Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2016-08-10, n. 201603566
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Pubblicato il 10/08/2016
N. 03566/2016REG.PROV.COLL.
N. 03228/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3228 del 2012, proposto dal Ministero dell'Interno e dall’U.T.G. - Prefettura di Reggio Calabria, in persona dei legali rappresentanti
pro tempore,
rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
contro
La -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante
pro tempore,
rappresentato e difeso dall'avvocato N S (C.F. SNTNCL67E04H224B), con domicilio eletto presso la signora Loretta Campaniello in Roma, via G. Trevis, n. 44;
nei confronti di
La Salerno--OMISSIS-società consortile per azioni e la s.p.a. -OMISSIS-Costruzioni, non costituite in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la Calabria, –Sezione staccata di Reggio Calabria, n. 147/2012, resa tra le parti, concernente una informativa antimafia;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della -OMISSIS-;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 maggio 2016 il Cons. P U e udita per la parte appellante l’avvocato dello Stato Maria Vittoria Lumetti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Nei confronti della società -OMISSIS-, odierna appellata, la Prefettura di -OMISSIS-ha emesso, ai sensi dell’art. 10 del d.P.R. 252/1998, l’informativa antimafia interdittiva prot. 29461 in data 4 maggio 2010.
2. L’informativa è stata emanata dalla Prefettura su richiesta della -OMISSIS-., a seguito del «Protocollo d’intesa» del 1° aprile 2005, con riferimento al subcontratto per la fornitura di beni, il cui importo veniva indicato in euro 20.000.
3. Il pericolo di tentativi di infiltrazioni mafiose nell’ambito della società risulta motivato, nel provvedimento, sulla base delle seguenti argomentazioni:
- il sig. F A, padre dell’amministratrice unica della società, Mar. Cri. A, è stato condannato per associazione di tipo mafioso, è stato sottoposto a una misura di prevenzione e risulta contiguo ad una cosca mafiosa;
- la giovane età dell’amministratrice non offre sufficienti garanzie che le scelte e gli indirizzi dell’impresa non possano essere determinati dal genitore, peraltro convivente.
4. Nella sottostante relazione informativa del Comando provinciale di -OMISSIS-dei Carabinieri prot. 23284 in data 7 aprile 2010, sono indicati ulteriori elementi, tra cui, in particolare:
- il sig. A è stato condannato nel 1996 per associazione di tipo mafioso, a 4 anni di reclusione, e nel 1999 è stato condannato a 22 anni e 6 mesi di reclusione, per omicidio continuato in concorso e detenzione illegale di armi;
- egli risulta contiguo alle cosche della ‘ndrangheta “Condello” e “Bruzzise”, come risulta dalle sentenze di condanna;
- prima dell’arresto, conduceva, insieme ai fratelli, un laboratorio per la fabbricazione di prodotti in alluminio;ammesso nel 2006 al regime di semilibertà, ha intrapreso attività lavorativa presso la s.r.l. A, condotta dai fratelli A e P, già oggetto di informazione antimafia;dal 2007 svolge attività lavorativa presso la -OMISSIS-;
- le quote della -OMISSIS- sono detenute dal sig. Giu. A (figlio di F, con lui convivente ed amministratore unico della società fino al gennaio 2010, allorché è stato assunto a tempo indeterminato dall’Agenzia delle Entrate di Milano e si è colà trasferito), dalla signora R I (moglie di A A) e dal sig. Giu. A (nipote di F).
5. Col ricorso di primo grado n. 446 del 2010, la società ha impugnato l’interdittiva, unitamente all’atto con cui la s.p.a. -OMISSIS-in data 12 maggio 2010 ha dichiarato la risoluzione dei rapporti in essere, dinanzi al TAR Calabria.
