Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2024-02-08, n. 202401299

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2024-02-08, n. 202401299
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202401299
Data del deposito : 8 febbraio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 08/02/2024

N. 01299/2024REG.PROV.COLL.

N. 00335/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA IALIANA

IN NOME DEL POPOLO IALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 335 del 2022, proposto da:
D L e C L, rappresentati e difesi dall’avvocato L B A M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Cava de’ Tirreni, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati G S e A C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda) n. 01257/2021, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Cava de’ Tirreni;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 gennaio 2024 il Cons. Francesco Cocomile e udito per la parte appellata l’avvocato Nicola Laurenti per G S;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO e DIRITO

1. - Il sig. D L è comproprietario in virtù di successione ereditaria, a seguito del decesso del precedente proprietario (unitamente alla moglie del de cuius e ad altri congiunti del medesimo, tra i quali si era formata una comunione indivisa dei beni relitti) di un immobile, sito in Cava de’ Tirreni, via San Felice 10 s.n.c., Fraz. Sant’Anna.

Detto immobile comprendeva un capannone successivamente ampliato adibito ad abitazione familiare in assenza di titolo edilizio.

Stante l’assenza del permesso di costruire, con istanza prot. n. 30669 dell’8 giugno 2004, il Lamberti, quale comproprietario del manufatto, e la propria figlia C L (seconda ricorrente in primo grado), entrambi residenti - unitamente ad altri componenti del nucleo familiare - nella detta abitazione, avanzarono domanda di condono edilizio, ex decreto legge n. 269/2003 e legge regionale n. 10/2004, con riferimento agli interventi realizzati dal loro de cuius .

Con il provvedimento prot. n. 25349 del 4 marzo 2014 il Comune di Cava de’ Tirreni denegava il chiesto condono.

A seguito di detto diniego con la gravata ordinanza n. 87 del 22 maggio 2019 il Dirigente del II Settore Governo del Territorio, Ambiente e Attività Produttive del Comune di Cava de’ Tirreni, per quel che interessa nella presente sede, così disponeva:

«… Ordina ….

di demolire, a propria cura e spese entro e non oltre novanta giorni dalla data di notifica del presente provvedimento, le opere abusive realizzate alla Via S. Felice, 10 s.n.c. Fraz. S. Anna oggetto delle precedenti ordinanze e del provvedimento di diniego di condono prot. n. 25349 del 04.03.2014 e di ripristinare lo stato dei luoghi, con espressa avvertenza che l’inottemperanza a quanto disposto nel termine assegnato, comporta, ex art. 31 del D.P.R. 6 Giugno 2001 n° 380, che il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive, sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio comunale e la demolizione d’ufficio con spese a carico del responsabile dell’abuso ai sensi dell’art. 31 comma 1, e fatta salva ed impregiudicata l’azione penale per la repressione dell’abuso ai sensi di legge.

L’area che verrà acquisita ai sensi dell’art. 31 comma 3 D.P.R. 380/2001 è quella di sedime dell’opera abusiva nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive per una superficie complessiva non superiore a 10 volte la superficie utile abusivamente costruita. …».”

2. - Con il ricorso depositato in data 30 settembre 2019 i sig.ri D L e C L impugnavano dinanzi al T.A.R. Campania, Sezione staccata di Salerno, l’ordinanza di demolizione n. 87/2019 e, per quanto di ragione, tutti gli atti in cui si era formalizzata l’istruttoria, ivi compreso il verbale di sopralluogo, redatto dall’U.T.C., deducendo le seguenti censure:

« I) Violazione di legge (art. 31, comma 3, del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380) eccesso di potere (perplessità dell’azione amministrativa;
carenza del presupposto);

II) Violazione di legge (artt. 31 e 27 d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380);
eccesso di potere (incoerenza e perplessità dell’azione amministrativa;
difetto assoluto del presupposto);

