Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-11-03, n. 202309503
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Testo completo
Pubblicato il 03/11/2023
N. 09503/2023REG.PROV.COLL.
N. 07920/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7920 del 2022, proposto da
L M, D S e S L, rappresentati e difesi dall'avvocato P T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
A C;A I;C M;L S, in proprio e nella qualità di esercente la responsabilità genitoriale su P S;P L T R;L Arietti;F D S;Daniela Colafranceschi, Stefania Colafranceschi, Alessandro Colafranceschi, Marco Colafranceschi in proprio e nella qualità di eredi di F V, parte originaria deceduta in data 14 novembre 2021;Benedetta Sbraccia;E A C, nella qualità di esercente la responsabilità genitoriale su P S (tutti nella loro qualità di condòmini del Condominio in Roma di Via dei Coronari, n. 31) rappresentati e difesi dall'avvocato Andrea Scafa, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Ministero della Cultura, Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma, non costituiti in giudizio;
nei confronti
G C, F V, Condominio di Roma, via dei Coronari n. 31, Famiglia Hudson s.r.l., Paola Pispisa nella qualità di erede di B P, Francesca Pispisa nella qualità di erede di B P, Salvatore L N, Enrico Gerardo De Maio, M D S, S C, A G P e P S, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater) n. 2061/2022, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di A C, di A I, di C M, di L S in qualità di esercente la potestà sul minore P S, di P L T R, di L Arietti, di F D S, di Benedetta Sbraccia, di E A C in qualità di esercente la potestà sul minore P S, di Daniela Colafranceschi, di Stefania Colafranceschi, di Alessandro Colafranceschi, di Marco Colafranceschi e del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 ottobre 2023 il Cons. Giovanni Pascuzzi e uditi per le parti gli avvocati P T e Andrea Scafa;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con la sentenza appellata in questa sede (n. 2061/2022) il T per il Lazio ha scrutinato la legittimità:
- dell’Autorizzazione con prescrizioni rilasciata dalla Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma del 25 luglio 2020, protocollo n. 30888, notificata a mezzo pec in pari data, avente ad oggetto l’installazione di un ascensore per il superamento delle Barriere Architettoniche nel cortile condominiale del fabbricato in Roma via dei Coronari n. 31;
- dell'autorizzazione con prescrizioni rilasciata dalla Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma, del 22 giugno 2020, prot. n.26449.
I due provvedimenti appena citati erano stati oggetto di due diversi ricorsi (riuniti dalla decisione appellata) proposti da due diversi gruppi di condomini del Condominio sito in Roma, alla Via dei Coronari, n. 31.
2. Così la sentenza impugnata ha sintetizzato le premesse in fatto.
2.1 Con ricorso notificato in data 22.10.2020 (n. 9236) e depositato in data 11.11.2020, i signori S L, L M e società Famiglia Hudson s.r.l., in qualità di condomini del fabbricato multiscale (Scala “A” e Scala “B”), sito in Roma, via dei Coronari n. 31, censito al NCEU al foglio n. 485, part. n. 92, risalente al 1700 e sottoposto a vincolo culturale diretto ex l. n. 1089/39 e d.m. del 10.07.1957, hanno impugnato il provvedimento prot. n. 30888 del 25 luglio 2020, con cui la Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma - in adesione all’istanza ex art. 21 d.lgs. n. 42/2004, presentata in data 7.11.2018 al prot. n. 28749 e, successivamente, integrata - ha autorizzato il richiedente condomino arch. Salvatore L N all’installazione, nel cortile condominiale del fabbricato in parola, di un ascensore per il superamento delle barriere architettoniche a condizione che:
a) l’ascensore venga realizzato solamente fino al quinto piano, escludendo lo sbarco al piano delle terrazze;
b) sia garantito il distacco minimo dell’ascensore e dei pianerottoli dalle finestre che affacciano sulla corte interna.
I ricorrenti hanno, altresì, impugnato anche la precedente autorizzazione del 22 giugno 2020, prot. n. 26449 - pur ritenendola superata da quella prot. n.30888 del 25 luglio 2020 – con cui la Soprintendenza aveva imposto quale unica condizione che venisse garantito il distacco minimo dell’ascensore e dei pianerottoli dalle finestre che affacciano sulla corte interna.
2.2 Il primo giudice, proseguendo nella narrativa delle circostanze in fatto, ha anche chiarito che:
- i ricorrenti, sostanzialmente interessati - al pari del signor Pisapia (persona con disabilità) - al procedimento avviato in data 7.11.2018 (prot.n. 28749), dall’arch. Salvatore L N, hanno dedotto la necessità che la Soprintendenza approvasse il progetto così come da quest’ultimo presentato e, quindi, senza le condizioni sopra specificate, in quanto unica soluzione possibile al fine di superare adeguatamente le barriere architettoniche esistenti presso l’edificio condominiale;
- in particolare, il progetto in questione prevedeva che l’ascensore venisse realizzato nell’ambito della chiostrina condominiale, in corrispondenza della Scala “B” (rampa di piani 5, con larghezza di appena 80 cm, tale da non consentire neanche l'ubicazione di un montascale per le persone anziane più disagiate), con sbarco sul terrazzo di copertura comune;
- in tal modo, l’impianto in parola, senza alcun modo pregiudicare i valori culturali sottesi al vincolo imposto sul fabbricato condominiale, sarebbe stato idoneo a soddisfare le esigenze non solo dei condomini della Scala “B”, ma anche dei proprietari degli appartamenti posti ai piani alti della Scala “A” (rampa di quattro piani, che va restringendosi, in corrispondenza del quinto piano, fino ad arrivare a cm 70 e conduce, tramite una ulteriore ed impervia scala a chiocciola al terrazzo condominiale), nella quale non sarebbe possibile installare alcun impianto ascensore, avendo la stessa valore artistico e monumentale;
- ad avviso dei ricorrenti, quindi, il posizionamento dell’ascensore nel sito proposto e la previsione dello sbarco dello stesso sul terrazzo condominiale costituirebbero condizioni indispensabili per superare le barriere architettoniche e consentire, quindi, l’accesso alla propria abitazione ai condomini proprietari di appartamenti siti ai piani alti della Scala “A” mediante l’ascensore, tra cui la signora L;
- la previsione progettuale dello sbarco dell’impianto sul terrazzo, lungi dal costituire un mero quid pluris , finalizzato a recare utilità aggiuntive ed accessorie, si inserirebbe, in modo organico ed indefettibile nel disegno finalizzato a risolvere i gravi ed insuperabili disagi costituiti dalla presenza di autentiche barriere architettoniche per l’intero stabile;
- le condizioni apposte dalla Soprintendenza all’autorizzazione prot. n. 30888 del 25 luglio 2020, consistenti tanto nell’inibizione del predetto sbarco quanto nel mantenimento del distacco minimo dell’ascensore e dei pianerottoli dalle finestre che affacciano sulla corte interna, renderebbero non fattibile e non utile l’intervento, così di fatto vanificandolo, senza alcun vantaggio per gli interessi pubblici sottesi al vincolo.
