Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2020-04-06, n. 202002309

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2020-04-06, n. 202002309
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202002309
Data del deposito : 6 aprile 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 06/04/2020

N. 02309/2020REG.PROV.COLL.

N. 07395/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 7395 del 2019, proposto da
R R, rappresentato e difeso dall'avvocato A M, con domicilio digitale come da Pec Registri di giustizia;

contro

Ministero della giustizia, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, 12, è elettivamente domiciliato;
Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, non costituito in giudizio;

nei confronti

V R, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. 05714/2019, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della giustizia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 5 marzo 2020 il Cons. V P ed uditi per le parti l’avvocato Mirone e l’avvocato dello Stato Varrone;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con ricorso al Tribunale amministrativo del Lazio, il dott. R R, già sostituto procuratore generale presso la Suprema Corte di Cassazione, attualmente in quiescenza, impugnava il provvedimento del 3 luglio 2018 del Procuratore generale presso la Cassazione che rigettava l’istanza di accesso civico generalizzato di cui all’art. 5, comma 2, d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, comunicando altresì di avere archiviato la segnalazione disciplinare precedentemente inoltrata dal ricorrente.

Il ispecie, il dott. R aveva inoltrato al Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, in data 21 febbraio 2018, una segnalazione disciplinare nei confronti di alcuni magistrati, che aveva inviato anche al Ministero della giustizia e al Consiglio Superiore della Magistratura: segnalazione che però dopo poco tempo veniva archiviata.

A fronte di ciò il dott. R proponeva istanza di accesso alla archiviazione, per conoscere le reali motivazioni di tale decisione (noto essendogli solamente il dispositivo). Alla istanza la Procura generale presso la Corte di Cassazione dava riscontro negativo.

Avverso tal ultimo atto il ricorrente deduceva in giustizia sei motivi di impugnazione, sostenendo innanzitutto che nel caso di specie sussistessero i presupposti di legge per l’ accesso civico generalizzato di cui all’art. 5 ( Accesso civico ), comma 2, d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33 ( Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni ), essendo l’atto riconducibile a un’attività amministrativa e non giurisdizionale.

Egli deduceva inoltre l’assenza di limitazioni di legge all’ostensione del documento (secondo motivo), non potendo applicarsi la previsione di cui all’art. 4 ( Categorie di documenti inaccessibili per motivi di riservatezza di terzi, persone, gruppi ed imprese ) d.m. 25 gennaio 1996, n. 115 ( Regolamento concernente le categorie di documenti formati o stabilmente detenuti dal Ministero di grazia e giustizia e dagli organi periferici sottratti al diritto d'accesso ), che riguarderebbe solo l’accesso “documentale” di cui alla legge n. 241 del 1990 e non anche quello “generalizzato” di cui al d.lgs. n. 33 del 2013, disposizione che comunque avrebbe dovuto essere annullata, qualora ritenuta applicabile anche a tale ipotesi (terzo motivo).

Neppure, per il ricorrente, avrebbe avuto rilevanza il richiamo (nel provvedimento di diniego) all’art. 47 ( Trattamenti per ragioni di giustizia ) d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 ( Codice in materia di dati personali ), concernente un diverso ambito di applicazione (quarto motivo);
né l’art. 19 ( Principi applicabili al trattamento di dati diversi da quelli sensibili e giudiziari ), comma 3, del detto decreto n. 196 del 2003 né, in generale, le sue altre disposizioni sarebbero state ostative all’accesso all’atto di archiviazione, tanto meno potendosi desumere tale limitazione dall’art. 16 ( Indagini nel procedimento disciplinare ), comma 5- bis , d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109 ( Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché' modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera f), della legge 25 luglio 2005, n. 150 ), che solo impone che l’atto di archiviazione sia trasmesso al Ministero della giustizia (quinto motivo).

Infine, non avrebbe potuto trovare applicazione l’art. 17 ( Chiusura delle indagini ) d.lgs. n. 109 del 2006, concernente la diversa ipotesi di esercizio dell’azione disciplinare (sesto motivo, richiamante quanto già esposto nel primo mezzo di impugnazione).