6. Il TAR Calabria, con la sentenza appellata (della Sezione di Reggio Calabria, n. 147/2012), ha accolto il ricorso ed ha annullato l’interdittiva (mentre ha respinto la domanda risarcitoria, per mancata dimostrazione del danno), affermando che:
- il potere interdittivo del Prefetto ex art. 10, comma 7, del d.P.R. 252/1998 è esercitabile solamente al di sopra delle soglie di rilevanza prefissate dalla legge (euro 154.937,07);l’art. 1, lett. e), del d.P.R. 252/1998, rilevante nel giudizio ratione temporis e secondo cui le informative non sono « comunque » richieste al di sotto della soglia di 300 milioni di lire, non lascierebbe adito a dubbi interpretativi;
- la tassatività della previsione normativa renderebbe illegittima non solo l’emissione, ma anche la richiesta di certificazione per importi sotto soglia;
- l’interdittiva sarebbe anche viziata da difetto di motivazione, in quanto sarebbe insufficiente il mero rapporto di parentela tra l’imprenditore ed un soggetto controindicato, anche perché le condanne del padre dell’amministratrice, seppure per gravi fatti di mafia, sarebbero comunque risalenti nel tempo, mentre lo stesso genitore, nello scontare la pena, è stato ammesso a vari benefici premiali che presuppongono la sua buona condotta, non registrandosi a suo carico ulteriori denunce, né segnalazioni di alcun genere di frequentazioni o di ripresa delle precedenti attività illecite, con la conseguenza che la sua «contiguità» a cosche mafiose - prospettata negli accertamenti istruttori utilizzati dalla Prefettura - non sarebbe fondata su elementi attuali;inoltre, la ‘giovane età’ dell’amministratrice non consentirebbe, in assenza di altri riscontri oggettivi relativi alla gestione dell’impresa, di ritenere alcunché in ordine alla possibilità di una intestazione fittizia.
7. Con l’appello in ,esame il Ministero dell’interno ha chiesto che, in riforma della sentenza appellata, il ricorso di primo grado sia respinto, prospettando le censure appresso indicate.
7.1. La sentenza sarebbe nulla, in quanto emessa nei confronti della Prefettura di Reggio Calabria, organo decentrato del Ministero e pertanto privo di legittimazione processuale;ne conseguirebbe che il Ministero, non intimato nel giudizio di primo grado ed al quale tuttavia è stata notificata la sentenza, è legittimato ad appellare, senza che ciò sani il vizio predetto.
7.2. Nel merito, quanto alle informative sotto soglia di rilevanza comunitaria, la giurisprudenza del Consiglio di Stato non pone un divieto, ma anzi riconosce alla stazione appaltante il potere di richiederle per eliminare il rischio di infiltrazione mafiosa nelle commesse pubbliche;l’unica differenza rispetto ai ‘contratti sopra soglia’ è che soltanto per questi ultimi l’acquisizione dell’informativa è condizione di validità dell’aggiudicazione o della stipulazione del contratto (cfr. art. 10, comma 30, d.P.R. 252/1998).
7.3. La motivazione del provvedimento impugnato è ampiamente congrua e logicamente basata su elementi investigativi significativi del pericolo di condizionamento mafioso nell’impresa appellata.
Il Ministero sottolinea che il legale rappresentante della società appellata al momento dell’adozione dell’interdittiva aveva 23 anni, quindi era inequivocabilmente ‘alle prime armi’, ed è la figlia (convivente, dopo l’affidamento in prova ed il ritorno del padre alla abitazione famigliare) di un condannato per associazione di tipo mafioso, il quale prima dell’arresto aveva esperienza nel medesimo settore imprenditoriale (materiali di alluminio) e risulta svolgere attività lavorativa, in regime di semilibertà, presso la società medesima (in precedenza, al vertice della società era un fratello, poi dimessosi perché assunto dall’Agenzia delle Entrate).
8. La società appellata ha chiesto che il gravame sia respinto, sottolineando la correttezza della sentenza del TAR.
In particolare, la società sottolinea che la giovane età dell’amministratrice non potrebbe essere ritenuta, in mancanza di ulteriori riscontri di natura oggettiva circa la conduzione dell’impresa, sintomatica di un’intestazione fittizia della società;peraltro, ella ha il diploma di ragioneria, ha conseguito un attestato di formazione imprenditoriale e frequenta il corso di laurea in giurisprudenza;inoltre, pur risultando residente a -OMISSIS-, non dimora stabilmente nella casa di famiglia di -OMISSIS-(dove è tornato a vivere il padre dopo l’affidamento ai servizi sociali), bensì a -OMISSIS-(dove ha preso in locazione un appartamento, con contratto registrato in data 5 novembre 2009).
L’appellata sottolinea inoltre che, dal 2011 ad oggi, la società è risultata aggiudicataria di numerose gare d’appalto e di affidamenti di servizi della P.A. ed ha stipulato i relativi contratti, stante l’esito positivo delle verifiche in ordine ai requisiti di cui agli artt. 38 e 48 del d.lgs. 163/2006 e l’acquisizione di informative da parte della Prefettura di Reggio Calabria.
9. Così ricostruite le vicende che hanno condotto al presente grado del giudizio, il Collegio ritiene anzitutto di disattendere il motivo d’appello incentrato sulla nullità della sentenza.
