Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-01-13, n. 202000316

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-01-13, n. 202000316
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202000316
Data del deposito : 13 gennaio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/01/2020

N. 00316/2020REG.PROV.COLL.

N. 07007/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7007 del 2019, proposto da
S F, Brezza Marina S.r.l.S., rappresentati e difesi dall'avvocato F G S, con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Giovanni Paisiello n. 55;
L F, M G Funi, V F, R G, L F, M G Funi, V F, R G, non costituiti in giudizio;

contro

Comune di Otranto, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato A Q, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Barnaba Tortolini, n. 30;
Responsabile Ufficio Tecnico Comune di Otranto, Responsabile Suap Comune di Otranto, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza 5 agosto 2019, n. 1398 del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, Sezione Prima.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Otranto;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 dicembre 2019 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti gli avvocati F G S e Luigi Quinto, in dichiarata sostituzione dell'avv. A Q.


FATTO e DIRITTO

1.- Il sig. F è proprietario dal 1989 di un’area sita nel Comune di Otranto su cui è stato realizzato un chiosco in cui viene esercitata l’attività di ristorazione dalla società Brezza Marina s.r.l.

Successivamente il chiosco è stato oggetto di plurimi atti amministrativi e, in particolare, tra gli altri: i ) di autorizzazione, con atto 8 marzo 2000, n. 12, a realizzare lavori di ristrutturazione con parere favorevole della Soprintendenza, subordinato alla condizione che la struttura venisse rimossa alla fine di ogni periodo estivo; ii ) di agibilità annuale del chiosco, con atto 12 dicembre 2000, n. 43.

Il Comune, con atto del 2014, prot. n. 9304, ha annullato il provvedimento di agibilità. Tale atto è stato a sua volta annullato dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, Lecce, con sentenza 21 maggio 2015, n. 1698.

La Soprintendenza di Lecce in data 25 settembre 2018, con nota prot. n. 17974, ha segnalato al Comune di l’esistenza di cune irregolarità all’interno del chiosco.

Il Comune ha adottato i seguenti provvedimenti: i ) ordinanza di demolizione 8 novembre 2018, n. 141, di opere ritenute stabili nel chiosco; ii ) atti 27 e 28 novembre, nn. 26080 e 26249, di annullamento della segnalazione certificata di inizio attività n. 9038 del 27 marzo 2018 e della segnalazione certificata di inizio attività per l’esercizio dell’attività di ristorazione del 14 aprile 2016.

2.- Il sig. F e la società, sopra indicata, hanno impugnato tali atti innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, Lecce, che, con sentenza 5 agosto 2019, n. 1398, ha rigettato il ricorso.

3.- Il ricorrente di primo grado ha proposto appello.

3.1.- Si è costituito in giudizio il Comune, chiedendo il rigetto dell’appello.

4.- La causa è stata decisa all’esito dell’udienza pubblica del 5 dicembre 2019.

5.- L’appello non è fondato.

6.- Con un primo motivo si assume l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui non ha ritenuto violate le regole procedimentali, in quanto l’amministrazione avrebbe erroneamente ritenuto intempestiva la richiesta di proroga per il deposito di memorie difensive al fine di effettuare una più puntuale verifica delle contestazioni formulate.

Il motivo non è fondato.

La legge n. 241 del 1990 prevede, per quanto rileva in questa sede, che: i ) la pubblica amministrazione deve comunicare l’avvio del procedimento, tra gli altri, « nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti » (art. 7); ii ) i soggetti destinatari della comunicazione di avvio del procedimento possono « presentare memorie scritte e documenti, che l'amministrazione ha l'obbligo di valutare ove siano pertinenti all'oggetto del procedimento »(art. 10); iii ) « non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato » (art. 21- octies , prima parte); iv ) « il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato »(art. 21-octies, seconda parte)..

L’amministrazione ha comunicato l’avvio del procedimento. Il denunciato vizio nello svolgimento del procedimento, a prescindere dalla sua effettiva sussistenza, non ha valenza invalidante sia perché la parte avrebbe potuto ugualmente (ritenendo non superato il termine concesso) depositare memorie difensive, sia perché, trattandosi di un vizio procedimentale non è stato indicato quale sarebbe stato l’apporto collaborativo, che la parte avrebbe fornito con le suddette memorie, idoneo ad incidere sull’assetto sostanziale degli interessi definito con il provvedimento finale.