Il ricorrente chiedeva così che fosse dichiarata l’illegittimità del silenzio del Ministero sull’istanza di accesso e, previo accertamento del diritto all’ accesso generalizzato , che venisse ordinata l’esibizione del documento richiesto, previo oscuramento dei dati identificativi dei magistrati interessati.

Si costituiva in giudizio il Ministero della giustizia, eccependo l’irricevibilità del ricorso per tardività della notifica, avvenuta il 20 settembre 2018, dal momento che provvedimento di diniego all’accesso del 3 luglio 2018, recante prot. 18194/2018 SD, sarebbe stato spedito, in pari data, all’indirizzo dell’avvocato presso il quale l’istante aveva eletto domicilio. Nel merito, chiedeva la reiezione del gravame, siccome infondato.

Con successivi motivi aggiunti il ricorrente chiedeva l’annullamento del provvedimento ministeriale del 12 novembre 2018 che, in parziale reiterazione dei motivi già opposti dal Procuratore generale nella nota impugnata con l’introduttivo gravame, aveva respinto la domanda di accesso

Al riguardo, il ricorrente formulava ulteriori censure sull’inapplicabilità dell'art. 4, comma 1, lett. i) , d.m. 25 gennaio 1996, n. 115, a suo avviso riferibile al solo rapporto di servizio dei dipendenti (in senso proprio) del Ministero della giustizia, ma non anche a quello dei magistrati;
la previsione, inoltre, non escludere l’accesso ai provvedimenti di archiviazione. Ed erroneo era il richiamo – contenuto nel provvedimento ministeriale – all’art. 5 d.m. n. 114 del 1996, la domanda di accesso non riguardando degli «atti istruttori» .

Infine, il ricorrente ribadiva la propria legittimazione all’ accesso “generalizzato” , non sottoposto a limitazioni e comunque giustificato dall’interesse a condividere informazioni con la collettività.

Con sentenza 7 maggio 2019, n. 5714, il Tribunale amministrativo respingeva il ricorso, sul presupposto che il diniego all’ accesso generalizzato avrebbe rappresentato una corretta applicazione dei limiti normativi a tale istituto.

L’ accesso generalizzato , infatti, non è consentito in presenza di una normativa di settore che preveda “ specifiche condizioni, modalità o limiti ” all’accesso, qui quella del d.lgs. n. 109 del 2006.

Avverso tale decisione il dott. R interponeva appello, per i seguenti motivi

1) Erronea applicazione del comma 2 dell’art. 16 del d.lgs. 109/2006 .

2) Illogicità ed irrazionalità .

3) Violazione degli artt. 5 e 5bis del d.lgs. 33/2013 e della circolare n. 2/2017 della Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica (in

GURI

162/2017)
.

4) Erronea attribuzione all’archiviazione pre-disciplinare della natura di atto che sarebbe «espressione della funzione giurisdizionale» .

5) Erroneo richiamo alle linee guida dell’ANAC .

6) Violazione degli artt. 3 e 97 Cost. – Violazione dell’obbligo di accogliere risultati interpretativi costituzionalmente orientati – Erronea declaratoria di irrilevanza delle questioni di costituzionalità poste con riferimento agli artt. 3 e 97 Cost .

7) Fondatezza delle domande di accertamento del diritto di accesso civico .

8) In via subordinata: omesso esame del merito della domanda in base alle norme del codice di rito penale – Erronea statuizione di rigetto nel merito – Difetto di giurisdizione e omessa rimessione al giudice avente giurisdizione .

L’appellante censurava inoltre, con motivi seguenti autonoma numerazione, il capo della sentenza appellata che aveva negato l’ accesso documentale , al riguardo deducendo:

1) Violazione dell’art. 112 c.p.c.: ultrapetizione .

2) Violazione dell’art. 112 c.p.c.: ultrapetizione (altro profilo) – Erronea applicazione del d.m. 115/96 .

Egli deduceva infine l’erroneità della sua condanna alle spese di lite, atteso che avrebbero dovuto essere considerate le ragioni dell’iniziativa assunta dal ricorrente, “ viste quale espressione di passione civica e quale ulteriore testimonianza dello spirito di servizio che ha connotato l’attività da Lui prestata nelle vesti di Magistrato ”.

