Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2017-11-15, n. 201705271

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2017-11-15, n. 201705271
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201705271
Data del deposito : 15 novembre 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 15/11/2017

N. 05271/2017REG.PROV.COLL.

N. 04027/2016 REG.RIC.

N. 04777/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4027 del 2016, proposto dal Ministero dello sviluppo economico, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato;

contro

G B, non costituito in giudizio;

nei confronti di

Scaim s.p.a. – Società per Azioni Cementi Armati Ing.M, A M A non costituiti in giudizio;



sul ricorso numero di registro generale 4777 del 2016, proposto da:
G B, rappresentato e difeso dall'avvocato Federico Tedeschini, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, largo Messico, 7;

contro

Ministero dello Sviluppo Economico, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Scaim s.p.a. Società Per Azioni Cementi Armati Ing. M, A M A, non costituiti in giudizio;

per la riforma

quanto ad entrambi i ricorsi:

della sentenza 22 dicembre 2015, n. 14455 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Roma, Sezione III- ter


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dello Sviluppo Economico;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 settembre 2017 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Paola Sulino e l’avvocato Tedeschini.


FATTO

1.– Con decreto ministeriale del 12 ottobre 2011, l’avv. G B è stato nominato dal Ministero dello sviluppo economico, unitamente agli avvocati Angela V e Marco Cappelletto, quest’ultimo poi sostituito dal dott. Paolo V (con decreto ministeriale 3 novembre 2011), quale componente della terna commissariale della Società di costruzioni Scaim s.p.a., posta in amministrazione straordinaria.

2.– Con nota del 25 gennaio 2012 il Ministero, ravvisata una situazione di assenza di « reciproca stima e fiducia » tra i componenti del collegio, ha dato avvio al procedimento di revoca dei commissari, che si è concluso con il decreto ministeriale del 28 febbraio 2012, che ha disposto la sostituzione dell’intero collegio commissariale. Con successivo decreto adottato il giorno successivo è stata disposta la nomina del prof. avv. A M A quale nuovo commissario straordinario della Scaim.

3.– Con ricorso notificato il 30 aprile 2012, l’avv. B ha impugnato tali atti innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, deducendo: i ) assoluta genericità e insufficienza della motivazione; ii ) carenza di istruttoria sulle specifiche lamentele; iii ) assenza di autonome valutazioni sull’inidoneità della terna, data per presupposta senza che venissero evidenziati errori o negligenze; iv ) erroneità della riconduzione di tale situazione ad asseriti dissidi e a « diffusa sfiducia » all’interno dell’organo commissariale; v ) erroneità dell’apprezzamento sulla necessità della revoca di tutti i componenti dell’organo, non essendosi l’amministrazione mai nemmeno rappresentata la possibilità di limitare l’atto di ritiro al solo componente dissenziente (stante l’avvenuto raggiungimento di una maggioranza stabile) in ossequio ai principi di cui agli artt. 38 e 40 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 43 (Nuova disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, a norma dell'art. 1 della legge 30 luglio 1998, n. 274) e ai canoni generali sull’azione amministrativa.

5.– Il Tribunale amministrativo, stante la chiusura della procedura di amministrazione straordinaria e il sopravvenuto difetto di interesse del ricorrente ad una pronuncia caducatoria, con sentenza 22 dicembre 2015, n. 14455, ha accolto il ricorso ai sensi dell’art. 34, comma 3, cod. proc. amm., accertando l’illegittimità degli atti impugnati e condannando l’amministrazione a corrispondere al ricorrente, a titolo di risarcimento dei danni, la somma di euro 47.560,92, oltre interessi.

6.– In data 3 maggio 2016, il Ministero ha appellato la predetta sentenza, deducendone molteplici profili di erroneità in relazione all’illegittimità degli atti impugnati e alla condanna al risarcimento dei danni.

In particolare, l’appellante ha contestato la sentenza di primo grado, nella parte in cui ha censurato il provvedimento di revoca per carenza di istruttoria e difetto di motivazione e ha accolto la domanda risarcitoria, nonostante la genericità e l’assenza di prove a supporto della medesima.

6.2.– Ha proposto autonomo appello anche l’avv. B chiedendo la riforma della sentenza impugnata nella parte in cui ha liquidato una somma risarcitoria di entità inferiore a quella a lui spettante.

7.– La causa è stata decisa all’esito dell’udienza pubblica del 28 settembre 2017.

