Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2018-07-02, n. 201804045

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2018-07-02, n. 201804045
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201804045
Data del deposito : 2 luglio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 02/07/2018

N. 04045/2018REG.PROV.COLL.

N. 01221/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL P I

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 1221 del 2009, proposto da
I C, rappresentato e difeso dall'avvocato M G, con domicilio eletto presso la sig.ra Antonia De Angelis in Roma, via Portuense, 104;

contro

Comune di Nocera Inferiore, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’avvocato F A, con domicilio eletto presso lo studio legale dell’avvocato F T in Roma, largo Messico, 7;

nei confronti

P M, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania - sezione staccata di Salerno (Sezione Prima) n. 00044/2008, resa tra le parti, concernente affidamento di incarico a tempo determinato di ingegnere capo.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Nocera Inferiore;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 31 maggio 2018 il Cons. Valerio Perotti ed uditi per le parti gli avvocati Gaeta ed Abbamonte, quest’ultimo in dichiarata delega dell’avvocato Accarino;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con delibera consiliare n. 35 del 29 maggio 1996, il Comune di Nocera Inferiore approvava un avviso pubblico di procedura selettiva, per soli titoli, ai fini del conferimento dell'incarico a tempo determinato (un anno) di ingegnere capo, con relativo schema di convenzione.

In esito a richiesta del Co.Re.Co., veniva altresì adottata la delibera consiliare n. 76 del 25 luglio 1996, recante i chiarimenti ed un nuovo avviso di assunzione a tempo determinato, con lo schema di contratto.

Sia la delibera n. 35 del 1996 che la n. 76 del 1996, nella parte relativa all’attribuzione del punteggio ai concorrenti, al punto 5) puntualizzavano che per ogni prestazione professionale svolta in forma singola o associata, regolarmente documentata, a favore di enti o amministrazioni pubbliche sarebbero stati attribuiti 0,20 punti, sino a concorrenza di un massimo di 10 punti.

L’odierno appellante – collocatosi infine al terzo posto della graduatoria – indicava nella propria domanda ben sessantaquattro incarichi professionali conferiti da pubbliche amministrazioni, che però non venivano tenuti in considerazione dal Comune in quanto “ non regolarmente documentati ”, attesa la ritenuta inidoneità della documentazione prodotta a dar prova di essi.

Quindi, con delibera di giunta. n. 1039 del 30 novembre 1998, pubblicata il 4 dicembre 1998, il Comune approvava la graduatoria finale e nominava il vincitore della selezione.

Avverso detto provvedimento (nonché i pareri di regolarità, gli atti della Commissione Giudicatrice e ogni altro atto anteriore, connesso e conseguente), l’ing. I proponeva ricorso al Tribunale amministrativo della Campania, deducendo i seguenti vizi di legittimità:

1) violazione del bando di concorso e dei principi in tema di procedure concorsuali, dal momento che, non prevedendo espressamente la lex specialis della selezione una specifica modalità di documentazione dei titoli professionali, non si sarebbe potuto ritenere necessaria la produzione di copia autentica degli stessi, in luogo di semplice copia fotostatica;

2) violazione dell’art. 2719 Cod. civ., ai sensi del quale la copia delle scritture, ancorché non autentica, ha la stessa efficacia probatoria dell’originale, salvo espresso disconoscimento della relativa conformità da parte del soggetto interessato;

3) violazione dell’obbligo di consentire la regolarizzazione dei documenti prodotti, mediante loro esibizione in copia autentica;

4) violazione dell’obbligo di acquisire d’ufficio i documenti in possesso dell’amministrazione intimata, relativamente agli incarichi conferiti dallo stesso Comune di Nocera Inferiore, o comunque dell’obbligo di ordinare l’esibizione in originale dei documenti relativi agli incarichi conferiti da altre amministrazioni, onde procedere all’autentica delle copie prodotte dal ricorrente ad opera dello stesso Presidente della commissione, ex art. 14 l. n. 15 del 1968.

Costituitosi in giudizio, il Comune intimato eccepiva l’infondatezza del ricorso, chiedendone la reiezione.

Con sentenza 17 gennaio 2008, n. 44, il Tribunale amministrativo della Campania dichiarava inammissibile il ricorso per difetto di interesse, sul presupposto che la documentazione prodotta non avrebbe comunque potuto dimostrare la sussistenza degli incarichi professionali dichiarati dal ricorrente;
il contenuto dei documenti era infatti tale da rendere vincolata l’attività valutativa dell’amministrazione, anche in ipotesi di riedizione del potere, in senso negativo per il ricorrente.