Egli riproponeva infine le questioni non esaminate dal primo giudice o considerate assorbite (Motivo I, § D;
Motivo IV;
Motivo V;
Motivo IX;
Motivo X).

Il Ministero della giustizia contestava l’appello, chiedendo fosse respinto.

Successivamente le parti precisavano, con apposite memorie, le tesi difensive ed all’udienza del 5 marzo 2020, dopo la rituale discussione, la causa veniva trattenuta in decisione.

L’appello, ritiene il Collegio, non è fondato.

Preliminarmente, va dato atto che l’istanza del dott. R originariamente proposta alla Procura generale presso la Corte di Cassazione non precisava la tipologia di accesso esercitata, limitandosi alle seguenti sintetiche indicazioni:

premesso che

- con atto del 28 febbraio 2018 lo scrivente trasmetteva segnalazione cx art. 15, 1° D. lgs. n. 109 del 2016 alle Autorità astrattamente competenti (v. all.);

- fra esse soltanto il Consiglio Superiore della Magistratura, con nota del 10.5.2018, ha risposto, declinando la propria competenza in favore delle Autorità in indirizzo;

chiede

che, a spese del sottoscritto, gli sia comunicata copia del provvedimento adottato sulla predetta segnalazione ”.

Bene l’Amministrazione richiesta ha fatto riferimento, nel riscontrare l’istanza, sia alla disciplina dell’ accesso documentale ex l. n. 241 del 1990, sia a quella dell’ accesso “generalizzato” ex dd.lgs. n. 33 del 2013 e n. 97 del 2016, non avendo l’interessato precisato nella sua istanza (genericamente qualificata come “ richiesta esito segnalazione disciplinare ”).

Ciò premesso, considerando per prime le censure dedotte sul presupposto che l’istanza di accesso dovesse intendersi di accesso civico generalizzato , ritiene il Collegio di esaminare per primo il settimo motivo di appello che lamenta – alla luce dei singoli aspetti di dettaglio evidenziati nei precedenti motivi di gravame – la sussistenza del diritto del dott. R ad esercitare l’ accesso generalizzato ex art. 5, comma 2, d.lgs. n. 33 del 2013, “ con riguardo alla motivazione del provvedimento di archiviazione del procedimento pre-disciplinare dei magistrati di cui al comma 5 bis dell’art. 16 del d.lgv. 109/2006, perché detta richiesta, come già detto con il ricorso introduttivo:

− «rientrava a pieno titolo nell’ambito del co. 2 dell’art. 5 del d.lgv. 33/2013…

− «era estranea a tutte le limitazioni contemplate dall’appena menzionato art. 5 bis, che sono di stretta interpretazione, in quanto costituiscono eccezioni al principio generale della trasparenza;

− «era coerente con la ratio legis , volta a “favorire”, in via alternativa, “forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali” (cioè il controllo dell’uso fatto del potere di archiviazione nei confronti dei magistrati in merito a loro omissioni processuali in una determinata materia, in una situazione di particolare rilevanza ed attualità qual è quella relativa alla durata dei processi ed al sovraccarico dei ruoli civili della Corte di Cassazione) e sull'utilizzo delle risorse pubbliche (cioè quelle, assai limitate, destinate al funzionamento della Corte stessa) e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico” (cioè quello attivato dagli studiosi e dai mezzi di comunicazione)»;

− in definitiva «aveva ad oggetto un “documento” detenuto da una “pubblica amministrazione” […] ”.

Vanno al riguardo richiamati i presupposti normativi dell’istituto introdotto dal d.lgs. 25 maggio 2016, n. 97 ( Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza ), novellante l’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 33 del 2013, al fine di aumentare la trasparenza dell’azione amministrativa mediante una fattispecie che si aggiunge sia a quella che già prevedeva gli obblighi di pubblicazione (artt. 12 e ss. d.lgs. n. 33 del 2013) che a quella ordinaria di cui agli artt. 22 e ss. l. n. 241 del 1990 in tema di accesso ai documenti.

