Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-09-15, n. 202207993

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-09-15, n. 202207993
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202207993
Data del deposito : 15 settembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 15/09/2022

N. 07993/2022REG.PROV.COLL.

N. 01551/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1551 del 2016, proposto da
G F, rappresentato e difeso dagli avvocati E F e E R, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato S I in Roma, via Atanasio Kircher, 7;

contro

Comune di Anacapri, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Sesta) n. 03475/2015, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 giugno 2022 il Cons. F D L;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.- Con ordinanza n. 1006 del 21.1.2008 il Comune di Anacapri ha ingiunto al Sig. Ferraro la demolizione di opere edilizie abusive, eseguite in via Pagliaro, consistenti:

a) nell’ “ ampliamento appartamento per creazione di una superficie coperta di circa mq 17.42 e mc 44.77 ottenuta dalla copertura del terrazzo con lamiera coibentata controsoffittata in legno e chiusura dei lati liberi struttura in muratura e infissi in vetro-alluminio ”;

b) nella “ realizzazione manufatto, di circa mq 26 e mc 59.80, costituito da struttura in ferro con sovrastante copertura in lamiera coibentata, delimitato per un lato da pannelli in legno con vano apribile, per un lato da infisso chiuso tra pilastri, per un lato da pannelli in plexiglass e per un lato muretto con sovrastanti pannelli in legno ”.

2. Il Sig. Ferraro ha impugnato l’ordinanza di demolizione n. 1006/08 (e gli atti connessi) dinnanzi al Tar Campania, sede di Napoli, deducendo:

- l’inesistenza di opere edilizie aventi incidenza sul territorio o determinanti una trasformazione urbanistico-edilizia e paesaggistica;

- in subordine, la funzione strumentale e pertinenziale delle opere rispetto all’immobile di proprietà del ricorrente;

- in ulteriore subordine, l’emersione di un mero intervento di restauro conservativo, sottratto al previo rilascio del permesso di costruire;

- l’applicabilità, al più, della sanzione pecuniaria in luogo di quella ripristinatoria, pure tenuto conto dell’affidamento ingenerato nel privato dalla condotta amministrativa, dell’impossibilità di demolire la prima opera senza determinare un pregiudizio irreversibile all’intero immobile di cui avrebbe fatto parte integrante, nonché della natura precaria della seconda opera in contestazione;

- l’illegittimità dell’avviso di un’automatica acquisizione al patrimonio disponibile, nonostante si facesse questione di opere prive di un’autonoma identità e sebbene l’Amministrazione non avesse specificato l’area interessata dal provvedimento ablatorio;

- l’omessa comunicazione di avvio del procedimento di demolizione;

- il difetto di motivazione, per la mancata specificazione delle norme urbanistiche asseritamente violate.

3. In pendenza del giudizio, l’Amministrazione comunale, con determina n. 6643 del 30.4.2008, ha rigettato l’istanza di permesso edilizio in sanatoria nelle more presentata dall’odierno appellante, ritenendo che si facesse questione di:

- “ istanza inaccettabile, ai sensi dell’art. 9 del vigente Regolamento Edilizio, in quanto priva della necessaria documentazione (grafici e relazione) a firma di tecnico abilitato ”;

- “ intervento non conforme alla vigente strumentazione urbanistica ricadente in zona “B” del P.R.G. ed in zona “R.U.A.” del P.T.P. le cui normative di attuazione non consentono incrementi volumetrici su fabbricati esistenti né realizzazione di nuovi corpi di fabbrica ma solo interventi ascrivibili all’art. 3 del D.P.R. n. 380/01 ”;

- “ interventi che hanno rilevanza sotto il profilo paesistico ambientale e sono stati eseguiti in evidente contrasto in generale con le norme di tutela ambientale ed in particolare con la norma prescritta dall’art. 11, comma 4, del P.T.P., in quanto hanno comportato la realizzazione di nuove volumetrie, per complessivi mc 104 circa ”.

4. La parte ricorrente ha proposto motivi aggiunti avverso il diniego di sanatoria (e gli atti connessi), deducendo:

- la mancata comunicazione di avvio del procedimento e la mancata comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza;

- la mancata previa acquisizione del parere della competente Commissione Edilizia e della Commissione Edilizia Integrata del Comune di Anacapri;

- la completezza della documentazione depositata in sede amministrativa ai fini dell’istruzione dell’istanza di sanatoria e, comunque, la mancata richiesta di integrazioni documentali che l’Amministrazione avrebbe dovuto comunicare prima di determinarsi negativamente sulla richiesta di sanatoria;

- la contraddittorietà della decisione amministrativa, non potendo esaminarsi nel merito l’istanza e, al contempo, contestarsi una incompletezza documentale;

- il difetto motivazionale e il difetto istruttorio, mancando una verifica in ordine alla conformità delle opere al momento della presentazione dell’istanza e al momento della realizzazione dell’opera;

- l’incompetenza dell’organo emanante, in assenza di un atto di conferimento in capo al Dirigente mediante specifica disposizione regolamentare o statutaria;

- la compatibilità e la condonabilità dell’opera sia sotto l'aspetto urbanistico sia sotto quello paesaggistico, facendosi questione di opere manutentive, in subordine, di opere aventi funzione strumentale e pertinenziale, in ulteriore subordine, di interventi di restauro-risanamento conservativo.

5. Il Tar ha rigettato il ricorso e i motivi aggiunti, disattendendo le censure attoree.

6. Il ricorrente ha proposto appello avverso la sentenza di prime cure, deducendone l’erroneità con l’articolazione di sette motivi di impugnazione.

7. L’appellante, con istanza del 7 giugno 2022, ha chiesto il passaggio in decisione della controversia senza discussione orale.

