Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-03-09, n. 201801507

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-03-09, n. 201801507
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201801507
Data del deposito : 9 marzo 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 09/03/2018

N. 01507/2018REG.PROV.COLL.

N. 06315/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6315 del 2013, proposto da:
L P, rappresentato e difeso dall'avvocato F C, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Giuseppe Cerbara, 64;

contro

Ministero della Difesa Direzione Generale Persomil, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - SEZ. STACCATA DI LATINA: SEZ. I n. 00105/2013, resa tra le parti, concernente perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa - Direzione Generale Persomil;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 novembre 2017 il Cons. O F e uditi per le parti gli avvocati Castiello, avv.to dello Stato Russo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.Con l’appello in esame, il sig. Pino Leonardi impugna la sentenza 29 gennaio 2013 n. 105, con la quale il TAR per il Lazio, sez. I, ha respinto il ricorso proposto avverso la determinazione 1 aprile 2013, con la quale il Direttore generale del personale militare ha disposto nei suoi confronti la perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari e, per l’effetto, la cessazione dal servizio permanente.

Il signor Leonardi, appuntato scelto dell’Arma dei Carabinieri, a un controllo effettuato da personale della Polizia di Stato di Avezzano è stato trovato in possesso in auto di 0,6 grammi di cocaina e, di conseguenza, segnalato alla Prefettura di L’Aquila, ai sensi dell’art. 75 DPR n. 309/1990.

Da ciò il procedimento disciplinare conclusosi con il provvedimento impugnato.

La sentenza impugnata, rilevato che “la circostanza relativa all’uso, anche isolato, di droghe deve assumersi . . . come acclarata e non contestata”, afferma in particolare:

- “la sanzione della perdita del grado è conseguita collegando il fatto accertato con gli obblighi assunti dal militare con il giuramento”, rilevandosi come “i fatti accertati siano stati ritenuti particolarmente gravi, in quanto evidenzianti gravissime carenze morali e di carattere, avendo il militare posto in essere una condotta con la quale sono stati lesi profondamente i principi di moralità e rettitudine che devono sempre caratterizzare il comportamento di un militare, specie se appartenente all’Arma dei Carabinieri, che risulta lesa nel suo prestigio”;

- poiché “il fatto contestato all’incolpato è stato argomentatamente ricondotto alla violazione del giuramento ed alla contrarietà con le finalità del Corpo, non solo non sussiste alcuna illegittimità per difetto di ragionevolezza o di proporzionalità della sanzione applicata, ma neppure per difetto di motivazione”;

- l’inosservanza del termine previsto per l’avvio del procedimento disciplinare dall’art. 103 DPR n. 3/1957 non produce “alcun effetto estintivo del procedimento o di decadenza dall’esercizio del potere disciplinare”, poiché tale termine ha “carattere propulsivo e ordinatorio”.

Avverso tale decisione vengono proposti i seguenti motivi di appello:

a) erroneità dei presupposti di fatto e di diritto;
violazione dei principi di ragionevolezza e di proporzionalità;
violazione art. 1, co. 1, l. n. 241/1990;
ciò in quanto “l’episodio posto a base della drastica sanzione destitutoria è un episodio isolato e non ha né precedenti né recidive”, ed è stato dunque violato il principio di proporzionalità;

b) violazione e falsa applicazione art. 2 l. n. 241/1990;
violazione del principio di certezza del termine nei rapporti amministrativi;
violazione art. 1392 Codice ordinamento militare;
violazione della Guida tecnica norme e procedure disciplinari;
violazione autovincolo;
violazione del principio dell’affidamento;
violazione dei principi di ragionevolezza e di proporzionalità;
ciò in quanto: b1) il procedimento disciplinare, contrariamente a quanto affermato in sentenza, è assoggettato a termini perentori, poiché, ai sensi dell’art. 1392 cit., la contestazione sarebbe dovuta intervenire entro 60 giorni dalla conclusione degli accertamenti preliminari;
b2) l’inciso “senza ritardo” di cui all’art. 59, co. 1, DPR n. 545/1986, in merito al tempo entro il quale l’amministrazione deve iniziare il procedimento disciplinare, pur avendo intenti sollecitatori e propulsivi, deve essere interpretato in modo da rapportarsi alle concrete esigenze di accertamento e di indagine, al fine di consentire all’amministrazione di valutare con ponderazione il comportamento tenuto dal soggetto. Nel caso di specie, è trascorso un tempo di 470 giorni per l’esercizio dell’azione disciplinare, risultando così violati sia criteri di ragionevolezza e proporzionalità, sia i principi dell’affidamento e del buon andamento amministrativo.

