’indicazione fornita da questa Sezione con l’ordinanza cautelare n. -OMISSIS- di accoglimento dell’appello cautelare (disposto al fine di una sollecita fissazione dell’udienza di merito in primo grado), nel senso di approfondire le questioni poste con l’atto di appello in considerazione della natura delle risultanze indiziarie prospettate dalla ricorrente.
6.1. La contestazione è infondata, poiché il T ha maturato nel suo libero convincimento la sua decisione e l’ha adeguatamente motivata dando sufficientemente conto delle risultanze indiziarie prospettate dalla società ricorrente ed emergenti dagli atti, sia pur in termini, a giudizio di parte appellante, criticabili nel merito, ma certamente non censurabili sotto il profilo di un’asserita (e in realtà insussistente) violazione di un preteso “ordine” di approfondimento di taluni aspetti della causa (piuttosto che di altri) che si vorrebbe far derivare dalla pronuncia cautelare di questa Sezione.
6.2. Sotto un ulteriore profilo parte appellante afferma l’illegittimità dell’informativa e della sentenza “ allorché dichiara che le estorsioni subite dal sig. -OMISSIS- -OMISSIS-non sarebbero mai state denunciate ”. Il T, in particolare, avrebbe omesso di considerare la denuncia di minacce/intimidazioni subite su un cantiere del 31 maggio 1996, la denuncia di spari contro casa e telecamere di videosorveglianza del 3 giugno 1996, la denuncia di una bomba esplosa sotto la gru di un cantiere del 5 dicembre 1996, nonché il fatto che il sig. -OMISSIS- -OMISSIS-è stato messo sotto scorta della polizia per 1 mese, che in data 18 dicembre 1996 è stato invitato dalla stessa Prefettura di Caserta a fare istanza di accesso al Fondo di solidarietà per le vittime di estorsione ed ha successivamente denunciato in sede processuale i propri estorsori, adottando una serie di comportamenti attivi nel contrastare fattivamente la criminalità ed aiutando l’Autorità giudiziaria (così come positivamente valutati anche dal Giudice penale).
6.2.1. Contrariamente all’assunto di parte appellante, risulta adeguata e non illogica la motivazione con la quale il T ha respinto tali censure, sul rilievo che la “ stessa sentenza della Corte di appello [ che ] a pag. 19, come evidenziato dalla stessa amministrazione resistente, ha evidenziato che nel valutare le fonti probatorie di cui si è brevemente dato conto, il Gup ha tratto il fondato convincimento che -OMISSIS-fosse un imprenditore sottoposto da lunga data e continuamente, senza aver mai denunciato la cosa, ad estorsione da parte del clan -OMISSIS-. La sussistenza del rapporto estorsivo consolidato e mai denunciato risulta quindi dagli atti. . . . Peraltro, la circostanza che -OMISSIS--OMISSIS- si sia difeso in giudizio dalle accuse di essere prestanome del clan -OMISSIS-non equivale certo alla denuncia tempestiva dei fatti estorsivi ”.
6.2.2. Né inficia la validità di tale argomentazione la considerazione, aggiunta dal T, secondo cui “ Del resto, la ricorrente precisa di aver denunciato il clan -OMISSIS-più volte senza, però, suffragare tale affermazione di alcun supporto documentale ”. Tale considerazione, forse superflua, non menoma la tenuta logica dell’argomento speso dal primo Giudice per respingere la censura in esame. Le denunce e i fatti risalenti al 1996 appartengono evidentemente alla prima fase di aggressione da parte del gruppo criminale, cui sarebbe seguita, nella prospettazione della Prefettura (giudicata non illegittima dal T), una lunga fase di sostanziale accettazione, da parte dell’imprenditore, di una modalità di convivenza con le pretese estorsive del clan malavitoso, tale da consentirgli di poter continuare a lavorare: si legge in proposito nella sentenza della Corte d’appello di Napoli, sezione penale, n. -OMISSIS-, pag. 19, che il -OMISSIS-era “ un imprenditore sottoposto da lunga data e continuativamente, senza avere mai denunciato la cosa (né costituendosi parte civile nei processi penali per il delitto p. e p. dall'art 629 c.p., cosa priva - in sé - di rilevanza penale), ad estorsione da parte del clan -OMISSIS- ”, che “ per l’importanza delle sue commesse, era ritenuto in posizione dominante la qual cosa faceva sì che di lui si occupassero direttamente i capi clan o le loro coniugi . . . senza necessità di attuare in suo danno le tipiche condotte intimidatorie, come il blocco dei cantieri ”, e che “ il vantaggio che il primo [-OMISSIS-] traeva dal rapporto privilegiato con il clan consistendo nel “riuscire a lavorare sempre”, a differenza degli imprenditori provenienti dal casalese e dal napoletano i quali subivano intimidazioni e azioni violente per dissuaderli dal perseverare ”. Tale modus vivendi , se inidoneo sul piano penale a configurare un’ipotesi di “imprenditore colluso”, ben può tuttavia costituire un indice più che ragionevole per indurre un giudizio di permeabilità dell’imprenditore medesimo al condizionamento malavitoso, in quanto proclive a ricercare modalità per convivere con l’assoggettamento al controllo delinquenziale, il cui predominio viene in tal modo ad essere sostanzialmente accettato e, in definitiva (ancorché del tutto involontariamente), favorito e agevolato nel dispiegamento della sua forza intimidatrice di controllo del territorio.