III) Violazione di legge (artt. 36 e 37 d.p.r. 6.6.2001, n. 380 e s.m.i.) - eccesso di potere (carenza assoluta di istruttoria;
violazione del giusto procedimento;
perplessità);

IV) Violazione di legge (artt. 3, 10, 22, 31, 33, 36 e 37 d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380;
violazione l.r.c. 27 giugno 1987, n. 35;
violazione l.r.c. n. 19/2009) - eccesso di potere (carenza assoluta dei presupposti;
difetto di motivazione;
carenza di istruttoria;
violazione del giusto procedimento;
travisamento del fatto);

V) Violazione di legge (art. 3 l. 7.8.1990, n. 241) eccesso di potere (carenza assoluta di motivazione;
motivazione perplessa e incoerente;
violazione del giusto procedimento;
difetto assoluto di istruttoria)
».

3. - Con la sentenza segnata in epigrafe l’adito T.A.R. dichiarava il ricorso introduttivo di primo grado in parte inammissibile ed in parte lo respingeva.

4. - Con atto di appello i sig.ri D L e C L contestavano tale sentenza e ne chiedevano la riforma per il seguente motivo:

«- Error in iudicando in relazione all’omessa applicazione alla fattispecie dell’art. 21 septies della legge n. 241/90. Travisamento degli atti. Error in iudicando in relazione alla dedotta violazione delle “garanzie partecipative” ».

5. - Resisteva al gravame il Comune di Cava de’ Tirreni, chiedendone il rigetto.

6. - All’udienza pubblica del 23 gennaio 2024 la causa è passata in decisione.

7. - L’appello non può trovare accoglimento.

Con un unico e articolato motivo gli odierni appellanti hanno dedotto l’asserita erroneità della sentenza di primo grado, rilevando, peraltro, per la prima volta e, quindi come motivo nuovo, l’asserita nullità ex art. 21- septies legge n. 241/1990 del provvedimento sanzionatorio, essendo stato emesso in pendenza di sequestro, sull’assunto secondo cui non sussisterebbe alcun onere a carico del privato di attivarsi per ottenere il dissequestro del bene in mancanza di una previsione di legge in tal senso.

7.1. - Il motivo è inammissibile e non scrutinabile in quanto - come detto - formulato, per la prima volta, in sede di gravame, in violazione del divieto dei nova in appello ex art. 104 cod. proc. amm. (Cons. Stato, sez. VI, 14 luglio 2023 n. 6894).

In ragione di ciò si comprende la ragione per cui il T.A.R. non si è pronunciato sulla censura relativa all’asserita nullità ex art. 21- septies legge n. 241/1990 dell’ordine di demolizione per mancanza di un elemento essenziale dell’atto costituito dalla possibilità giuridica di eseguire il comando, trattandosi di doglianza mai sollevata in primo grado.

7.2. - Nel merito il motivo è comunque infondato.

Con detta prima censura gli appellanti, nel richiamare una pronuncia del Consiglio di Stato (Sez. VI, sentenza n. 2337 del 17 maggio 2017), rilevano che «… l’ordine di demolizione di un immobile colpito da un sequestro penale dovrebbe essere ritenuto affetto dal vizio di nullità, ai sensi dell’art. 21- septies l. n. 241 del 1990 (in relazione agli artt. 1346 e 1418 c.c.), e, quindi, radicalmente inefficace, per l’assenza di un elemento essenziale dell’atto, tale dovendo intendersi la possibilità giuridica dell’oggetto del comando ».

Il motivo non può trovare accoglimento.