3. Con successivo ricorso notificato in data 19.11.2020 (n. 9622) i condomini G C, A C, A I, C M, L S, P L T R, L Arietti, F D S, F V, S B, E A C e S L (questo anche in proprio) e in qualità di esercenti la potestà sul minore P S, hanno impugnato tanto l’Autorizzazione con prescrizioni rilasciata dalla Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma del 25 luglio 2020, prot. n. 30888, conosciuta in data 10 ottobre 2020, quanto la precedente Autorizzazione con prescrizioni prot. n. 26449 del 22/06/2020, rilasciata dalla medesima Soprintendenza e conosciuta in data 22 ottobre 2020.
3.1 I condomini in parola hanno evidenziato, in fatto:
- di non aver partecipato all’iniziativa sostanzialmente assunta, per come evincibile dagli atti istruttori del procedimento culminato con l’adozione degli atti impugnati, dai condomini L M, S D, B P, Famiglia Hudson s.r.l., M D S, S C, A G P e P S;
- di essere contrari a tale installazione, essendo quest’ultima unicamente diretta ad incrementare il valore del patrimonio immobiliare di alcuni dei beneficiari (molti dei quali neppure abiterebbero nel fabbricato ed avrebbero destinato i loro immobili ovvero intenderebbero destinarli a “Bed and Breakfast” o affittacamere) a danno degli altri condomini;
- siffatta installazione, per come autorizzata dalla Soprintendenza, arrecherebbe serio pregiudizio al fabbricato perché, essendo ancorato alla parete della facciata ed alle logge, pregiudicherebbe non soltanto il decoro architettonico ma anche la staticità dell’edificio, già oggetto alla fine del 1800 di un intervento di sopraelevazione, scaricando il suo peso sulla (antica) muratura del piano interrato (sorreggente l’intero fabbricato);
- l’ascensore de quo vulnererebbe, inoltre, la sicurezza e l’agibilità di alcune unità immobiliari, a causa della sottrazione di parte del già piccolo cortile, privandole dell’aria e della luce ed inoltre precluderebbe ai ricorrenti sia l’uso futuro della nuova opera, che di installare un altro ascensore all’interno del cortile condominiale.
4. Nel giudizio di primo grado si sono costituiti il Ministero della Cultura e il condominio di Via dei Coronari 31.
5. Con la citata sentenza n. 2061/2020 il T per il Lazio:
- ha annullato l'autorizzazione, con prescrizioni, prot. n. 30888, rilasciata dalla Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma in data 25 luglio 2020 e la precedente autorizzazione del 22 giugno 2020, prot. n. 26449;
- ha dichiarato improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, il ricorso n. 9236/2020.
5.1 Il primo giudice ha esaminato in primo luogo il secondo dei due ricorsi citati (n. 9622/2020), perché ritenuto prioritario in ordine logico, ritenendolo fondato.
5.2 In particolare è stata ritenuta fondata la censura preliminare ed assorbente rispetto a tutte le altre, secondo cui i provvedimenti autorizzativi oggetto di gravame sono stati rilasciati dalla Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma in favore di soggetti non legittimati, dovendosi ritenere tale esclusivamente il Condominio di Via dei Coronari n. 31 il quale, per come dallo stesso affermato in seno al ricorso n. 9236/2020 r.r., non ha mai deliberato l’installazione dell’impianto in contestazione.
5.3 Secondo il T l’apprezzamento della carenza di legittimazione a richiedere l’autorizzazione in parola in capo al signor L N, così come agli altri condomini sostanzialmente intervenuti nel corso del procedimento, passa dalla preliminare valutazione circa la natura giuridica dell’intervento edilizio in contestazione, coincidente con l’installazione di un ascensore all’interno di un cortile condominiale.
Siffatta valutazione, trattandosi di una questione pregiudiziale involgente diritti soggettivi la cui risoluzione è necessaria per la definizione del caso, può essere effettuata dal Tribunale, ancorché senza efficacia di giudicato, secondo quanto espressamente previsto dall’art. 8, comma 1, c.p.a.
5.4 A dire del T l’installazione di un ascensore all’interno di un cortile condominiale è qualificabile in termini di “innovazione”, in quanto, in violazione di quanto previsto dall’art. 1102 c.c., determina una modifica strutturale del cortile medesimo rispetto alla sua primitiva configurazione, risultandone nel contempo alterata la sua naturale funzione e destinazione comune, che è quella di dare luce ed aria alle unità immobiliari che compongono l’edificio.
La decisione di assoggettare il cortile condominiale a siffatta “innovazione” avrebbe dovuto essere assunta, necessariamente, dal Condominio, sia pure con le maggioranze di cui all’art. 2, comma 1, l. n. 13/89 (nel testo modificato dall'articolo 27, comma 1, della legge 11 dicembre 2012 n. 220 e successivamente dall'articolo 10, comma 3, lettera a, del d.l. 16luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120).
In assenza di siffatta delibera condominiale, giusta il disposto di cui al secondo comma del citato art. 2, l. n. 13/89, i condomini interessati all’adozione di strumenti di superamento delle cosiddette barriere architettoniche sono, dunque, legittimati esclusivamente ad « installare, a proprie spese, servoscala nonché strutture mobili e facilmente rimovibili » o « modificare l'ampiezza delle porte d'accesso, al fine di rendere più agevole l'accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garages ».
5.5 Per come ribadito dall’art. 10, comma 3, del d.l. n.76/2020, ciascun partecipante alla comunione o al condominio può sì realizzare a proprie spese ogni opera di cui agli articoli 2 della legge 9 gennaio 1989, n. 13, e 119 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, anche servendosi della cosa comune ma pur sempre “nel rispetto dei limiti di cui all'articolo 1102 del codice civile ” e, quindi, laddove siffatti limiti non vengano rispettati – come nel caso in esame - e ci si trovi dinnanzi ad una “innovazione”, deve necessariamente intervenire una delibera assembleare.
Le disposizioni sopra citate trovano conferma nel disposto di cui all’art. 78 d.p.r. n. 380/2001.
5.6 L’esegesi della normativa di riferimento consente di affermare che il Condominio di Via dei Coronari costituiva l’unico soggetto giuridico abilitato a chiedere alla Soprintendenza, ai sensi dell’art. 21 d.lgs. n.42/2004, l’autorizzazione all’installazione dell’ascensore nel cortile condominiale.