6.2.3. La Sezione a tal proposito ha chiarito (sin dalla sentenza 3 maggio 2016, n. 1743) come anche la “contiguità soggiacente” alle consorterie mafiose, e non solo quella “compiacente”, possa fondare il giudizio negativo dell’Autorità prefettizia [“ non si può dubitare che l’interpretazione giurisprudenziale tassativizzante, a partire dalla sentenza n. 1743 del 3 maggio 2016, consenta ragionevolmente di prevedere l’applicazione della misura interdittiva in presenza delle due forme di contiguità, compiacente o soggiacente, dell’impresa ad influenze mafiose, allorquando, cioè, un operatore economico si lasci condizionare dalla minaccia mafiosa e si lasci imporre le condizioni (e/o le persone, le imprese e/o le logiche) da questa volute o, per altro verso, decida di scendere consapevolmente a patti con la mafia nella prospettiva di un qualsivoglia vantaggio per la propria attività ”: Cons. Stato, sez. III, 5 settembre 2019, n. 6105]. Merita dunque condivisione il rilievo a tal riguardo svolto nella sentenza appellata (“ in realtà il codice antimafia desume il pericolo di infiltrazione mafiosa da entrambe le figure, quindi, anche dall’imprenditore vittima che non abbia denunciato l’estorsione. Non è necessario essere compartecipe dell’attività criminosa o condividerne i fini, potendosi desumere il pericolo di infiltrazione mafiosa anche dalla semplice connivenza ”).
6.2.4. Parimenti logica risulta l’ulteriore considerazione svolta dal primo Giudice, secondo la quale “ la circostanza che -OMISSIS--OMISSIS- si sia difeso in giudizio dalle accuse di essere prestanome del clan -OMISSIS-non equivale certo alla denuncia tempestiva dei fatti estorsivi ”. Non convince, dunque, la critica svolta dalla società appellante, secondo la quale il T non avrebbe considerato il contributo determinante fornito dal -OMISSIS-in sede penale per ricostruire e dimostrare le accuse nei confronti del clan -OMISSIS-: tale condotta, in sé encomiabile, non muta il convincimento che il predetto imprenditore abbia scelto in precedenza di “convivere” con il clan malavitoso, e ciò con reciproco vantaggio (pur al di fuori di quel rapporto sinallagmatico e organico con il gruppo malavitoso sostenuto dall’accusa, ma negato dalla sentenza del Giudice penale), ciò che sicuramente costituisce un indice valutabile di permeabilità ai condizionamenti malavitosi.
6.3. Un secondo profilo di contestazione (rubricato “ Sul difetto di motivazione della sentenza gravata – Sulla violazione e falsa applicazione degli artt. 84, 91 e ss. d.lgs. 159/2011, art. 1 L 190/2012, Art. 97 Cost. – Sulla violazione del principio del tempus regit actum - Sul difetto di istruttoria – Sulla carenza dei parametri dell’attualità e della concretezza del pericolo di condizionamento mafioso ”) lamenta l’erroneità della sentenza gravata per “ non aver constatato che, alla predetta epoca dei fatti (ovvero nell’arco temporale 1995-2007) l’art. 84 comma 4 d.lgs. 159/2011 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale in data 28.9.2011 n. 226), che attribuisce rilevanza ai fini della sussistenza di un pericolo di condizionamento mafioso in caso di omessa denuncia dei reati di estorsione, non era ancora entrato in vigore ”.
6.3.1. Il mezzo di gravame è inammissibile e comunque infondato.
6.3.2. Esso è inammissibile perché non dedotto in primo grado e articolato per la prima volta in appello. Né si riscontra nel caso in esame l’unica ipotesi nella quale, a termini dell’art. 104, comma 3, del codice del processo amministrativo, è consentita nel giudizio di appello la proposizione di motivi aggiunti (“ qualora la parte venga a conoscenza di documenti non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado da cui emergano vizi degli atti o provvedimenti amministrativi impugnati ”).
6.3.3. Esso è comunque infondato perché la legittimità dell’atto amministrativo deve essere valutata alla stregua del quadro fattuale e giuridico esistente alla data della sua adozione e non con riferimento al tempo in cui viene valutato in giudizio. In ogni caso, la formulazione dell’art. 84, comma 4, del codice antimafia del 2011 (secondo cui “4. Le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa che danno luogo all'adozione dell'informazione antimafia interdittiva di cui al comma 3 sono desunte . . . c) . . . dall'omessa denuncia all'autorità giudiziaria dei reati di cui . . . etc. ”) ha un valore ricognitivo di una realtà fattuale, ma non esclude in alcun modo che le medesime condotte poste in essere nel periodo precedente all’entrata in vigore della citata disposizione non fossero valutabili e fossero prive del loro oggettivo significato di indice della sussistenza di situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa. In proposito la giurisprudenza ha peraltro non da ora chiarito che la sussistenza di possibili tentativi di infiltrazione mafiosa può essere dedotta da un’ampia casistica di elementi indiziari, che non costituiscono un numerus clausus e non consistono solo nelle circostanze desumibili dalle sentenze di condanna per particolari delitti e dalle misure di prevenzione antimafia, ma possono emergere da tutti gli altri provvedimenti giudiziari, qualunque sia il loro contenuto dispositivo, dai diversi rapporti di parentela, amicizia, colleganza, frequentazione, collaborazione, che per intensità e durata indichino un verosimile pericolo di condizionamento criminale, nonché da vicende anomale nella formale struttura o nella concreta gestione dell’impresa, sintomatiche di cointeressenza o di condiscendenza dell’impresa e dei suoi soci, amministratori, gestori di fatto con il fenomeno mafioso nelle sue più varie forme ( ex multis , Cons. Stato, sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743). È stato altresì precisato che l’interdittiva antimafia può essere legittimamente fondata anche su fatti che sono risalenti nel tempo, purché dall’analisi complessiva delle vicende esaminate emerga, comunque, un quadro indiziario che sia idoneo a giustificare il necessario giudizio di attualità e di concretezza del pericolo di infiltrazione mafiosa (così, ad esempio, Cons. Stato, sez. V, 11 aprile 2022, n. 2712, Id ., 6 giugno 2022, n. 4616).