Invero, Cons. Stato, Sez. VII, 18 agosto 2023, n. 7816, alle cui conclusioni questo Collegio ritiene di aderire, ha rilevato:

«… La Sezione ritiene, …, di aderire all’indirizzo prevalente, sia amministrativo sia penale, secondo cui, ai fini della legittimità dell’ordine di demolizione, è irrilevante la pendenza di un sequestro della sua eseguibilità e, quindi, della validità dei conseguenti provvedimenti sanzionatori, sulla base della non qualificabilità della misura cautelare reale quale impedimento assoluto all’attuazione dell’ingiunzione, in ragione della possibilità, per il destinatario dell’ordine, di ottenere il dissequestro del bene ai sensi dell’art. 85 disposizione di attuazione del codice di procedura penale (cfr. Cons. Stato, Sezione Prima, Adunanza di Sezione del 7 marzo 2018, affare n. 2072/2016).

Invero, «una cosa è, sul versante penalistico e processualpenalistico, l’ordine di distruzione del manufatto abusivo, a cura e a spese dell’imputato, impartito dal giudice penale quale conseguenza obbligata derivante dalla sentenza di condanna, e altro è, sul versante amministrativo e delle procedure d’infrazione urbanistico - edilizie, l’ordine di rimozione, ovvero di demolizione, emanato dal dirigente comunale competente ai sensi dell’art. 33 del d.P.R. n. 380/200» (Cons. Stato, Sez. VI, 28 gennaio 2016, n. 283).

La sottoposizione di un manufatto abusivo a sequestro penale, dunque, diversamente da quanto opina l’appellante, non costituisce impedimento assoluto a ottemperare a un ordine di demolizione, né integra causa di forza maggiore impeditiva della demolizione, dato che sussiste la possibilità di ottenere il dissequestro dell’immobile al fine di ottemperare all’ingiunzione di demolizione, alla luce della consolidata giurisprudenza in materia di provvedimenti di repressione dell’abusivismo edilizio, e dei loro rapporti con il sequestro penale.

Né può essere condivisa la tesi di parte appellante secondo cui sarebbe irragionevole che la parte chieda il dissequestro dell’immobile al solo fine di distruggerlo.

Invero «il sequestro penale dell’immobile non influenza la legittimità dell’ordinanza di rimessione in pristino. Il contemperamento con le esigenze della difesa si realizza ritenendo che il termine assegnato dall’ordinanza per la demolizione o la rimessione in pristino non decorre sin quando l’immobile rimane sotto sequestro, restando all’autonoma iniziativa della difesa ovvero della magistratura inquirente attivare gli strumenti che al dissequestro possono condurre» (Cons. Stato, Sez. VII, 14 aprile 2023, n. 3805 che richiama id. 20 febbraio 2023, n. 1721).

In ogni caso non può sottacersi che le argomentazioni in rassegna sono estranee al thema decidedum, in quanto riguardano le conseguenze previste ex lege in caso di mancata demolizione, laddove le contestazioni della parte appellante involgono la presunta nullità radicale dell’ordine di demolizione (unico atto impugnato) stante la pendenza del sequestro: nullità che il Collegio ritiene di dover escludere per le evidenziate ragioni . …».

Anche la citata sentenza del Consiglio di Stato n. 6894 del 14 luglio 2023 ha rimarcato:

«… 3.1 In disparte da quanto testè osservato in rito in ordine all’inammissibilità della censura, la stessa appare, in ogni caso, infondata nel merito atteso che appare preferibile la tesi, seguita anche dalla giurisprudenza più recente, secondo cui “Il sequestro di un immobile abusivo da parte dell’Autorità giudiziaria penale non determina l’illegittimità dell’ordinanza di demolizione che lo attinge, ma soltanto l’eventuale differimento del termine fissato per la rimessa in pristino, decorrente dalla data del dissequestro, che sarà onere dell’interessato richiedere tempestivamente. Conseguentemente, la circostanza che il fabbricato è oggetto di un sequestro penale deve essere tenuta in conto dall’Amministrazione procedente soltanto ai fini delle valutazioni di competenza circa l’eseguibilità materiale del provvedimento repressivo. L’obbligato quindi ha l’onere di chiedere all’autorità giudiziaria penale il dissequestro, secondo la procedura prevista dall’ art. 85 disp. att. c.p.p., allo scopo di ottenere l’autorizzazione a provvedere direttamente alla demolizione e al ripristino dei luoghi;
sicché, in tal caso, soltanto il rigetto dell’istanza giustificherebbe il factum principis tale da inibire l’ordine di demolizione e/o l’avvio del procedimento di acquisizione al patrimonio comunale” (T.A.R. per la Sicilia, Palermo, sez. I, 18/05/2022, n. 1629).