In assenza di siffatta deliberazione, l’Autorità tutoria del vincolo culturale cui il fabbricato condominiale risulta assoggettato non avrebbe potuto rilasciare le autorizzazioni oggetto di impugnazione che, per l’effetto, si appalesano illegittime per difetto di legittimazione dei richiedenti.
6. Avverso la sentenza del T per il Lazio n. 2061/2022 hanno proposto appello i signori: S L, L M, e D S per i motivi che saranno più avanti analizzati.
6.1 Gli appellanti:
- contestano l’affermazione del primo giudice secondo cui il Condominio sia l’unico soggetto giuridico legittimato a richiedere alla Soprintendenza l’autorizzazione all’installazione di ascensore finalizzato al superamento di barriere architettoniche in ambito condominiale, negando, quindi, la legittimazione in capo agli stessi appellanti ex art. 1102 cod. civ.;
- ripropongono, ex art. 101, comma 2, domande, eccezioni e motivi articolati nel ricorso di primo grado non vagliati dal primo giudice.
7. Si sono costituiti in giudizio (nella loro qualità di condomini del Condominio in Roma di Via dei Coronari, n. 31) chiedendo il rigetto dell’appello i signori A C, A I, C M, L S, in proprio e nella qualità di esercente la responsabilità genitoriale su P S;P L T R, L Arietti, F D S;Daniela Colafranceschi, Stefania Colafranceschi, Alessandro Colafranceschi, Marco Colafranceschi in proprio e nella qualità di eredi di F V, parte originaria deceduta in data 14 novembre 2021, Benedetta Sbraccia, E A C, nella qualità di esercente la responsabilità genitoriale su P S.
8. All’udienza del 5 ottobre 2023 l’appello è stato trattenuto per la decisione.
DIRITTO
1. Con il primo motivo di appello si lamenta: Violazione degli artt. 1102, 1120 cod. civ.;- Violazione dell’art. 2 l. 13/1989;- Violazione dell’art. 10, comma 3, d.l. 76/2020.
Gli appellanti sostengono che:
- il primo giudice è incorso in error in iudicando per avere ritenuto che il Condominio sia l’unico soggetto legittimato a richiedere l’autorizzazione prescritta dall’art. 21 d.lgs. n. 42/2004 per l’installazione di un ascensore finalizzato al superamento di barriere architettoniche nell’ambito di cortile condominiale in immobile vincolato, con conseguente annullamento del provvedimento di autorizzazione conseguito dagli odierni appellanti (ultrasessantacinquenni oltre che affetti da varie patologie), per asserito difetto di legittimazione degli stessi ad operare uti singuli ai sensi dell’art. 1102 cod. civ.;
- il ragionamento giuridico posto dal T per il Lazio a fondamento di tale pronuncia è inficiato dall’erronea premessa in diritto secondo cui: “l’installazione di un ascensore all’interno di un cortile condominiale è qualificabile … in termini di “innovazione”, in quanto, in violazione di quanto previsto dall’art. 1102 c.c., determina una modifica strutturale del cortile medesimo rispetto alla sua primitiva configurazione, risultandone nel contempo alterata la sua naturale funzione e destinazione comune, che è quella di dare luce ed aria alle unità immobiliari che compongono l’edificio”;
- l’erroneità della premessa ha determinato la conseguente erroneità delle conclusioni dalla medesima tratte, ossia: i) in primo luogo, che “…, la decisione di assoggettare il cortile condominiale a siffatta “innovazione” avrebbe dovuto essere assunta, necessariamente, dal Condominio, sia pure con le maggioranze di cui all’art. 2, comma 1, l. n. 13/89 …”;ii) in secondo luogo, che “… In assenza di siffatta delibera condominiale, giusta il disposto di cui al secondo comma del citato art. 2 L. n. 13/89, i condomini interessati all’adozione di strumenti di superamento delle cd. barriere architettoniche sono, dunque, legittimati esclusivamente ad « installare, a proprie spese, servoscala nonché strutture mobili e facilmente rimovibili » o « modificare l'ampiezza delle porte d'accesso, al fine di rendere più agevole l'accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garages »”;
- dall’esame dei passaggi motivazionali in questione emerge, quindi, che ad avviso del T: a) la realizzazione di un ascensore nell’ambito di un cortile condominiale costituirebbe opera da qualificare, in ogni caso, quale innovazione eccedente i poteri dell’art. 1102 cod. civ., postulante necessariamente l’autorizzazione dell’assemblea condominiale con le maggioranze prescritte dall’art. 1120, II comma, cod. civ.;b) laddove tale autorizzazione non fosse rilasciata i condomini impossibilitati ad accedere alle proprie abitazioni in ragione dell’età avanzata o di altre patologie potrebbero unicamente installare servoscale od altre strutture mobili precarie.
1.1 Gli appellanti affermano, quindi, che:
- con riferimento al primo punto, la sentenza impugnata si pone in palese contrasto con l'opposto principio, sancito espressamente dalla normativa vigente e pacifico nel diritto vivente, secondo cui l'installazione di ascensore, quale opera necessaria per eliminare le barriere architettoniche, è di fondamentale importanza per la vivibilità dell’appartamento con la conseguenza che, nel rigoroso rispetto del principio di solidarietà, il singolo condomino, in special modo se anziano o con disabilità, può sempre realizzarlo nell’esercizio delle facoltà e con l’osservanza dei soli limiti fissati dall’art. 1102 c.c.;
- da un punto di vista normativo, l'art. 10, comma 3, del d.l. 76/2020 convertito dalla l. 120/2020, c.d. "decreto semplificazioni", ha infatti esplicitato che: « Ciascun partecipante alla comunione o al condominio può realizzare a proprie spese ogni opera di cui agli articoli 2 della legge 9 gennaio 1989, n. 13, e 119 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, anche servendosi della cosa comune nel rispetto dei limiti di cui all'articolo 1102 del codice civile »;
- in materia di abbattimento delle barriere architettoniche, la nuova normativa prevede il rispetto di due soli limiti, la cui osservanza è accertata dal giudice ordinario: la tutela della stabilità e sicurezza del fabbricato, oltre che la tutela del pari diritto che ciascun condomino esercita sulle cose comuni ex art. 1102 c.c.;
- a conferma di tale ricostruzione, è utile richiamare la sentenza del Consiglio di Stato n. 1682/2020;
- quindi, contrariamente a quanto ritenuto dal T, la norma di cui all’art. 1120 c.c., nel prescrivere che le innovazioni della cosa comune siano approvate dai condomini con determinate maggioranze, tende a disciplinare l’approvazione di quelle innovazioni che comportino oneri di spesa per tutti i condomini;ma, ove non debba procedersi a tale ripartizione per essere stata la spesa relativa alle innovazioni di cui si tratta assunta interamente a proprio carico da un condomino, trova applicazione la norma generale di cui all’art. 1102 c.c., ed in forza della quale ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, a condizione che non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri condomini di farne uguale uso secondo il loro diritto, e, pertanto, può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa comune;
- la disciplina prevista dall'art. 1120 c.c. (a sua volta richiamata anche dall'art. 2 della l. n. 13 del 1989) lungi dal costituire un insuperabile ostacolo alla realizzazione del diritto del singolo condominio all’accessibilità della propria abitazione quando, come nel caso di specie il Condominio non si esprima o si opponga alla realizzazione dell’impianto, prevede invece un agevolato meccanismo di imputazione dell’opera e di attribuzione delle relative spese all’intera comunità condominiale che, in difetto, farebbero carico al singolo condomino, laddove proceda uti singulo ai sensi dell’art. 1102 cod. civ., così, da un lato, introducendo quorum deliberativi ridotti e, dall’altro, eliminando limitazioni ordinariamente operanti quali la tutela del decoro architettonico;
- tale interpretazione, oltre ad essere armonica rispetto al plesso normativo prima richiamato, è anche l’unica costituzionalmente compatibile con i valori personalistici primari alla stessa sottesi, e coerente con la funzione sociale della proprietà.