8. La causa è stata trattenuta in decisione nell’udienza pubblica del 23 giugno 2022.

9. Con il primo motivo di appello è censurato il capo decisorio con cui il Tar ha escluso che la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento e dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza di sanatoria fosse idonea a determinare l’annullamento del provvedimento di diniego impugnato con i motivi aggiunti in primo grado.

9.1. L’appellante deduce che il preavviso di rigetto costituirebbe un istituto di carattere generale, trovando applicazione pure al procedimento di sanatoria condotto dall’Amministrazione comunale;
ciò al fine di assicurare le garanzie partecipative in favore della parte privata, da porre in condizione di chiarire le circostanze già ritenute utili in sede procedimentale;
nella specie, peraltro, la necessità della previa comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza sarebbe derivata dalla stessa ratio decidendi alla base del rigetto, data da un’incompletezza documentale che ben avrebbe potuto esser integrata dalla parte in riscontro al preavviso di rigetto.

Nella specie, inoltre, non si farebbe questione di provvedimento vincolato soggetto all’applicazione di cui all’art. 21 octies L. n. 241/90, trattandosi di istanza riferita ad interventi edilizi diversi per natura e tipologia, comportanti valutazioni diverse in ragione della strumentazione urbanistico-edilizia comunale;
il che rendeva necessario l’apporto partecipativo della parte istante.

9.2 Il motivo di appello è infondato.

9.3 Come precisato da questo Consiglio, “ la giurisprudenza amministrativa interpreta il citato art. 10-bis L. n. 241 del 1990 così come le altre norme in materia di partecipazione procedimentale, non in senso formalistico, bensì avendo riguardo all'effettivo e oggettivo pregiudizio che la sua inosservanza abbia causato alle ragioni del soggetto privato nello specifico rapporto con la pubblica amministrazione. Ne deriva che l'omissione del preavviso di rigetto non cagiona l'automatica illegittimità del provvedimento finale qualora possa trova applicazione l'art. 21-octies, comma 2, della stessa legge, secondo cui non è annullabile il provvedimento per vizi formali non incidenti sulla sua legittimità sostanziale e il cui contenuto non avrebbe potuto essere differente da quello in concreto adottato, poiché detto art. 21-octies, attraverso la dequotazione dei vizi formali dell'atto, mira a garantire una maggiore efficienza all'azione amministrativa, risparmiando antieconomiche ed inutili duplicazioni di attività, laddove il riesercizio del potere non potrebbe comunque portare all'attribuzione del bene della vita richiesto dall'interessato (cfr. Consiglio di Stato, sezione II, sentenze 17 settembre 2019, n. 6209 e 12 febbraio 2020, n. 1081;
Consiglio di Stato, sezione III, 19 febbraio 2019, n. 1156;
Consiglio di Stato, sezione IV, 11 gennaio 2019, n. 256, e 27 settembre 2018, n. 5562). Delineato tale quadro generale, si rileva che il diniego di sanatoria è atto vincolato, cosicché la mancata comunicazione del preavviso di diniego non comporta, in base al principio di cui al su citato art. 21-octies, comma 2, effetti vizianti, ove il Comune non avrebbe potuto emanare provvedimenti differenti (cfr. Consiglio di Stato, sezione IV, 10 maggio 2012, n. 2714)
” (Consiglio di Stato, sez. II, 18 marzo 2020, n. 1925).

Trattasi di coordinate ermeneutiche incentrate sulla natura vincolata del diniego di sanatoria – atto con cui l’Amministrazione non è legittimata ad assumere alcuna scelta discrezionale sull’assetto di interesse da attuare sul piano sostanziale, dovendo limitarsi a verificare la rispondenza della istanza di parte alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie vigenti al momento dell'esame della domanda e al momento di realizzazione delle opere, al fine di adottare una decisione dal contenuto interamente predeterminato dal legislatore (tra gli altri, Consiglio di Stato, Sez. II, 6 marzo 2020, n. 1643)- nonché sulla necessità di evitare un’interpretazione meramente formalistica delle disposizioni regolanti la partecipazione procedimentale.

9.4 In applicazione di tali coordinate, deve pervenirsi al rigetto delle censure attoree.

9.5 Con l’articolazione del primo motivo di appello, il ricorrente si è, infatti, limitato a dedurre la violazione procedimentale, data dalla mancata comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, ma non ha specificato quali sarebbero stati gli elementi istruttori, suscettibili di condizionare l’esercizio del pubblico potere, che la stessa parte avrebbe potuto introdurre in sede procedimentale ove avesse ricevuto la comunicazione del preavviso di rigetto.

Peraltro, come si osserverà infra , le ragioni alla base del diniego non sono rappresentate soltanto dall’incompletezza documentale, ma, in via autonoma, anche dalla difformità sostanziale delle opere per cui è causa, contrastanti tanto con la disciplina edilizia, quanto con quella paesaggistica puntualmente richiamata nel provvedimento in esame. Trattasi di ratio decidendi immune dai vizi di legittimità dedotti dal ricorrente (che saranno esaminati nel prosieguo di trattazione) tali da imporre il diniego della domanda di sanatoria.

Pertanto, tenuto conto che, da un lato, la parte ricorrente non specifica l’apporto partecipativo che avrebbe potuto fornire in sede procedimentale ove notiziata dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza (in specie, in ordine alla difformità sostanziale delle opere in contestazione rispetto al quadro regolatorio di riferimento), dall’altro e comunque, emerge (per quanto sarà infra evidenziato) la difformità sul piano edilizio e paesaggistico delle opere in esame, è palese che il provvedimento di diniego non avrebbe potuto avere un contenuto dispositivo diverso da quello in concreto adottato;
con conseguente emersione di un vizio meramente procedimentale (dato dalla mancata comunicazione del preavviso di rigetto) insuscettibile di determinare l’annullamento del provvedimento impugnato in prime cure ex art. 28 octies, comma 2, primo periodo, L. n. 241/90.