DIRITTO

1.– La questione posta all’esame del Collegio attiene alla legittimità del decreto del Ministro dello sviluppo economico del 28 febbraio 2012, con cui è stata disposta la revoca dell’avv. G B, unitamente ad Angela V e Paolo V, dall’incarico di commissari straordinari della Scaim s.p.a. in amministrazione straordinaria.

2.– Gli appelli proposti dal Ministero dello sviluppo economico e dall’avv. B, avverso la medesima sentenza, stante la connessione soggettiva ed oggettiva degli stessi, devono essere riuniti per essere decisi con un’unica sentenza.

3.– L’appello del Ministero è fondato.

4.– Con il primo motivo si deduce l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha accertato l’illegittimità del provvedimento di revoca per carenza di istruttoria e difetto di motivazione.

Il motivo è fondato.

Il decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 43 (Nuova disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, a norma dell'art. 1 della legge 30 luglio 1998, n. 274) Art. 1 (Natura e finalità dell'amministrazione straordinaria) prevede che:

- « l'amministrazione straordinaria è la procedura concorsuale della grande impresa commerciale insolvente, con finalità conservative del patrimonio produttivo, mediante prosecuzione, riattivazione o riconversione delle attività imprenditoriali » (art. 1);

- « la procedura di amministrazione straordinaria si svolge ad opera di uno o tre commissari straordinari, sotto la vigilanza del Ministero dell'industria, salve le competenze del tribunale e del giudice delegato nelle materie ad essi affidate » (art. 37, comma 1);

- « entro cinque giorni dalla comunicazione del decreto che dichiara aperta la procedura, il Ministro dell'industria nomina con decreto uno o tre commissari straordinari. In quest'ultimo caso, i commissari deliberano a maggioranza e la rappresentanza è esercitata congiuntamente da almeno due di essi » (art. 38);

- « il Ministro dell'industria può in ogni tempo, su proposta del comitato di sorveglianza o d’ufficio, revocare il commissario straordinario »; ii ) « Il Ministro provvede previa comunicazione dei motivi di revoca o contestazione degli eventuali addebiti e dopo aver invitato il commissario ad esporre le proprie deduzioni » (art. 38):

- « il commissario straordinario, entro i sessanta giorni successivi al decreto di apertura della procedura, presenta al Ministero dell'industria un programma » (54, comma 1);

- « il programma è redatto sotto la vigilanza del Ministero dell'industria ed in conformità degli indirizzi di politica industriale dal medesimo adottati, in modo da salvaguardare l'unità operativa dei complessi aziendali, tenuto conto degli interessi dei creditori » (art. 55).

- il programma deve indicare « a) le attività imprenditoriali destinate alla prosecuzione e quelle da dismettere;
b) il piano per la eventuale liquidazione dei beni non funzionali all'esercizio dell'impresa;
c) le previsioni economiche e finanziarie connesse alla prosecuzione dell'esercizio dell'impresa;
d) i modi della copertura del fabbisogno finanziario, con specificazione dei finanziamenti o delle altre agevolazioni pubbliche di cui è prevista l'utilizzazione;

d-bis) i costi generali e specifici complessivamente stimati per l'attuazione della procedura, con esclusione del compenso dei commissari e del comitato di sorveglianza ».

Le norme riportate disciplinano la procedura di amministrazione straordinaria e, in particolare, per quanto interessa in questa sede, la nomina e la revoca dei commissari straordinari, nonché il contenuto del programma che il commissario deve predisporre.

Questa Sezione ha già avuto modo di affermare che l’incarico in questione, da qualificarsi come onorario, implica « il conferimento di un munus straordinario che comprende specifici poteri gestori dell’impresa e dei beni dell’imprenditore insolvente, per il fine di interesse pubblico inerente alla conservazione del patrimonio produttivo, mediante prosecuzione, riattivazione o riconversione delle attività imprenditoriali ». Esso ha natura « essenzialmente fiduciaria e intuitu personae» (Cons. Stato, sez. VI, 27 dicembre 2011, n. 6825;
Id., sez. VI, 27 dicembre 2010, n. 9423).

Specularmente anche il potere di revoca è espressione di un ampio potere discrezionale che può essere sindacato soltanto quando risulti contrario al principio di ragionevolezza, anche, eventualmente, tecnica. In questo contesto, assume particolare rilevanza la motivazione dell’atto dalla quale devono risultare le ragioni di fatto e di diritto che hanno condotto all’adozione del provvedimento di revoca.