Si è costituito in giudizio il Ministero della Difesa.

Questa Sezione, con ordinanza 11 settembre 2013 n. 3509, ha rigettato l’ordinanza di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata.

E ciò dopo che la medesima Sezione, con ordinanza 18 dicembre 2010 n. 5782, aveva già accolto l’appello cautelare del Ministero della Difesa e, in riforma dell’ordinanza del TAR, aveva rigettato anche la domanda di sospensione dell’efficacia del provvedimento impugnato.

All’udienza pubblica di trattazione, la causa è stata riservata in decisione.

DIRITTO

2. L’appello è infondato e deve essere, pertanto, respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.

2.1. Occorre, infatti, osservare (invertendo l’ordine di proposizione dei motivi di appello), che non sussiste, nel caso di specie, alcuna violazione di termini perentori connessi all’esercizio del potere disciplinare ovvero al relativo procedimento, né è intervenuto alcun effetto estintivo ovvero decadenza dall’esercizio del potere predetto (come invece prospettato con il secondo motivo di appello).

Ed infatti, l’art. 59 DPR 18 luglio 1986 n. 545, recante il “regolamento di disciplina militare”, prevede (co.1) che “il procedimento disciplinare deve essere instaurato senza ritardo”.

La disposizione, dunque, non prevede affatto un termine perentorio entro il quale l’azione disciplinare deve essere iniziata, ma sottopone l’esercizio del potere disciplinare ad una generale regola di tempestività, da valutarsi secondo criteri di ragionevolezza in relazione al momento di conoscenza dei fatti avuta dall’amministrazione e considerate le condizioni di concreta e fondata possibilità di esercizio del potere da parte dell’organo procedente.

La giurisprudenza amministrativa ha già avuto modo di affermare (Cons. Stato, sez. IV, 31 marzo 2010 n. 1779, citata anche dall’appellante, ed ulteriore giurisprudenza ivi indicata), che l’inciso “senza ritardo” non può essere interpretato

“nel senso di «immediatamente», ma nel senso che il legislatore non ha inteso vincolare l'Amministrazione all'osservanza di un termine fisso, indicando una regola di ragionevole prontezza nella contestazione degli addebiti, da valutarsi in relazione alla gravità della violazione e complessità degli accertamenti preliminari e dell'intera procedura;
pertanto, la prescrizione di procedere senza ritardo alla contestazione degli addebiti non riveste significato perentorio, bensì sollecitatorio o propulsivo, dal momento che nessun effetto estintivo del procedimento o di decadenza dal potere disciplinare sono previsti per la sua inosservanza (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 22 febbraio 2001 n. 969;
nonché sez. VI, 24 maggio 2000 n. 3015, 28 marzo 2000 n. 1803 e 5 dicembre 1992 n. 100).

In altri termini, se è vero che l'art. 59 del citato D.P.R. 545/1986 prevede che la contestazione dell'infrazione deve avvenire senza ritardo, è pur vero che tale espressione deve essere intesa nel senso che la contestazione deve avvenire in tempo ragionevole e proporzionato all'incidenza e all'eco del fatto e alla necessità di indagini preliminari, al fine di contemperare, da una parte, l'esigenza dell'Amministrazione di valutare con ponderazione il comportamento dell'ufficiale sotto il profilo disciplinare e dall'altra di evitare che un'eccessiva distanza di tempo dai fatti possa rendere più difficile per l'inquisito l'esercizio del diritto di difesa. . . . . Escluso, dunque, che il termine per l'avvio del procedimento disciplinare sia presidiato da una perentoria individuazione di carattere temporale, deve però escludersi - in ciò convenendo con l'insegnamento giurisprudenziale sopra richiamato - che il ritenuto differimento dell’esercizio di tale potere possa, quand’anche esistente, ritenersi illegittimo laddove giustificato sulla base di obiettive e comprovate circostanze”.

Nel caso di specie, è vero che la contestazione degli addebiti al Leonardi è intervenuta in data 19 gennaio 2010, per fatti avvenuti in data 3 ottobre 2008 (e dei quali la Compagnia CC di appartenenza veniva informata il successivo 6 ottobre).