1.1.1 Con riferimento alla valenza pubblicistica degli interessi tutelati e alla solidarietà condominiale gli appellanti affermano che:
- la giurisprudenza, sia civile che amministrativa, pacificamente riconosce la valenza pubblicistica dell’obbligo di rimuovere la condizione di minorità, che nasce non solo dalla condizione fisica della persona con disabilità, ma anche dalla esistenza delle barriere che ne impediscono la piena partecipazione alla vita sociale e che pone attenzione specifica alla questione dell’accessibilità degli edifici (obbligo avente anche efficacia pattizia internazionale ai sensi della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità del 13 dicembre 2006, firmata dall’Italia in data 30 marzo 2007 e ratificata con legge italiana 18 del 3 marzo 2009);
- tale finalità pubblicistica è espressione a sua volta, sul versante costituzionale, del principio di solidarietà, che la giurisprudenza afferma in maniera esplicita con riferimento alla normativa in esame, che del resto ne costituisce indiscutibilmente una delle sue destinazioni privilegiate;
- l’enunciazione espressa del principio di “solidarietà condominiale” ha, quindi, una grande importanza perché ha un valore, operativo ed interpretativo, che va ben oltre le mere indicazioni di principio;
- il principio di solidarietà condominiale implica il contemperamento, al fine dell’ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rapporti condominiali, di vari interessi, tra i quali si deve includere anche quello delle persone con disabilità all’eliminazione delle barriere architettoniche;
- le condizioni di disagio fisico in cui versa il condomino, che lo rendono non autosufficiente e costretto a muoversi con l’ausilio di mezzi di supporto, impongono di coniugare il concetto di normale tollerabilità con il principio di solidarietà (art. 2 Cost.) e di funzione sociale della proprietà (art. 42 Cost.), con conseguente adeguato bilanciamento tra il maggior sacrificio riferibile al soggetto con disabilità, che è impedito nell’utilizzazione delle scale condominiali e il rispetto alla limitazione di godimento delle parti comuni derivante ai singoli condomini dall’installazione dell’ascensore;
- nell’identificazione del limite alle modifiche della cosa comune, previsto dall’art. 1120, comma 4, c.c., il concetto della sua inservibilità non può consistere nel semplice disagio subito rispetto alla sua normale utilizzazione (che è coessenziale al concetto di innovazione), ma è costituito dalla concreta inutilizzabilità della cosa comune secondo la sua naturale fruibilità, circostanza nel caso di specie in concreto da escludere;
- è manifesto l’errore di giudizio in cui è incorso il primo giudice, anche in considerazione del fatto che la normativa in materia di abbattimento delle barriere architettoniche (artt. 77 e ss. del d.p.r. n. 380/2001, nei quali è confluita la legge n. 13/1989) costituisce espressione di un principio di solidarietà sociale e persegue finalità di carattere pubblicistico, volte a favorire, nell'interesse generale, l'accessibilità agli edifici;
- proprio per la valenza pubblicistica degli interessi tutelati dalla normativa in questione, il Consiglio di Stato ha già avuto modo di statuire che per le disposizioni contenute nella testé citata l. n. 13 del 1989 si impone “un’interpretazione estensiva”;
- il margine di tale interpretazione estensiva, a tutela dei valori sottesi alla disciplina in questione, era già stato chiarito dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 543/2013;
- sotto il diverso profilo, invece, della natura delle problematiche che consentono ai singoli condomini, nell’esercizio delle facoltà di cui all’art. 1102 cod. civ., l’accesso alla disciplina di favore prevista dalla l. 13/1989, il Consiglio di Stato, poi, ha costantemente ribadito che "… i soggetti destinati a beneficiare dell'abbattimento o della riduzione delle barriere architettoniche, non sono solo i mutilati ed invalidi civili, ma tutti coloro che, per qualsiasi causa, hanno una capacità motoria ridotta o impedita in forma permanente o temporanea" (cfr. la sentenza del Consiglio di Stato n. 1682/2020;e anche la sentenza n. 355/2020);
- il primo giudice ha erroneamente interpretato i vincoli previsti dalla l. 13/89, riguardo alla previsione di deliberazioni assembleari approvate con la maggioranza agevolata, contrastante con l’evoluzione normativa e giurisprudenziale sopra indicata, oltre che in conflitto con i principi e la disciplina che, in materia di condominio, ne costituiscono attuazione e coordinamento (ed in primis con la disciplina di cui all’art. 1102 cod. civ.);
- l’omessa considerazione di tali principi e la conseguente violazione della normativa in materia ha determinato, quindi, la negazione per gli odierni appellanti del fondamentale diritto allo “sbarrieramento” dell’abitazione, sebbene sia stato documentalmente comprovato che inutilmente gli stessi avevano richiesto al condominio l’autorizzazione ad installare l’ascensore, pur nella ricorrenza delle documentate difficoltà determinate da patologia fisica oltre che dall’età.