A sostegno di questa ricostruzione non può, del resto, obliterarsi che la nullità rappresenta, nel sistema di invalidità del provvedimento amministrativo, una patologia a carattere eccezionale (rispetto a quella generale dell’annullabilità ex art. 21-octies della l.n. 241 del 1990 - così ex multis, da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 03/05/2018, n. 2641) le cui ipotesi vanno lette in chiave necessariamente restrittiva.

Ed è in questa ottica che va, in particolare, disegnata la categoria della nullità c.d. “strutturale” per mancanza degli “elementi essenziali” ex art. 21-septies della legge generale sul procedimento. Pur nella difficoltà di delinearne con certezza i confini (anche in ragione dell’assenza, nel sistema amministrativo, di una previsione analoga a quella dell’art. 1325 c.c.), sembra che al suo interno vada ricompresa, sulla scorta della teoria generale dell’atto giuridico, anche la mancanza di un “oggetto” del provvedimento che sia dotato dei crismi della certezza, possibilità e determinatezza (ovvero determinabilità) ai sensi dell’art. 1346 c.c.

In particolare, per “oggetto” deve intendersi non tanto la res in sé che costituisce il termine passivo della volizione amministrativa (che, come tale, stando fuori della fattispecie attizia non potrebbe assurgere a suo elemento essenziale), quanto piuttosto la rappresentazione che della stessa è data nell’adozione del provvedimento e che consente di individuare la materia a cui si riferisce il precetto in esso contenuto.

Così inteso l’“oggetto” del provvedimento amministrativo, è evidente che il vaglio circa la sua possibilità va condotto, in linea con le soprarichiamate esigenze di tassatività, con particolare cautela e rigore circoscrivendo i casi in cui detto crisma può dirsi mancante alle sole ipotesi-limite di assoluta impossibilità (giuridica ovvero materiale) dello stesso.

Ne discende che, applicando le suddette coordinate al caso in esame, la sottoposizione a sequestro penale della res interessata dall’ordinanza di demolizione non determina la nullità strutturale del provvedimento amministrativo poiché l’oggetto resta, almeno in astratto, possibile (così Cons. Stato, sez. VI, 07/07/2020, n. 4354), ben potendo la parte interessata ottenere dall’A.G.O. il dissequestro del manufatto al fine di rimuovere spontaneamente l’abuso (e non incorrere in ulteriori conseguenze amministrative e civili).

A nulla vale osservare che tale iniziativa può importare un sacrificio per l’istante/proprietario perché detta circostanza non vale di certo a rendere radicalmente impossibile la demolizione.

V’è, piuttosto, da ritenere che la sottoposizione a vincolo reale del manufatto incida, al più, sul piano, ontologicamente diverso da quello dell’invalidità del provvedimento, della sua concreta eseguibilità ex art. 21-quater della l. n. 241 del 1990, ostando, fintanto che perdura, all’attuazione del precetto in esso contenuto (con tutti i riflessi in punto di exordium del termine fissato per la rimessa in pristino, da posticipare al momento dell’eventuale venir meno del vincolo reale sulla res anche in accoglimento dell’istanza di dissequestro – in termini Cons. Stato, sez. VI, 23/03/2022, n. 2122;
Cons. Stato, sez. VI, 20/07/2018, n. 4418).
…».

