Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2013-10-04, n. 201304907

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2013-10-04, n. 201304907
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201304907
Data del deposito : 4 ottobre 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 04023/2012 REG.RIC.

N. 04907/2013REG.PROV.COLL.

N. 04023/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4023 del 2012, proposto da:
Longobardi Anna, rappresentata e difesa dagli avvocati G V S e M F, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Aurora 39;

contro

Comune di Venezia, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati N P, G G e M B, con domicilio eletto presso lo studio legale del primo in Roma, via Barnaba Tortolini 34;
Commissione salvaguardia di Venezia, in persona del Presidente pro tempore ;

per la riforma

della sentenza 5 marzo 2012, n. 297, del Tribunale amministrativo regionale del Vento, Venezia, Sezione II.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Venezia;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 luglio 2013 il Cons. V L e uditi per le parti gli avvocati Fusani e Natalia Paoletti, per delega di N P.


FATTO

1.– La signora Anna Lombardi ha presentato al Comune di Venezia, in data 31 maggio 1986, una domanda di condono edilizio.

Con provvedimento del 24 novembre 1995, n. 12586, il Comune - previa acquisizione del parere della regionale Commissione per la salvaguardia di Venezia del 28 luglio 1995, n. 20952 - ha accolto la domanda, con espressa esclusione dalla sanatoria di una veranda edificata su parte della terrazza in ragione dell’esistenza di un eccessivo impatto ambientale e dell’uso di materiali impropri.

Con provvedimento del 21 ottobre 1996, n. 30394/12586, preceduto dal parere della predetta Commissione del 18 giugno 1986, n. 24502, il Comune, su richiesta di riesame dell’interessata, ha rigettato nuovamente la richiesta ordinando la demolizione della veranda.

Con provvedimento del 22 dicembre 1999, n. 15612/371, preceduto dal parere della predetta Commissione del 18 novembre 1999, n. 15846il Comune, sempre su richiesta di un riesame dell’interessata, ha reiterato l’ordine di demolizione.

Tutti i provvedimenti, sopra indicati, sono stati oggetti di autonomi ricorsi innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Veneto.

Tali ricorsi sono stati dichiarati estinti per perenzione con decreti n. 4169 del 2006, n. 3282 del 2007, n. 2423 del 2010.

2.– Il Comune, alla luce di quanto previsto dall’ordinanza di demolizione del 22 dicembre 1999 e constato, a seguito di sopralluogo del 14 gennaio 2011, n. 1707, che la veranda non era stata ancora demolita, ha adottato il provvedimento 11 novembre 2011, n. 470798, con il quale ha nuovamente ordinato la demolizione e il ripristino dello stato dei luoghi.

3.– Il Tribunale amministrativo, Seconda Sezione, con sentenza 5 marzo 2012, n. 297 ha rigettato il ricorso, rilevando che l’atto impugnato non fosse altro che una conferma del provvedimento di demolizione del 1999 e che, rispetto a quel tempo, non era stato dimostrato alcun mutamento della situazione di fatto né erano stati dedotti vizi in relazione al suddetto provvedimento. In definitiva, si è ritenuto legittimo l’atto censurato, risultando che la parte avesse posto in essere un intervento senza titolo abilitativo.

4.– La ricorrente in primo grado ha proposto ricorso per i motivi indicati nella parte in diritto.

4.1.– Si è costituito in giudizio il Comune, chiedendo il rigetto dell’appello.

4.2.– Con ordinanza del 14 dicembre 2012, n. 4473, la Sezione ha rigettato l’istanza cautelare di sospensione degli effetti della sentenza, rilevando che sono «prima facie condivisibili le argomentazioni della sentenza gravata ».

5.– La causa è stata decisa all’esito dell’udienza pubblica del 2 luglio 2013.

DIRITTO

1.– La questione posta all’esame della Sezione attiene alla legittimità del provvedimento con cui il Comune di Venezia ha ordinato la demolizione di una veranda realizzata dall’appellante.

2.– L’appello non è fondato.

3.– Con un primo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 60 Cod. proc. amm., in quanto il primo giudice ha definito il giudizio « in maniera semplificata in sede di decisione della domanda cautelare, anche se l’art. 60 cod. proc. amm. lo prevede solo in caso di procedimento in camera di consiglio su concorde decisione delle parti, ma qui si trattava di una causa trattata in pubblica udienza e non vale neanche la supposto manifesta infondatezza del ricorso ».