Tuttavia, occorre rilevare: per un verso, che nel tempo intercorso tra fatti e contestazione disciplinare si è verificato un noto evento sismico che ha certamente inciso sull’ordinario espletamento dei compiti amministrativi ed ha comportato un diverso ordine di priorità;
per altro verso, che il tempo trascorso, stante l’oggettività del fatto contestato, non ha potuto ragionevolmente incidere sul diritto di difesa dell’incolpato.

Ed infatti, la eventuale “non tempestività” dell’azione disciplinare, lungi dal determinare una decadenza dall’esercizio del relativo potere, può assurgere a presupposto di illegittimità dell’atto sotto profili diversi, che, ove ipotizzabili, devono essere specificamente comprovati e quindi esaminati dal giudice, come nei casi in cui il “ritardo” (di per sé non espressivo di un vizio di legittimità dell’atto) possa essere sintomo di sviamento di potere (poiché, in ipotesi, l’amministrazione utilizzerebbe a distanza di tempo un qualche risalente episodio per incidere sullo status di un suo dipendente per ragioni diverse da quelle disciplinari);
ovvero possa essere sintomo di eccesso di potere per contraddittorietà dell’azione amministrativa (poiché l’amministrazione ha medio tempore altrimenti valutato il proprio dipendente);
ovvero si riveli un oggettivo ostacolo al completo ed efficace esercizio del diritto di difesa in sede procedimentale.

Nessuna di tali ipotesi ricorre nel caso di specie, dove non è possibile riconoscere, per le ragioni innanzi esposte, alcuna valenza particolare (in termini di conseguenze negative sulla legittimità del provvedimento amministrativo adottato) al tempo trascorso tra fatto disciplinarmente rilevante e contestazione dell’addebito.

2.2. Non può assumere alcuna rilevanza nel caso di specie quanto previsto dall’art. 1392 d. lgs. 15 marzo 2010 n. 66 (secondo il quale – co. 2 – “il procedimento disciplinare di stato a seguito di infrazione disciplinare deve essere instaurato con la contestazione degli addebiti all’incolpato entro 60 giorni dagli accertamenti preliminari espletati dall’autorità competente . . .”), poiché tale disposizione, richiamata dall’appellante - in disparte ogni verifica sulla natura del termine ivi previsto - non era ancora in vigore all’epoca della contestazione degli addebiti.

Né, infine, può essere data rilevanza a quanto previsto dalla “Guida tecnica norme e procedure disciplinari” (anch’essa richiamata dall’appellante) trattandosi di mere indicazioni propulsive ad uso interno, impartite dall’amministrazione e non provenienti da fonte primaria o secondaria.

3. Anche il primo motivo di appello (sub a) dell’esposizione in fatto), con il quale si lamenta la sproporzione della sanzione adottata in relazione alla modestia e unicità dell’episodio contestato, è infondato.

Occorre, innanzi tutto, ricordare che l’individuazione della sanzione applicabile in ragione dell’illecito disciplinare commesso ed accertato costituisce, nell’ambito delle indicazioni fornite dal legislatore, espressione di potere discrezionale dell’amministrazione, censurabile da parte del giudice amministrativo in sede di giudizio di legittimità, solo per difetto di motivazione ovvero per eccesso di potere per illogicità o irragionevolezza.

Ciò comporta che il sindacato del giudice – onde non debordare in una non consentita invasione della sfera del cd. “merito”, riservata all’amministrazione – deve esplicarsi nella verifica della eventuale presenza di tali figure sintomatiche di eccesso di potere attraverso un esame dell’iter seguito dall’amministrazione, escludendosi ogni sostituzione e/o sovrapposizione di criteri valutativi diversi.

Nel caso di specie, il provvedimento sanzionatorio adottato non risulta affetto dal vizio denunciato, poiché – come già rilevato da questa stessa Sezione nel caso di specie (v. ord. n. 3509/2013 cit.), “il consumo di sostanze stupefacenti . . . è idoneo a supportare la sanzione destitutoria”, in quanto osta all’appartenenza all’Arma dei Carabinieri, che comporta lo svolgimento istituzionale, fra l’altro, di attività di contrasto allo spaccio ed alla diffusione degli stupefacenti.

4. Per tutte le ragioni esposte, l’appello deve essere rigettato, con conseguente conferma della sentenza impugnata.

Stante la natura delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese ed onorari di giudizio.

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