6.4. Sotto un terzo profilo (intitolato “ Sulla dimostrata estraneità alla permeabilità mafiosa del Gruppo -OMISSIS-- Sul difetto di motivazione della sentenza gravata – Sul travisamento dei fatti ”), parte ricorrente lamenta che “ Sia il TAR che l’UTG di Caserta non hanno debitamente motivato neanche su come siano superabili le diverse valutazioni fatte dalle Forze dell’Ordine in sede istruttoria ”. In particolare, non sarebbero state valorizzate le risultanze delle note prot. n. -OMISSIS- del Nucleo di Polizia economico – finanziaria della Guardia di finanza di Caserta e prot. n. -OMISSIS- del 21 maggio 2021 del Nucleo di Polizia economico – finanziaria della Guardia di finanza di Napoli, che hanno escluso la sussistenza, nei confronti dell’impresa, di elementi di rilievo ai fini della normativa antimafia, nonché la nota prot. n. -OMISSIS- della Direzione investigativa antimafia n. -OMISSIS-, che esclude la “contiguità” dell’imprenditore -OMISSIS--OMISSIS- al clan mafioso.
6.4.1. La censura è superabile alla stregua della condivisibile replica svolta sul punto nella memoria dell’Avvocatura dello Stato, dove si è correttamente osservato che trattasi di note informative concernenti solo lo specifico angolo di visuale proprio dell’organo istruttore, che si risolvono in formule di rito che comunque non inficiano il quadro indiziario posto a fondamento del provvedimento impugnato. La nota della Dia, a sua volta, non fa che riprendere elementi emersi nella sede penale e di prevenzione penale, già ampiamente considerati.
6.4.2. Non incide sulla validità dell’argomentazione svolta nel provvedimento impugnato, giudicata non illegittima nella sentenza appellata, la considerazione svolta dal primo Giudice, contestata dalla società appellante, secondo la quale “ Nel caso di specie, nessun elemento è stato fornito dalla società ricorrente per smentire il giudizio di permeabilità mafiosa espresso dalla Prefettura ”. Non esiste, invero, un onere probatorio siffatto in capo al soggetto sospettato dall’Amministrazione di permeabilità malavitosa, ma tale inciso motivazionale appare nel complesso ininfluente sulla tenuta complessiva della motivazione della sentenza qui gravata.
6.4.3. In questa medesima parte del ricorso in appello la società ricorrente introduce poi un ulteriore e diverso motivo di contestazione, riassumibile nella considerazione per cui i dati contabili della gestione del Gruppo -OMISSIS-acquisiti anche nella sede penale dimostrerebbero la piena autonomia economico-finanziaria dell’impresa e la sua indipendenza da apporti estranei riferibili al clan -OMISSIS-e dunque l’inconsistenza della tesi della Prefettura circa una possibilità di sospetta contiguità con tali ambienti criminali (“ Sulla scorta di tali elementi deve concludersi che quanto meno dal 1999 all’attualità il gruppo -OMISSIS-non si è mai avvalso di finanziamenti provenienti da fonti incerte o sospette, sicché deve escludersi in radice che esistano elementi anche solo indiziari per ritenere che il danaro derivante dall’attività del Gruppo -OMISSIS-sia stato utilizzato dai camorristi per riciclare il loro denaro e che fosse nella disponibilità della criminalità organizzata ”).
6.4.3.1. Sul punto il Collegio rileva che il provvedimento prefettizio impugnato non risulta essere in alcun modo basato sulla tesi di un’interposizione fittizia del Gruppo -OMISSIS-rispetto a beni e attività facenti capo al clan camorristico locale, o comunque di una cogestione, per conto del predetto clan, di una o più attività imprenditoriali. Tale accusa, mossa in sede penale, è stata esclusa da quel giudice e non risulta ripresa o altrimenti valorizzata nell’interdittiva qui oggetto di giudizio, sicché la predetta argomentazione difensiva appare non pertinente.
6.4.3.2. Nelle pagg. 21-22 dell’atto introduttivo la società appellante si diffonde poi nella ricognizione delle varie proposizioni spese dal Giudice penale per scagionare i -OMISSIS-dalle accuse di concorso esterno in associazione mafiosa e interposizione fittizia di beni, ma la riproduzione di tali passaggi motivazionali, a detta della parte appellante trascurati dal Prefetto e dal T, non rileva ai fini della sostenibilità e della tenuta delle argomentazioni induttive, già sopra in sintesi illustrate, che hanno condotto non illegittimamente l’autorità prefettizia prima e il T poi a ritenere non illogica e adeguatamente sorretta sul piano istruttorio dei presupposti fattuali rilevanti l’ipotesi di perdurante esposizione dell’impresa ricorrente al rischio di permeabilità mafiosa. I fatti di oggettiva contiguità dell’impresa ricorrente rispetto al clan malavitoso, acclarati nella sede penale, se giudicati dal Giudice competente inidonei ai fini della prova penale dei reati ascritti, non per questo non sono logicamente idonei, nel giudizio discrezionale della competente Autorità di prevenzione, a sorreggere il giudizio di perdurante permeabilità di quell’impresa al rischio di condizionamenti mafiosi.