1.1.2 Con riferimento alle caratteristiche concrete della tipologia di impianto risultanti dal progetto gli appellanti affermano che:
- il primo Giudice si è limitato alla risoluzione in diritto di una questione ritenuta pregiudiziale (possibilità di installare un ascensore nell’esercizio delle facoltà ex art. 1102 cod. civ.), conseguentemente prescindendo da ogni verifica, seppure esteriore e riservato funditus ogni accertamento al giudice ordinario, relativamente alla concreta portata del progetto di impianto ascensore rispetto al cortile condominiale, sebbene comprovata dal progetto di impianto, dalla relazione allegata allo stesso, oltre che dalla documentazione fotografica in atti;
- la legittimazione degli istanti è stata negata sulla base di una (erronea) valutazione astratta, condotta in diritto, in assenza di ogni verifica avente ad oggetto la documentazione sopra menzionata, sebbene attestante prima facie la piena compatibilità del progetto (oltre che con le “Linee guida per il superamento delle barriere architettoniche nei luoghi di interesse culturale” ex d.m. 28.03.2008 del Ministero della Cultura), altresì con il rispetto degli interessi tutelati dall’art. 1102 cod. civ. (nei limiti spettanti alla Pubblica Amministrazione in sede di verifica di legittimazione);
- è in concreto documentato che il progetto di impianto ascensore sottoposto al vaglio della Soprintendenza, ed oggetto di causa, integra un’opera non eccedente i poteri e facoltà spettanti ad ogni condomino ex art. 1102 c.c., sia in ragione dell’ingombro del tutto minimale dell’impianto rispetto alla superficie complessiva del cortile (che pertanto non ne risulta snaturata), sia in quanto non interclude alcuna veduta, sebbene legittimatamene posto a distanza inferiore rispetto a quanto previsto dall’art. 907 cod. civ. che, difatti, in ambito condominiale non trova applicazione;
- nel caso di specie, come provato dal progetto in atti, l’impianto ascensore, da realizzare con gabbia trasparente in vetro e con struttura autoportante in metallo, in conformità alle prescrizioni previste dalle sopra menzionate “Linee guida”, seppure per le caratteristiche del cortile non possa essere realizzato a distanza inferiore dalle vedute rispetto a quanto previsto dall’art. 907 cod. civ., in ogni caso né le interclude né si sovrappone alle stesse, come pure esposto e documentato;
- la giurisprudenza amministrativa ha affermato la natura di volume tecnico dell’impianto in questione;di conseguenza, anche sotto tale profilo ha escluso la violazione delle norme in tema di vedute e di distanze tra costruzioni;
- con l'intervento progettato, la destinazione tanto del cortile comune quanto della terrazza posta al piano sesto non venivano né alterate né mutate, in quanto soltanto una minima parte del cortile sarebbe stata utilizzata per l'appoggio della piattaforma;
- la conformazione del fabbricato, come accertato dalla stessa Soprintendenza oltre che ammesso dai condomini opponenti, rende strutturalmente impossibile porre in opera un ascensore a servizio di tutte le unità abitative presenti, sicché quella proposta risulta essere l'unica soluzione realizzabile e idonea per permettere ai proprietari degli appartamenti siti nella scala “B” oltre che ai proprietari degli appartamenti siti ai piani alti della scala “A” di installare un ascensore evitando le scale interne, le quali peraltro risultano presentare caratteristiche tali da non consentire l’installazione di impianti quali servoscale etc.;
- anche per l’ascensore esterno la giurisprudenza ha chiarito che posizionare tale manufatto all’esterno di un edificio può costituire, come nel caso di specie, una scelta tecnica obbligata specie nei centri storici, dove gli immobili più antichi di solito non consentono di realizzare l’impianto all’interno del caseggiato.
1.2 Gli appellanti affermano inoltre che:
- ulteriore profilo di censura riguarda l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui, ai sensi dell’art. 2, secondo comma, l. 13/89 i condomini interessati al superamento delle barriere architettoniche, in difetto di autorizzazione assembleare, potrebbero unicamente procedere all’installazione di servoscale ed altri presidi precari;
- tale affermazione, costituendo il punto di caduta concreto della sentenza, ossia la prospettazione di quali rimedi ad avviso del primo giudice siano percorribili in astratto dai ricorrenti per superare le gravi problematiche denunciate, ne conferma la sostanziale ingiustizia, non essendo nella realtà dei fatti, non esaminata dal primo giudice, neanche ipotizzabile che la dott.ssa L, ad esempio, possa arrivare alla propria abitazione al quinto piano, oltre che al terrazzo al sesto piano (a 24 metri di altezza rispetto al piano terra), avvalendosi di un montascale o di altro impianto di simile fatta, come in concreto documentato in primo grado, ciò sia per le stesse caratteristiche dei vani scala del fabbricato, sia per le criticità che, in ogni caso, rendono tali impianti del tutto inidonei a sostituire un ascensore;
- già nell’ambito del primo grado di giudizio erano state allegate e documentate le ragioni che, in concreto, avrebbero reso impossibile apprestare i presidi precari indicati in sentenza, oltre che l’evidente inidoneità di tali impianti a porre effettivo rimedio alle problematiche lamentate;considerazioni queste ultime che, sebbene esposte e documentate in prime cure, non sono state prese in considerazione dal T;
- è stato evidenziato che i proprietari degli appartamenti della Scala “B” (tra i quali l’ing. M e la moglie prof.ssa S) attualmente possono accedere alle proprie abitazioni esclusivamente mediante il suddetto corpo scala, di piani 5, con larghezza di rampa di appena 80 cm, tale da non consentire neanche l'ubicazione di un montascale per le persone anziane più disagiate;
- la scala “A”, dal canto suo, ha un valore artistico e monumentale che non consente l’installazione, al suo interno, di alcun impianto poiché comporterebbe impatti significativi e, in ogni caso, non risolutivi;
- a conferma di ciò l’assemblea di condominio, con delibera in data 14/10/2021 ha negato al condomino Enrico De Maio l’autorizzazione all’installazione di montascale allegando il valore storico della stessa;
- in ogni caso, è stata evidenziata la manifesta inidoneità di un montascale, sotto ogni profilo, ad eliminare le problematiche connesse alla presenza di una barriera architettonica (a titolo meramente esemplificativo, una volta utilizzato, per evidenti ragioni di sicurezza, non può essere richiamato al diverso piano di utilizzo;non può essere utilizzato per il trasporto di ingombri, etc.);
