Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2016-02-29, n. 201600839
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N. 00839/2016REG.PROV.COLL.
N. 06340/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n. 6340/2011 RG, proposto da L M, rappresentato e difeso dagli avvocati M P L, C M e F V, con domicilio eletto in Roma, via Varrone n. 9,
contro
il Comune di Milano, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avvocati A M, R I e M R S, con domicilio eletto in Roma, lungotev. Marzio n. 3 e
nei confronti di
C A M ed A G A, in proprio e n.q. di eredi ed aventi causa del
de cuius
Salvatore A, rappresentati e difesi dall'avv. Ercole Romano, con domicilio eletto in Roma, via Maria Cristina n. 2, presso l’avv. Corbyons, c.so Indipendenza n. 6,
per la riforma
della sentenza del TAR Lombardia – Milano, sez. II, n. 1105/2011, resa tra le parti e concernente la diffida in merito ad un intervento con opere edilizie sul fabbricato sito in Milano,
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti intimate;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore all'udienza pubblica dell’8 ottobre 2015 il Cons. S M R e uditi altresì, per le parti, gli avvocati Vannicelli, Izzo e Romano;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. – L’avv. L M assume d’esser proprietario d’un appartamento nel fabbricato sito in Milano, al c.so Indipendenza n. 6, con annesso sottotetto e ricadente in zona B1 di PRG.
L’avv. M, in data 28 febbraio 2005, presentò al Comune di Milano una DIA ai fini del recupero abitativo del sottotetto stesso, munita del n.o. paesaggistico ambientale del precedente 26 gennaio, a suo dire in coerenza strutturale con quanto analogamente realizzato da terzi nel vicino edificio sito in p.za Risorgimento n. 10.
Sennonché il sig. Salvatore A, proprietario d’un appartamento ubicato in quest’ultimo fabbricato, diffidò il Comune ad intervenire in autotutela sulla citata DIA. Il Comune di Milano, con nota SUE n. 748039 dell’11 giugno 2006 ne respinse la diffida, il sig. A l’impugnò innanzi al TAR Milano, con il ricorso n. 2757/2006 RG, deducendo vari profili di censura.
Nelle more di quel giudizio, l’11 gennaio 2007 l’avv. M propose una DIA in variante a quella del 28 febbraio 2005, contro cui il sig. A si gravò avanti al TAR Milano con il ricorso n. 528/2007 RG. Con l’atto per motivi aggiunti del 16 settembre 2008, il sig. A impugnò pure l’autorizzazione paesaggistica del 27 dicembre 2006 ed il parere della CEC del precedente 30 novembre.
Con istanza notificata il 24 settembre 2008, il sig. A presentò al Comune una denuncia-diffida per ottenere l’esercizio dell’autotutela sui titoli inerenti al recupero di tal sottotetto, a suo dire assentito in violazione delle norme edilizie sull’altezza e la volumetria del fabbricato. Con nota SUE del 14 ottobre 2008, il Comune respinse detta istanza, donde il nuovo ricorso (n. 2630/2008 RG) del sig. A al TAR Milano. L’adito TAR, con l’ordinanza n. 96 del 22 gennaio 2009, accolse la domanda cautelare attorea con riguardo alla nota comunale del 14 ottobre 2008, che aveva risposto soltanto a talune delle questioni poste dal sig. A. Nelle more di quel giudizio ed a seguito dell’ordinanza citata, il 25 marzo 2009 il Comune di Milano confermò sì i pregressi titoli edilizi, ma diede pure atto che il precedente giorno 12 l’avv. M aveva prodotto una DIA in variante, con modifiche al progetto originario. Anche siffatta conferma fu impugnata dal sig. A con l’atto per motivi aggiunti depositati l’8 maggio 2009, recante anche una nuova domanda cautelare, stavolta respinta dal TAR con l’ordinanza n. 618 del successivo giorno 21.
Avendo il Comune assentito pure la DIA in variante del 12 marzo 2009, il sig. A la impugnò con l’atto per motivi aggiunti del 27 maggio 2009, in una con la proroga dei termini del titolo assentito con DIA del 2007 e con il parere di conformità paesaggistica. L’adito TAR, con ordinanza n. 703 dell’8 giugno 2009, accolse la domanda cautelare attorea, in quanto il recupero a fini abitativi del sottotetto aveva come limite inderogabile l’altezza massima dell’edificio e necessitava del piano attuativo ai sensi dell’art. 19 delle NTA al PRG. La Sezione poi confermò in appello, con la sua ordinanza n. 3911 del 29 luglio 2009, la misura cautelare così accordata.