9.6 Né potrebbe argomentarsi diversamente sulla base della nuova formulazione dell’art. 21 octies, comma 2, L. n. 241/90, risultante dalle integrazioni introdotte dall’art. 12, comma 1, lett. i), L. n. 120/2020, in forza della quale “ La disposizione di cui al secondo periodo non si applica al provvedimento adottato in violazione dell’articolo 10-bis ”.

Sebbene si tratti di previsione (sopravvenuta) applicabile ai procedimenti in corso, stante la sua natura processuale (Consiglio di Stato, sez. II, 14 marzo 2022, n. 1790), essa è espressamente riferita alla sola “ disposizione di cui al secondo periodo ” e, dunque, alla fattispecie di non annullabilità del provvedimento “ per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento ”, suscettibile di essere integrata anche a fronte di procedimenti discrezionali (non riguardando il secondo periodo i soli atti vincolati): la previsione de qua, invece, come emergente dal suo contenuto letterale, non opera in relazione alla disposizione di cui al primo periodo, riguardante la non annullabilità del provvedimento “ adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato ”, in cui l’azione amministrativa risulta vincolata, l’illegittimità riveste mera natura procedimentale o formale ed è palese che il risultato conseguito (per come emergente dalla decisione in concreto assunta dall’Amministrazione procedente) è coerente con il quadro normativo di riferimento, non essendo ipotizzabile una decisione diversa rispetto a quella in concreto adottata.

Per l’effetto, tenuto conto della limitata portata applicativa del divieto introdotto dalla L. n. 120/2020, la violazione dell’art. 10 bis L. n. 241/90, assumendo natura procedimentale - stante il mancato svolgimento di una fase procedimentale prevista dalla normativa di riferimento -, a fronte di atti vincolati, deve ritenersi ancora soggetta alla disciplina della non annullabilità del provvedimento, delineata dalla disposizione di cui al primo periodo dell’art. 21 octies, comma 2, L. n. 241/90.

Come precisato da questo Consiglio, infatti, “ l’eccezione di cui all’ art. 21 octies L. 241/90, secondo periodo, si estendeva anche all’art. 10 bis L. 241/90, la cui violazione non avrebbe comportato l’automatica caducazione dell’atto a meno di non ravvisare un effettivo e oggettivo pregiudizio che la sua inosservanza avesse causato (ex plurimis, Consiglio di Stato sez. II, 12/02/2020, n.1081). Tale disposizione è stata modificata dall’art. 12 comma 1) lett. i) decreto legge 16 luglio 2020, n. 76 convertito dalla Legge 11 settembre 2020, n. 120 che ha aggiunto all’art. 21 octies l’inciso secondo cui “la disposizione di cui al secondo periodo non si applica al provvedimento adottato in violazione dell'articolo 10-bis”. In caso di provvedimento discrezionale – e solo in questo - l’omessa comunicazione del preavviso di rigetto comporta la caducazione dell’atto viziato ” (Consiglio di Stato, sez. III, 10 giugno 2022, N. 4750).

Di conseguenza, facendosi questione nella specie di un atto vincolato, assunto in violazione di una disposizione procedimentale (quale l’art. 10 bis cit.), caratterizzato da un contenuto dispositivo che, come si osserverà infra , non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, deve ritenersi applicabile la disciplina di cui al primo periodo dell’art. 21 octies, comma 2, L. n. 241/90, con conseguente non annullabilità (sotto tale primo profilo) del provvedimento di diniego impugnato in prime cure.

9.7 Parimenti, deve ritenersi che la mancata comunicazione di avvio del procedimento di sanatoria (profilo, comunque, non oggetto di specifica censura impugnatoria in sede di appello) non possa condurre all’annullamento del provvedimento impugnato, tenuto conto che:

- “ non è necessaria alcuna preventiva comunicazione dell'avvio del procedimento per i provvedimenti di diniego di sanatoria e condono edilizio, ciò in quanto tali procedimenti, finalizzati alla sanatoria degli abusi edilizi, sono avviati su istanza di parte (cfr. ex multis Consiglio di Stato, sez. VI, 19 settembre 2018, n. 5465) ” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 febbraio 2019, n. 857);

- nella specie, il ricorrente, pure a conoscenza della pendenza del procedimento di sanatoria dallo stesso avviato, non specifica gli elementi informativi, costituenti il contenuto tipico della comunicazione ex art. 7 L. n. 241/90, non conosciuti per effetto dell’omissione comunicativa, né chiarisce come tale ipotetica violazione abbia potuto influire sulle proprie facoltà procedimentali;
il che impedisce di ricondurre alla mancata comunicazione di avvio una violazione delle garanzie partecipative suscettibile di determinare l’illegittimità del provvedimento impugnato.

10. Con il secondo motivo di appello è censurato il capo decisorio con cui il Tar ha escluso l’invalidità del diniego di sanatoria, ancorché assunto senza la previa acquisizione dei pareri delle Commissioni Edilizie Comunali (CEI e CLP, già CEI).

10.1 Secondo la prospettazione attorea, facendosi questione di diniego incentrato su valutazioni di natura urbanistico-edilizia e di natura paesaggistica, sarebbe stato necessario acquisire il parere della Commissione edilizia e della Commissione Edilizia Integrata, necessario -anche per i procedimenti di sanatoria - per verificare la conformità della domanda e delle opere rispetto alla normativa urbanistica ed edilizia vigente.