Come già questa Sezione ha rilevato (Cons. Stato, V, 2 agosto 2019, n. 5503), ormai vi è una coesistenza ordinamentale di tre modelli di accesso ai documenti in possesso delle pubbliche amministrazioni (ed equiparati), ciascuno caratterizzato da propri presupposti, limiti ed eccezioni: l’ accesso documentale ordinario degli artt. 22 e seg. della legge 7 agosto 1990, n. 241;
l’ accesso civico ai documenti oggetto di pubblicazione, già regolato dal d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33;
l’ accesso civico generalizzato , introdotto dalle modifiche apportate a quest’ultimo impianto normativo dal d.lgs. 25 maggio 2016, n. 97 (cfr., per le differenze tra i vari tipi di accesso, tra le altre Cons. Stato, IV, 12 agosto 2016, n. 3631 e, di recente, id., V, 20 marzo 2019, n. 1817). In principio sono pariordinati e nei rapporti reciproci ciascuno opera nel proprio ambito, senza assorbimenti dell’una fattispecie in un’altra;
e senza abrogazioni tacite o implicite dalla disposizione successiva nel tempo. Il reciproco coordinamento va effettuato “volta a volta, verificando se la disciplina settoriale, da prendere prioritariamente in considerazione in ossequio al principio di specialità, consenta la reciproca integrazione ovvero assuma portata derogatoria”.

“In particolare, va considerato che l’art. 5- bis d.lgs. n. 33 del 2013, introdotto dall’art. 6, comma 2, d.lgs. n. 97 del 2016, intitolato “esclusioni e limiti all’accesso civico” “va considerato nella sua interezza, e non solo per quanto previsto dal comma 3. I primi due comma si occupano dei limiti legali all’ accesso civico generalizzato . Questi operano nel presupposto della legittimazione soggettiva generalizzata, quindi data a “chiunque” agisca uti cives , senza dover dimostrare la titolarità di una determinata situazione soggettiva ”.

Le finalità indicate all’art. 5, comma 2 del d.lgs. n. 33 del 2013 vanno dunque “ intese come quelle in base alle quali è riconosciuto al cittadino un diritto di accesso generalizzato (collegato peraltro all’esercizio di funzioni istituzionali nel senso già valorizzato nel precedente di questo Consiglio di Stato, VI, 25 giugno 2018, n. 3907) da bilanciare, nel caso concreto, con gli interessi confliggenti, pubblici e privati, elencati nei primi due comma dell’art. 5- bis in commento. Resta poi […] la questione della serietà e della congruenza dell’istanza di accesso, che concerne il livello di apprezzabilità dell’interesse che la muove e della sua relazione con le finalità proprie dell’istituto. La portata di detto bilanciamento di interessi contrapposti -che l’amministrazione deve effettuare ponendo in concreto a confronto l’interesse generale ed astratto alla conoscibilità del dato (prescindendo, quindi, come detto, dalla motivazione che muove l’istante) con il pericolo, invece concreto, di lesione che dalla pubblicazione e dalla divulgazione potrebbe ricevere il confliggente specifico interesse, pubblico o privato- palesa la significativa differenza tra la disciplina dell’accesso civico e quella dell’accesso documentale;
in quest’ultima, infatti, la titolarità in capo all’istante di una posizione differenziata e specifica gli assicura una maggiore tutela nel rapporto con interessi contrapposti […]. La previsione dell’art. 5-
bis , comma 3 si distingue da quella dei comma 1 e 2, appena detti, perché è disposizione volta a fissare, non i limiti relativi all’accesso generalizzato consentito a “chiunque” , bensì le eccezioni assolute , a fronte delle quali la trasparenza recede. Anche la tecnica redazionale del comma si distingue da quella dei comma precedenti, poiché se è vero che l’art. 5- bis , comma 3, non sottrae al bilanciamento materie direttamente individuate dalla norma medesima (a differenza degli interessi, pubblici e privati, che sono individuati dal primo e dal secondo comma), resta che utilizza l’espressione generica di casi, che fanno eccezione assoluta, in modo da rinviare, per la loro individuazione, ad altre disposizioni di legge, direttamente o indirettamente, richiamate dallo stesso comma 3 (sicché l’ampiezza dell’eccezione dipende dalla portata della normativa cui l’art. 5- bis , comma 3, rinvia). In particolare, sono sottratti al bilanciamento ed esclusi senz’altro dall’ accesso generalizzato : i casi di segreto di Stato ed i casi di divieti di accesso o di divulgazione previsti dalla legge, i casi elencati nell’art. 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990 (che, al suo interno, ricomprende intere materie), i casi in cui “l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti” . Il Collegio ritiene che, anche in ragione della peculiare tecnica redazionale […], tale ultima eccezione assoluta ben possa essere riferita a tutte le ipotesi in cui vi sia una disciplina vigente che regoli specificamente il diritto di accesso, in riferimento a determinati ambiti o materie o situazioni, subordinandolo a “condizioni, modalità o limiti” peculiari;
quindi, che l’eccezione non riguardi le ipotesi in cui la disciplina vigente abbia quale suo unico contenuto un divieto assoluto (o relativo) di pubblicazione o di divulgazione: se non altro perché tale ipotesi è separatamente contemplata nella medesima disposizione. Con ciò -richiamando altresì quanto detto sopra a proposito dei rapporti tra discipline generali e discipline settoriali sull’accesso- non si ritiene che a queste seconde vada attribuita sempre e comunque portata derogatoria, quanto piuttosto che, come anticipato, occorra, volta a volta, verificare la compatibilità dell’istituto dell’accesso generalizzato con le
“condizioni, modalità o limiti” fissati dalla disciplina speciale” (Cons. Stato, V, 2 agosto 2019, n. 5503).