In tal senso anche secondo Cons. Stato, Sez. VI, 6 ottobre 2023, n. 8702 In base all’orientamento correttamente richiamato dal TAR, l’esistenza di un sequestro penale non è di ostacolo alla ottemperanza dell’ordine di demolizione, sussistendo la possibilità di ottenere il dissequestro dell’immobile, al fine di ottemperare allo stesso, proprio per evitare l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 28/01/2016, n. 335) . ...”.

Da qui l’infondatezza, anche nel merito, del motivo in esame.

7.3. - Quanto al secondo profilo di doglianza (sub-articolato con lo stesso unico motivo), afferente all’impianto motivazionale della sanzione demolitoria, è sufficiente osservare che, secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale l’ordinanza di demolizione di un immobile abusivo ha natura di atto dovuto e rigorosamente vincolato, con la conseguenza che essa è dotata di un’adeguata e sufficiente motivazione se contiene la descrizione delle opere abusive e le ragioni della loro abusività (cfr. ex multis , Cons. Stato, Sez. VI, 7 giugno 2021, n. 4319).

Ne consegue che non è necessario che l’Amministrazione individui un interesse pubblico - diverso dalle mere esigenze di rispristino della legalità violata - idoneo a giustificare l’ordine di demolizione (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 17 ottobre 2022, n. 8808: “… La motivazione dell’atto impugnato è … da ritenersi sufficiente e quindi adeguata a sostenerne la legittimità, tenuto anche conto che, come è noto, l’ordine di demolizione di manufatti abusivi, stante la sua natura vincolata, non richiede una specifica motivazione sulla ricorrenza del concreto interesse pubblico alla loro rimozione, essendo la relativa ponderazione tra l’interesse pubblico e quello privato già compiuta, a monte, dal legislatore e la sua adozione non è neppure subordinata al previo contradditorio col destinatario dell’atto;
ciò in base ad un principio che non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ordine di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Ad. pl., 17 ottobre 2017 n. 9;
Sez. VI, 24 febbraio 2022 n. 1304, 27 settembre 2021 n. 6490, 15 febbraio 2021 n. 1351, 7 gennaio 2021 n. 187, 13 maggio 2020 n. 3036 e 25 febbraio 2019 n. 1281 nonché Sez. II, 18 dicembre 2019 n. 8542, 29 luglio 2019 n. 5317 e 26 giugno 2019 n. 4386). …
”).

Tali principi valgono anche nel caso in cui l’ordine di demolizione venga adottato a notevole distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, atteso che, a fronte della realizzazione di un immobile abusivo, non è configurabile alcun affidamento del privato meritevole di tutela.

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha, infatti, chiarito che:

«… Il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso neanche nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino. …» (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 17 ottobre 2017, n. 9).

Nello stesso senso si è pronuncia questa Sezione (con sentenza n. 360 dell’11 gennaio 2023), ribadendo che “ l’ordine di demolizione è atto vincolato e non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di questo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione;
né vi è un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il mero decorso del tempo non sana, e l’interessato non può dolersi del fatto che l’amministrazione non abbia emanato in data antecedente i dovuti atti repressivi
”.

Nel caso di specie, contrariamente a quanto sostenuto dagli appellanti, l’impugnata ordinanza è adeguatamente motivata attraverso il richiamo integrale ai contenuti delle pregresse ordinanze demolitorie, agli esiti reiettivi dell’istanza di condono e alle risultanze dell’ultimo accertamento eseguito, e reca con sufficiente chiarezza la descrizione delle opere oggetto di repressione e l’individuazione della disciplina urbanistica e vincolistica violata.

In definitiva, l’indicazione nel corpo dell’ordinanza degli elementi fattuali e giuridici innanzi richiamati manifesta l’inconsistenza del preteso deficit istruttorio-motivazionale del provvedimento e l’infondatezza del motivo di appello in esame.

8. - Ne consegue che l’appello deve essere respinto.

9. - Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

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