10.2 Il motivo di appello è infondato.

10.3 A fronte di un’istanza di accertamento di conformità, “ l’Amministrazione è chiamata a svolgere valutazioni doverose e vincolate, prive di margine di discrezionalità ” (Consiglio di Stato, sez. II, 24 giugno 2019 n. 4304).

Come si osserverà infra , nella fattispecie in esame il Comune intimato non poteva che determinarsi in senso negativo, poiché - ai sensi della disciplina richiamata nel provvedimento impugnato che escludeva nell’area in questione la realizzazione di aumenti di volumetria - non sussistevano i presupposti di conformità ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001.

Di conseguenza, l’immediato rilievo della mancanza di detti presupposti, apprezzabili sul piano giuridico e non necessitanti di approfondimenti tecnici, rendeva del tutto superflua l’acquisizione del parere della CE o della CEI (in termini, Consiglio di Stato, sez. II, 20 dicembre 2019, n. 8638).

11. Con il terzo motivo di appello è impugnato il capo decisorio con cui il Tar ha ravvisato la competenza del Dirigente comunale ad assumere il provvedimento di diniego di sanatoria.

11.1 Secondo quanto dedotto in appello, nel Comune di Anacapri le competenze in materia non sarebbero state conferite al dirigente mediante una specifica disposizione regolamentare o statutaria, in assenza della quale dovrebbe ascriversi la relativa competenza in capo al Sindaco.

L’art. 107, comma 3, D. Lgs. n. 267/00 richiederebbe, infatti, l’intervento delle fonti comunali per la determinazione delle modalità di espletamento delle funzioni demandate ai dirigenti.

11.2 Il motivo di appello è infondato.

11.3 Il principio contenuto negli artt. 51 della L. n. 142 del 1990 e (successivamente) 107 del D.Lgs. n. 267 del 2000 (T.U. Enti locali), circa il riparto tra compiti di governo, di indirizzo e di controllo (spettanti agli organi politici elettivi) e compiti di gestione (spettanti ai dirigenti), costituisce struttura fondante dell'intera riforma delle autonomie locali, di per sé immediatamente applicabile senza la necessità dell'interposizione di fonti secondarie, cui spetta soltanto la determinazione delle modalità di esercizio della competenza, comunque indefettibile e tale da non tollerare impedimenti e soluzioni di continuità ( ex multis , Consiglio di Stato, sez. IV, 8 luglio 2019, n. 4692).

Pertanto, anche in assenza di apposite previsioni recate nello statuto o nel regolamento dell’Amministrazione comunale, la competenza a provvedere – istituto, peraltro, afferente l’organizzazione dei pubblici uffici e, dunque, soggetto alla riserva di legge ex art. 97 Cost., con conseguente conferma della necessità di avere riguardo alle disposizioni primarie per la diretta conformazione dell’azione amministrativa, anche in punto di distribuzione del potere assegnato all’ente procedente – doveva essere imputata in capo all’organo di gestione comunale, come correttamente avvenuto nella specie.

12. Con il quarto motivo di appello è censurato il capo decisorio con cui il Tar ha disatteso le censure di illegittimità derivata formulate in relazione all’ordinanza di demolizione.

12.1 Al riguardo, il ricorrente deduce l’illegittimità dell’ordine demolitorio, in quanto non preceduto dalla preventiva comunicazione di avvio del procedimento, sebbene si trattasse di adempimento necessario sia in ragione della possibilità per l’Amministrazione di scelta tra l’irrogazione della sanzione pecuniaria e l’applicazione della sanzione ripristinatoria, sia in ragione del grave pregiudizio dipendente in capo al destinatario.

Nel caso in esame non sarebbe stata concessa al ricorrente la possibilità di intervenite nel procedimento amministrativo.

12.2 Il motivo di appello è infondato.

12.3 Il Collegio intende dare continuità all’indirizzo giurisprudenziale in forza del quale “ l'attività di repressione degli abusi edilizi tramite l'emissione dell'ordine di demolizione di cui all'art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001 costituisce attività di natura vincolata e che, pertanto, la stessa non è assistita da particolari garanzie partecipative, tanto da non ritenersi necessaria - per l'appunto - la previa comunicazione di avvio del procedimento di cui all'art. 7 e ss. della L. n. 241 del 1990 agli interessati (così, ex plurimis,Cons. Stato, Sez. IV, 19 marzo 2018, n. 1717;
29 novembre 2017 n. 5595;
12 ottobre 2016, n. 4204;
Sez. V, 17 giugno 2015, n. 3051)
” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 18 gennaio 2022, n. 311).

Diversamente da quanto dedotto dalla parte ricorrente, l’ordine di demolizione non implica valutazioni discrezionali rimesse all’apprezzamento dell’Amministrazione procedente, tenuta soltanto ad accertare i presupposti di legge al fine di adottare un provvedimento dal contenuto dispositivo interamente predeterminato dal legislatore.

Si fa questione, in particolare, di atto doveroso e vincolato, tale da non richiedere alcuna ponderazione di interessi: a tali fini, è sufficiente che l’organo procedente descriva quali siano le opere oggetto di contestazione e le ragioni della loro abusività, al fine di permettere al destinatario della sanzione di rimuoverle spontaneamente, esulando ogni altra indicazione dal contenuto tipico del provvedimento (tra gli altri, Consiglio di Stato, Sez. VI, 24 febbraio 2022, n. 1304).

Peraltro, nel caso di specie, la parte ricorrente, con l’articolazione del quarto motivo di appello, si è limitata a lamentare la mancata comunicazione di avvio del procedimento, senza precisare quale apporto avrebbe potuto fornire in sede amministrativa per condizionare in senso a sé favorevole l’esito del procedimento.

