Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2010-12-03, n. 201008501
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N. 08501/2010 REG.SEN.
N. 11357/2001 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 11357 del 2001, proposto dall’avv. F S, nella veste di curatrice dell’eredità giacente di T F, rappresentata e difesa dall’avv. A A, con il quale è elettivamente domiciliata presso l’avv. Gian Luca Marucchi, Roma, via Barberini, 86;
contro
Regione Toscana, in persona del Presidente pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti L B, F C, dell’avvocatura regionale, nonchè dall’avv F L , presso il cui studio in Roma, via del Viminale n.43 è elettivamente domiciliato;
Regione Toscana in persona del Presidente in carica, in qualità di successore universale del Commissario ad acta per la realizzazione dell’opera di risanamento dell’area denominata Metalcromo, rappresentata e difesa dagli avv. L B, F C, con domicilio eletto presso F L in Roma, via del Viminale, 43;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. TOSCANA - FIRENZE: SEZIONE I n. 02048/2000, concernente realizzazione opere di disinquinamento e risanamento ambientale area denominata Metalcromo.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Toscana nella duplice veste sopra riportata;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 ottobre 2010 il cons. S A e uditi per le parti gli avvocati Roberto Colagrande in sostituzione di A A, F L in proprio e in delega di L B;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La sentenza in epigrafe, riuniti i cinque ricorsi (nn.ri 942/1991-1218/1991-434/1995-1547/1997-129071998) proposti al T.a.r. della Toscana da Faustino T nella sua veste di proprietario dell’area e dei locali, situati in Comune di Barberino Val D’Elsa, dove ha svolto la sua attività fino al 1990 la ditta Metalcromo di Silvano C,deceduto nello stesso anno, ha dichiarato improcedibili i primi due per carenza sopravvenuta d’interesse e respinto i successivi.
Dette azioni d’annullamento di T F, oggi deceduto ed al quale è subentrato il curatore dell’eredità giacente in epigrafe, hanno ad oggetto i provvedimenti adottati dalle autorità locali per intervenire in Barberino Val D’Elsa, al fine di contrastare la situazione di rischio ambientale e sanitario, grave anche per la vicinanza di due torrenti Bozzone e Drove (che alimentano i pozzi per uso idropotabile di Comuni vicini), causata dalla penetrazione nel suolo, nel sottosuolo e nella falda idrica, di sostanze altamente tossiche (a base di cromo e cianuro) utilizzate dalla Metalcromo, il cui impianto era situato in area di proprietà del predetto ricorrente.
Ciò ha comportato la necessità di procedere ad una bonifica ampia ed integrale del sito, con asportazione del terreno inquinato (c.d.“scorticamento), per evitare effetti che per la loro estensione avrebbero potuto interessare un territorio più vasto di quello comunale.
In tale contesto, il sindaco del Comune di Barberino Val d’Elsa, sulla premessa che la Regione aveva provveduto ad inserire l’area in questione nel piano regionale dei siti inquinati (delib..Cons. reg. n.167/1993), ha, prima, adottato l’ordinanza n.17 del 1991 (impugnata con il primo ricorso), chiedendo al T di procedere al disinquinamento ex art.6 della legge regionale toscana n.29/1993, e successivamente, essendo quest’ultimo rimasto inadempiente, con ordinanza n.28 dello stesso anno( impugnata con il secondo ricorso), ha disposto l’esecuzione d’ufficio delle opere necessarie alla bonifica, intimando al T di consentire l’accesso degli addetti a compiere le conseguenti operazioni.
Come previsto dalle norme della sopra citata legge regionale n.29 del 1993, la Regione Toscana, a causa dell’inadeguatezza e dell’ insufficienza delle risorse tecnico-finanziarie a disposizione del Comune di Barberino per poter procedere alla bonifica ed alla messa in sicurezza del sito, interveniva direttamente nella vicenda , adottando il decreto presidenziale n.1776 del 1994, (impugnato con il terzo ricorso ), con il quale, rilevata la vastità del danno ambientale, veniva di nuovo intimato al T di eseguire (in solido con il curatore dell’eredità giacente del C titolare della Metalctomo) l’intervento di disinquinamento.
