Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-03-18, n. 202001935

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-03-18, n. 202001935
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202001935
Data del deposito : 18 marzo 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/03/2020

N. 01935/2020REG.PROV.COLL.

N. 07283/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7283 del 2017, proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dal Ministero dell'Economia e delle Finanze e dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in persona dei rispettivi legali rappresentati pro tempore , rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domiciliano ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;



contro

la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato E V, con domicilio eletto presso l’Ufficio di gabinetto della Regione, in Roma, piazza Colonna, n. 355;



nei confronti

del Comune di Trivignano Udinese e del Comune di Majano, non costituitisi in giudizio;



per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio n. 3400 del 2017.


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore alla pubblica udienza del giorno 13 febbraio 2020 il consigliere S M;

Uditi l’avvocato E V e l’avvocato dello Stato Eugenio De Bonis;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.




FATTO e DIRITTO

1. La Regione Friuli Venezia Giulia si costituiva innanzi al TAR per il Lazio, ai sensi e per gli effetti dell’art. 10 d.P.R. n. 1199 del 1971, per la prosecuzione del giudizio conseguente alla trasposizione del ricorso straordinario proposto ai sensi dell’art. 48 c.p.a avverso l’atto del Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, Ispettorato Generale per i Rapporti Finanziari con l’Unione Europea, del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che in data 1° aprile 2016 aveva notificato la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, emessa in data 2 dicembre 2014, in esito alla causa C – 193/13, con la quale la Repubblica Italiana è stata condannata al pagamento di una somma forfettaria iniziale di 40 milioni di euro ed a penalità finanziarie semestrali fino al completo superamento della situazione di non conformità alla normativa europea delle discariche “abusive” situate nel territorio italiano.

Per dare esecuzione a tale sentenza, il Ministero dell’Economia e delle Finanze aveva provveduto, nel corso dell’anno 2015, a pagare l’importo della sanzione iniziale di 40 milioni di euro, oltre ad 85.589,04 a titolo di interessi di mora, e della prima penalità semestrale pari a 39,8 milioni di euro, a titolo di anticipazione ai sensi dell’art. 43, comma 9 bis , della legge n. 234 del 2012, salvo rivalsa a carico delle amministrazioni responsabili delle violazioni censurate dalla Corte di Giustizia Europea.

Ai fini della procedura di rivalsa, l’amministrazione aveva effettuato l’imputazione delle penalità già pagate tra le discariche interessate sulla base degli elementi desumibili dalla sentenza della Corte di Giustizia che attribuisce una penalità di 400.000 euro per le discariche contenenti rifiuti pericolosi e 200.000 euro per quelle con rifiuti non pericolosi.

In esito a tali analisi, alle discariche situate nel territorio della Regione Friuli Venezia Giulia sanzionate dalla Corte di Giustizia UE risultava imputato l’importo complessivo di euro 764.670,50, rispetto alle penalità complessivamente anticipate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, importo che avrebbe dovuto essere reintegrato ai sensi del citato art. 43, comma 9 bis, della legge n. 234 del 2012.

Pertanto, ai fini del raggiungimento dell’intesa sulle procedure di recupero degli importi anticipati dallo Stato, come previsto dall’art. 43, comma 7, della legge n. 234 del 2012, l’amministrazione statale invitava la Regione Liguria, quale responsabile in solido con i Comuni di Muggia, Trivignano Udinese e Majano, ai sensi dell’art. 250 del d.lgs. n. 152 del 2006, a voler concordare con gli enti locali le modalità attraverso le quali provvedere al suddetto reintegro che, in base alla normativa vigente, può avvenire anche mediante compensazione, fino a concorrenza dei relativi importi, con altri trasferimenti dovuti dallo Stato.

Il Ministero aveva concluso che, decorso il termine di 90 giorni senza alcuna indicazione in merito alle modalità di reintegro, si sarebbe proceduto al recupero delle risorse in questione a carico dei singoli Enti interessati ai sensi della normativa vigente.