7. Un ulteriore tema di critica della sentenza appellata (e del provvedimento impugnato) attiene alla asserita “ carenza del presupposto dell’attualità ” (punto 1.4. dell’atto di appello). Nel caso di specie, secondo la ricorrente, alcuna motivazione sull’attualità e concretezza del rischio di infiltrazione per la società sarebbe stata esposta nella informativa da parte dell’UTG di Caserta. Il T avrebbe poi integrato la carente motivazione del provvedimento prefettizio sostenendo che l’attualità del pericolo di condizionamento mafioso non sarebbe elisa nemmeno dal lungo decorso di tempo dall’accertamento dei fatti (avvenuti nel 2007), ovvero dalla conclusione dei giudizi che hanno interessato il Gruppo -OMISSIS-(definitisi tra il 2012 e il 2014), essendo di per sé “ elemento neutro che non smentisce da solo la persistenza di legami vincoli e sodalizi e, comunque, non dimostra da solo l’interruzione di questi, se non corroborato da ulteriori e convincenti elementi indiziari ”. Tale motivazione sarebbe, a detta della parte ricorrente, insufficiente poiché avrebbe omesso di considerare, “ quale elemento positivo idoneo a recidere qualsiasi forma di (ipotetica) soggiacenza attualizzata . . . il lungo periodo di Amministrazione giudiziaria che ha interessato la odierna appellante (dal 2007 al 2013) e che si presume abbia segnato una discontinuità temporale e di fatto con il passato ed una certezza di intervenuta bonifica della società da qualsiasi forma di permeabilità a meno che sia l’UTG che il TAR non abbiano inteso implicitamente che anche gli amministratori giudiziari nominati dai due Tribunali, Dott. -OMISSIS-, Dott. -OMISSIS-, Dott. -OMISSIS-, fossero permeabili ”. Non sarebbe stata considerata dal T, inoltre, la circostanza per cui la società sin dalla data di restituzione ai legittimi proprietari ha abbandonato il settore delle costruzioni edili dedicandosi ad attività di gestione del proprio patrimonio immobiliare con locazioni e produzione di energie provenienti da fonti rinnovabili.
7.1. Anche questo mezzo di censura viene giudicato non condivisibile dal Collegio. Occorre premettere che gli accertamenti in punto di fatto derivabili dalla sentenza penale di assoluzione hanno riguardato non il solo -OMISSIS--OMISSIS-, ma la conduzione dell’intero complesso aziendale a lui facente capo, nonché i discendenti -OMISSIS--OMISSIS- e -OMISSIS--OMISSIS-, risultati anch’essi assolti dalle imputazioni di cui agli artt. 110, 416- bis , commi dal primo al sesto ed ottavo, c.p., ma comunque non estranei alle vicende fattuali ricostruite e descritte nella predetta pronuncia del Giudice penale.
7.2. Ciò posto, alla critica di parte appellante può contrapporsi il rilievo per cui il tipo di giudizio prognostico sfavorevole formulato dal Prefetto (e giudicato non illegittimo dal T) poggia su considerazioni tali da non risentire in modo particolare degli effetti del decorso del tempo (rispetto ai fatti storici presi in considerazione): il giudizio sfavorevole, infatti, si fonda sulla considerazione secondo la quale, in sintesi, l’aver per un lungo (ancorché non recente) periodo di tempo prestato acquiescenza al ricatto malavitoso, al punto da aver definito con il gruppo delinquenziale un rapporto di sostanziale non belligeranza tale da consentire all’impresa di continuare a lavorare realizzando un notevole volume d’affari (e ciò anche grazie alla protezione di fatto goduta rispetto a interferenze e azioni criminose di altri clan rivali), è indice di un atteggiamento “neutro” verso il fenomeno delinquenziale e di una propensione ad accettare accomodamenti con esso che, pur non integrando fattispecie penali, costituisce oggettivamente il terreno ideale perché possano attecchire forme di infiltrazione e di condizionamento anche attuali nella conduzione aziendale.
7.3. Sotto un diverso profilo, come detto, la parte appellante adduce i cinque anni di sottoposizione dell’impresa all’amministrazione giudiziaria quale riprova della intervenuta recisione netta con qualsiasi pregressa (asserita) soggiacenza della ricorrente alla criminalità, quasi come se tale periodo potesse rappresentare “ ex lege una sicura bonifica, recisione e discontinuità ” rispetto al passato. Questa prospettazione risulta poi ripresa nel motivo rubricato “ 5 – Error in iudicando - Sulla portata applicativa delle ordinanze di Codesto Consiglio di Stato n. 5615/2022 e 5624/2022 ”, a pag. 40 dell’atto di appello (dove si richiamano a sostegno le ordinanze di questa Sezione 6 luglio 2022 ordinanza di rimessione all’Adunanza plenaria n. 5615/2022 del 6 luglio 2022 e n. 4718/2019, secondo le quali “ l’esito del controllo, se attestante l’intervenuta “bonifica” dell’impresa, potrebbe o dovrebbe determinare la revoca dell’interdittiva ”).
7.3.1. Anche questo argomento non persuade il Collegio, dal momento che il punto problematico, rilevato in modo non illogico dal Prefetto, si situa esattamente nel momento della restituzione del compendio aziendale alla famiglia che lo aveva precedentemente gestito in modo da suscitare (quanto meno e senz’altro) forti sospetti di connivenza con il clan malavitoso dominante nel territorio, sospetti poi dequotati in sede penale a vicende non penalmente rilevanti, o comunque non tali da inverare le gravi accuse di reati associativi e di reati fine inizialmente ascritti sia a -OMISSIS--OMISSIS- che a -OMISSIS--OMISSIS- e -OMISSIS-, ma comunque fattualmente tali da poter del tutto ragionevolmente fondare il convincimento, nell’Autorità di prevenzione, del possibile ripetersi di fenomeni di non trasparente esposizione a forme di condizionamento malavitoso. In ogni caso, ad avviso del Collegio la sottoposizione ad amministrazione giudiziaria (prima per sequestro penale, poi per sequestro preventivo) non equivale ex se a self cleaning ex artt. 6, 7 e 24- ter del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, o a una sorta di forma anticipata del nuovo istituto delle “ Misure amministrative di prevenzione collaborativa applicabili in caso di agevolazione ” di cui all’art. 94- bis introdotto nel codice delle leggi antimafia dall'art. 49, comma 1, del decreto-legge 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 dicembre 2021, n. 233.