2. – Infine, il 5 marzo 2010 l’avv. M presentò una nuova DIA, in base sì dello stesso progetto del 2008, ma con la tamponatura delle finestre, donde la nota comunale del successivo 28 aprile, che ne diede comunicazione.
Avverso tali atti il sig. A si gravò innanzi al TAR Milano, con il ricorso n. 1522/2010 RG, con cui dedusse l’illiceità dell’intervento dell’avv. M sia perché si trattava d’una sopraelevazione e non di recupero del sottotetto, sia per violazione delle norme in materia di altezza e di volumetria. Con l’atto per motivi aggiunti, il sig. A dedusse l’ulteriore censura di travisamento dei fatti, di difetto d’istruttoria e di violazione di legge e chiese al contempo al Comune d’esercitare l’autotutela sul titolo formatosi a seguito della DIA del 5 marzo 2010. Anche stavolta il Comune respinse la diffida attorea, in quanto il nuovo intervento era preordinato e rendere non più abitabile il sottotetto, onde il sig. A propose un secondo atto per motivi aggiunti, depositato il 23 novembre 2010, deducendo ulteriori gruppi di doglianze.
Con sentenza n. 1105 del 29 aprile 2011, l’adito TAR ha riunito tutti i dianzi citati ricorsi, ne ha dichiarato improcedibili i primi tre ed i relativi motivi aggiunti per sopravvenuta carenza d’interesse e ne ha accolto l’ultimo ed i suoi motivi aggiunti, poiché lo stato di progetto esterno è risultato esser identico a quello originario (le tamponature concernendo le finestre sul lato cortile e quelle sul lato E prospiciente al terrazzo), il decorso di cinque anni dal conseguimento dell’agibilità sarà possibile trasformare il sottotetto non abitabile a sottotetto con permanenza di persone e la non agibilità di per sé sola non esclude che il nuovo edificato non sia computato ai fini dell’altezza massima (per la zona B1: m 25).
3. – Appella quindi l’avv. M, con il ricorso in epigrafe, deducendo l’erroneità dell’impugnata sentenza: A) – quanto al dispositivo, giacché, trattandosi dell’impugnazione d’un titolo a seguito di DIA, quest’ultima non poteva esser direttamente annullata, occorrendo piuttosto che la questione fosse rimessa al Comune per i provvedimenti inibitori;B) – perché il sottotetto de quo , pur essendo in sé un volume sotto il profilo fisico, non va comunque computato nell’indice volumetrico né per l’altezza massima in base alle vigenti norme urbanistiche del Comune di Milano, non essendone prevista l’abitabilità (donde l’inutilità del richiamo al recupero abitativo dei sottotetti abitabili) e senza possibilità, come invece fa il TAR, di assimilarlo ai volumi ed ai vani tecnici;C) – poiché è mera eventualità, futura ed incerta, che sia possibile un domani rendere abitabili i locali dello stesso sottotetto, donde l’irrilevanza e l’inattualità del richiamo agli «… indici rivelatori della futura destinazione dell’opera …» a causa della riconducibilità alla «… sua intrinseca natura di locale con destinazione residenziale …», a fronte dello stato di fatto e degli accertamenti colà svolti;D) – in quanto il Comune di Milano non ha mai eluso le precedenti ordinanze di sospensione inter partes , anzi ha dato piena esecuzione proprio a quelle che gli avevano imposto il limite di altezza per la pregressa vicenda del recupero abitativo del sottotetto, mentre non avrebbe potuto ostacolare il diverso e regolare progetto per cui è causa, visto che ovunque si trovano case di abitazione costruite tradizionalmente in modo da realizzare “soffitte” o “solai” sottotetto, ossia vani non abitabili, però agibili ed utilizzabili come deposito e sgombero, com’è accaduto nel caso in esame, anche ai fini catastali.
Resiste in giudizio il Comune di Milano che, dopo aver ribadito l’ordine di demolizione, conclude per il rigetto dell’appello. Si sono costituiti nel presente giudizio pure il sigg. A e consorti, i quali eccepiscono l’integrale infondatezza dell’appello.