Si può ulteriormente evidenziare che accanto dunque all’accesso tradizionale, o ordinario, previsto dalla legge sul procedimento amministrativo e caratterizzato dalla stretta ed esclusiva strumentalità agli interessi individuali dell’istante, posto in una posizione differenziata rispetto agli altri cittadini, sono stati introdotti due strumenti con un profilo di tutela, invece, dell’interesse generale.

Mentre il primo caso, dell’ accesso documentale ordinario , è imperniato su obblighi di pubblicazione gravanti sulla pubblica amministrazione e sulla legittimazione del cittadino a richiederne l’adempimento, l’ accesso civico cd. “generalizzato” , azionabile da chiunque senza previa dimostrazione della sussistenza di un interesse personale, concreto e attuale in connessione con la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti e senza oneri di motivazione in tal senso della richiesta, ha il solo scopo – però – di consentire una pubblicità diffusa ed integrale in rapporto alle finalità esplicitate dall’art. 5, comma 2, d.lgs. n. 33 del 2013.

La diversità strutturale degli interessi giuridici presi in considerazione (e tutelati) non consente una sovrapposizione tra le diverse figure di accesso, che operano in contesti e per finalità differenti (con la conseguenza, innanzitutto, che sarebbe onere dell’interessato chiarire la tipologia azionata).

Vi è una fondamentale differenza tra accesso documentale ed accesso “civico” , sia semplice che generalizzato : il primo consente un’ostensione più approfondita, in ragione della sua strutturale correlazione con un interesse privato del richiedente di carattere fondamentale (generalmente a fini difensivi).

L’ accesso civico , invece, è funzionale ad un controllo diffuso dei cittadini, al fine– da un lato – di assicurare la trasparenza dell’azione amministrativa ove mai non siano stati rispettati gli obblighi al riguardo già posti all’amministrazione dalla legge, nonché – dall’altro – per favorire un preventivo contrasto alla corruzione: in quanto tale consente sì una conoscenza potenzialmente più estesa rispetto a quella della l. n. 241 del 1990 ai privati per la tutela di propri interessi, ma d’altro canto meno approfondita, in quanto concretamente si traduce nel diritto ad un’ampia diffusione di dati, documenti ed informazioni, fermi in ogni caso i limiti di legge a salvaguardia di determinati interessi pubblici e privati che in tali condizioni potrebbero essere messi in pericolo.

Questi limiti, come si dirà, non sono caratterizzati dal principio della tassatività, operando piuttosto per clausole generali.

Di tale diversità è segno la constatazione che, mentre la legge n. 241 del 1990 esclude espressamente l’utilizzabilità del diritto di accesso ai fini di un controllo generale dell’azione amministrativa (essendo, quest’ultima, finalità estranea alla tutela dell’interesse privato ed individuale che legittima e giustifica l’ostensione documentale), il diritto di accesso generalizzato è riconosciuto proprio “ allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico ”. Qui la trasparenza è considerata un mezzo per favorire un controllo diffuso del rispetto della legalità dell’azione amministrativa.