Il ricorso di primo grado è stato ritualmente notificato sia nei confronti del Ministero dell’Interno che nei confronti della Prefettura di Reggio Calabria: per di più, l’Avvocatura dello Stato, nel controricorso in data 26 luglio 2010, ha dichiarato espressamente di costituirsi in giudizio per conto sia del Ministero che della Prefettura.
Anche il procedimento di appello cautelare è stato a suo tempo ritualmente instaurato e definito con ordinanza resa nei confronti del Ministero.
Pertanto, la circostanza che la sentenza appellata, pur dando atto che «Le amministrazioni intimate si sono costituite in giudizio», senza indicare nell’epigrafe il Ministero, deve ritenersi un errore materiale, ininfluente sulla validità della sentenza.
10. Ritiene la Sezione che il primo motivo d’appello è fondato, alla luce dell’orientamento recentemente ribadito da questa Sezione in ordine alla rilevanza delle ‘soglie di valore’ previste dalla normativa ai fini della richiesta di informazioni antimafia (cfr. Cons. Stato, III, n. 3300/2016).
Può al riguardo ribadirsi che le disposizioni sulle soglie di valore riconducibili alla normativa vigente (di cui al codice n. 159 del 2011) e alla normativa previgente (di cui al d.P.R. n. 252 del 1998):
- nel costituire, in un caso (art. 10, comma 1, del d.P.R. 252/1998, e art. 91, comma 1, del d.lgs. 159/2011), la fonte di un obbligo assoluto dell’amministrazione procedente, e nell’altro (art. 1, comma 2, del d.P.R. 252/1998 e art. 83, comma 3, del d.lgs. 159/2011), quella di un’esenzione da tale obbligo, si propongono di conformare, anche ai fini delle conseguenti responsabilità, il buon andamento delle attività delle pubbliche amministrazioni procedenti;
- non possono essere interpretate nel senso che vi sarebbe una diminuzione dell’attenzione del legislatore nei confronti del pericolo di condizionamento delle imprese da parte di associazioni criminali, ostativo all’instaurazione di un rapporto con l’amministrazione;tale interpretazione, infatti, urterebbe contro la ratio della complessiva disciplina in materia (che mira a delimitare i rapporti economici con le Amministrazioni, solo quando l’impresa meriti la ‘fiducia’ delle Istituzioni) e sovvertirebbe il principio che impone di assicurare, in sede interpretativa, effettività e concretezza alla tutela del bene protetto, soprattutto laddove, come avviene per le informazioni antimafia, questo assuma un ruolo assolutamente primario;
- per i rapporti ‘sotto soglia’, possono dunque esservi le acquisizioni delle informazioni antimafia, sia quando si dia attuazione ad un protocollo di legalità, sia quando questo non sia stato concluso. Infatti, potendosi sempre accertare se l’impresa meriti la ‘fiducia delle Istituzioni’, si può attivare il procedimento volto alla verifica della sussistenza o meno del tentativo di infiltrazione della criminalità organizzata, con il conseguente esercizio dei poteri della Prefettura.
Il principio generale da applicare - ai sensi dell'art. 10, comma 2, del d.P.R. 252/1998 e, oggi, dell’art. 94, comma 1, del d.lgs. 159/2011 - è dunque quello per cui, quando emergono elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa nelle società o imprese interessate, le amministrazioni cui sono fornite le relative informazioni «non possono stipulare, approvare o autorizzare i contratti o subcontratti, né autorizzare, rilasciare o comunque consentire le concessioni e le erogazioni».
Tale conclusione è l’unica coerente con le complessive finalità della disciplina delle informazioni antimafia, che è volta ad evitare radicalmente l’erogazione di risorse pubbliche a soggetti esposti ad infiltrazioni di tipo mafioso, e che pertanto mal tollera che ciò possa avvenire solo entro determinati limiti.
Pertanto, in riforma della sentenza del TAR, va respinto il motivo di primo grado con cui è stata dedotta la violazione delle disposizioni sulla ‘soglia di valore’.
11. Ritiene la Sezione che è fondato anche il secondo motivo di appello, con cui si deduce la congruità e la logicità della motivazione con cui la Prefettura ha rilevato la sussistenza del pericolo di condizionamento mafioso della società appellata.