2. In primo grado, la Regione articolava le censure così sintetizzate dal TAR:

- la procedura di recupero attivata dal Ministero che assegna alla Regione un termine di 90 giorni era in contrasto con le disposizioni previste dell’art. 43, comma 7, legge n. 234 del 2012;

- il Ministero dell’Ambiente ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze non avrebbero condotto alcuna istruttoria, sito per sito, sulle eventuali responsabilità dei singoli enti territoriali in punto di violazioni del diritto dell’Unione alla luce della normativa nazionale e regionale del settore, mentre l’Autorità statale si sarebbe limitata ad individuare come astrattamente responsabili Regione e Comuni sulla base dell’art. 250 d.lgs. n. 152 del 2006;

- una corretta analisi avrebbe evidenziato, con riferimento a due discariche del Friuli Venezia Giulia, che le medesime erano state sanzionate in quanto mancanti del provvedimento formale di chiusura ai sensi dell’art. 14 della direttiva 1999/31 e non in quanto discariche abusive costituenti siti da bonificare:

- sulla base della normativa regionale, la competenza ad adottare i provvedimenti sarebbe propria della Provincia, e non di Regione/Comuni;

- il MEF non avrebbe riconosciuto alcuna parte di responsabilità allo Stato nonostante quanto sottolineato dalla Corte di Giustizia circa una carenza di sistema nella gestione della materia rifiuti, di competenza legislativa esclusiva dello Stato;

- la circostanza che la sentenza europea preveda una sanzione forfettaria non potrebbe tradursi, internamente, in una mera divisione matematica per numero di discariche;

- alle Regioni/Comuni sarebbe stato imputato anche il ritardo dello Stato nel pagamento della penalità.

3. Si costituivano in giudizio anche i Comuni di Muggia, Trivignano Udinese e Majano, concludendo per l’accoglimento del ricorso.

4. Il TAR:

- ha dichiarato inammissibile la costituzione in giudizio dei Comuni di Muggia, Trivignano Udinese e Majano perché, in quanto soggetti direttamente lesi dal provvedimento gravato, detti Comuni, al pari della Regione ricorrente, avrebbero dovuto proporre il ricorso giurisdizionale in via autonoma;

- nel merito, ha accolto il ricorso e annullato gli atti impugnati.

5. La sentenza è stata impugnata dalla Presidenza del Consiglio, dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e dal Ministero dell’Ambiente, i quali hanno dedotto:

I) Violazione degli artt. 100 cod. proc. civ. e 39 c.p.a.. Omessa declaratoria dell’inammissibilità del ricorso, per carenza di interesse, in quanto diretto contro atto non provvedimentale .

L’Avvocatura dello Stato ha ricordato, in primo luogo, che relativamente al caso della rivalsa conseguente alle sentenze di condanna della Corte di Giustizia dell’Unione europea, con l’art. 4- bis del decreto-legge 5 gennaio 2015, n. 1, introdotto dalla legge di conversione 4 marzo 2015, n. 20, era stato inserito un nuovo comma, il 9- bis , nel detto art. 43, il quale non stabiliva più che l’emissione dei provvedimenti di recupero dovesse avvenire previa intesa con gli enti interessati, così come originariamente previsto dal (mai abrogato) comma 7 del medesimo art. 43.

Successivamente però, con due interventi normativi in rapida successione, questo comma è stato modificato due volte.

L’art. 43, comma 9- bis , è stato, infatti, dapprima modificato dall’art. 9, comma 8, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito con l. 6 agosto 2015, n. 125 e, poi, integralmente sostituito dall’art. 1, comma 813, dalla legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016), per effetto del quale la disposizione impugnata ha assunto il seguente tenore: « Ai fini della tempestiva esecuzione delle sentenze di condanna rese dalla Corte di giustizia dell’Unione europea ai sensi dell’articolo 260, paragrafi 2 e 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, al pagamento degli oneri finanziari derivanti dalle predette sentenze si provvede a carico del fondo di cui all’articolo 41-bis, comma 1, della presente legge, nel limite massimo di 50 milioni di euro per l’anno 2016 e di 100 milioni di euro annui per il periodo 2017-2020. A fronte dei pagamenti effettuati, il Ministero dell’economia e delle finanze attiva il procedimento di rivalsa a carico delle amministrazioni responsabili delle violazioni che hanno determinato le sentenze di condanna, anche con compensazione con i trasferimenti da effettuare da parte dello Stato in favore delle amministrazioni stesse ».

Con sentenza n. 147 del 2016, la Corte costituzionale ha chiarito che il nuovo comma 9- bis deve essere « letto unitamente al comma 7 dello stesso art. 43, il quale prevede che i decreti ministeriali emanati al fine di stabilire la misura degli importi dovuti allo Stato a titolo di rivalsa, “qualora l’obbligato sia un ente territoriale, sono emanati previa intesa sulle modalità di recupero con gli enti obbligati ».

In sintesi, risulta confermato che

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