Verificatasi ancora una volta l’inerzia del suddetto intimato, veniva nominato un Commissario ad acta il quale con decreto n.15 del 1996, approvava il progetto di intervento di bonifica ed il relativo capitolato d’appalto dei lavori a tal fine necessari, e disponeva l’occupazione d’urgenza delle aree interessate (provvedimenti impugnati con il quarto ricorso).
Infine, con decreto n.40 del 1997, lo stesso Commissario disponeva , l’espropriazione dei beni di proprietà del T, che di esso chiedeva l’annullamento (quinto ricorso).
Come già anticipato, il giudice di primo grado ha dichiarato l’improcedibilità dei due ricorsi aventi ad oggetto i provvedimenti del sindaco di Barberino Val d’Elsa, ai quali il T non ha dato seguito, per carenza sopravvenuta d’interesse all’annullamento essendo ad essi sopravvenuti, per le ragioni già accennate, i provvedimenti della Regione Toscana.
I ricorsi proposti per l’annullamento degli atti regionali sono stati invece, integralmente respinti con ampia motivazione, avendo il primo giudice ritenuto non fondate sia le censure riguardanti i rilevati vizi procedimentali, sia quelle con le quali il T ha sviluppato la tesi dell’assenza,sotto ogni profilo,della sua responsabilità nella determinazione dell’inquinamento in questione, addossandola integralmente alla ditta Metalcromo, rimarcando che a tenore delle norme nazionali e regionale in vigore all’epoca del fatto, il proprietario dell’area sulla quale è localizzato l’impianto non può essere chiamato a rimuovere un danno ambientale che è stato provocato da altri.
Quest’ultimo è senza alcun dubbio il profilo di maggior rilievo nella vicenda all’esame, come indiscutibilmente emerge dalle censure che sorreggono il gravame non meno che dalla memoria depositata dall’appellante in prossimità dell’udienza di discussione, con cui vengono contestati tutti gli argomenti spesi al riguardo dal primo giudice, trascurando del tutto la dichiarazione d’improcedibilità del primo e secondo ricorso di primo grado, in ordine alla quale quindi deve affermarsi essere intervenuto il giudicato.
Argomenti che hanno, invece, ricevuto il pieno consenso della Regione Toscana, la cui esposizione difensiva si è conclusa, invero, con la richiesta della conferma della sentenza impugnata.
All’udienza, su richiesta dei difensori delle parti costituite, la causa è passata in decisione.
La rilevanza del profilo riguardante la responsabilità del T nella determinazione dell’inquinamento, oggetto dei provvedimenti impugnati in primo grado, induce il Collegio ad esaminare tale aspetto, e le relative censure, con priorità rispetto alle altre che sorreggono il gravame, anche al fine di rendere più agevole la disamina di quest’ultime, in verità, assai minuziosamente articolate.
Il primo giudice è giunto alla affermazione dell’obbligo del T di procedere alla bonifica, quale proprietario del compendio utilizzato dalla Metalcromo, il cui titolare come detto è deceduto, e la cui eredità non è stata accettata dagli aventi diritto, avvalendosi di molteplici argomenti, che il Collegio condivide integralmente e che in questa sede meritano d’essere confermati anche a fronte delle censure prodotte.
Rileva invero correttamente il primo giudice che il decreto del Presidente della Regione Toscana n.1766 del 1994 con il quale è fatto obbligo, in solido tra di loro, tanto all’appellante che al curatore dell’eredità giacente del defunto titolare della ditta Metalcromo, quale subentrante al soggetto “inquinatore”, di eseguire interventi “urgenti” di bonifica dell’area in cui quest’ultima ha svolto la sua attività, è stato adottato a tenore dell’art.6 della legge regionale n.23/1994, e che è da ritenere legittimo anche nella parte in cui pone l’onere di essa a carico del T quale proprietario responsabile dell’inquinamento.
A supporto di quest’ultimo aspetto il primo giudice ha richiamato sia la legislazione nazionale antecedente al detto decreto regionale (d.p.r. n.915/1982;legge n.441/1987) e che quella successiva (d.l.gs. n.22/197), la cui uniforme applicazione è avvenuta con il contributo della giurisprudenza (Cass. III, 29.03.1999 n.2963).
In seno a tale impostazione il primo giudice ha anche osservato che lo stabilimento della Maltacromo, dopo la morte del suo titolare, doveva considerarsi senz’altro nella disponibilità del T;e poiché gli effetti dell’attività inquinante sono durati ben oltre il 1990, data di cessazione dell’attività dello stabilimento, va esclusa anche l’illegittimità costituzionale dell’art.6 della legge regionale n.29/1993, dedotta in relazione alla applicazione retroattiva che ne avrebbe fatto la Regione Toscana con l’impugnato decreto n.1766/1994.