Avverso tale decisione l’ing. I interponeva appello, articolato nei seguenti motivi di gravame:

1) Violazione del bando di concorso nonché dei principi in tema di procedure concorsuali. Violazione dell'art 21 octies della l. 7.8.1990, n. 241 e succ. mod. ed int. Violazione dell'art 22 della l. 6.12.1971, n. 1034 .

2) Violazione dell'art 2719 c.c. Ulteriore violazione dei principi in tema di procedure concorsuali .

3) Violazione degli artt. 6 e 18 della L 7.8.1990, n. 241 nonché dell’art 14 della L 4.1.1968, n. 15 .

Costituitosi in giudizio, il Comune di Nocera Inferiore deduceva l’infondatezza dell’appello, chiedendone la reiezione.

Successivamente le parti ulteriormente illustravano, con apposite memorie, le proprie rispettive tesi difensive ed all’udienza del 31 maggio 2018, dopo la rituale discussione, la causa passava in decisione.

Ritiene il Collegio, ad un complessivo esame delle risultanze di causa, di dover esaminare in via prioritaria, per ragioni di ordine sistematico, il terzo motivo di appello. Con esso l’appellante deduce che il bando di gara di sarebbe limitato, “cripticamente”, a prescrivere che gli incarichi professionali fossero “regolarmente documentati”, assunto dal quale parte appellante desume si dovesse escludere un onere di documentazione mediante copia conforme, “ stante la contrapposta previsione dello stesso bando, che imponeva la produzione in "copia autentica" del solo titolo di studio ”.

Per l’effetto, conclude l’appellante – che nulla eccepisce, in realtà, circa l’inidoneità sostanziale (ossia, quanto a contenuto) della documentazione prodotta a comprovare l’effettività dei rapporti di incarico indicati nella propria domanda di partecipazione – la Commissione giudicatrice non avrebbe potuto sottrarsi dal richiedere l'autenticazione delle copie o, addirittura, ad invitare l'interessato ad integrare la documentazione con le sue accettazioni degli incarichi.

Il motivo non è fondato.

Come già detto, il primo giudice non si è pronunciato sulla questione formale dell’ammissibilità o meno di una semplice fotocopia rispetto al deposito di copia autenticata del medesimo documento, ritenendola assorbita nel rilevo – sostanziale – che il contenuto di quanto depositato, quale ne fosse stata la forma di produzione, comunque non sarebbe stato idoneo a comprovare l’effettività dei rapporti di incarico indicarti nella domanda.

Per l’effetto, correttamente il primo giudice dava atto del fatto che, al fine di assolvere l’onere probatorio di cui si è detto, non sarebbe stato sufficiente procedere ad una mera regolarizzazione formale dei documenti allegati alla domanda, ma se ne sarebbe dovuto invece integrare – ossia modificare – in maniera sostanziale il contenuto, con ciò però violando la par condicio tra i concorrenti.

Nel caso di specie, in particolare, l’appellante aveva prodotto – in massima parte – delle note di incarico e delle fatture (per di più, in copia fotostatica) al fine di documentare una serie di contratti di attribuzione di incarichi professionali da parte di pubbliche amministrazioni, contratti che però, per costante insegnamento giurisprudenziale, necessitano di forma scritta ad substantiam (ossia, a pena di nullità).

In termini, anche la giurisprudenza civile, per cui “ Tutti i contratti stipulati dalla p.a. richiedono la forma scritta "ad substantiam", conseguendo alla mancanza di tale requisito l'inesistenza di una obbligazione contrattuale a carico della p.a., senza che rilevi la eventuale esistenza di una delibera autorizzatoria dell'organo collegiale dell'ente pubblico, costituendo tale deliberazione me-ro atto interno e preparatorio del negozio, che richiede l'incontro delle volontà dei contraenti nella forma suindicata ” (Cass. Civ., I, 8 febbraio 2012 n. 1774).

In questi termini, giustamente il primo giudice dava atto dell’irrilevanza della deliberazione dell’organo collegiale dell'ente pubblico – anche laddove immediatamente esecutiva – che avesse eventualmente autorizzato il conferimento dell'incarico al professionista, trattandosi non di un documento facente le veci del regolamento contrattuale, bensì di un mero atto interno sempre revocabile ad nutum .