7.3.2. Questa Sezione (sentenza 16 giugno 2022, n. 4912) ha peraltro avuto modo di chiarire che la conclusione favorevole del controllo giudiziario di cui all’art. 34- bis del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 non è di per sé ostativa a che il Prefetto, in sede di aggiornamento dell'informativa, possa confermare l’informativa antimafia disposta antecedentemente alla sottoposizione al controllo, poiché non può sostenersi che la pronuncia del giudice della prevenzione penale produca un accertamento vincolante o condizionante sul rischio di infiltrazione dell'impresa da parte della criminalità organizzata (Cons. Stato Sez. III, 4 febbraio 2021, n. 1049, 11 gennaio 2021, n. 319 e 16 giugno 2022, n. 4912). Del resto il giudizio di permeabilità e di esposizione alle infiltrazioni malavitose riguarda principalmente e direttamente le persone fisiche che hanno il controllo e la direzione gestionale e operativa dell’impresa, non il complesso aziendale in sé o l’attività d’impresa oggettivamente considerati. Non vi è dubbio che esistono settori “sensibili” e più esposti a quel tipo di condizionamento, ma il giudizio prognostico in funzione preventiva dell’Autorità prefettizia verte primieramente e soprattutto sulle persone titolari o gestori dell’impresa. In quest’ottica è evidente che la gestione commissariale, anche se protrattasi per un non breve lasso di tempo (e indipendentemente dai risultati operativi ed economici conseguiti), se può aver “bonificato” il compendio aziendale e introdotto metodi operativi migliori e più affidabili, non può per ciò solo tradursi in un conseguenziale mutamento di approccio e di atteggiamento di quelle persone fisiche che, in precedenza coinvolte in rapporti di contiguità soggiacente con l’organizzazione criminale (ancorché in termini penalmente non rilevanti, in quanto imprenditori vittime), ora tornano alla direzione e gestione dell’impresa.
7.3.3. Non risulta poi rilevante ai fini del decidere il richiamo, operato dalla parte appellante nel motivo svolto alla pag. 40 del ricorso introduttivo (motivo rubricato “ 5 – Error in iudicando - Sulla portata applicativa delle ordinanze di Codesto Consiglio di Stato n. 5615/2022 e 5624/2022 ”) all’ordinanza 6 luglio 2022 n. 5615/2022 con la quale questa Sezione ha rimesso all’Adunanza plenaria la questione “ se l’ammissione dell’impresa al controllo giudiziario, ai sensi dell’art. 34 bis, comma 6, del codice n. 159 del 2011, comporta che il giudice amministrativo – nel corso del giudizio di primo grado o di quello d’appello avente per oggetto la presupposta interdittiva antimafia – debba sospendere il giudizio, ai sensi dell’art. 79, comma 1, c.p.a., o debba rinviare l’udienza eventualmente già fissata ” (quesito al quale peraltro l’Adunanza plenaria ha dato di recente una risposta negativa: sentenze nn. 6 e 8 del 13 febbraio 2023).
7.4. Neppure appare rilevante sul piano del giudizio prognostico negativo formulato dalla Prefettura la circostanza, a dire della parte appellante trascurata dal Prefetto e dal T, per cui la società ricorrente avrebbe abbandonato il settore delle costruzioni edili dedicandosi ad attività di gestione del proprio patrimonio immobiliare con locazioni e produzioni di energia da fonti rinnovabili: sul piano statistico è forse vero che l’attività edilizia si annovera tra quelle più vulnerabili alla penetrazione mafiosa, ma non si può certo escludere che tale possa essere anche quella relativa alla produzione di energia da fonti rinnovabili. Quest’ultimo settore, anzi, richiedendo la conclusione di rapporti con il Gestore della rete di trasmissione nazionale e dando luogo all’accesso a corposi incentivi pubblici, si annovera naturalmente tra quelli per i quali l’acquisizione dell’informativa antimafia è doverosa.
8. Argomenti critici analoghi a quelli ora esaminati sono svolti nel punto 1.5 del ricorso (“ Sul difetto di motivazione della sentenza gravata – Sul travisamento dei fatti - Sulla carenza dei parametri dell’attualità e di concretezza del pericolo di condizionamento. Sulla completa estraneità da potenziali condizionamenti malavitosi del sig. -OMISSIS--OMISSIS- ”). Il T avrebbe ulteriormente errato “ laddove ha ritenuto che -OMISSIS- -OMISSIS-sia l’Amministratore di fatto della -OMISSIS- non valutando che dal 21.9.2020 l’Amministratore e socio unico della -OMISSIS- non è più -OMISSIS- -OMISSIS-ma -OMISSIS--OMISSIS- ”, che avrebbe reciso i suoi rapporti con la società già nel 2020.