D’altra parte, ha chiarito il giudice di prime cure, l’onere della bonifica non rappresenta una sanzione amministrativa, essendo essenzialmente finalizzato a rimuovere lo stato di pericolo per l’ambiente e di allarme per l’incolumità pubblica dovuto al grave inquinamento.
Come già anticipato, il T ha contestato ogni sua colpa in ordine all’inquinamento ambientale in questione ed ha ritenuto da escludere, se non procedendosi ad una illegittima applicazione retroattiva della legge regionale n.29/1993, che su di esso, come proprietario, potesse ricadere l’onere della bonifica, non essendovi alcuna previsione al riguardo a tenore delle leggi statali vigenti all’epoca in cui l’inquinamento è avvenuto;e tanto ha ribadito in questa sede, con argomenti non dissimili da quelli utilizzati in primo grado, seppure modulati diversamente, per adeguarli agli argomenti della sentenza impugnata.
Gli argomenti dell’appellante non possono essere condivisi.
In tale ambito, ad avviso del Collegio, occorre anzitutto porre in evidenza che la cromatura e la galvanizzazione dei metalli esercitata dalla Metalcromo è notoriamente tra le attività più inquinanti ed al tempo stesso tra quelle poco diffuse, proprio a causa della pericolosità per l’ambiente e per gli addetti, che con le sostanze impiegate ( il cromo ed il cianuro in particolare) possono venire a contatto..
Sulla base di tale non discussa premessa, va aggiunto che la presenza di una ditta come la Metalcromo, con le descritte caratteristiche, singolari e però al tempo stesso necessarie, doveva essere, ad avviso del Collegio, sicuramente nota nel contesto territoriale in cui era concretamente localizzata, essendosi svolta in un comune di non grandi dimensioni qual è quello di Barberino Val D’Elsa.
La conoscenza di tale pericolosità non poteva mancare del resto neppure al T, che, peraltro e pacificamente, aveva la sua abitazione nei pressi dell’impianto, ed era stretto parente del titolare della Metalcromo, al quale, ciò nonostante, senza alcuna formalità, tanto meno se diretta a separare le proprie responsabilità, ha consentito l’uso gratuito dell’area e del capannone che ospitava l’impianto.
Ad avviso del collegio, non è poi irrilevante osservare, nella prospettiva di una più incisiva affermazione della responsabilità del T, che dagli atti di causa non risulta che la gestione della Metalcromo fosse connessa ad una utilizzazione dell’impianto diversa da quella preesistente, ed oggetto dell’uso gratuito.
Nella descritta situazione, ad avviso del Collegio, ricorrono quindi le condizioni per affermare che tra la Metalcromo ed il T , sussistesse un rapporto di comodato ( art.1804c.c. ), in particolare nella forma di un precario(art.1810 c.c.), avente ad oggetto uno stabilimento artigianale, utilizzabile senza limiti di tempo.
Consegue,ancora, che la responsabilità per colpa del T per il grave inquinamento ambientale di cui si discute, è configurabile in forza dei principi generali in tema di responsabilità per violazione del neminem ledere, che ricade, al pari di quanto accade per la figura giuridicamente vicina del locatore, anche sul comodante proprietario dell’immobile, che di questo abbia consentito ad altri un uso da cui sono derivati danni a terzi.(.Cass. Sez. II 9 giugno 2010 n.13881)
Deve escludersi, inoltre, ad avviso del Collegio, che all’iniziativa del T fosse di ostacolo l’affermata indisponibilità dello stabilimento dopo la morte del titolare della Metalcromo, posto che “in caso di morte del comodatario , il comodante ,……può esigere dagli eredi la immediata restituzione della cosa” (art.1811 c.c.);ciò permette di sottolineare che dal comodato nasce un diritto personale di godimento, ragione per la quale il bene che ne è oggetto in nessun caso entra nell’eredità del defunto che l’aveva in uso.