Per conseguenza, diverse sono le tecniche di bilanciamento degli interessi contrapposti che giustificano l’esclusione dell’accesso. In particolare, per l’accesso privato ai documenti amministrativi ( ex lege n. 241 del 1990), la legge ha preventivamente individuato – in modo preciso – le categorie sottratte (sia mediante espressa previsione, sia rinviando a specifiche fonti regolamentari di attuazione e dettaglio). Per contro, la disciplina dell’ accesso generalizzato non reca prescrizioni puntuali, bensì individua categorie di interessi, pubblici (art. 5 -bis , comma 1, d.lgs. n. 33 del 2013) e privati (art. 5- bis , comma 2) in presenza dei quali il diritto di accesso può a priori essere negato (fermi comunque i casi di divieto assoluto, ex art. 5- bis , comma 3) e rinvia a un atto amministrativo non vincolante (le linee-guida Anac) per ulteriormente precisare l’ambito operativo dei limiti e delle esclusioni dell’accesso civico generalizzato.

Diverse sono anche le conseguenze del mancato accesso, da un punto di vista processuale.

Nel caso di accesso tradizionale, cioè documentale ordinario , si forma il silenzio rigetto, una volta decorsi infruttuosamente trenta giorni dalla richiesta dell’interessato.

Nel caso dell’ accesso civico , invece, sia nel caso di diniego parziale o totale che di mancata risposta allo scadere del termine per provvedere, non si forma un silenzio rigetto, e l’istante può attivare una speciale tutela amministrativa interna innanzi al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza , con istanza di riesame cui va dato riscontro entro termini di legge.

Sarà quindi onere, per l’interessato, contestare l’inerzia dell’amministrazione attivando lo specifico rito di cui all’art. 117 Cod. proc. amm., ovvero, in ipotesi di diniego espresso (anche sopravvenuto), il rito sull’accesso ex art. 116 Cod. proc. amm..

Nel caso di specie l’appellata sentenza ha ritenuto sottratte all’ accesso civico generalizzato le motivazioni del provvedimento di archiviazione della segnalazione disciplinare scaturita dall’iniziativa dell’odierno appellante, sul presupposto che ricorresse la causa di esclusione (avente carattere assoluto, ossia non sindacabile dall’amministrazione) dell’art. 5- bis , comma 3, d.lgs. n. 33 del 2013, relativa a « altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l'accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all'articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990 ”.

In particolare, rileverebbe a tal fine la previsione dell’art. 4, comma primo, lett. i) , d.m. 25 gennaio 1996, n. 115, a mente del quale « […] sono sottratte all'accesso le seguenti categorie di documenti: […] documentazione attinente a procedimenti penali e disciplinari ovvero utilizzabile ai fini dell'apertura di procedimenti disciplinari, nonché concernente l'istruzione dei ricorsi amministrativi prodotti dal personale dipendente» .

La conclusione della sentenza merita di essere condivisa perché – in disparte le considerazioni sulla natura para-giurisdizionale o amministrativa del provvedimento impugnato – la parte motiva del provvedimento di archiviazione (adottato ai sensi dell’art. 16, comma 5- bis del d.lgs. n. 109 del 2006, per cui « Il Procuratore generale presso la Corte di cassazione procede all'archiviazione se il fatto addebitato non costituisce condotta disciplinarmente rilevante ai sensi dell'articolo 3-bis o forma oggetto di denuncia non circostanziata ai sensi dell'articolo 15, comma 1, ultimo periodo, o non rientra in alcuna delle ipotesi previste dagli articoli 2, 3 e 4 oppure se dalle indagini il fatto risulta inesistente o non commesso» ), dove sono logicamente riportate le risultanze in fatto o diritto in ragione delle quali si stima di non procedere oltre nell’ iter disciplinare, rientra a pieno titolo nella nozione di documentazione «attinente a procedimenti disciplinari» ovvero utilizzabile ai fini dell'apertura degli stessi.