Pur se il mero rapporto di parentela con un soggetto controindicato non può assumere significato indiziante ai fini del condizionamento dell’impresa, nella specie è determinante rilevare che la Prefettura ha ragionevolmente attribuito rilevanza a specifici elementi , da cui emerge che si è in presenza di una cointeressenza economica e comunque di un legame ulteriore tra i signori F A E Mar. Cri. A
11.1. Come viene puntualmente sottolineato anche nell’appello, è noto che le organizzazioni mafiose tentano di aggirare la barriera dell’interdittiva ponendosi formalmente fuori delle imprese ed inserendovi persone incensurate ma controllabili, segnatamente attraverso il rapporto di parentela;nel contesto socio-antropologico della ‘ndrangheta, il legame parentale deve essere particolarmente valorizzato quale elemento sintomatico dell’appartenenza o della contiguità con l’organizzazione criminale, essendo essa caratterizzata dal fondarsi sul vincolo di sangue (ciò che la rende ancora difficilmente penetrabile, perché raramente soggetta a defezioni ed alla nascita di ‘pentiti’).
11.2. Le condanne riportate dal padre dell’amministratrice della società appellata sono di natura ed entità tali da far desumere che la reclusione, anche se protratta per un notevole periodo di tempo, e la conseguente ammissione ai benefici di legge per la buona condotta tenuta in carcere, non siano sufficienti a dimostrare per il soggetto inserito nella criminalità organizzata quel radicale cambiamento di vita che presupporrebbe una sofferta dissociazione.
Nella prospettiva indicata, non può non risultare significativo che il sig. A non appena ammesso al regime di semilibertà sia andato a lavorare nell’impresa condotta dai fratelli, peraltro oggetto di informazione antimafia, e poi, acquisito l’affidamento in prova ai servizi sociali, sia tornato a vivere con la famiglia e sia stato assunto dalla società appellata, che risultava attiva nello stesso settore di attività di quella da egli originariamente svolta, ed il cui capitale è pure interamente detenuto da stretti famigliari o affini (e della quale è risultata amministratrice proprio la figlia).
Sussistono nella vicenda, pur attraverso il trascorrere degli anni, gli elementi di continuità imprenditoriale, oltre che familiare.
Inoltre, come correttamente evidenziato dall’Amministrazione, si deve tener conto della giovane età e della mancanza di qualsiasi esperienza imprenditoriale dell’amministratrice unica.
Anche l’elemento relativo alla residenza non incrina l’ipotesi di condizionamento, posto che la relazione dei Carabinieri indica, per lei e, fino al trasferimento a Milano, per il fratello di cui ha preso il posto come amministratrice, un ‘domicilio di fatto’ (diverso dalla residenza) nella casa di famiglia, dove è tornato ad abitare il padre.
11.3. In coerenza con i principi affermati dalla giurisprudenza di questa Sezione (v. per tutte le sentenze Cons. Stato, Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743;26 giugno 2016, n. 2683;20 luglio 2016, n. 3299), il Collegio rileva che nella specie si è in presenza di specifici circostanze giustificative della contestata interdittiva, poiché:
- l’interdittiva antimafia è una misura volta – ad un tempo - alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della pubblica Amministrazione e comporta che il Prefetto escluda che un imprenditore – pur dotato di adeguati mezzi economici e di una adeguata organizzazione – meriti la fiducia delle Istituzioni (vale a dire che risulti «affidabile») e possa essere titolare di rapporti contrattuali con le pubbliche Amministrazioni o degli altri titoli abilitativi, individuati dalla legge;
- l’Amministrazione ben può dare rilievo anche ad un rapporto di parentela, «laddove tale rapporto, per la sua natura, intensità, o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere … che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti) ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto col proprio congiunto» (in tal senso, v. la sentenza n. 2683 del 2016, secondo cui «nei contesti sociali in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all’interno della famiglia si può verificare una ‘influenza reciproca’ di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza» (come può ritenersi ragionevolmente nella specie, tra l’amministratrice della società ed il suo genitore, nel quadro circostanziale sopra descritto).
Contrariamente a quanto si desume dalla sentenza impugnata, «l’impresa che intenda intrattenere rapporti con la pubblica amministrazione – fondati sulla affidabilità necessaria ex lege – deve essere vigile e responsabile nella selezione dei dipendenti di cui si avvale» (in tal senso, Cons, Stato, Sez. III, 20 luglio 2016, n. 3299, § 7.2.).
12. Stante la fondatezza di entrambi i profili di censura, l’appello deve essere accolto, con riforma della sentenza appellata e conseguente rigetto del ricorso introduttivo n. 446 del 2010.
13. Le spese dei due gradi seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
La società appellata dovrà rimborsare all’Amministrazione appellante il contributo unificato che ha anticipato per la proposizione del gravame, ai sensi dell’art. 13, comma 6-bis, del d.P.R. 115/2002.