8.1. Indipendentemente dalle espressioni usate nella sentenza di primo grado, ciò che rileva, a giudizio del Collegio, ai fini del superamento anche di questa contestazione, è il rilievo, già sopra svolto, per cui l’interdittiva antimafia impugnata si regge non già sull’asserito ruolo di “prestanome” del -OMISSIS--OMISSIS-rispetto al -OMISSIS--OMISSIS-, ma, come già sopra evidenziato, sul fatto che la contiguità con il clan malavitoso, accertata in fatto nella sentenza assolutoria penale, ha riguardato più in generale la “vita” aziendale nel suo complesso e dunque, sia pur indirettamente, lo stesso -OMISSIS--OMISSIS-, che figura anch’egli tra gli imputati in concorso nel ridetto processo penale. Da questo angolo di visuale appare immune dalle censure di parte appellante quanto sostenuto al riguardo dal T: “ Né rileva la circostanza che -OMISSIS--OMISSIS- non sia più titolare di quote sociali della società ricorrente, in quanto, comunque, il fenomeno estorsivo ha riguardato il gruppo -OMISSIS-nel suo complesso ”. Alla stessa stregua merita condivisione la replica formulata al riguardo nelle difese dell’Amministrazione, ove si è giustamente rimarcato come “ la Prefettura ha legittimamente e minuziosamente effettuato accertamenti sul conto di tutti i soggetti ritenuti in grado di incidere sulle scelte strategiche della società ricorrente ”. La stessa parte ricorrente del resto afferma (pag. 27 dell’atto di appello) che “ il sig. -OMISSIS- -OMISSIS-(oggi malato ed 80enne) è stato infatti amministratore della -OMISSIS- dalla sua costituzione nel 1982 fino al 2020, anche se i figli -OMISSIS- e -OMISSIS-ne sono stati soci lavoratori fin dal raggiungimento della loro maggiore età ”.
8.2. È peraltro nota la qui condivisa giurisprudenza della Sezione in tema di rilevanza dei rapporti di parentela (sentenze 26 aprile 2022, n. 3215, 2 gennaio 2020, n. 2, 24 aprile 2020, n. 2651, 26 febbraio 2019, n. 1349, 21 gennaio 2019, n. 515, 7 febbraio 2018, n. 820), ritenuti idonei a supportare il provvedimento interdittivo laddove assumano una intensità tale da far ritenere una conduzione familiare e una “regia collettiva” dell’impresa o allorquando tali rapporti, per la loro natura, intensità o per altre caratteristiche concrete, lascino ritenere, per la logica del “più probabile che non”, che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti), ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia.
9. Il secondo motivo di gravame è così rubricato: “ 2 – Error in iudicando – Sul difetto di motivazione della sentenza gravata – Ulteriori profili – Sul travisamento dei fatti – Sulla contraddittorietà con la sentenza della Corte d’Appello di Napoli n. -OMISSIS- ”. Qui la parte ricorrente contesta il fatto che la sentenza impugnata avrebbe attribuito un’ingiustificata importanza al fatto che -OMISSIS- -OMISSIS-fosse denominato “ o’ sergente e così indicato nei registri degli imprenditori taglieggiati ”. L’attribuzione del soprannome, come risulterebbe dalla motivazione della sentenza di assoluzione, era frutto casuale di una sorta di sistema di “cifratura” o di occultamento dei reali nomi delle imprese taglieggiate e accomunava dunque il -OMISSIS-ai tanti altri imprenditori dell’area di Marcianise taglieggiati dal clan -OMISSIS-.
9.1. La critica mossa nel ricorso in appello, che pure pone in luce un dato di fatto emergente dagli atti citati, non è comunque tale da viziare la sentenza appellata, la quale ha chiaramente motivato il rigetto del ricorso non già (e certo non solo) sul soprannome “o’ sergente”, ma sulla considerazione della peculiare natura, indubbiamente caratterizzata da forte intensità e continuità, dei rapporti intrattenuti dal -OMISSIS-con il clan malavitoso. Risulta chiaramente dagli atti – e non è contestato neppure in questo giudizio – il fatto che l’impresa -OMISSIS-era considerata tra le maggiori “tributarie” del gruppo criminale, insieme ad altre imprese di rilevanti dimensioni per volume d’affari, al punto che era lo stesso -OMISSIS--OMISSIS- a recarsi periodicamente nelle abitazioni delle mogli degli esponenti del clan -OMISSIS-per versare il dovuto, senza l'intermediazione di manovalanza malavitosa di basso rango e con esclusione di ogni forma di azione intimidatoria nei confronti dell’impresa -OMISSIS-, ormai considerata una sorta di contribuente “sicuro”, che doveva essere lasciato libero di poter lavorare. Tali circostanze sono state provate e affermate nel giudizio penale. Esse non sono state giudicate dal Giudice penale tali da costituire i reati contestati, ma restano acquisite e correttamente sono state valutate dal Prefetto sintomatiche di un potenziale rischio, ancora concreto e attuale, di condizionamento malavitoso.
10. Il terzo motivo di appello (rubricato: “ 3 – Error in iudicando – Sul difetto di motivazione della sentenza gravata – Ulteriori profili ”) critica il fatto che il T avrebbe erroneamente valorizzato la circostanza (in realtà ininfluente) che il passaggio di denaro (frutto di estorsione al Gruppo) fosse avvenuto tra il -OMISSIS-e le mogli del clan -OMISSIS-.
10.1. Anche questa doglianza risulta infondata e comunque irrilevante, giusta quanto già considerato nel precedente punto 9. Il fatto, inoltre, ricordato dalla parte appellante nel motivo in esame, per cui la riferita circostanza era dovuta all’obbligo del -OMISSIS-di “ pagare al Clan delle somme mediamente più alte degli altri imprenditori della zona con la convenienza dello stesso ad evitare mediazioni con gregari ”, lungi dall’indebolire, rafforza quanto sopra rilevato circa la particolare intensità e la specialità del rapporto di contiguità tra il gruppo imprenditoriale e quello malavitoso.