Nella fattispecie in esame, la relazione ministeriale, a cui rinvia ai fini della motivazione il decreto di revoca, attesta l’« oggettiva inidoneità dell’organo collegiale ad assicurare una efficiente ed efficace gestione della procedura di amministrazione straordinaria », desunta dallo stato dei « rapporti intercorrenti tra i commissari » (caratterizzati da « ricorrenti dissidi » e da una « diffusa sfiducia e palese indisponibilità collaborativa ») e dai « ritardi » e dalle « disfunzioni nell’operato dell’organo segnalati dagli stessi commissari ».

Nell’assumere tale decisione ha svolto un ruolo centrale la questione relativa alla presentazione del programma commissariale, che costituisce la fase determinante della procedura di amministrazione straordinaria, da espletarsi in concordanza con gli indirizzi di politica industriale del Ministero, ai fini della salvaguardia dell’unità operativa dei complessi aziendali interessati.

In relazione a tale specifico profilo, nella relazione si è messo in rilievo che « la formale sottoscrizione del documento da parte dei tre commissari ha espresso una solo apparente condivisione del documento » (risultando « clamorosamente smentita » l’« asserita presenza di una maggioranza » e venendo in evidenza l’assenza di collegialità « fin dal conferimento degli incarichi di consulenza per la verifica di un aspetto decisivo per le determinazioni finali »), atteso che « al momento di decidere » i commissari B e V hanno « aderito acriticamente alla sottoscrizione del documento, sul presupposto della mancanza di ‘preconcetti sul punto’, e riservandosi di coinvolgere l’organo di vigilanza per l’approfondimento della questione ». Siffatta condotta rivela, nonostante il formale assenso prestato dai commissari B e V al programma, un dissidio insanabile e pregiudizievole per il proficuo prosieguo dell’amministrazione straordinaria in ragione della fondamentale valenza prodromica ed organizzatoria dell’atto in questione.

In aggiunta a ciò, nell’articolata relazione l’amministrazione dà atto di quanto segue:

i ) delle « comunicazioni pervenute successivamente alla nomina dell’organo commissariale »;
si tratta delle note: del Presidente della Regione Veneto, in data 7 dicembre 2011, con cui si sollecitava un tempestivo intervento del Ministro in considerazione dell’« incertezza » dell’azione dell’organo « che sta portando alla risoluzione in danno di diversi rapporti contrattuali di alcuni importanti committenti »;
del dott. V, in data 12 dicembre 2011, prospettante « dissidi in seno alla terna (…) difficilmente ricomponibili » che hanno determinato « una situazione di sostanziale stallo » della procedura;
dell’ing. A, in data 16 dicembre 2011, parimenti recante segnalazione di « dissidi tra i commissari » con necessità di un intervento ministeriale per « assicurare il ripristino delle doverose condizioni di efficienza »;
dell’Ance di Venezia, in data 27 dicembre 2011, sul « rigetto della quasi totalità delle domande insinuate », siccome desumibile dal progetto di stato passivo depositato presso il Tribunale di Venezia;
ancora del dott. V, in data 7 gennaio 12, sulla « forte incertezza sulla realistica capacità di questa terna commissariale di addivenire ad un’armonica convergenza sui criteri da infondere al percorso mirato al salvataggio dell’azienda », e in data 24 gennaio 2012 recante il carteggio tra i commissari relativamente al deposito del programma;

ii ) del conseguente avvio del procedimento di revoca con comunicazione del 25 gennaio 2012, disposto ex art. 43 d.lgs. n. 270/99 « sul presupposto della impossibilità di funzionamento del collegio a causa di un aperto dissidio all’interno dello stesso », essendo emerse dalle note innanzi menzionate una serie di « lamentele sull’operato del collegio » e sui rapporti interni (« difficoltà e ritardi nei rapporti con le istituzioni appaltanti e con i partners delle società consortili, tali da compromettere la prosecuzione delle commesse in cors o (…)»; «scelta e conseguente nomina negli organi delle consortili (…) di legali, anziché facendo ricorso a professionalità interne più esperte nel settore delle costruzioni pubbliche in materia di costruzioni, con conseguente aggravio dei costi »;
« ritardi nell’avvio delle operazioni di verifica dello stato passivo e di predisposizione del programma »;
« radicale disarmonia tra i commissari spesso sfociante in acceso dissenso circa le iniziative da intraprendere ed in particolare circa l’individuazione delle scelte strategiche (…) quali l’estensione della procedura a società partecipate, l’apertura della sede a Roma, la nomina dei consulenti »;
« divergenze » con particolare riferimento al « travaglio» per il deposito, in data 16 dicembre 2011 del programma secondo l’indirizzo della ristrutturazione economico-finanziaria e x art. 27, lett. b, d.lgs. n.270 del 1999);