Non è quindi dirimente il fatto (rimarcato nel primo motivo di appello) che l’odierno appellante mai avrebbe chiesto, formalmente, l’ostensione di un atto di indagine, quanto la circostanza che il documento richiesto direttamente o indirettamente consenta di averne conoscenza, pena in caso contrario la facile eludibilità del divieto di legge.

Del resto, la genericità dell’espressione utilizzata dalla norma ( « documentazione attinente a procedimenti disciplinari» ) è onnicomprensiva di ogni risultanza del procedimento disciplinare, dove entra a pieno titolo anche l’atto di archiviazione conclusivo del relativo iter , adottato all’esito della pertinente fase istruttoria (ex art. 16 d.lgs. n. 109 del 2006).

Del pari non rileva la circostanza che l’art. 4, comma 1, lett. i) , d.m. n. 115 del 1996 originariamente facesse riferimento al solo accesso “documentale” della l. n. 241 del 1990. Invero, il richiamo generale fatto dall’art. 5- bis , comma 3, d.lgs. n. 33 del 2013 a ipotesi di divieto di divulgazione aliunde previste ( « altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l'accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni […]» ) non può che riferirsi, in primo luogo, a disposizioni preesistenti, che come tali non potevano fare formale riferimento ad un istituto (l’ accesso civico generalizzato ) all’epoca inesistente.

Infine, non è condivisibile l’argomento (di cui al secondo motivo della parte B dell’appello, pp. 27 e ss.) per cui, utilizzandosi l’espressione «personale dipendente» , il d.m. n. 115 del 1996 non si potrebbe applicare al personale di magistratura ma solo al personale del Ministero della giustizia che non svolga funzioni giurisdizionali. Invero, anche a prescindere dal rilievo che l’espressione sembrerebbe testualmente riferirsi a un contesto più ristretto (l'istruzione dei ricorsi amministrativi interni), il Collegio rileva che semplicemente si riferisce al rapporto di “dipendenza” lavorativa presso il Ministero, non anche ad un rapporto di dipendenza “gerarchica” del personale dall’amministrazione (per tale incompatibile con l’autonomia costituzionalmente garantita al personale di magistratura).

Altra questione è poi quella della legittimazione all’ accesso civico generalizzato in capo all’odierno appellante, su cui la parte si è soffermata nella discussione orale innanzi al Collegio. Per i criteri enunciati nel precedente di questa V Sezione, 12 febbraio 2020, n. 1121, dal quale qui non vi è ragione di discostarsi, è indispensabile che la relativa istanza sia volta, in via esclusiva, alla tutela di un interesse generale.

L’istanza dunque va disattesa se tale interesse generale della collettività non emerge in modo chiaro e evidente, oltre che, a maggior ragione, se è stata proposta per finalità di carattere privato ed individuale.

Come si è avuto modo di anticipare, lo strumento in esame può essere utilizzato solo per chiare ed esclusive ragioni di tutela di interessi della collettività: ma non anche a favore di interessi riferibili, in concreto, a singoli individui o enti associativi particolari (a maggior ragione, men che mai per intenti in tutto o in parte emultativi). È dovere del giudice amministrativo, ai fini dell’identificazione preliminare dell’azione davanti a lui promossa, sempre verificare tale elemento in concreto, inconferenti restando le mere affermazioni di parte.

Si deve pertanto ribadire che, sebbene la legge non chieda all’interessato di formalmente motivare l’istanza di accesso generalizzato , la stessa vada disattesa se non risulta, in modo chiaro e inequivoco, la rispondenza esclusiva al soddisfacimento di un interesse che presenti valenza pubblica, essendo del tutto estraneo al perimetro della fattispecie la strumentalità (anche solo concorrente) a un bisogno conoscitivo privato.

In tal caso, invero, si tratta di verificare se il soggetto agente sia legittimato a proporre l’istanza, verifica immanente ai poteri officiosi del giudice amministrativo, in qualunque stato e grado del giudizio. La mancanza dei presupposti processuali o delle condizioni dell'azione è infatti rilevabile d'ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo (art. 35, comma primo, Cod. proc. amm.), costituendo i fattori cui la legge, per inderogabili ragioni di ordine pubblico, subordina l'esercizio dei poteri giurisdizionali ( ex plurimis , Cons. Stato, IV, 28 settembre 2016, n. 4024).

