Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-12-13, n. 202108268

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-12-13, n. 202108268
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202108268
Data del deposito : 13 dicembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/12/2021

N. 08268/2021REG.PROV.COLL.

N. 06740/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6740 del 2014, proposto dall’Azienda Territoriale Edilizia Residenziale della Provincia di Belluno, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati L T, M E V, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avvocato M E V in Roma, via Giovanni Amendola, n. 46,

contro

il Comune di Belluno, in persona del Sindaco in carica pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati M F e L L, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato L L in Roma, via del Viminale, n.43,

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per il Veneto (Sezione III), n. 34 del 16 gennaio 2014, resa inter partes , concernente una delibera comunale per l’approvazione delle aliquote I.M.U. per l’anno d’imposta 2012.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Belluno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 settembre 2021 il consigliere G S;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Oggetto del presente giudizio è la deliberazione del Consiglio comunale di Belluno del 6 luglio 2012, avente ad oggetto “ Imposta Municipale Propria I.M.U. - proposta determinazione aliquote e detrazioni per l'anno 2012 ”, nella parte in cui si approva l’aumento dell’aliquota dell’8 per mille per le unità immobiliari appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa adibite ad abitazione principale dei soci assegnatari, nonché per i fabbricati di proprietà ATER con l’eventuale applicazione della detrazione per gli alloggi regolarmente assegnati.

2. Avverso tale deliberazione l’Azienda Territoriale Edilizia Residenziale della Provincia di Belluno ha proposto il ricorso n. 1709 del 2012 innanzi al T.a.r. per il Veneto, chiedendone l’annullamento.

3. A sostegno dell’impugnativa aveva dedotto che:

- a seguito della rinuncia da parte dello Stato (con l’art. 13, commi 10 e 11 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge 22 dicembre 2011, n. 214, come modificato dall’art. 4, comma 5, del decreto legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito in legge 26 aprile 2012, n. 44) dell’autonoma imposta erariale I.M.U., questa non potrebbe essere incamerata dal Comune;

- l’aliquota, in quanto determinata in misura superiore a quella minima, non sarebbe collimante con la finalità agevolatrice prevista dalla legge statale;

- in via subordinata, l’aliquota dello 0,80 % è illogicamente superiore a quella ordinaria dello 0,76 %.

3. Costituitasi l’Amministrazione comunale in resistenza, il Tribunale adìto (Sezione III) ha così deciso il ricorso al suo esame:

- ha respinto l’eccezione d’inammissibilità per mancata notifica del ricorso al Ministero dell’economia e delle finanze (questo capo della sentenza non è stato impugnato ed è pertanto passato in giudicato);

- ha respinto il ricorso reputando infondate tutte le censure sollevate;

- ha compensato le spese di giudizio.

4. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che:

- il legislatore avrebbe previsto “ l’assegnazione al Comune della quota in via generale riservata allo Stato relativamente alle aliquote riferibili agli istituti delle case popolari e agli altri enti gestori degli alloggi di edilizia residenziale pubblica ” e tale disposizione non sarebbe in violazione dell’art. 119 della Costituzione;

- “ il legislatore si è limitato a prevedere la non applicazione della quota di imposta riservata a favore dello Stato senza disporre che essa non sia dovuta ”;

- la scelta del Comune sarebbe dettata dalla volontà, consentita dalla norma, di non voler aggravare il peso dell’imposta, per sopperire ad esigenze di bilancio, a carico di tipologie di contribuenti diverse dagli enti gestori del patrimonio residenziale pubblico.