- le stesse “Linee guida per il superamento delle barriere architettoniche nei luoghi di interesse culturale” ex d.m. 28.03.2008 del Ministero Beni Culturali prevedono, con riguardo all’ipotesi di installare un montascale, quale soluzione alternativa alla realizzazione di un impianto ascensore che: “... non si possono disconoscere i numerosi e gravi inconvenienti legati a questo tipo di impianto, come il forte disagio psicologico indotto nei confronti dell’utente, la difficoltà di gestione dell’apparecchio (spesso inutilizzato per lunghi periodi), il suo carattere di soluzione “posticcia”, la riduzione della larghezza utile della scala preesistente (condizione di parziale rischio per gli utenti che la percorrono, particolarmente accentuata in condizioni di emergenza) e soprattutto il suo forte impatto percettivo, che finisce quasi sempre per alterare gli spazi che l’impianto viene ad occupare. Si sconsiglia quindi vivamente l’applicazione di servoscala, da considerare come ipotesi estrema, da impiegare esclusivamente nei casi in cui non sia praticabile alcuna altra soluzione. Incompatibili con le istanze della tutela appaiono poi i cosiddetti montascale, costituiti da meccanismi d’ausilio da applicare al di sotto della sedia a ruote, dotati di elementi cingolati o ruote in grado di percorrere i gradini, cui potrebbero facilmente arrecare evidenti danni. Le stesse apparecchiature, del resto, presentano forti limiti per l’impossibilità di un impiego autonomo da parte delle persone con disabilità e per i notevoli problemi di sicurezza connessi col loro.” (cfr. pag. 32, Linee Guida);
1.3 Gli appellanti concludono il motivo sostenendo che:
- si sottopongono al Collegio le conclusioni fondate sull’affermazione dell’opposto principio, in sede rescissoria, secondo cui l’installazione di un ascensore deve considerarsi indispensabile ai fini dell’accessibilità dell’edificio e della reale abitabilità dell’appartamento e rientra, pertanto, nei poteri dei singoli condomini, ai sensi dell’art. 1102 c.c., con conseguente facoltà di fare installare a propria cura e spese un ascensore, nel rispetto dei limiti dettati da detta norma;
- in forza di tale accertamento e della sua portata espansiva sui capi e punti della decisione che ne dipendono, si chiede che, in riforma della sentenza di prime cure, sia dichiarato l’accertamento della legittimazione degli appellanti, uti singuli , alla conseguente formalizzazione delle istanze strumentali all’installazione dell’impianto in questione e, per quanto rileva nel caso di specie, la piena legittimazione alla proposizione di istanza ex art. 21, d.lgs. 42/2004;
- ad esito di quanto sopra, ed in conseguente annullamento e/o riforma della statuizione di improcedibilità del ricorso di primo grado proposto dagli appellanti, questi ultimi ripropongono le domande ed eccezioni ivi articolate, trascritte al capo C) dell’atto di appello.
2. Il motivo è infondato.
2.1 Una definizione di barriere architettoniche è contenuta nell’articolo 2 del d.m. 14/06/1989, n. 236 (« Prescrizioni tecniche necessarie a garantire l'accessibilità, l'adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata e agevolata, ai fini del superamento e dell'eliminazione delle barriere architettoniche »;ma vedi anche art. 1, comma 2, del d.p.r. 24 luglio 1996, n. 503). Per barriere architettoniche si intendono: a) gli ostacoli fisici che sono fonte di disagio per la mobilità di chiunque ed in particolare di coloro che, per qualsiasi causa, hanno una capacità motoria ridotta o impedita in forma permanente o temporanea;b) gli ostacoli che limitano o impediscono a chiunque la comoda e sicura utilizzazione di parti, attrezzature o componenti;c) la mancanza di accorgimenti e segnalazioni che permettono l'orientamento e la riconoscibilità dei luoghi e delle fonti di pericolo per chiunque e in particolare per i non vedenti, per gli ipovedenti e per i sordi.
L’eliminazione delle barriere architettoniche è uno degli obiettivi che si propone la normativa emanata nel tempo per tutelare le persone con disabilità. Tra le più significative conviene citare: la l. 9 gennaio 1989, n. 13 (« Disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati »), la l. 5 febbraio 1992, n. 104 (« Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate »), il d.lgs. 9 luglio 2003, n. 216 (« Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro »), la l. 1° marzo 2006, n. 67 (« Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni », nonché la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità – adottata dall'Assemblea Generale dell'ONU il 13 dicembre 2006 e ratificata, dall'Italia, con la l. 3 marzo 2009, n. 18.
Questa legislazione ha segnato un mutamento di prospettiva rispetto al modo stesso di affrontare i problemi delle persone con disabilità, considerati, ora, quali problemi non solo individuali, ma tali da dover essere assunti dall'intera collettività.
Peraltro questa Sezione ha chiarito che gli interventi volti ad eliminare le barriere architettoniche ovvero quelli volti a migliorare le condizioni di vita delle persone svantaggiate, dovendosi intendere come tali non solo quelle portatrici di disabilità, ma anche le persone che soffrono di disagi fisici e difficoltà motorie, possono essere effettuati anche su edifici sottoposti a vincolo come beni culturali (Cons. Stato, sez. VI, 18/10/2017, n. 4824).
La normativa specifica sull’eliminazione delle barriere architettoniche è contenuta nella l. n. 13/1989 (seguita dal d.m. n. 236/1989 e dalla Circolare esplicativa del Ministero dei Lavori Pubblici).
In precedenza erano state emanate: la l. 30 marzo 1971, n. 118 (« Conversione in legge del D.L. 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili »), il d.p.r. 27 aprile 1978, n. 384, la Circolare del Ministero dei Lavori pubblici del 20 gennaio 1967, n. 425 ("Standards residenziali") e quella del 19 giugno 1968, n. 4809, avente ad oggetto norme per assicurare l'utilizzazione degli edifici sociali da parte dei minorati fisici e per migliorarne la godibilità generale.
La cornice normativa di riferimento vedeva, dunque, da una parte, l'art. 27, l. n. 118/1971 e il relativo regolamento di attuazione di cui al d.p.r. n. 384/1978, applicabili agli edifici pubblici o aperti al pubblico, alle strutture scolastiche, prescolastiche o di interesse sociale di nuova costruzione, e, dall'altra, la l. n. 13/1989 e il d.m. di attuazione n. 236/1989, applicabili agli edifici privati, residenziali e non, di nuova costruzione o preesistenti sottoposti a ristrutturazione, compresi quelli di edilizia residenziale pubblica, sovvenzionata e agevolata, di nuova costruzione.
Con l’obiettivo di coordinare le diverse disposizioni sparse nell’ordinamento, l’art. 24 della legge 104/1992 ha previsto, tra le altre cose, che tutte le opere edilizie riguardanti edifici pubblici e privati aperti al pubblico, suscettibili di limitare l'accessibilità e la visibilità, dovevano essere eseguite in conformità alle disposizioni di cui alla l. n. 118/1971 e l. n. 13/1989 e successive modificazioni, al d.p.r. n. 384/1978, e al d.m. n. 236/1989.
Il d.p.r. 503/1996 ha abrogato (all’art. 32) il d.p.r. 384/1978. Unico punto di riferimento è rimasto il d.m. 236/1989.
Il legislatore ha quindi emanato il d.p.r. 380/2001 (« Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia ») che, al Capo III, contiene le disposizioni volte a favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati (Sezione I, artt. 77-81), pubblici e privati aperti al pubblico (Sezione II, art. 82). Con queste norme il legislatore si è limitato a riorganizzare la normativa preesistente, coordinandola all'interno del Testo Unico in materia edilizia.