Al fine della procedura in esame avrebbero quindi dovuto essere prodotta tutt’altra documentazione, ossia un atto contrattuale sottoscritto dal rappresentante esterno dell'ente e dal professionista, ovvero un suo equipollente legale: tale carenza veniva rilevata dalla Commissione giudicatrice, che infatti dava subito atto di come l’attività indicata nella domanda non fosse regolarmente documentata, precisando inoltre che i documenti erano stati altresì esibiti (solamente) in fotocopia.

A ciò aggiungasi, come evidenziato dall’amministrazione resistente, che le competenti amministrazioni neppure avrebbero convalidato, tramite apposizione della prescritta formula di conformità, l’esito delle note e delle fatture inviate (l’ing. I si sarebbe infatti limitato a presentare fatture da lui stesso emesse, cioè atti non provenienti da autorità pubblica con potere certificatorio dello svolgimento di attività in proprio favore).

Il motivo di appello va dunque respinto.

Anche con il primo motivo di gravame (di fatto ripropositivo delle doglianze dedotte nel primo motivo del ricorso introduttivo) viene evidenziato come il bando di concorso si limitasse a prevedere che i titoli professionali fossero “ regolarmente documentati ”, senza però dettare alcuna specifica modalità al riguardo, a differenza peraltro di quanto previsto per il titolo di studio, laddove il bando espressamente ne chiedeva la produzione in “ copia autenticata ”.

Ciò premesso, ad avviso dell’appellante il giudice amministrativo non potrebbe pronunciare sentenza di inammissibilità per difetto d'interesse laddove oggetto di sindacato siano “ vizi riguardanti l'applicazione della normativa sostanziale che definisce l'assetto del rapporto tra il privato e l’amministrazione ”, vizi – questi ultimi – che ricorrerebbero nel caso di specie, laddove si il ricorrente deduceva il pieno valore della documentazione dei titoli di merito mediante copia non autenticata.

Anche questo motivo non è fondato. Come lo stesso appellante ricorda, la sentenza impugnata ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso non sulla base dell’idoneità o meno di una semplice copia fotostatica a dare prova del contenuto del documento originale, bensì dell’inidoneità legale del medesimo documento, in qualsiasi forma offerto, a dimostrare la pregressa esistenza degli incarichi che il ricorrente sosteneva essergli stati conferiti da varie amministrazioni pubbliche.

Per l’effetto, diversamente da quanto teorizzato in appello, oggetto delle doglianze di parte ricorrente erano questioni di carattere eminentemente formale, non attinenti cioè il contenuto del documento prodotto, bensì l’idoneità della forma di esso (copia fotostatica o copia autenticata) a dare prova della sua corrispondenza all’originale.

Neppure è fondato l’ulteriore rilievo secondo cui nel caso di specie farebbe inoltre difetto il presupposto di cui all’art. 21- octies della l. n. 241 del 1990 – il quale richiede che l'esito negativo per il ricorrente del rinnovato esercizio del potere, per il caso di accoglimento del ricorso, sia “palese” – atteso che lo stesso giudice di prime cure avrebbe ritenuto che la regolarità della documentazione degli incarichi professionali fosse prescrizione generica del bando, bisognevole di interpretazione che ne precisasse il contenuto (se del caso, anche a prescindere dalla motivazione addotta dalla Commissione giudicatrice) e dunque non evidente.

Parte appellante infatti impropriamente sovrappone (e confonde) due distinte questioni, ossia il contenuto da dare all’espressione “ regolarmente documentate ” di cui alla lex specialis di procedura – oggetto di necessaria interpretazione giudiziale – e l’evidenza dell’idoneità della medesima documentazione a dimostrare la sussistenza di determinati rapporti giuridici negoziali.

Peraltro è del tutto evidente, in primis sotto il profilo lessicale, che l’espressione “documentare” attiene al contenuto degli atti prodotti e non già (o non tanto) alla forma di essi.

Del pari destituita di fondamento (e prima ancora inammissibile, per genericità) è l’assunto secondo cui al giudice sarebbe stato precluso l’esercizio del proprio potere/dovere di rilievo officioso della carenza di interesse al ricorso, in difetto di uno specifico ricorso incidentale in tal senso proposto dall’amministrazione resistente, “ alla quale il ricorso incidentale era senz'altro consentito perché non indirizzato a chiedere un inammissibile annullamento di propri atti ma a far valere un'eccezione processuale in senso proprio, idonea a precludere l'esame del ricorso principale ”.