iii ) delle « osservazioni » degli interessati (avv.ti B e V da un lato e dott. V dall’altro), prospettate nei seguenti termini (pagg. 7-8): a) il dott. V « sostanzialmente conferma le contestazioni all’operato dei colleghi, anzi le integra con ulteriori circostanze nel frattempo emerse », ponendo l’accento « sulle difficoltà di funzionamento del collegio » e nulla eccependo in merito alla prospettata revoca;
gli avv.ti B e V « sostanzialmente negano l’esistenza di dissidi all’interno del collegio, salvo poi dare conto della circostanza che ‘da una certa epoca in avanti’, un componente della terna commissariale abbia ritenuto di ‘dissentire’ (…)»;
b) « le argomentazioni difensive confermano la situazione di grave conflittualità all’interno del Collegio, che si è riverberata e non mancherà di riverberarsi sulla gestione operativa, come è agevole prevedere anche alla luce delle osservazioni presentate dai commissari;
la criticità dei rapporti dei commissari ha trovato
(…) significativa espressione anche nella vicenda legata alla predisposizione del programma di ristrutturazione (…)»;
« dall’analisi del carteggio (…), la situazione di contrasto e diffidenza all’interno del collegio commissariale emerge per tabulas in tutta la sua solarità, essendo rafforzata dal perdurante scambio di accuse tra le parti, né alcuno degli interessati ha dato disponibilità al superamento dei contrasti e delle divergenze »;
« lo stesso tono utilizzato nelle comunicazioni è sintomatico di una assoluta mancanza di fiducia reciproca (…)»;

iv ) delle specifiche modalità con cui sarebbe stata effettuata la « scelta dell’indirizzo del Programma » (pagg. 8-10), documento rappresentante « l’atto supremo di indirizzo della procedura» e che pertanto «deve necessariamente essere condiviso, soprattutto per quanto attiene la scelta dell’indirizzo ».

Infine, nelle « conclusioni » (pagg. 10-11) della relazione ministeriale, si accertano:

i ) la « perdurante situazione di conflitto all’interno del collegio, rispetto al quale nessuno dei tre ha dato disponibilità alla individuazione di iniziative atte al superamento dei dissidi » (il dott. V « sostanzialmente riconosce l’impossibilità di funzionamento »;
gli altri due commissari « addirittura (…) negano che, almeno fino ad un certo momento, siano esistiti tali dissidi (…)»;
« il dissidio quindi appare evidente fin dalla stessa interpretazione della realtà oggettiva dei fatti »; ii) il « clima di sospetto reciproco accompagnato da illazioni sull’operato di ciascuno »: da una parte, gli avv.ti B e V « evidenziano che il terzo opererebbe in asserita continuità con l’imprenditore fallito » (come si desumerebbe, tra l’altro, dall’identità di argomentazioni nelle lettere di tali soggetti nonché dalla nomina, quale consulente, del legale che aveva assistito l’imprenditore in sede di apertura dell’amministrazione straordinari., « circostanza questa che risulta non nota a tutti e tre i commissari, nonostante (…) la stessa emergesse dalla documentazione allegata al ricorso » per l’ammissione alla suddetta amministrazione);
dall’altra, il dott. V « evidenzia l’asserito ‘accanimento’ dei suoi colleghi verso l’imprenditore, il totale disinteresse dimostrato verso le vicende della procedura, nonché le modalità seguite per la nomina di consulenti (…)»;

iii ) la « difficoltà di formazione della volontà », tale da influire « negativamente » sul corretto andamento della procedura e « che ha trovato la sua massima espressione nella vicenda della elaborazione presentazione del programma »;

iv ) il «c onseguente avvenuto verificarsi di ritardi e inconvenienti nella gestione ».

Infine, si afferma che « è di palmare evidenza che il clima instauratosi non consente il corretto andamento della procedura, così come il tenore e la gravità delle accuse reciproche tra i commissari in carica non può che ripercuotersi sul rapporto fiduciario con questa Autorità di vigilanza», ciò confermando «la necessità di procedere alla rimozione dell’intero collegio, sussistendo l’interesse pubblico a garantire il corretto funzionamento della procedura in vista del più celere perseguimento delle finalità di legge ».