Da ultimo, con espresso riguardo alle barriere architettoniche, il comma 3, dell'art. 10, d.l. 16 luglio 2020, n. 76 (c.d. decreto semplificazioni) - rubricato « Misure urgenti per la semplificazione e l'innovazione digitale » e convertito dalla l. 11 settembre 2020, n. 120 - ha introdotto alcune modifiche all'art. 2, l. n. 13/1989.
2.2 La premessa sulla evoluzione normativa consente di inquadrare la disciplina applicabile al caso di specie che riguarda l’interesse di alcuni condomini, afflitti da patologie che ne compromettono la deambulazione, di realizzare, anche contro la volontà di altri condomini, un ascensore nel cortile interno di un condominio realizzato nel 1770 e soggetto a vincolo culturale diretto ex l. n. 1089/39 e d.m. del 10.07.1957.
Lo snodo problematico si sostanzia nel decidere se detto ascensore possa essere realizzato su iniziativa del singolo condomino (come sostengono gli appellanti) così che lo stesso sia in prima persona legittimato a rivolgersi alla Soprintendenza per ottenere l’autorizzazione di cui all’art. 21 d.lgs. n. 42/2004, ovvero se la realizzazione del ridetto ascensore deve essere decisa dall’assemblea condominiale come statuito dal primo giudice.
2.3 L’articolo 78 del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380 (« Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia ») sotto la rubrica « Deliberazioni sull'eliminazione delle barriere architettoniche (legge 9 gennaio 1989, n. 13, art. 2) » recita testualmente:
« 1. Le deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni da attuare negli edifici privati dirette ad eliminare le barriere architettoniche di cui all'articolo 27, primo comma, della legge 30 marzo 1971, n. 118, ed all'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1996, n. 503, nonché la realizzazione di percorsi attrezzati e la installazione di dispositivi di segnalazione atti a favorire la mobilità dei ciechi all'interno degli edifici privati, sono approvate dall'assemblea del condominio, in prima o in seconda convocazione, con le maggioranze previste dall'articolo 1136, secondo e terzo comma, del codice civile.
2. Nel caso in cui il condominio rifiuti di assumere, o non assuma entro tre mesi dalla richiesta fatta per iscritto, le deliberazioni di cui al comma 1, i portatori di handicap, ovvero chi ne esercita la tutela o la potestà di cui al titolo IX del libro primo del codice civile, possono installare, a proprie spese, servoscala nonché strutture mobili e facilmente rimovibili e possono anche modificare l'ampiezza delle porte d'accesso, al fine di rendere più agevole l'accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe delle autorimesse.
3. Resta fermo quanto disposto dagli articoli 1120, secondo comma, e 1121, terzo comma, del codice civile ».
L’articolo 2 della legge 9 gennaio 1989 n. 13 (« Disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati ») nel testo risultante dal citato “decreto semplificazioni” (d.l. 16 luglio 2020, n. 76) così recita:
« 2.1. Le deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni da attuare negli edifici privati dirette ad eliminare le barriere architettoniche di cui all'articolo 27, primo comma, della legge 30 marzo 1971, n. 118, ed all'articolo 1, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1978, n. 384, nonché la realizzazione di percorsi attrezzati e la installazione di dispositivi di segnalazione atti a favorire la mobilità dei ciechi all'interno degli edifici privati, sono approvate dall'assemblea del condominio, in prima o in seconda convocazione, con le maggioranze previste dal secondo comma dell'articolo 1120 del codice civile. Le innovazioni di cui al presente comma non sono considerate in alcun caso di carattere voluttuario ai sensi dell'articolo 1121, primo comma, del codice civile. Per la loro realizzazione resta fermo unicamente il divieto di innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, di cui al quarto comma dell'articolo 1120 del codice civile.
2. Nel caso in cui il condominio rifiuti di assumere, o non assuma entro tre mesi dalla richiesta fatta per iscritto, le deliberazioni di cui al comma 1, i portatori di handicap, ovvero chi ne esercita la tutela o la potestà di cui al titolo IX del libro primo del codice civile, possono installare, a proprie spese, servoscala nonché strutture mobili e facilmente rimovibili e possono anche modificare l'ampiezza delle porte d'accesso, al fine di rendere più agevole l'accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garages.
3. Resta fermo quanto disposto dagli articoli 1120, secondo comma, e 1121, terzo comma, del codice civile ».
2.4 Sul piano sistematico, l’interprete non può non cogliere il progressivo ampliamento delle tutele riconosciute alle persone con disabilità.
Per altro verso, non può non prendere atto dell’esistenza di nome di contenuto specifico che non riconoscono (o non riconoscono ancora) sic et simpliciter il diritto della persona con disabilità (o altri soggetti fragili) di installare, ancorché a proprie spese, un ascensore Al momento, per una decisione di questo tipo, è ancora necessaria la delibera condominiale. Il singolo può installare su sua esclusiva iniziativa (ovvero: senza passare dal condominio o, per meglio dire, dopo averne inutilmente sollecitato l’intervento) opere di minore impatto come un servoscale.
L’interprete è chiamato a prendere atto del punto di equilibrio tra i diversi interessi contrapposti (quelli domenicali, quelli sottesi alla tutela dei beni storici, quelli delle persone con disabilità) così come esso risulta dalla legislazione attualmente vigente.
Tale punto di equilibrio è stato correttamente individuato dal primo giudice con il ragionamento che può essere così sintetizzato:
- l’installazione di un ascensore all’interno di un cortile condominiale è qualificabile in termini di “innovazione” (art. 1120 c.c.) in quanto, in violazione di quanto previsto dall’art. 1102 c.c., determina una modifica strutturale del cortile medesimo rispetto alla sua primitiva configurazione, risultandone nel contempo alterata la sua naturale funzione e destinazione comune, che è quella di dare luce ed aria alle unità immobiliari che compongono l’edificio;
- la decisione di assoggettare il cortile condominiale a siffatta “innovazione” avrebbe dovuto essere assunta, necessariamente, dal Condominio, sia pure con le maggioranze di cui all’art. 2 comma 1 l. n. 13/89;
- in assenza di siffatta delibera condominiale, giusta il disposto di cui al secondo comma del citato art. 2 l. n. 13/89, i condomini interessati all’adozione di strumenti di superamento delle cd. barriere architettoniche sono, dunque, legittimati esclusivamente ad « installare, a proprie spese, servoscala nonché strutture mobili e facilmente rimovibili » o « modificare l'ampiezza delle porte d'accesso, al fine di rendere più agevole l'accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garages ».