Alla pubblica udienza dell’8 ottobre 2015, su conforme richiesta delle parti, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.
L’appello non è fondato e va respinto, per le considerazioni qui di seguito indicate.
4. – Lamenta in primo luogo l’avv. M che il dispositivo d’annullamento diretto della DIA, che il TAR ha in effetti statuito, non sia corretto, occorrendo piuttosto che la questione vada rimessa alla P.A. per l’esercizio dei suoi poteri inibitori.
Da ultimo la Sezione (cfr. Cons. St., IV, 12 novembre 2015 n. 5161) ha precisato che la DIA è un atto soggettivamene e oggettivamente privato, alla cui presentazione può seguire da parte della P.A. un silenzio di tipo significativo che, una volta decorso il relativo termine, le preclude l'esercizio del potere inibitorio.
Sicché, da un lato, l'art. 31 commi 1/3, c.p.a. concede al terzo, che si reputi leso dall'attività svolta sulla scorta di una semplice DIA, uno strumento di tutela compatibile con la natura privatistica di quest’ultima, ossia l'azione di accertamento autonomo, esperibile affinché sia acclarata l’inesistenza dei presupposti che legittimano tal svolgimento. Dall’altro lato, l’accoglimento d’una domanda de qua non consente più alla P.A. l’esercizio di quegli invocati poteri inibitori, dai quali essa è già decaduta per l’inutile decorso del tempo. A ben vedere, non solo l'annullamento giurisdizionale del titolo ad aedificandum a seguito di DIA è possibile, ma soprattutto implica sia l'illiceità delle opere edilizie realizzate in base ad esso, sia l'obbligo della P.A. di dar esecuzione al giudicato, adottando i provvedimenti consequenziali (Cons. St., IV, 7 luglio 2015 n. 3366).
Si può discutere se l’intimato Comune di Milano debba procedere necessariamente alla demolizione del manufatto dell’avv. M ai sensi dell'art. 31 del DPR 6 giugno 2001 n. 380 o se, nella specie, non vi sia una gamma articolata di altre possibili soluzioni. Quel che però importa è che il Comune esegua i decisa del Giudice, in quanto, una volta esperita l’azione ex art. 31 c.p.a. ed accolto il ricorso del terzo, non v’è più spazio all’esercizio dei poteri d’autotutela e non resta altro alla P.A. che l’ottemperanza.
5. – Passando al merito della controversia, l’appellante realizzò, in sostituzione del preesistente tetto a falda nell'edificio di c.so Indipendenza n. 6 in Milano, una vera e propria sopraelevazione di esso. In tal modo fu reso abitabile un sottotetto tecnico, ma al contempo fu superato il limite di altezza di PRG, stabilita per la zona in cui è sito tal edificio, fissata in m 25, ma già raggiunta da questo fin dal 1957. Con l’ultima DIA attorea, l’appellante ha inteso rendere non più abitabile il sottotetto, mercé la chiusura delle finestre verso il cortile (così, allo stato, rendendo non più aeroilluminato il locale), l’eliminazione di opere e tramezzi interni e l’aumento dello spessore del massetto di pavimento, al fine di diminuire l'altezza media interna.
Così facendo, l’appellante, che pare non avvedersi della violazione della citata norma sulle altezze massime già consumata per il sol fatto d’aver reso abitabile il sottotetto de quo , afferma adesso che i predetti accorgimenti escluderebbe l’illecito, trasformando il manufatto in un ripostiglio.
Sennonché e pur non avendo un tal assunto un pieno valore confessorio, l’appellante non esclude affatto che l’ultima DIA in variante trattava di modifiche temporanee e ciò il TAR rettamente non ha sottaciuto. Per vero, il TAR precisa che «… con l'ultima variante si dichiara di realizzare un vano sottotetto senza permanenza di persone… (quantunque) … nelle conclusioni si afferma che trascorsi cinque anni dal conseguimento dell'agibilità sarà possibile chiedere la trasformazione del sottotetto non abitabile a sottotetto con permanenza di persone se le condizioni di abitabilità risulteranno rispettate …». Ma è facile replicare, al di là d’ogni diversa opinione dell’appellante stesso, che l’art. 19 delle NTA al PRG di Milano, relativamente alla zona B1, non limita il divieto di deroga all’altezza massima degli edifici colà ubicati non solo per un recupero abitativo del sottotetto al quale occorra elevare l'altezza dì colmo e delle falde affinché rispetti le regole di agibilità. In realtà, il divieto vale in sé ai sensi dell’art. 64, c. 1, III per. della l. reg. Lomb. 11 marzo 2005 n. 12 e, quindi, non vien meno se il sottotetto è congegnato in modo da non esser più agibile o abitabile e, per l’effetto, viene usato a fini diversi e non residenziali e ciò soprattutto quando tali accorgimenti sono temporanei e facilmente rimovibili una volta decorsi cinque anni dalla data del conseguimento dell'agibilità.