E ciò consente anche di aggiungere che del compendio in parola il T ha sempre avuto non solo la disponibilità giuridica, ma anche quella di fatto, posto che la sua abitazione si trovava, come detto, nelle vicinanze dello stabilimento e che tutti i beni utilizzati dalla Metalcromo, del cui titolo all’uso s’è detto, erano sin dall’origine di sua proprietà, ovvero, tali lo sono divenuti, in assenza di prova contraria, per accessione (art.954 c.c).
Nulla quindi poteva impedire al T, ad avviso del Collegio, di svolgere un controllo sul non corretto esercizio dell’attività d’impresa da parte della Metalcrono, ovvero nulla impediva di contrastare la mancata adozione di interventi, peraltro neppure troppo costosi e tecnicamente di facile realizzazione, quale una pavimentazione utile a rendere il suolo impermeabile, necessari ad evitare o quanto meno ridurre l’alto rischio dell’inquinamento ambientale derivante dalla infiltrazione nel suolo delle dette pericolose sostanze tossiche.
Dalle ragioni del comportamento omissivo del T, sopra esposte, discende la conferma della legittimità dell’onere della bonifica accertato con l’impugnato decreto regionale n.1766/1994, che dunque resiste a tutte le censure ad esso rivolte, inerenti ai profili sopra esaminati, ivi inclusa quella, dai risvolti più delicati, riguardante l’illegittima retroattività della legge regionale toscana n. 29 /1993, avendo lo stesso appellante, del resto, riconosciuto che tale ritenuta applicazione retroattiva non trova comunque ostacoli ove il proprietario del bene da cui è scaturito l’inquinamento ambientale sia colpevole per comportamento omissivo, ed è dunque corresponsabile del fatto con l’inquinatore, quando quest’ultimo sia un soggetto diverso dal primo.
Vanno respinte, in particolare, le censure contenute nel terzo, quarto e quinto motivo del gravame, con cui l’appellante ha svolto i profili inerenti all’esclusione di ogni sua responsabilità.
Riprendendo l’ordine di svolgimento delle censure osservato nel gravame si deve procedere all’esame del primo dei motivi dedotti.
Viene dedotta l’illegittimità del decreto n.1766/1994, come detto contenente l’ obbligo di procedere alla bonifica con accollo dei relativi gli oneri, per l’omesso avviso d’inizio del procedimento di cui all’ art.7 l.n.241/1990.
A fronte di quanto dedotto dall’appellante al riguardo, ad avviso del Collegio, meritano conferma le argomentazioni di cui s’è avvalso il primo giudice, laddove ha richiamato la possibilità di omettere l’adozione di tale avviso in caso di urgenza, nel decreto in parola del resto testualmente evocata. (CdS, Sez. VI -10 settembre 2009 n.5439)
Il decreto in parola va considerato, ai sensi dell’art.6 della legge regionale n.29 /1993, come atto di un unico procedimento polistrutturato, iniziato con gli atti del sindaco del Comune di Barberino Val d’Elsa, nei quali già si poneva l’onere di bonificare la zona interessata dall’inquinamento a carico dell’appellante, che da quest’ultimo erano ben conosciuti, avendoli impugnati.
In ossequio ad una visione non formalistica della funzione assolta da tale invocato avviso (visione formalistica del resto oggi definitivamente superata),, prima sotto l’impulso della giurisprudenza e poi dalla stessa norma di legge sopravvenuta, può ben affermarsi, dunque, che tale funzione sul piano sostanziale nei riguardi dell’appellante è stata fatta salva, alla luce del concreto svolgimento procedimentale in cui il decreto impugnato deve essere inserito, (T.a.r. Sardegna, 5 novembre 2009, n.1615).
Né può rilevare, in contrario, invocandosi il principio dell’autolimitazione procedimentale, che un preavviso venne comunque inviato dalla Regione Toscana, seppure illegittimamente, dopo e non prima dell’adozione del decreto in esame.
Appare, al riguardo del tutto evidente che tale invio è avvenuto non già per scelta autonoma in favore del T, bensì nell’errato convincimento della Regione che tale adempimento fosse, nella fattispecie, obbligatorio, e dunque in base ad una presupposto senz’altro errato, con la conseguenza che dal ricordato invio tardivo non possono scaturire le conseguenze invocate con la censura in esame.
Il primo motivo di ricorso va quindi respinto.
Con il secondo dei motivi proposti parte appellante lamenta che illegittimamente è stato posto a suo carico l’onere della bonifica senza inserire la zona interessata nel piano di bonifica previsto dall’art.2 della già citata legge regionale n.29.