In ogni caso, come si osserverà infra , nel caso in esame si faceva questione di opere realizzate sine titulo , soggette alla sanzione demolitoria;
con la conseguenza che il contenuto dispositivo del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso rispetto a quello in concreto adottato ex art. 21 octies, comma 2, L. n. 241/90.

Parimenti, si osserva come la giurisprudenza di questo Consiglio sia orientata a ritenere ( ex multis , Consiglio di Stato, Sez. VI, 3 gennaio 2022, n. 1) che la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria debba essere valutata dall'amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all'ordine di demolizione: fase esecutiva, nella quale le parti possono dedurre in ordine alla situazione di pericolo di stabilità del fabbricato, presupposto per l'applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria, con la conseguenza che tale valutazione non rileva ai fini della legittimità del provvedimento di demolizione.

13. Con il quinto motivo di appello viene denunciata la contraddittorietà e l’illogicità della motivazione alla base del diniego di sanatoria.

13.1 In particolare, secondo quanto dedotto in appello, il rigetto della domanda di sanatoria sarebbe incentrato su presupposti tra loro inconciliabili, tenuto conto che il Comune, da un lato, aveva ravvisato la difformità delle opere rispetto alla vigente strumentazione urbanistica ricadente in zona D del PRG e in zona P.I. del PTP dell’Isola di Capri;
dall’altro, aveva censurato l’incompletezza documentale della pratica.

Tuttavia, o l’istanza sarebbe stata incompleta e, dunque, non esaminabile nel merito ovvero l’istanza avrebbe dovuto ritenersi completa e, dunque, valutabile nel merito: non sarebbe stato possibile, invece, ritenere l’istanza, al contempo, incompleta ed esaminabile nel merito.

Una tale decisione amministrativa, pertanto, avrebbe dovuto ritenersi priva di un’adeguata motivazione e violativa dei principi di buon andamento e imparzialità.

13.2 Il motivo di appello è infondato.

13.3 In particolare, questo Consiglio ha precisato, da un lato, che “ il vizio di eccesso di potere per contraddittorietà o per disparità di trattamento non è predicabile per gli atti vincolati ” (Consiglio di Stato, sez. II, 16 novembre 2020, n. 7104), dall’altro, che “ secondo il consolidato indirizzo, il vizio di eccesso di potere per contraddittorietà tra gli atti può configurarsi solo allorché sussista, tra più atti successivi di un medesimo procedimento, un contrasto inconciliabile, tale da far dubitare su quale sia l’effettiva volontà dell’Amministrazione, mentre non sussiste tra atti di distinti ed autonomi procedimenti quando si tratti di provvedimenti che, pur riguardando lo stesso oggetto, siano stati adottati all’esito di procedimenti indipendenti e ad intervalli di tempo l’uno dall’altro (in termini, tra le tante, Cons. Stato, V, 7 febbraio 2018, n. 806) ” (Consiglio di Stato, sez. V, 31 dicembre 2018, n. 7315).

Nel caso di specie si fa questione dell’impugnazione di un diniego di sanatoria che, oltre ad assumere la natura di provvedimento vincolato (come sopra precisato), non è fondato su rationes decidendi tra loro inconciliabili, essendo ben possibile ricostruire con immediatezza l’effettiva volontà dispositiva manifestata dall’Amministrazione procedente.

Sotto tale ultimo aspetto, in particolare, si osserva che l’Amministrazione ha evidenziato che l’istanza non era corredata dalla documentazione integrale prescritta dall’art. 9 Regolamento Edilizio (grafici e relazione) a firma di un tecnico abilitato e che le opere in esame contrastavano con la normativa edilizia e paesistica di riferimento.

Pertanto, si è in presenza di autonome rationes decidendi , tenuto conto che l’incompletezza della documentazione, se non consentiva di accogliere l’istanza, occorrendo la produzione pure di grafici e relazione, comunque, non impediva di percepire l’oggetto delle opere edilizie, per come descritte nell’istanza di sanatoria: per l’effetto, l’Amministrazione, tenuto conto dell’oggetto degli interventi in contestazione, per come descritto dalla parte, ben poteva ravvisare un’ulteriore ragione ostativa alla sanatoria, data dall’incompatibilità con la normativa edilizia e paesaggistica di riferimento, a prescindere dall’acquisizione di ulteriori documenti tecnici, pure prescritti dall’art. 9 Regolamento Edilizio.

La presenza di autonome rationes decidendi , tra di loro non inconciliabili, conduce al rigetto del motivo di impugnazione, essendosi in presenza di un provvedimento di diniego corredato da un adeguato apparato motivazionale, in grado di permettere al destinatario di percepire le ragioni, chiaramente rappresentate dall’Amministrazione, ostative all’accoglimento dell’istanza di sanatoria.

14. Con il sesto motivo di appello è censurato il capo decisorio con cui il Tar ha escluso l’illegittimità dell’ordinanza di demolizione nella parte in cui ha dato avviso di una automatica acquisizione al patrimonio disponibile comunale.

14.1 Invero, a giudizio del ricorrente, nella specie si farebbe questione di opere prive di un’autonoma identità, non risultando suscettibili di autonoma utilizzazione, con conseguente inapplicabilità nella fattispecie della disposizione normativa relativa all’acquisizione gratuita al patrimonio comunale.

Il provvedimento impugnato, inoltre, conterrebbe già nel suo contenuto la sanzione dell’acquisizione, non demandata ad alcun atto successivo, senza specificare le opere oggetto di acquisizione per verificarne la correttezza.

14.2 Il motivo di appello è infondato.

14.3 L’acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere abusive realizzate rappresenta una sanzione avente come presupposto la mancata ottemperanza all'ordine di demolizione entro il termine fissato dalla legge.