5. Avverso tale pronuncia l’ATER di Belluno ha interposto appello, notificato il 15 luglio 2014 e depositato il 4 agosto 2014, lamentando, attraverso tre motivi di gravame (pagine 12- 37), quanto di seguito sintetizzato:

I) erroneità e illegittimità della sentenza per violazione dell’art. 13 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, come modificato dall’art. 4, comma 5, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (convertito dalla legge 26 aprile 2012, n. 44), per la mancata considerazione che la rinuncia da parte dello Stato di un’autonoma imposta erariale non consente l’incameramento della medesima dal Comune e per l’illegittimità costituzionale di ogni altra ipotesi interpretativa;

II) infondatezza/nullità della sentenza per carenza di motivazione, laddove rinvia a documenti di prassi ovverosia alla nota di chiarimenti del MEF del 15 giugno 2012, n. 12507;

III) infondatezza della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato in quanto il T.a.r. non si sarebbe pronunciato in ordine ai motivi di doglianza di cui al ricorso di primo grado subb 2 e 3;

IV) riproposizione del motivo di censura relativo all’illogicità e incoerenza nella determinazione dell’aliquota in misura superiore a quella minima rispetto alla finalità agevolatrice prevista dalla norma statale e, in via subordinata, del motivo relativo all’illogicità della determinazione della fissazione dell’aliquota allo 0.8% in misura maggiore allo 0.76% previsto in via ordinaria.

6. In data 1° agosto 2019, il Comune di Belluno si è costituito in giudizio chiedendo il rigetto dell’opposto gravame.

7. In data 9 luglio 2021, parte appellante ha depositato una pronuncia della CTP di Padova n. 96 del 2016, che si sarebbe espressa in senso favorevole alla tesi propugnata dall’appellante col primo motivo di gravame.

8. In data 21 luglio 2021, parte appellata ha depositato memoria di controdeduzioni insistendo per la reiezione dell’appello.

9. L’appello, discusso alla pubblica udienza del 21 settembre 2021, è stato ivi introitato in decisione.

10. Il gravame in esame è infondato.

10.1 Non è suscettibile di accoglimento il primo motivo, col quale si deduce che la norma su citata andrebbe interpretata, anche in virtù di una lettura sistematica del d.l. n. 201 del 2011, nel senso che vi è rinuncia dello Stato alla quota parte di gettito fiscale in suo favore, che pertanto non potrebbe refluire nelle casse del Comune. Sulla questione si è difatti espresso, di recente, questo Consiglio di Stato ritenendo che “ l’unico effetto della modifica legislativa, ricavabile dalla piana lettura delle disposizioni legislative succedutesi nel tempo, è costituito dalla riduzione della quota dell’imposta municipale destinata allo Stato, nella cui base di calcolo non devono essere comprese le imposte pagate (a titolo di I.M.U.) sugli immobili di edilizia residenziale pubblica.” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 9 giugno 2020 nn. 3679 e 3680). Ha inoltre evidenziato il Collegio, con la testé richiamata pronuncia, che la Suprema Corte (sez. V trib., 25 luglio 2019, n. 20135) ha osservato, “ con un ragionamento del tutto condivisibile, che il legislatore si è limitato a prevedere la non applicazione della quota di imposta riservata a favore dello Stato senza disporre che essa non sia dovuta (come invece il legislatore ha fatto in altri casi: cfr. l’art. 13, cit., che al comma 11 ha disposto che non è dovuta la quota di imposta dovuta allo Stato per gli immobili dei Comuni nei propri territori, ovvero laddove ha espressamente ridotto 'aliquota base, come nel caso dell’abitazione principale e per i fabbricati rurali ad uso strumentale in agricoltura) ”.

Ebbene, non vi sono ragioni per discostarsi da questo ormai consolidato orientamento cosicché, come divisato da parte appellante, non può ammettersi la riduzione dell’aliquota dell’imposta in ragione di una pretesa rinuncia da parte dello Stato alla sua quota parte in favore degli enti proprietari di immobili di edilizia residenziale pubblica. L’interpretazione adottata è peraltro scevra dai profili di contrasto con la disciplina costituzionale adombrati da parte appellante, soccorrendo anche in tal caso l’orientamento espresso da questo Consiglio con la citata pronuncia, essendosi reputata manifestamente infondata la questione di costituzionalità sollevata con riferimento all’art. 3 della Costituzione e quindi al principio di uguaglianza ivi sancito.