Il motivo è formulato in maniera perplessa. Non si comprende, infatti, se l’appellante deduca che la causa sia stata decisa all’esito della camera di consiglio fissata per la trattazione della domanda cautelare ovvero all’esito dell’udienza pubblica.

In ogni caso la censura è priva di fondamento.

Nel caso infatti del ricorso deciso all’esito della camera di consiglio, per l’art. 60 Cod. proc. amm., stabilendo che devono essere « sentite le parti », non è necessario, al fine del rispetto del contraddittorio, che via una « concorde decisione » delle parti.

Nel caso del ricorso deciso all’esito dell’udienza pubblica, l’art. 74 Cod. proc. amm. prevede che possa essere adottata una sentenza in forma semplificata anche nel caso in cui il ricorso sia, tra l’altro, come nella specie, manifestamente infondato.

4.– Con un secondo motivo si afferma che, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, l’opera oggetto dell’ordinanza di demolizione sarebbe sorretta da un titolo idoneo costituito dalla « domanda di condono » in data 31 maggio 1986, in relazione alla quale è stata versata l’oblazione e prodotta la documentazione richiesta.

Il motivo non è fondato.

La sola presentazione di una domanda di condono non può rappresentare un titolo abilitativo edilizio. Né potrebbe sostenersi che in relazione ad essa si sia formato il silenzio assenso in mancanza del parere della Commissione per la salvaguardia di Venezia . Deve, infatti, ritenersi che, ai sensi degli articoli 32 e 35 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, il termine di ventiquattro mesi per la formazione del silenzio assenso decorre soltanto a seguito dell’adozione del parere da parte degli organi tecnici preposti (cfr. Cons. Stato, V, 14 giugno 2013, n. 3529).

5.– Con un terzo motivo si deduce il difetto di motivazione, imposta, nella specie, in ragione del notevole lasso di tempo intercorso rispetto alla realizzazione dell’opera abusiva. Con un quarto motivo, connesso, si assume che nel provvedimento impugnato non si tiene conto che l’appellante ha presentato a) in data 18 aprile 2011, domanda di permesso di costruire, dichiarando che le opere riguardavano un immobile oggetto di domanda di condono edilizio del 31 maggio 1986;
b) in data 20 maggio 2011 « una richiesta di riesame della domanda di condono » da ultimo citata.

Anche questi motivi non sono fondati.

La giurisprudenza di questo Consiglio, cui la Sezione aderisce, è costante nel ritenere che « l’ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato e, quindi, non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione. Non può ammettersi alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il tempo non può avere legittimato, né l’interessato può dolersi del fatto che l’amministrazione non abbia emanato in data antecedente i dovuti atti repressivi » (es. Cons. Stato, VI, 31 maggio 2013, n. 3010;
11 maggio 2011, n. 2781). In particolare, nel caso di abusi edilizi vi è « un soggetto che pone in essere un comportamento contrastante con le prescrizioni dell’ordinamento, che confida nell’omissione dei controlli o comunque nella persistente inerzia dell’amministrazione nell’esercizio del potere di vigilanza ». In questi caso il « fattore tempo non agisce qui in sinergia con l’apparente legittimità dell’azione amministrativa favorevole, a tutela di un’aspettativa conforme alle statuizioni amministrative pregresse » (Cons. Stato, VI, n. 3010 del 2013;
IV, 4 maggio 2012, n. 2592).

Nella fattispecie in esame, nessun affidamento poteva essere fatto valere dall’appellante tenuto conto, tra l’altro, che il provvedimento di demolizione si è limitato a reiterare altri atti repressivi (indicati nella parte in fatto) aventi ad oggetto sempre l’opera abusiva in questione.

Per quanto attiene, poi, alla mancanza menzione delle domande sopra indicate è sufficiente rilevare che le stesse siano assolutamente inconferenti rispetto al contenuto dell’atto impugnato. Non sussisteva, pertanto, nessun obbligo per l’amministrazione di fare ad esse riferimento.

6.– Con un ulteriore motivo si rileva che, contrariamente a quanto affermato dal primo giudice, nel ricorso erano stati ribaditi i vizi del provvedimento di demolizione del 1999 prospettati nel ricorso all’epoca proposto.

Il motivo non è fondato, in quanto, pur ammettendo che detti vizi siano stati ritualmente proposti, il provvedimento del 1999 era orami divenuto inoppugnabile.

7.– L’appellante, soccombente, è condannata al pagamento, in favore del Comune, delle spese processuali, che si determinano in euro 4.000,00, oltre accessori.

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