Questo Consiglio (sez. II, 23 maggio 2019, n. 3364) ha precisato che i procedimenti repressivi in materia edilizia, culminanti con l'atto di acquisizione della proprietà privata al patrimonio comunale, devono seguire una corretta scansione procedimentale, che consenta al privato di adempiere correttamente al provvedimento demolitorio al fine di evitare l'estrema conseguenza della perdita della proprietà.

Tale scansione procedimentale è costituita dal provvedimento di demolizione, con cui viene assegnato il termine di novanta giorni per adempiere spontaneamente alla demolizione ed evitare le ulteriori conseguenze pregiudizievoli;
dall'accertamento della inottemperanza alla demolizione tramite un verbale che accerti la mancata demolizione;
dall'atto di acquisizione al patrimonio comunale che costituisce il titolo per l'immissione in possesso e per la trascrizione dell'acquisto della proprietà in capo al Comune.

In particolare, tale atto deve individuare il bene oggetto di acquisizione e la relativa area di sedime, nonché l'eventuale area ulteriore, nei limiti del decuplo della superficie abusiva, la cui ulteriore acquisizione deve essere specificamente motivata con riferimento alle norme urbanistiche vigenti.

In definitiva, la sanzione della perdita della proprietà per inottemperanza all'ordine di remissione in pristino, pur se definita come una conseguenza di diritto dall'art. 31, comma 3, D.P.R. n. 380 del 2001, richiede un provvedimento amministrativo che definisca l'oggetto dell'acquisizione al patrimonio comunale attraverso la quantificazione e la perimetrazione dell'area sottratta al privato.

Il titolo per l'immissione in possesso del bene e per la trascrizione nei registri immobiliari è costituito dall'accertamento dell'inottemperanza all'ingiunzione a demolire, ma per tale atto deve intendersi non il mero verbale di constatazione di inadempienza, atteso il suo carattere endoprocedimentale e dichiarativo delle operazioni effettuate durante l'accesso ai luoghi, ma solo il formale accertamento, che faccia proprio l'esito del verbale e che costituisca, quindi, il titolo ricognitivo idoneo all'acquisizione gratuita dell'immobile al patrimonio comunale delle opere edilizie abusivamente realizzate. Il relativo provvedimento necessita che in esso siano esattamente individuate ed elencate le opere e le relative pertinenze urbanistiche dal momento che costituisce titolo per l'immissione in possesso dell'opera e per la trascrizione nei registri immobiliari (Consiglio di Stato, sez. V, 17 giugno 2014, n. 3097).

14.4 Sulla base di tali coordinate, si evidenzia l’infondatezza delle doglianze attoree, dirette contro un mero ordine di demolizione, con cui l’Amministrazione si è limitata ad ingiungere la demolizione di opere abusive, ai fini del ripristino dello stato anteriore alla commissione dell’illecito edilizio.

Tale provvedimento non produce, infatti, né implica l’accertamento di alcun effetto acquisitivo della proprietà privata al patrimonio comunale, occorrendo a tali fini la volontaria inottemperanza della sanzione ripristinatoria, all’uopo da accertare con successivo atto amministrativo, autonomamente impugnabile in sede giurisdizionale per vizi propri.

L’impossibilità giuridica dell’acquisizione al patrimonio comunale non rileva, dunque, al fine di scrutinare la legittimità dell’ordine di demolizione per cui è causa, ma potrà essere dedotta dalla parte contro un eventuale atto di acquisizione al patrimonio comunale che l’Amministrazione dovesse assumere nei rapporti con la parte privata.

Né potrebbe ritenersi che, con l’ordine di demolizione concretamente rilevante, l’Amministrazione abbia già provveduto all’adozione di un tale atto di acquisizione: come emergente dallo stesso provvedimento, l’Amministrazione non ha accertato l’intervenuta acquisizione al patrimonio comunale delle opere per cui è causa, ma si è limitata a rappresentare che “ in caso di inadempimento come prima specificato, saranno acquisite, di diritto, gratuitamente, al patrimonio di questo Comune sia le opere abusive prima dettagliatamente descritte che l’area di sedime… ”.

Come osservato, l’ordine di demolizione è autonomo rispetto al provvedimento di acquisizione al patrimonio comunale;
con la conseguenza che l’Amministrazione non potrebbe provvedere all’immissione in possesso dei beni de quibus sulla base del mero provvedimento ripristinatorio, occorrendo procedere, al ricorrere dei relativi presupposti giustificativi, all’accertamento dell’inottemperanza e all’adozione dell’atto di acquisizione al patrimonio comunale, in cui specificare i beni appresi alla sfera proprietaria dell’Amministrazione procedente.

Per l’effetto, il provvedimento per cui è causa deve essere distinto dall’atto di acquisizione al patrimonio comunale: l’Amministrazione ha soltanto prospettato l’eventuale acquisizione al patrimonio comunale delle opere de quibus in caso di inottemperanza dell’ordine demolitorio, che, tuttavia, avrebbe dovuto essere accertata con un successivo atto amministrativo;
il che conferma come le doglianze incentrate sull’impossibilità giuridica dell’acquisizione al patrimonio comunale non siano idonee a manifestare un vizio di legittimità del presupposto ordine di demolizione, ma devono essere svolte contro il successivo atto di accertamento dell’inottemperanza e dell’asserita intervenuta acquisizione al patrimonio comunale che l’Amministrazione dovesse assumere nei rapporti con l’odierno appellante.

14.5 Per le stesse ragioni, non può essere utilmente censurata l’omessa specificazione dell’area di sedime da acquisire al patrimonio comunale, non facendosi questione di vizio dell’ordine di demolizione.