Per quanto più specificamente attiene alla possibile violazione dell’art. 119, quarto comma, della Costituzione, l’appellante sul punto osserva che tale disposizione non contemplerebbe la possibilità di compartecipazione dello Stato al gettito del tributo locale di guisa che le imposte, nel caso di specie, sarebbero due, una di pertinenza dello Stato e l’altra del Comune. Per vero, l’art. 119, comma 2, discorre di compartecipazione degli enti locali al gettito di tributi erariali, ma dalla formulazione di questa norma, all’uopo richiamata dall’appellante assumendone il contrasto col citato parametro costituzionale, non traspare un preciso divieto di introdurre forme di compartecipazione nel senso contrario rispetto a quello espressamente configurato. Il legislatore, pertanto, nel tratteggiare l’IMU quale imposta unitaria con il riparto del gettito tra Stato e Comuni, ha esercitato un diaframma di discrezionalità che non si pone in contrasto, nemmeno indirettamente, con la norma costituzionale invocata e pertanto non incide, come ipotizzato, sull’autonomia tributaria degli enti locali.

10.2 Infondato è anche il secondo motivo, col quale si lamenta che il T.a.r., in violazione dell’art. 88, comma 3, c.p.a. avrebbe richiamato, in sede motivazionale, un documento di prassi (la nota del M.E.F. del 15 giugno 2012) invece che disposizioni di carattere normativo, in quanto l’adesione espressa dal giudice di prime cure all’orientamento ricavabile dalla circolare non appare frutto del tacito riconoscimento della sua efficacia cogente quanto della sua conformità all’assetto normativo. Trattasi, quindi, di un semplice argomentum ad abundantiam che non riveste un ruolo essenziale nel percorso argomentativo che ha condotto alla reiezione della censura e che risale, sia pure indirettamente, al disposto normativo.

10.3 L’ultima parte del gravame è dedicata alla riproposizione dei motivi del ricorso di primo grado contrassegnati dai numeri 2 e 3, che il T.a.r. non avrebbe esaminato così incorrendo, a parere dell’appellante, nella violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

Ebbene, tale pretesa mancanza non integra la fattispecie della rimessione della causa al giudice di prime cure ai sensi dell’art. 105 c.p.a., non assurgendo al rango di difetto assoluto di motivazione. Infatti il carattere devolutivo dell’appello giustifica il rinvio, a norma dell’art. 105 c.p.a., della causa al Tribunale solo ove sia raggiunta la soglia del difetto assoluto di motivazione (come rammentato dalla Sezione con la sentenza 12 agosto 2019, n. 5657 alla luce delle pronunce dell’Adunanza plenaria ivi richiamate). Ne consegue che la mancata disamina di talune censure articolate col ricorso introduttivo della lite non comporta la sussistenza degli estremi della carenza motivazionale di grado assoluto che giustifica la revocazione della sentenza in luogo della disamina delle obliterate doglianze in questa sede di giudizio, non residuando altra conseguenza che la necessità di provvedere al loro scrutinio nella sede d’appello ove, come nel caso di specie, siano esattamente riproposte.

L’appellante, quindi, torna a lamentare il vizio di eccesso di potere, ritenendo la fissazione dell’aliquota oltre i limiti di legge (40 per mille) incoerente con la logica che sottende la non applicazione della quota riservata allo Stato agli immobili delle ATER, per la presa d’atto del particolare ruolo sociale di tali soggetti. Da ciò deriverebbe la necessità che il Comune, nel deliberare il ricorso ad un’aliquota superiore a quella minima, fornisca una specifica motivazione in ordine alla maggiore rilevanza e/o urgenza sociale delle spese da finanziare con il più elevato gettito IMU rispetto a quelle di competenza dell’ATER nonché al fatto che le aliquote per gli altri soggetti IMU non siano ulteriormente incrementabili. Sarebbe, ad ogni modo, illegittimo l’incremento rispetto all’aliquota base dello 0,76 % essendo incoerente tale scelta rispetto a quanto previsto dalla legge circa la sola facoltà di riduzione.

I motivi sono infondati.