2.5 Alla luce di quanto esposto perdono consistenza gli ulteriori argomenti evidenziati da parte appellante.
2.5.1 Viene richiamato l'art. 10, comma 3 del d.l. 76/2020 convertito dalla l. 120/2020, c.d. "decreto semplificazioni", che riconosce a ciascun partecipante alla comunione o al condominio la possibilità di realizzare a proprie spese ogni opera di cui agli articoli 2 della legge 9 gennaio 1989, n. 13, e 119 del d.l. 19 maggio 2020, n. 34. Ma detta norma: a) per un verso subordina esplicitamente tale possibilità al rispetto dei limiti di cui all'articolo 1102 del codice civile nel caso ci si serva della cosa comune, (peraltro l’articolo 1102 del codice civile è richiamato anche dalla sentenza del Consiglio di Stato 1682/2020 pure invocata dagli appellanti);e b) per altro verso deve essere coordinata con l’art. 2 della legge 13/1989 e con l’articolo 78 del d.p.r. 380/2001 che espressamente richiedono la delibera condominiale per procedere all’installazione di un ascensore lasciando al singolo condomino la possibilità di installare di propria iniziativa e a proprie spese unicamente opere meno impattanti di un ascensore come un servoscale.
2.5.2 Gli appellanti fanno leva sulla valenza pubblicistica degli interessi tutelati e sulla solidarietà condominiale per invocare un’interpretazione estensiva delle disposizioni richiamate (in particolare: l. 13/1989).
Il Collegio ha ricostruito l’evoluzione normativa in materia e non ha mancato di sottolineare il progressivo incremento delle tutele riconosciuto alle persone con disabilità.
Cionondimeno non è possibile ignorare il dato normativo che impone di trovare un punto di equilibrio tra i diversi interessi coinvolti. L’articolo 2 della l. 13/1989 riconosce al singolo alcune prerogative (realizzare opere meno impattanti, come un servoscale) e non altre: per le opere più impattanti, come la realizzazione di un ascensore, restano intatti i poteri riconosciuti all’assemblea condominiale. L’interprete deve prendere atto di questo stato di cose nella consapevolezza che il legislatore non ha modificato l’art. 2 della l. 13/1989, come pure avrebbe potuto fare ad esempio quando ha adottato il cosiddetto decreto semplificazioni prima richiamato.
2.5.3 Gli appellanti rimproverano al primo giudice di essersi limitato ad applicare la normativa vigente senza vagliare concretamente il valore impattante del progetto effettivamente presentato. La doglianza non merita di essere assecondata. Il primo giudice ha vagliato una specifica eccezione proposta dai controinteressati: una volta individuato il diritto applicabile non poteva che farne applicazione senza che potesse aprirsi spazio ad altro tipo di valutazione.
2.5.4 Del pari non era compito del primo giudice indagare se la realizzazione di un servoscale sarebbe stato sufficiente o meno al soddisfacimento delle esigenze degli appellanti: anche qui si sarebbero aperti spazi ad esperimenti valutativi viceversa esclusi.
2.5.5 Il Collegio non ignora che la Corte di Cassazione, in alcune pronunce, ha affermato la tutelabilità dell’interesse del singolo ad installare l’ascensore in parti comuni dell’edificio anche in presenza del dissenso di altri condomini (cfr. Cass. Civile, sez. II, 14/06/2022, n.19087);ovvero la tutelabilità dell’interesse del singolo ad installare l’ascensore al fine di rimuovere barriere architettoniche anche in violazione delle norme sulle distanze (Cass. Civile, sez. II, 26/11/2019, n. 30838), o, ancora, che la l. 9 gennaio 1989 n. 13, in materia di eliminazione di barriere architettoniche, costituisce espressione di un principio di solidarietà sociale (principio affermato proprio in relazione alla realizzazione di un ascensore: Cass civile, sez. II, 28/03/2017, n.7938).
Tali sentenze, però, non possono essere invocate nel caso di specie: si tratta, infatti, di pronunce intervenute per disciplinare il conflitto privatistico tra condomini ovvero di pronunce che al termine di un giudizio di cognizione piena hanno definito con efficacia di giudicato determinati assetti proprietari. Questo Collegio, invece, come più volte ricordato, ha affrontato il diverso problema della legittimazione a chiedere l’Autorizzazione della Soprintendenza alla realizzazione dell’ascensore in un immobile vincolato e la sussistenza di tale legittimazione non può che essere valutata alla luce della normativa prima scandagliata nella motivazione (ovvero: l. 9 gennaio 1989, n. 13;d.p.r. 380/2001, artt. 77-82;d.lgs. n. 42/2004, art. 21).
Tale normativa, come si è visto, definisce il tipo di legittimazione domenicale richiesta (la delibera condominiale, come si è detto). Una diversa tipologia di legittimazione è astrattamente possibile ma solo coltivando una specifica azione in ambito civile che faccia stato sui diversi interessi coinvolti. Tutto ciò nel caso di specie non è avvenuto (ma non è detto che non possa avvenire in futuro).
Mette conto notare, peraltro, che nelle pronunce nelle quali la Corte di Cassazione ha riconosciuto il diritto del singolo condomino ad installare l’ascensore, la Suprema Corte ha in ogni caso compiuto un’indagine approfondita volta ad appurare il tipo di disagio arrecato all’uso della cosa comune (indagine difficilmente compatibile con un accertamento di tipo incidentale, il solo consentito a questo giudice, su tale questione pregiudiziale relativa a diritti, ai sensi dell’art. 8 c.p.a.) ed ha comunque fatto salvo il contenuto dell’art. 1102 del codice civile (vedi anche Cass. Civile, sez. II, 05/12/2018, n. 31462 e Cass. civile sez. II, 28/03/2017, n.7938).
3. Per le ragioni esposte si deve concludere che gli appellanti non erano legittimati a rivolgersi uti singuli alla Soprintendenza per ottenere l’autorizzazione ad installare un ascensore nel cortile condominiale. Detta legittimazione spettava al Condominio.
L’appello deve essere, pertanto, rigettato.
3.1 Restano assorbite le domande ed eccezioni articolate in primo grado e trascritte nell’atto di appello.
3.2 I controinteressati (C e altri) hanno riproposto: a) i motivi di impugnazione del giudizio di primo grado n. R.G. 9622/2020;e b) le eccezioni e difese svolte nel giudizio di primo grado n. R.G. 9236/2020. Tali motivi ed eccezioni devono considerarsi assorbiti, ovvero improcedibili, perché la pronuncia di annullamento dei provvedimenti della Soprintendenza, confermata dalla presente sentenza, è già satisfattiva dei loro interessi.
3.3 Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi od eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
3.4 Sussistono giusti motivi per compensare le spese di giudizio.