11. Il quarto motivo del ricorso in appello deduce censure di “ disparità di trattamento ai danni della odierna appellante . . . rispetto ai 350/400 nominativi di noti imprenditori casertani tutti riconosciuti come conclamate vittime delle estorsioni del Clan -OMISSIS- ”. Secondo la società ricorrente la Prefettura di Caserta avrebbe “ perpetrato una grave ingiustizia ed illegittimità allorché, a fronte di 350/400 imprenditori tutte vittime delle stesse estorsioni e tutte valutate allo stesso modo dal Giudice Penale (ovvero con assoluzione nonostante il documentato passaggio di danaro di tutti i detti imprenditori in favore del Clan -OMISSIS-) ha emesso interdittive antimafia 12 anni dopo il processo solo ai danni del Gruppo -OMISSIS- ”. Il motivo, deve aggiungersi, è indirettamente introdotto anche in diversi altri punti del ricorso introduttivo (ad es., a pag. 14 del ricorso in appello, ove si rileva che “ E’ chiaro infatti che le coordinate ermeneutiche espresse dal TAR Campania nella sentenza gravata, se correttamente applicate a tutti gli imprenditori vittime oltre che a quelli collusi con la criminalità organizzata, avrebbero dovuto comportare il sostanziale azzeramento di tutta la classe imprenditoriale casertana e marcianisana da parte della Prefettura di Caserta ”, o alla a pag. 20 dell’appello: “ Il Giudice della Corte di Appello di Napoli, 8° sezione penale, misura di prevenzione, a pag. 22, giustifica il comportamento del -OMISSIS--OMISSIS- limitatamente appunto agli anni precedenti al 2007, afferma infatti, che il timore di denunziare i camorristi ben può avere attanagliato il -OMISSIS-come tutti gli altri 300/400 imprenditori ugualmente vittime del clan -OMISSIS-che tali denunzie hanno parimenti omesso, senza perciò venire tacciati di complicità con la criminalità organizzata locale , oppure, ancora, nella pag. 33: “ Tra l’altro la superficialità/contraddittorietà posta in essere prima dalla Prefettura di Caserta e poi dal TAR è dimostrata dall’assenza di istruttorie e provvedimenti in capo alle società assegnate al 100% a -OMISSIS- -OMISSIS-(--OMISSIS-) così come a lui attribuite dal padre -OMISSIS- e dal fratello -OMISSIS-, che finora non hanno originato alcun sospetto di elusione di accertamenti di PG e non sono state colpite da alcuna interdittiva antimafia ”, o nella pag. 35: “ è appena il caso di notare che dei detti imprenditori facoltosi, solo il -OMISSIS-è stato successivamente raggiunto dalla informativa antimafia oggetto di gravame )”.
11.1. Il motivo in esame è inammissibile perché nuovo, non risultando dedotto in primo grado. Né – anche in questo caso – ricorre l’unica ipotesi nella quale, a termini dell’art. 104, comma 3, del codice del processo amministrativo, è consentita nel giudizio di appello la proposizione di motivi aggiunti.
11.2. Il motivo è comunque infondato nel merito, poiché la sottoposizione dell’impresa ricorrente alla qui contestata interdittiva antimafia non è nata per una libera iniziativa del Prefetto, ma risponde a una specifica richiesta del GSE o della ricorrente medesima, che evidentemente abbisognava della liberatoria antimafia per la stipula dei contratti con il GSE per la vendita di energia elettrica da fonte rinnovabile da essa società attualmente prodotta, o per altri scopi leciti. Non è dunque possibile stabilire un raffronto giuridicamente utile tra la posizione di essa impresa richiedente e quella delle altre imprese del territorio, anch’esse asseritamente già sottoposte al taglieggiamento malavitoso, chiamate a metro di raffronto, le quali potrebbero non aver ricevuto alcuna interdittiva antimafia anche per la semplice ragione di non averla mai richiesta (o perché nessuna pubblica amministrazione o gestore di pubblici servizi, tra i soggetti tenuti a richiedere le comunicazioni e le informazioni antimafia prima di contrattare con imprese private, l’hanno mai dovuta richiedere). In ogni caso la censura appare inammissibile e infondata anche perché, così come proposta, si traduce in un inammissibile controllo generalizzato sull’operato dell’Autorità di prevenzione: non è questa la sede, evidentemente, per sindacare il modo in cui l’Autorità prefettizia locale intende condurre e conduce le proprie funzioni di prevenzione dei fenomeni malavitosi o per esercitare una qualche forma di controllo generalizzato sui suoi indirizzi operativi.
12. Il quinto motivo (rubricato “ 4 – Error in iudicando – Sul difetto di motivazione della sentenza gravata – Ulteriori profili ”) sostiene che l’informativa e la sentenza gravata si fonderebbero anche sull’errata analisi dell’attuale assetto aziendale della -OMISSIS- e dei suoi professionisti (in particolare, sarebbe stata mal compresa la posizione del revisore unico della società ricorrente segnalato nell’informativa, dott. -OMISSIS-).
12.1. In realtà la posizione e il ruolo di questo collaboratore non sono presi in alcun modo in considerazione né nel provvedimento impugnato, né nella sentenza appellata. L’obiezione sollevata dalla società appellante risulta dunque irrilevante ai fini del decidere.
13. Aggiunge la società appellante che il T non avrebbe preso in considerazione la dedotta irrilevanza ai fini interdittivi della sentenza di condanna del 1992 irrogata al -OMISSIS--OMISSIS-, trattandosi di condanna risalente a quasi trent’anni fa per un reato minore (con condanna a 4 mesi di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale della pena).