L’appellante avversa, in particolare, il capo (n. 3) della sentenza impugnata col quale il Collegio di prime cure ha osservato quanto segue: “ quanto esposto circa la finalità perseguita dalla norma di favorire solo in via indiretta e tendenziale la fissazione da parte dei Comuni di un’aliquota meno onerosa nei confronti degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, tenendo tuttavia conto delle esigenze di bilancio dell’ente locale, comporta la reiezione anche delle censure di cui al secondo e terzo motivo, perché le determinazioni del Comune, espressamente motivate con le esigenze finanziarie dell’ente e con la volontà di non voler aggravare il peso dell’imposta a carico di altre tipologie di contribuenti, si muovono in modo coerente e non illogico entro i margini tracciati dal legislatore, il quale, ove avesse voluto realizzare il risultato invocato dalla parte ricorrente, avrebbe fissato in modo espresso tetti inderogabili all’aliquota massima applicabile a tali alloggi ”.

Da tale articolato passaggio motivazionale è dato innanzitutto inferire che il T.a.r. si è espressamente soffermato sulle deduzioni sollevate coi motivi su menzionati e pertanto non ricorre, in radicibus , la lamentata obliterazione di tali censure. Il quadro motivazionale che connota il capo in esame si fonda su precise considerazioni, ad esempio quella che sottolinea la mancata previsione ad opera del legislatore di un’aliquota massima per gli alloggi di edilizia popolare, che l’appellante aveva l’onere di confutare pena l’inammissibilità in parte qua dell’atto d’appello.

Le censure, quivi riproposte, sono ad ogni modo infondate, in particolare per quanto attiene alla determinazione dell’aliquota in misura superiore a quella minima del 76 % perché non vietata dal legislatore e giustificata da plausibili ragioni che attengono all’equilibrata distribuzione dei carichi fiscali. In effetti, come osservato dalla Corte di cassazione (sentenza n. 20135/2019), la posizione degli enti gestori del patrimonio residenziale pubblico non può essere assimilata a quella degli assegnatari degli alloggi stante la loro diversa natura (rispettivamente di soggetti collettivi e di persone fisiche) e dimensione economica. Le deduzioni dell’appellante si traducono, in sostanza, nella tesi secondo cui l’Amministrazione si sarebbe sottratta ad un preciso onere motivazionale. L’infondatezza della censura si deve alla natura di atto generale della deliberazione comunale che fissa dell’IMU di guisa che vale l’orientamento espresso da questo Consiglio in ordine alla determinazione delle aliquote dell’ICI (orientamento che ben può estendersi all’IMU, trattandosi di imposta che si pone in linea di continuità con quella precedente tanto da prenderne il posto nel contesto fiscale) secondo cui “ dall’insieme delle disposizioni di cui all’art. 3, comma 2, L. 7 agosto 1990, n. 241 e all'art. 6 del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, risulta chiaro che il Comune non ha l’obbligo di motivare la quantificazione della percentuale d’imposta all’interno dell’intervallo stabilito, più di quanto abbia l’obbligo di motivare la quantificazione delle singole voci del bilancio di previsione;
del resto onerare il comune di una simile incombenza equivarrebbe ad introdurre ulteriori e più specifiche regole di quantificazione dell’imposta, che la legge non ha previsto
” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 24 luglio 2014, n. 3930; id ., sez. V, n. 4117/2003). Ne consegue che il mero riferimento al soddisfacimento delle esigenze di bilancio integra la motivazione della scelta dell’ente locale di fissare l’aliquota più elevata consentita dalla legge. L’infondatezza di quanto ulteriormente dedotto a proposito dell’incremento rispetto all’aliquota base dello 0,76 % deriva ancora una volta dalla insussistenza di un preciso divieto normativo dovendosi evidenziare, di contro, che tale determinazione rientra nel range previsto dalla legge.

11. In conclusione, l’appello è infondato e deve essere respinto.

12. Sussistono nondimeno giusti motivi per compensare le spese del presente grado di giudizio atteso che l’orientamento giurisprudenziale su richiamato si è consolidato soltanto dopo la proposizione del gravame nella non assoluta implausibilità della tesi contraria.

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