È appena il caso di ribadire, al riguardo, il consolidato insegnamento giurisprudenziale secondo cui la mancanza dei presupposti processuali o delle condizioni dell'azione – tra cui vi è anche l’interesse al ricorso – è rilevabile d'ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo (art. 35, comma 1, Cod. proc. amm.), perché essi costituiscono i fattori ai quali la legge, per inderogabili ragioni di ordine pubblico, subordina l'esercizio dei poteri giurisdizionali ( ex multis , Cons. Stato, IV, 28 settembre 2016, n.4024;
VI, 18 aprile 2013, n. 2152;
IV, 31 marzo 2015, n. 1657).

Per quanto poi concerne l’ulteriore rilievo secondo cui il ricorrente non avrebbe dovuto notificare alle controparti alcuno specifico atto, per replicare alle eccezioni sollevate nella memoria di costituzione del Comune, lo stesso non coglie nel segno.

Il rilievo in tal senso contenuto nella sentenza appellata, infatti, muoveva dalla considerazione che il ricorrente, con separata memoria, aveva eccepito al Comune che anche la documentazione prodotta da altro concorrente (l’ing. Prisco), poi risultato vincitore della selezione, sarebbe stata inficiata dai medesimi vizi rilevati nei suoi confronti: poiché tale difesa, ove accolta, avrebbe potuto incidere anche sulla posizione di vantaggio di quest’ultimo, in ragione del vincolo conformativo del giudicato, correttamente il primo giudice evidenziava che la stessa avrebbe dovuto essere introdotta mediante un atto da notificarsi anche all’ing. Prisco, in qualità di controinteressato.

Con il secondo motivo di appello, infine, viene dedotto che, ai sensi dell’art. 2719 Cod. civ., le copie delle scritture, ancorché non autentiche, hanno la stessa efficacia degli originali, salvo che la conformità a questi ultimi non sia espressamente disconosciuta da chi vi abbia interesse;
per l’effetto, la produzione, a corredo di una domanda di partecipazione ad un concorso, di copie non autentiche dei titoli – quand'anche espressamente prescritte – costituirebbe una mera irregolarità sanabile su richiesta dell'amministrazione (che dunque non avrebbe potuto esimersi dall'assegnare un termine per la regolarizzazione, mediante autentica, dei titoli prodotti).

Sulla base di tali premesse l’appellante contesta le conclusioni cui è giunto il primo giudice, in quanto – a suo avviso – l’obbligo di regolarmente documentare “ ogni prestazione professionale svolta a favore di Enti e Amministrazioni pubbliche ” si sarebbe tradotto nell’onere di provare il semplice “fatto storico” della prestazione, non anche la regolare conclusione del sottostante contratto d’opera professionale.

Del resto, prosegue l’appellante, la forma scritta ad substantiam verrebbe in rilievo (solamente) ogniqualvolta il contratto stesso sia invocato tra le parti, per far valere i diritti e gli obblighi ad esse reciprocamente imputabili.

Il motivo è infondato.

L’argomentazione di parte appellante si traduce, nella sostanza, in una lettura artificiosa della lex specialis con cui ipoteticamente distinguere l’esistenza di un contratto d’opera professionale (che, come correttamente evidenziato in sentenza, presuppone un atto scritto di tipo contrattuale, o equivalente) dal materiale svolgimento (a rigore, pure de facto ) della relativa attività professionale, oggetto quest’ultimo – a suo dire – della previsione del bando di concorso.

A smentire una tale ricostruzione – la quale, va detto, non trova evidente fondamento neppure nel tenore testuale della lex specialis – basti considerare che il mero svolgimento di un’attività materiale (o professionale), in assenza della prova del titolo fondante della stessa, è irrilevante per il diritto amministrativo, non potendo quindi giustificare l’attribuzione di punteggi in una procedura concorsuale (ispirata per sua natura al principio di legalità).

Alla luce delle considerazione che precedono, l’appello va dunque respinto. Ritiene peraltro il Collegio che la particolarità delle questioni trattate giustifichi la compensazione, tra le parti, delle spese di lite del grado di giudizio.

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