13.1. Anche in questo caso, non si comprende quale rilevanza possa avere questa contestazione, posto che la stessa parte ricorrente dichiara che “ della sostanziale irrilevanza della pronuncia in parola sembra essere consapevole sia il Gruppo GIA, che non la richiama nemmeno nel proprio verbale, sia la stessa Prefettura che non ne fa alcuna menzione, nemmeno per relationem, all’interno del provvedimento impugnato ”. Così stando le cose, risulta evidente l’irrilevanza anche di questo profilo, ai fini del decidere.
14. Con la censura denominata “ 4.2– Omessa ovvero insufficiente motivazione – Ulteriori profili ” la parte appellante ripropone sostanzialmente i rilievi critici già proposti e sopra esaminati circa l’assenza di attualità e concretezza del ritenuto pericolo di esposizione dell’impresa a tentativi di infiltrazione e condizionamento da parte della malavita (“ Dai motivi sopra citati emerge che nessun elemento concreto di valutazione negativo od ostativo è stato addotto dal GIA e indicato nelle note informative delle Forze dell’Ordine a carico specifico della -OMISSIS-, pur considerata in ogni articolazione del suo attuale organigramma ai sensi dell’art. 85 d.lgs. 159/2011. Risulta peraltro particolarmente significativa la circostanza per cui non vi è alcun rilievo da parte della Prefettura in ordine all’odierna compagine societaria così come altrettanto significativo è il silenzio serbato sul punto dalla sentenza gravata ”).
15. Il sesto motivo di appello (“ Error in iudicando - Sulla illegittimità derivata del provvedimento del GSE prot. n. 31900 del 22.11.2021 che ha disposto la risoluzione delle convenzioni in essere con la ricorrente ”) contesta il provvedimento del GSE di risoluzione dei rapporti in corso con la società ricorrente. Argomenta la parte appellante facendo rilevare che tali rapporti erano stati attivati dai custodi giudiziari che nell’anno 2012 si erano fatti autorizzare dal Tribunale penale investimenti per la costruzione di impianti fotovoltaici con le liquidità di tutte le società del gruppo -OMISSIS-per euro 2.500.000,00.
15.1. L’argomento non è convincente. Anche in questo caso, come già sopra rilevato, la verifica antimafia si è resa necessaria non già rispetto alla gestione commissariale, bensì rispetto al ritorno nella responsabilità gestionale dei soggetti originari, a vario titolo, come detto, coinvolti nel rapporto, oggettivamente esposto a rischi di permeabilità, con la malavita organizzata locale. Il fatto, dunque, che i rapporti con il GSE siano stati autorizzati dal Tribunale e attivati dai custodi giudiziari non inficia in alcun modo la validità degli atti di ritiro qui impugnati, che costituiscono peraltro esiti vincolati e dovuti dell’informativa interdittiva.
16. Sotto un ultimo profilo, parte appellante torna a contestare anche la validità del provvedimento dell’ANAC (“ 4.2 – Sulla illegittimità derivata del provvedimento dell’ANAC del 3.11.2021 ”) di iscrizione dell’informativa antimafia a carico della ricorrente nel Casellario informatico. Il motivo è inammissibile, perché non deduce alcuna critica alla sentenza appellata riguardo al punto di doglianza in esame e si limita a riproporre la contestazione proposta in primo grado. Esso è peraltro infondato stante la natura dovuta e vincolata dell’atto, di contenuto puramente ricognitivo.
17. Quanto all’avvenuta adozione da parte della società ricorrente, in data 1 febbraio 2023, come riferito nella memoria di replica in data 16 febbraio 2023, del modello organizzativo ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001, parte generale, parte speciale, codice etico, modello antimafia, manuale delle procedure, con la nomina dell’Organismo di vigilanza per l’anno 2023, nonché circa l’avvenuta presentazione in data 6 febbraio 2023 di un’istanza di ammissione al controllo giudiziario ex art. 34- bis , comma 6, del d.lgs. n. 159 del 2011 presso al Tribunale di-OMISSIS--, Sezione misure di prevenzione, il Collegio osserva da un lato che si tratta di vicende successive all’adozione del provvedimento impugnato che, come tali, sono ininfluenti ai fini del presente giudizio, dall’altro lato che l’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato, con le sentenze nn. 6 e 8 del 13 febbraio 2023, rispondendo ai quesiti sollevati da questa Sezione con le ordinanze 6 giugno 2022, n. 4578 e 6 luglio 2022, nn. 5615 e 5624, ha condiviso la tesi dell’autonomia dei procedimenti, già espressa da questa stessa Sezione con la sentenza 19 maggio 2022, n. 3973, ed ha enunciato il seguente principio di diritto: “ la pendenza del controllo giudiziario a domanda ex art. 34-bis, comma 6, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, non è causa di sospensione del giudizio di impugnazione contro l’informazione antimafia interdittiva ”.
18. Naturalmente l’impresa ricorrente, anche alla luce delle misure di self cleaning adottate, potrà nuovamente chiedere alla competente Prefettura una valutazione aggiornata della persistente sussistenza delle ragioni ostative riconosciute con il provvedimento in questa sede gravato, atteso che, come ricordato dalla Corte di cassazione, Sez. I pen., 10 novembre 2022, n. 42646 (richiamata nelle ora citate pronunce della Plenaria), la definitività dell’interdittiva « non determina (…) la stabilità ed intangibilità dell’interdizione precludendo sine die all’azienda di contrattare con l’Amministrazione », poiché, al contrario, essa presenta una « natura necessariamente provvisoria e temporanea ».
19 L’appello, in conclusione, deve essere respinto.
20. Sussistono giusti motivi per disporre l’integrale compensazione tra le parti le spese del presente giudizio.