Difatti, “ l'omessa o imprecisa indicazione di un'area che verrà acquisita di diritto al patrimonio pubblico non costituisce motivo di illegittimità dell'ordinanza di demolizione;
essendo l'indicazione dell'area un requisito necessario ai fini dell'acquisizione, che costituisce distinta misura sanzionatoria
” (tra gli altri, Consiglio di Stato, sez. VI, 11 maggio 2022, n. 3707).

15. Con il settimo motivo di appello è dedotta l’omessa valutazione delle censure riferite alla compatibilità e condonabilità delle opere de quibus sotto l’aspetto urbanistico e paesaggistico.

15.1 Secondo quanto dedotto dall’appellante, non si farebbe questione di opere edilizie incidenti sul territorio e idonee a determinare una trasformazione sotto il profilo urbanistico-edilizio e paesaggistico.

In subordine, si farebbe questione di opere pertinenziali o, comunque, integranti gli estremi del restauro conservativo.

15.2 Il motivo di appello è infondato.

15.3 In subiecta materia devono trovare applicazione i principi di diritto, ripetutamente affermati da questo Consiglio di Stato, in forza dei quali:

- al fine di valutare l'incidenza sull'assetto del territorio di un intervento edilizio, consistente in una pluralità di opere, va compiuto un apprezzamento globale, atteso che la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprenderne in modo adeguato l'impatto effettivo complessivo. I molteplici interventi eseguiti non vanno considerati, dunque, in maniera "frazionata" (Consiglio di Stato, sez. II, 18 maggio 2020, n. 3164);

- l'intervento di nuova costruzione consiste in una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, attuata attraverso opere di rimodellamento della morfologia del terreno, ovvero costruzioni lato sensu intese, che, indipendentemente dai materiali utilizzati e dal grado di amovibilità, presentino un simultaneo carattere di stabilità fisica e di permanenza temporale, dovendosi con ciò intendere qualunque manufatto che sia fisicamente ancorato al suolo (il cui tratto distintivo e qualificante viene, dunque, assunto nell'irreversibilità spazio-temporale dell'intervento) che possono sostanziarsi o nella costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati o nell'ampliamento di quelli esistenti all'esterno della sagoma stabilita (Consiglio di Stato, sez. VI, 3 marzo 2020, n. 1536);

- l'intervento di ristrutturazione edilizia, invece, sussiste quando viene modificato un immobile già esistente nel rispetto delle caratteristiche fondamentali dello stesso: tuttavia, laddove il manufatto sia stato totalmente trasformato, con conseguente creazione non solo di un apprezzabile aumento volumetrico (in rapporto al volume complessivo dell'intero fabbricato), ma anche di un disegno sagomale con connotati alquanto diversi da quelli della struttura originaria, l'intervento rientra nella nozione di nuova costruzione;
nella nozione di nuova costruzione possono, dunque, rientrare anche gli interventi di ristrutturazione qualora, in considerazione dell'entità delle modifiche apportate al volume e alla collocazione dell'immobile, possa parlarsi di una modifica radicale dello stesso, con la conseguenza che l'opera realizzata nel suo complesso sia oggettivamente diversa da quella preesistente (Consiglio di Stato, sez. II, 6 aprile 2020, n. 2304);

- in definitiva, pur consentendo l'art. 10, comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 380 del 2001 di qualificare come interventi di ristrutturazione edilizia anche le attività volte a realizzare un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, implicanti modifiche della volumetria complessiva, della sagoma o dei prospetti, occorre conservare sempre una identificabile linea distintiva tra le nozioni di ristrutturazione edilizia e di nuova costruzione, potendo configurarsi la prima solo quando le modifiche volumetriche e di sagoma siano di portata limitata e comunque riconducibili all'organismo preesistente (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 19 gennaio 2016, n. 328);

- la ristrutturazione edilizia, a sua volta, deve essere distinta dagli interventi di restauro e risanamento conservativo;

- mentre la ristrutturazione può condurre ad un " un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente", il restauro e il risanamento conservativo "non possono mai portare a ridetto "organismo in tutto o in parte diverso dal preesistente", avendo sempre la finalità di "conservare l'organismo edilizio" ovvero di "assicurarne la funzionalità" (cfr. ancora art. 31, lett. c) della L. n. 457 del 1978, traslato testualmente nell'art. 3, comma 1, lett. c) del D.P.R. n. 380 del 2001) " (Consiglio di Stato, Sez. II, 26 dicembre 2020, n. 8337);

- ne deriva che si è in presenza di un restauro e risanamento conservativo qualora l'intervento sia funzionale alla conservazione dell'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità, nel rispetto dei suoi elementi tipologici (in specie, architettonici e funzionali, suscettibili di consentire la qualificazione dell'organismo in base alle tipologie edilizie), formali (tali da contraddistinguere il manufatto, configurandone l'immagine caratteristica) e strutturali (concernenti la composizione della struttura dell'organismo edilizio);

- in particolare, " la caratteristica degli interventi di mero restauro è quella di essere effettuata mediante opere che non comportano l'alterazione delle caratteristiche edilizie dell'immobile da restaurare, e quindi rispettando gli elementi formali e strutturali dell'immobile stesso, mentre la ristrutturazione edilizia si caratterizza per essere idonea ad introdurre un quid novi rispetto al precedente assetto dell'edificio (Cons. Stato Sez. VI, Sent., 02-09-2020, n. 5350) " (Consiglio di Stato, sez. II, 18 giugno 2021, n. 4701);

- questo Consiglio (sez. II, 2 aprile 2021, n. 2735), in definitiva, ha precisato che " la finalità di conservazione, caratteristica degli interventi di recupero e risanamento conservativo, postula il mantenimento tipologico e strutturale del manufatto;
conseguentemente dovendosi ascrivere gli interventi edilizi che alterino, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l'originaria consistenza fisica di un immobile (e comportino, altresì, la modifica e ridistribuzione dei volumi) non già nel concetto di "manutenzione straordinaria" (e, a fortiori, di restauro o risanamento conservativo), ma quale "ristrutturazione edilizia" (pertanto ravvisabile nella modificazione della distribuzione della superficie interna e dei volumi e dell'ordine in cui sono disposte le diverse porzioni dell'edificio anche per il solo fine di renderne più agevole la destinazione d'uso esistente)
" (Consiglio di Stato, sez. II, 2 aprile 2021, n. 2735).