Ha spiegato, in proposito, il giudice di primo grado che tale lamentata omissione non sussiste, avendo la Regione Toscana provveduto all’inserimento richiesto dall’appellante con deliberazione del Consiglio regionale del 20 aprile 1993, n.167.
E’ vero che di tale deliberazione non v’è menzione nell’impugnato decreto n.1766/1993, ma ciò, al contrario di quanto sostiene l’appellante, non determina alcuna illegittimità, posto che per l’effetto si verifica soltanto l’omissione di un elemento di giustificazione all’adozione del decreto, in sé insuscettibile di illegittimità, ancor più se per difetto di motivazione( CdS Sez. VI , 19 marzo 1992 n.174).
Il secondo dei motivi di gravame va quindi respinto.
Poiché dei motivi di gravame terzo, quarto e quinto s’è già detto, si può procedere all’esame del sesto motivo.
Con quest’ultima censura parte appellante si duole che la nota del 4 febbraio 1997 del Commissario ad acta, nominato per procedere alla bonifica in via sostitutiva, nota recante la comunicazione dell’avvio del procedimento espropriativo delle aree inquinate, è stata adottata dopo e non prima del decreto d’occupazione d’urgenza di cui al decreto del medesimo Commissario n. 21 del 14 gennaio 1997.
Il motivo è infondato.
Quest’ultimo decreto, infatti, non deriva dall’antecedente decreto commissariale n.15 del 1996, adottato ai sensi dell’art.8 della richiamata legge regionale n.29, e contenente l’approvazione del progetto di bonifica, con effetto di dichiarazione implicita di pubblica utilità dell’opera pubblica, consistente nell’area disinquinata per effetto dei lavori di disinquinamento, e propedeutico, come in seguito si dirà, all’adozione successivo decreto di espropriazione.
In linea con quanto ritenuto dal primo giudice, va ribadito allora che il decreto di occupazione d’urgenza in parola non essendo atto della procedura espropriativa non avrebbe dovuto essere preceduto da preavviso, essendo, piuttosto, un provvedimento meramente consequenziale all’inadempimento dell’obbligo di effettuare la bonifica da parte del T (art.6 l.r.n.29), la cui urgente attuazione era indiscutibile e già affermata con il decreto presidenziale n.1766/1994.
Un preavviso è dalla legge n.23 /1993 previsto prima dell’esproprio dell’area interessata dai lavori di disinquinamento successivi alla sua occupazione in via d’urgenza preordinata alla bonifica, che, infatti, correttamente, il Commissario ad acta ha inviato all’appellante con la nota del 4 febbraio 1997.
Il motivo (sesto) va quindi respinto.
Con il settimo motivo l’appellante deduce nuovamente l’illegittima retroattività attribuita dalla Regione alla legge n.23 /1994 per inferirne la responsabilità del T in veste di proprietario del bene.
Per questo aspetto, questo giudice ha già espresso il proprio avviso nell’esame, con esito negativo, delle antecedenti censure (motivi III,IVeV, ) recate dal gravame.
Non avendo l’appellante sviluppato argomenti nuovi, non vi sono ragioni per non confermare quanto già esposto.
Nell’ambito del motivo in esame l’appellante pone, però, in rilievo che il giudice di primo grado ha “dimenticato” di esaminare la censura riguardante l’inefficacia dell’ordinanza sindacale n.17 del 1991, con cui il Sindaco di Barberino Val d’Elsa ha ingiunto al T di provvedere allo smaltimento dei rifiuti tossici, conseguente all’accoglimento della domanda cautelare di sospensione, così determinando, a dire dell’appellante, l’insussistenza dell’inadempimento, ritenuto, tuttavia, dalla Regione il necessario presupposto del successivo intervento sostitutivo del Commissario ad acta , del quale andrebbe affermata quindi l’integrale illegittimità.
Il Collegio rileva che l’argomento dell’appellante non considera che il giudizio (promosso con il ricorso di primo grado n.1547/1997) in cui è stata pronunciata l’ordinanza cautelare predetta è stato definito, come già rilevato, con decisione di rito, recante dichiarazione d’improcedibilità per sopravvenuta carenza d’interesse, ed è divenuto quindi cosa giudicata per assenza d’impugnazione.
