Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-05-03, n. 201702015

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-05-03, n. 201702015
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201702015
Data del deposito : 3 maggio 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 03/05/2017

N. 02015/2017REG.PROV.COLL.

N. 04035/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4035 del 2013, proposto da Ministero della difesa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati G C e G P, con domicilio eletto presso lo studio G C in Roma, viale Parioli, n. 55;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. Veneto, Sez. I n. 1480 del 4 dicembre 2012, resa tra le parti, concernente rigetto di ricorso gerarchico avverso provvedimento irrogativo della sanzione disciplinare della consegna di rigore per giorni tre;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di -OMISSIS-;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 marzo 2017 il Cons. L L e uditi per le parti gli avvocati dello Stato Giannuzzi e Greco;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Il Maresciallo dell’Arma dei Carabinieri -OMISSIS- ha impugnato in primo grado il provvedimento del Comandante Interregionale dell’Arma dei Carabinieri di reiezione del ricorso gerarchico da lui intentato contro pregressa determinazione del competente Comandante di Legione irrogativa della sanzione disciplinare della consegna di rigore per giorni tre, in conseguenza dell’assunta violazione del divieto, recato dall’art. 1483 del d.lgs. 66/2010, dello svolgimento, da parte dei Militari, di attività politiche non espressamente consentite dalla legge.

Costituitasi l’Amministrazione, il T.a.r., sulla scorta di un’articolata disamina della disciplina dettata dal d.lgs. 66/2010 e, in particolare, del combinato disposto degli articoli 1350, comma 2, e 1483, ha accolto il ricorso.

Il Tribunale veneto, in particolare, premesso che “ l’obbligo … per le Forze armate di mantenersi, in ogni circostanza, al di fuori dalle competizioni politiche è … univocamente limitato dall’art. 1350, comma 2, a coloro i quali si trovino «in una» delle condizioni ivi tassativamente indicate, con la conseguenza che esso non può essere esteso a tutti gli appartenenti sulla base della mera condizione soggettiva di essere un appartenente alle Forze armate ”, ha ritenuto che, “ nella fattispecie oggetto di giudizio, è pacifico che il comportamento contestato al ricorrente non sia in alcun modo riconducibile ad alcuna delle condizioni, di luogo, di tempo o comportamentali, espressamente considerate dalla predetta disposizione ”.

Il Ministero ha interposto appello, osservando che le conclusioni raggiunte in primo grado ometterebbero di considerare il fatto che il Maresciallo -OMISSIS- rivestiva, all’interno del partito cui era all’epoca iscritto, l’incarico di “ Capo Dipartimento Nazionale per l’Arma dei Carabinieri, inequivocabilmente rappresentando, quindi, l’Arma: la chiara dizione <<per l’Arma dei Carabinieri>>, infatti, esclude palesemente che egli, nell’ambito di tale attività politica, voglia agire da comune cittadino ed evidenzia, invece, l’intento di rappresentare la forza militare di appartenenza ”.

Il resistente si è costituito ed ha difeso, anche con memoria scritta, l’assunta correttezza del decisum di prime cure.

Il ricorso, discusso alla pubblica udienza del 30 marzo 2017, è fondato.

Il Collegio osserva che l’art. 1483, comma 2, del d.lgs. 66/2010 stabilisce che “ ai militari che si trovino nelle condizioni di cui al comma 2 dell'articolo 1350, è fatto divieto di partecipare a riunioni e manifestazioni di partiti, associazioni e organizzazioni politiche, nonché di svolgere propaganda a favore o contro partiti, associazioni, organizzazioni politiche o candidati a elezioni politiche e amministrative ”.

A sua volta, l’art. 1350, comma 2, statuisce che “ le disposizioni in materia di disciplina militare, si applicano nei confronti dei militari che si trovino in una delle seguenti condizioni: a) svolgono attività di servizio;
b) sono in luoghi militari o comunque destinati al servizio;
c) indossano l'uniforme;
d) si qualificano, in relazione ai compiti di servizio, come militari o si rivolgono ad altri militari in divisa o che si qualificano come tali
”.

Il combinato disposto di tali previsioni è, per vero, sufficiente a motivare l’accoglimento dell’appello: non è, pertanto, in questa sede necessario valutare se dal comma 1 dell’art. 1483 (a tenore del quale “ le Forze armate devono in ogni circostanza mantenersi al di fuori dalle competizioni politiche ”) derivi soltanto il divieto per le Forze Armate intese come Corpo, come Istituzione, di prendere parte ad attività politiche ovvero se, invece, ne consegua pure un analogo e generalizzato divieto in capo ai singoli appartenenti alle Forze Armate stesse.

La denominazione dell’incarico (“ Capo Dipartimento Nazionale per l’Arma dei Carabinieri” ) rivestito dall’odierno resistente in seno alla formazione politica cui era iscritto, infatti, ne disvela apertis verbis la qualità di Militare e, pertanto, da un lato tratteggia un preciso, nitido e per così dire fisico legame fra quella attività politica e l’Arma, dall’altro evidenzia che egli non intendeva svolgere - e, comunque, di fatto non svolgeva - attività politica come comune cittadino ( uti civis ), ma, al contrario, come Militare referente di e per altri Militari (dunque, sostanzialmente, uti miles ).

L’appello, pertanto, si dimostra fondato, giacché l’impegno politico de quo, contrariamente alle conclusioni raggiunte dal T.a.r. , è “ connotato da un’oggettiva valenza estrinseca idonea a renderlo rappresentativo dell’Istituzione di appartenenza ” (così la pronuncia di prime cure): in totale riforma della sentenza impugnata, dunque, deve rigettarsi il ricorso svolto in primo grado.

La particolarità della questione, comunque, giustifica la compensazione delle spese di lite del doppio grado di giudizio.

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