15.4 L’applicazione di tali coordinate ermeneutiche al caso di specie conduce al rigetto del motivo di impugnazione: l’ampliamento di un appartamento e la realizzazione di un nuovo manufatto danno infatti luogo ad interventi di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio, comportando un aumento della volumetria precedentemente assentita.

15.4.1 Nel primo caso, la parziale chiusura di un terrazzo con ampliamento dell’appartamento, comportando una variazione planivolumetrica ed architettonica dell'immobile interessato, integra un intervento di ristrutturazione edilizia soggetto al preventivo rilascio di permesso di costruire, determinando una trasformazione dell’organismo edilizio con aumento di volumetria, superficie (oltre che) modifica del prospetto.

Tale intervento, dando luogo ad un intervento di ristrutturazione edilizia comportante un aumento della volumetria, è soggetto al previo rilascio del permesso di costruire ex art. 10, comma 1, lett. c), DPR n. 380/01, in assenza del quale si impone ex art. 33 DPR n. 380/01 la sanzione demolitoria.

15.4.2 Nel secondo caso, la realizzazione di un manufatto di circa mq 26 e mc 59.80 integra gli estremi dell’intervento di nuova costruzione, avendo condotto all’edificazione di un nuovo organismo edilizio suscettibile di autonoma utilizzazione, per il quale, parimenti, risultava prescritto il previo rilascio del prescritto permesso di costruire ex art. 10, comma 1, lett. a), DPR n. 380/01, in assenza del quale è dovuta la sanzione ripristinatoria ex art. 31 DPR n. 380/01.

15.5 Nella specie, non potrebbe neppure ricorrersi alla nozione di pertinenza urbanistica, qualifica riferibile soltanto ad opere di modesta entità ed accessorie rispetto ad un'opera principale, ma non anche ad opere che, da un punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all'opera cd. principale e non siano coessenziali alla stessa, tali, cioè, che non ne risulti possibile una diversa destinazione economica.

A differenza della nozione di pertinenza di derivazione civilistica, ai fini edilizi, il manufatto può essere considerato una pertinenza quando, da un lato, sia preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, essendo funzionalmente inserito al suo servizio, dall'altro, sia sfornito di un autonomo valore di mercato e non comporti carico urbanistico, esaurendo la sua finalità nel rapporto funzionale con l'edificio principale.

Il collegamento tra pertinenza e bene principale non può essere, peraltro, apprezzato sul piano soggettivo, avuto riguardo al tipo di destinazione che il proprietario ha inteso imprimere nel caso concreto al manufatto di servizio, dovendo sussistere un " oggettivo nesso che non consenta altro che la destinazione della cosa ad un uso servente durevole e sussista una dimensione ridotta e modesta del manufatto rispetto alla cosa in cui esso inerisce " (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, 8 giugno 2020, n. 3634).

Nel caso di specie, da un lato, si fa questione dell’ampliamento di un appartamento preesistente, con la conseguenza che non emerge alcun rapporto di accessorietà tra una res principale e una pertinenziale, emergendo un unico manufatto all’uopo ampliato;
nel secondo caso, emerge un manufatto di apprezzabili dimensioni (26 mq e 59,80 mc) suscettibile di un autonomo utilizzo, con conseguente mancata integrazione degli elementi costitutivi della pertinenza urbanistica.

15.6 Facendosi questione di interventi di nuova costruzione e di ristrutturazione edilizia in assenza del permesso di costruire, non soltanto era necessitata la sanzione demolitoria, ma non era possibile neppure procedere alla sanatoria delle opere in parola, in quanto la normativa edilizia-urbanistica e paesaggistica richiamata e trascritta nel diniego di sanatoria precludeva l’esecuzione di opere comportanti un aumento di volumetria.

In particolare, si fa questioni di opere ricadenti nella:

- Zona B – Aree di completamento residenziale della zona urbana – del P.R.G., in cui risultavano ammessi soli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, di restauro conservativo, ristrutturazione e sostituzione degli edifici esistenti senza incrementi della cubatura complessiva e della superficie utile interna (ad eccezione degli incrementi della superficie utile per l’adeguamento igienico e funzionale degli alloggi risultanti carenti di servizi), con la subordinazione degli interventi di ristrutturazione e sostituzione edilizia alla formazione di piani particolareggiati;

- Zona R.U.A. – Recupero Urbanistico Edilizio e Restauro Paesistico – Ambientale del P.T.P., in cui risultavano ammessi interventi di conservazione del verde agricolo residuale, di ricostituzione del verde secondo l’applicazione dei principi fitosociologici rispettosi dei processi dinamico-evolutivi e delle potenzialità della vegetazione dell’area, nonché di realizzazione di opere di difesa del suolo;

- zona vincolata paesaggisticamente, soggetta al divieto di incrementi volumetrici (art. 11.4 P.T.P. Capri).

Le opere in questione, comportando un aumento volumetrico, non avrebbero potuto, dunque, essere sanate, in quanto incompatibili con la disciplina urbanistica, edilizia e paesaggistica operante in materia.

16. Stante l’infondatezza dell’appello, considerata la mancata costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata, non vi è luogo a provvedere sulla regolazione delle spese processuali.

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