Nel presente caso, tali presupposi non risultano con evidenza, trovando piuttosto smentita nelle produzioni documentali dell’appellante (in particolare, l’istanza 2 dicembre 2019 per il rilascio di copia dell’archiviazione pre-disciplinare ex art. 116 Cod. proc. pen., sub doc. I.a).

Orbene, anche a prescindere dal fatto se la proposizione di tale istanza comporti acquiescenza alla decisione qui impugnata (richiamata nell’atto), sono le motivazioni a dare atto di tale estraneità:

la richiesta di conoscere la motivazione dell’archiviazione è motivata dall’interesse dello scrivente:

a. a verificare la correttezza del proprio operato professionale, sia allorché ha proposto alla Suprema Corte le domande immotivatamente ignorate dalla Suprema Corte, sia allorché ha inoltrato la segnalazione disciplinare;

b. ad accertare se, sussistendo esaustive ragioni per archiviare la segnalazione disciplinare, egli debba rammaricarsi del proprio operato e chiederne venia ai Magistrati interessati;

c. ad approfondire dal punto di vista teorico il tema già da qualche tempo trattato, mettendo altresì a frutto - e favorendo (se accettata) - la collaborazione giuridica tra magistrati uscenti e magistrati in servizio presso la Procura Generale […] ”.

Si tratta, per espressa affermazione del richiedente, di istanza volta al soddisfacimento di interessi personali (“ interesse dello scrivente ”, si legge nel testo), per verificare la correttezza del proprio operato professionale ovvero ad effettuare approfondimenti teorico-dottrinari sulla specifica questione giuridica.

Si tratta di interessi non contra legem , però estranei all’ambito di operatività dell’istituto dell’ accesso civico generalizzato .

Non varrebbe opporre che le ragioni messe a fondamento dell’ultima istanza non potrebbero essere senz’altro riferite anche a quella – antecedente ed autonoma – su cui qui si controverte: la plausibilità dell’estensione, oltre che nella logica della riproposizione di un’istanza dal medesimo oggetto – sia pure in sede diversa – è desumibile anche dalle considerazioni dell’appellante nella memoria 18 febbraio 2020 (pp. 3ss.) che ribadisce il concetto (non meglio contestualizzato) per cui “ la conoscenza della motivazione dei provvedimenti di archiviazione predisciplinare abbiano offerto l’opportunità di un controllo sociale e di un approfondimento culturale ”.

Del resto, anche nel ricorso introduttivo in primo grado era dato individuare, quali finalità del proposto gravame, la necessità di “ allargare il dibattito con i cultori della materia […] E per verificare se taluni pur insigni Magistrati siano incorsi nel diniego di giustizia e – soprattutto dal punto di vista dogmatico, già affrontato nel detto articolo – quale sia la risposta dell’ordinamento giuridico sul tema della condanna aggravata alle spese nel processo civile ”.

Alla luce dei rilievi che precedono, assorbenti le ulteriori questioni di dettaglio dedotte dall’appellante, vanno dunque respinti anche i motivi di appello da 2 a 6 (sul primo essendosi già detto). Il secondo, infatti, insiste sulla asserita natura amministrativa – non giurisdizionale – del provvedimento di archiviazione. La questione però non risulta rilevante, come in precedenza già detto. Il terzo deduce invece la violazione degli artt. 5 e 5- bis d.lgs. n. 33 del 2013 e della circolare n. 2 del 2017 della Presidenza del Consiglio dei ministri, per cui “ nei casi di dubbio circa l’applicabilità di una eccezione, le amministrazioni dovrebbero dare prevalenza all’interesse conoscitivo ”, laddove qui non pare sussistere il dubbio interpretativo presunto dall’appellante.

Ancora, il quarto motivo di gravame nuovamente riprende il tema della natura non giurisdizionale dell’atto di archiviazione, che però – come detto - non è qui decisivo. Analogamente dicasi per il quinto motivo, sulla dedotta erronea lettura delle linee guida dell’ANAC, che nella specie non si riferirebbero alla materia dei procedimenti disciplinari bensì al tema delle “ Conduzioni di indagini sui reati e loro perseguimento ”. Al riguardo si può aggiungere, per completezza, che sebbene il par.

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