Il decreto di revoca, nel rinviare alla relazione ne assume le relative conclusioni, condividendo, oltre alla « non doverosità di un’ulteriore fase partecipativa », la necessità della sostituzione della terna, atteso « che l’insieme degli elementi raccolti, indicati in modo puntale (…) , comprova - al di là delle eventuali responsabilità dei singoli commissari - l’oggettiva inidoneità dell’organo collegiale ad assicurare una efficiente ed efficace gestione della procedura di amministrazione straordinaria e, per conseguenza, una cura adeguata degli interessi pubblici cui è finalizzata, come emerge in particolare: a) dai rapporti intercorrenti tra i commissari che si caratterizzano per ricorrenti dissidi e per una diffusa sfiducia e palese indisponibilità collaborativa;
b) dai ritardi e dalle disfunzioni nell’operato dell’organo segnalati dagli stessi commissari straordinari
».

Alla luce di quanto esposto, deve ritenersi che il decreto ministeriale di revoca risulti adeguatamente motivato e non presenti profili di irragionevolezza: l’amministrazione, infatti, ha compiutamente indicato i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche sottese alla revoca.

Nella relazione ministeriale, cui rinvia per relationem il decreto di revoca, si riportano gli elementi e i dati di fatto acquisiti e raccolti dall’amministrazione durante l’istruttoria, oggetto di ponderazione e valutazione ai fini dell’adozione del provvedimento finale.

Dalla lettura degli atti procedimentali (nota di avvio del procedimento, osservazioni, relazione ministeriale, documentazione raccolta) e del provvedimento finale, è ricostruibile il percorso logico – giuridico seguito dall’autorità emanante e sono individuabili le ragioni sottese alla determinazione assunta.

Nè può ritenersi, come sostenuto dal primo giudice, che, trattandosi di un organo collegiale che opera secondo le regole della maggioranza, le divergenze di opinioni costituiscono un andamento fisiologico dei lavori dell’organo.

Nella specie, come risulta da quanto sopra esposta, è riscontrabile una perdurante situazione di conflitto, un clima di sospetto reciproco, la difficoltà di formazione della volontà e il conseguente avvenuto verificarsi di ritardi e inconvenienti nella gestione commissariale. Ciò costituiscono documentati ed accertati indici sintomatici di un’insanabile conflittualità tra i commissari, tale da essere gravemente pregiudizievole ai fini di un proficuo svolgimento della amministrazione straordinaria, per la quale è determinante la presentazione di un programma di indirizzo effettivamente assentito e condiviso da tutti i membri della commissione.

Né può, altresì, ritenersi che l’amministrazione avrebbe dovuto valutare la possibilità di una revoca parziale dell’organo, in quanto la valutazione che ha svolto il Ministero è una valutazione complessiva che ha investito in quanto tale l’intero organo senza che potessero individuarsi responsabilità dei singoli la cui revoca avrebbe consentito la ripresa efficiente dei lavori.

In definitiva, l’amministrazione ha effettuata una scelta espressione di una discrezionalità che, non presentando elementi sintomatici dell’eccesso di potere, rappresenta merito amministrativo e, in quanto tale, non sindacabile in sede giurisdizionale.

5.‒ Con il secondo motivo si deduce l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha accolto la domanda risarcitoria dell’avv. B, nonostante la genericità e l’assenza di prove a supporto della medesima, liquidando d’ufficio, a favore della parte, una somma pecuniaria di euro 47.560,92 a titolo di risarcimento.

Il motivo è fondato.

L’analisi sopra svolta ha dimostrato l’assenza delle lamentate illegittimità dell’atto di revoca, il che determina la mancanza dell’elemento oggettivo della responsabilità, ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., rappresentato dalla sussistenza di un provvedimento illegittimo. E’, pertanto, erronea la sentenza nella parte in cui ha ritenuto sussistente la responsabilità della pubblica amministrazione.

Fermo quanto esposto, che ha valenza assorbente, si tenga conto che, nella specie, è altresì assente anche il requisito soggettivo della colpa, in quanto dal quadro ricostruttivo della vicenda in esame è emerso come il Ministero abbia agito senza violare le regole della diligenza che presiedono allo svolgimento dei compiti ad esso attribuiti.

6.– Il giudizio di fondatezza dell’appello principale del Ministero rende inammissibile, per difetto di interesse, l’appello principale proposto autonomamente dall’avv. B, con il quale si è contestata l’entità della somma risarcitoria liquidata. Se, infatti, non è sussistente il fatto lesivo illecito, per mancanza dell’elemento oggettivo e soggettivo, non è dovuta alcuna somma a titolo di risarcimento dei danni.

4.‒ La novità delle questioni trattate giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese di entrambi i gradi del giudizio.

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