Non è stata dunque pronunciata decisione di merito recante annullamento dell’ordinanza sindacale predetta, con conseguente definitiva improduttività di effetto sotto ogni profilo.
Dal che deriva che l’ordinanza cautelare di accoglimento del giudice di primo grado, atteso il suo carattere interinale, ha definitivamente perduto i suoi effetti, mentre l’ordinanza sindacale n.17/1991, che ne è stato l’oggetto, ha riacquistato pienamente efficacia nell’ambito del procedimento in cui era inserita.
Ed in quanto non adempiuta dal T, ben può ora fungere da presupposto legittimo della successiva attività sostitutiva della Regione Toscana che su tale inadempimento si basa.
Di quest’ultima pertanto non può essere affermata l’assenza di condizioni al suo svolgimento, invocandosi un insussistente legittimo impedimento ad adempiere in ragione della sospensione dell’efficacia dell’ordinanza del sindaco di Barberino Val d’Elsa.
Anche il settimo motivo di ricorso deve essere,in definitiva, respinto.
Con l’ottavo motivo parte appellante critica le modalità con le quale la Regione ha attuato l’intervento di disinquinamento, provocando un pregiudizio ben maggiore del necessario, del quale la Regione dovrà rispondere.
Ad avviso della parte deducente, in particolare, l’eseguito abbattimento dei fabbricati non era neppure previsto nella relazione che accompagnava il progetto di intervento elaborato dal Commissario ad acta, e ciò nonostante è stata eseguita, anziché limitarsi a “scorticare” il terreno per la profondità necessaria ad asportare le sostanze tossiche penetratevi.
L’assunto di parte appellante, fondato sull’efficacia di una bonifica eseguita senza abbattere i fabbricati, non può essere condiviso.
Ciò in quanto dalla relazione al progetto d’intervento non si ricava affatto l’affermazione secondo la quale non vi fosse la necessità di abbattere i fabbricati per un completo disinquinamento del terreno.
E’ vero, al contrario, che la relazione postulava anche che si dovesse procedere all’abbattimento dei fabbricati, avendo le indagini più volte confermato che le sostanze tossiche erano penetrate al di sotto del piano di fondazione degli edifici costituenti l’impianto, sicché la necessità della demolizione sarebbe stata valutata in concreto nella fase di esecuzione dello “scorticamento” del terreno.
Della necessità di tale contestato abbattimento dei fabbricati dà ampia dimostrazione, del resto, la relazione finale del Commissario ad acta, concernente l’intervento da esso eseguito, che parte appellante, però, strumentalmente, non prende in esame.
Quanto alla pretesa della immediata restituzione dell’area, una volta eseguito lo “scorticamento” del terreno, va osservato che per valutare l’efficacia dell’opera di disinquinamento, soprattutto in un caso come quello in esame, dove il danno ambientale è andato ben al di là dell’area “scorticata”, si è reso necessario procedere a monitoraggio della zona interessata per un tempo che all’epoca dell’intervento è stato fissato in un periodo di tre anni, e della cui necessità, anche sotto questo aspetto, fa fede la relazione commissariale già menzionata.
Ciò comporta che, fatti salvi i diritti dell’Amministrazione per gli oneri sostenuti, non può che ricadere sullo stesso appellante la dimostrazione riguardante la possibilità dell’ immediata restituzione dell’area, una volta eseguito lo “scorticamento” del terreno, ovvero prima del predetto triennio, dimostrazione che in questa sede non è stata data.
L’ottavo motivo di ricorso è dunque infondato.
Con il nono motivo la parte appellante torna a trattare il tema dell’irretroattività della legge regionale n.29/1993.
Al riguardo, analogamente a quanto effettuato dallo stesso appellante, il Collegio non può che rinviare a quanto già esposto nella presente decisione, ribadendo, ove occorra, il rigetto della censura.
Con il decimo motivo parte appellante lamenta l’illegittimità del decreto di esproprio di cui al decreto Commissariale n.28 del 23 giugno 1997, sia per vizi propri che per vizi derivati dall’illegittimità degli atti a monte del procedimento espropriativo.
Va subito osservato al riguardo che questi ultimi vanno dichiarati insussistenti in forza di quanto fin ora argomentato.
Per quelli che l’appellante ritiene essere vizi propri e che riguardano in realtà la misura dell’indennità di esproprio calcolata dall’Amministrazione e di cui si assume il contrasto con quanto previsto dall’art.