7.- Con un secondo motivo si assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui non avrebbe considerato l’affidamento ingenerato nella parte a seguito del rilascio di certificati di agibilità.

Il motivo non è fondato.

I certificati di agibilità hanno la funzione di accertare che l’edificio sia stato realizzato nel rispetto di norme tecniche quali la sicurezza, l’igiene, la salubrità (art. 24 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380). I titoli edilizi autorizzano la realizzazione delle opere.

A tale proposito, questo Consiglio ha già avuto modo di affermare che: « il permesso di costruire ed il certificato di agibilità sono collegati a presupposti diversi e danno vita a conseguenze disciplinari non sovrapponibili, dato che il certificato di agibilità ha la funzione di accertare che l'immobile al quale si riferisce è stato realizzato nel rispetto delle norme tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli edifici e degli impianti (come espressamente recita l'art. 24 del Testo unico dell'edilizia), mentre il rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche è oggetto della specifica funzione del titolo edilizio » , con la conseguenza che « i diversi piani possano convivere sia nella forma fisiologica della conformità dell'edificio ad entrambe le tipologie normative sia in quella patologica di una loro divergenza » (Consiglio di Stato, V, 29 maggio 2018, n. 3212).


La diversa struttura e funzione dei due titoli esclude non solo che i suddetti certificati possa avere valenza sostitutiva dei titoli edilizi ma anche che possa sorgere un affidamento meritevole di protezione giuridica n ordine alla legittimità degli interventi edilizi effettuati.

8.- Con l’ultimo motivo si assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto illegittima la valutazione amministrativa delle opere come inamovibili in mancanza di una puntuale dimostrazione di tali caratteristiche, che non atterrebbero ai materiali ma alla loro messa in opera.

Il motivo non è fondato.

La giurisprudenza di questo Consiglio è costante nell’affermare che « al fine di verificare se una determinata opera abbia carattere precario, che è condizione per l'accertamento della non necessarietà del rilascio del relativo permesso di costruire, occorre verificare la destinazione funzionale e l'interesse finale al cui soddisfacimento essa è destinata;
pertanto, solo le opere agevolmente rimuovibili, funzionali a soddisfare una esigenza oggettivamente temporanea, destinata a cessare dopo il tempo, normalmente non lungo, entro cui si realizza l'interesse finale, possono dirsi di carattere precario e, in quanto tali, non richiedenti il permesso di costruire
». Si è aggiunto che, infatti, « la precarietà o non di un'opera edilizia va valutata con riferimento non alle modalità costruttive, bensì alla funzione cui essa è destinata, con la conseguenza che non sono manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati ad una utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante » (Cons. Stato, sez. IV, 7 dicembre 2017, n.5762, che, in applicazione del suddetto principio, ha ritenuto che i box che ospitano i servizi igienici di uno stabilimento balneare non possono considerarsi precari).

Nella fattispecie in esame, il Comune, con l’ordinanza impugnata, ha accertato la realizzazione di « opere che, date le caratteristiche costruttive, non si presentano di facile rimozione come imposto negli atti autorizzativi », procedendo alla loro puntuale indicazione. In particolare, è stata, tra l’altro, accertata la realizzazione di una « pavimentazione con piastrelle in ceramica a giunto chiuso sia dell’area somministrazione coperta sia del locale bar ristorante » o le diverse strutture in murature edificate « a delimitazione sui tre lati dell’area somministrazione coperta » e « sul lato strada dell’area scoperta a nord del locale bar e dello stesso locale bar ».

Da quanto esposto risulta come, nella specie, non solo le opere non siano agevolmente rimovibili ma le stesse sono anche posizionate stabilmente sul suolo e, dunque, non possono considerarsi manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee in ragione della loro utilizzazione perdurante nel tempo.

Per pervenire ad una diversa conclusione non è sufficiente, come già chiarito dalla giurisprudenza sopra riportata, fare riferimento al criterio della messa in opera, in quanto, a prescindere dalla mancata indicazione di come tale messa in opera possa avere concretamente determinato la facile rimovibilità delle opere, occorre avere riguardo al risultato finale dell’attività costruttiva.

9.- Gli appellanti sono condannati al pagamento, in favore dell’amministrazione comunale, delle spese del presente grado di giudizio che si determinano in euro 3.000,00, oltre accessori di legge.

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