La questione sta non tanto, come si può evincere dalla tesi attorea, nell’uso non residenziale del manufatto, bensì nella realizzazione d’una sopraelevazione propriamente detta, ma indebita e non sanabile per il sol fatto che, al momento, il manufatto non ha più quella destinazione abitativa che voleva in origine l’appellante.
E si badi: non basta predicare, come fa quest’ultimo, che in fondo la superficie di tal sottotetto non è computabile ai fini della SLP proprio perché non è abitabile e che, comunque, l’altezza degli edifici va calcolata sempre con riguardo all’intradosso dell’ultimo piano abitabile, sicché l’incremento di superfici ed altezza derivanti dal manufatto stesso sarebbero lecite grazie a tali regole di PRG.
Per un verso, non considera l’appellante che l’intervento era ed è un’aggiunta all’edificio, svolto per un recupero abitativo del sottotetto ai sensi dell’art. 63 e ss. della l.r. 12/2005 e poi non più definito. Sicché, non verificatosi l’uso abitativo, ogn’altra destinazione sarebbe dovuta avvenire soltanto nel rispetto di tutte le prescrizioni di zona, in termini di volumi ed altezze, cosa, questa, nella specie non avvenuta. Né il nuovo manufatto si può ascrivere ai volumi tecnici, poiché questi ultimi sono solo quelli che, per funzione e destinazione, si pongono come elementi tecnici essenziali per l’uso normale del fabbricato cui afferiscono. Per contro (lo dice lo stesso appellante), di ripostiglio o di magazzeno qui si tratta, destinato alla sistemazione della di lui biblioteca, di talché il manufatto è un’entità nuova ed autonoma in aggiunta al fabbricato e senza funzioni serventi a questo, di volume tecnico non possedendo i caratteri di stretta strumentalità all’edificio. Inopponibile a tal vicenda è quindi la norma di PRG sull’esclusione della superficie dei sottotetti privi d’abitabilità dalla SLP per le costruzioni di superficie pari o inferiore a quella dell’ultimo piano, poiché essa è stabilita appunto per i sottotetti con compiti isolanti e coibentanti dell’ultimo piano, non già per consentirvi sopralzi d’altra natura o ampliamenti e trasformazioni.
Per altro verso, è jus receptum che un volume realizzato a copertura d’un fabbricato o ha la natura e le caratteristiche d’un sottotetto di per sé non abitabile e destinato a servire come minimo volume tecnico per copertura ed isolamento dell’edificio, oppure non è che una mansarda, anche potenziale, in quanto dotato di significativa altezza media rispetto al piano di gronda. Nell’un caso, s’avrà un mero vano strumentale alla buona funzionalità dell’edificio, nell’altro un vano avente una materiale potenzialità di sfruttamento a fini abitativi.
La vicenda all’odierno esame del Collegio ricade nel secondo caso, non rilevando gli accorgimenti, d’altro canto facilmente rimovibili (e, per ciò solo, temporanei), per ridurre detta potenzialità, né tampoco qualunque altro impegno dell’appellante a non volerla sfruttare. È materialmente vero che oggetto del presente giudizio è l'ultima DIA in variante del 5 marzo 2010, ma è evidente che essa è intervenuta per un’opera già in sé di ristrutturazione edilizia e rimasta tale anche dopo le DIA precedenti. Essendo stata mantenuta la sua consistenza risultante dalla demolizione e ricostruzione, l’intervento da ultimo dichiarato è stato operato al solo scopo di mutare, grazie alla variante, la destinazione abitativa già impressa a tale manufatto in una a ripostiglio, non certo di ridargli una funzione tecnica servente il fabbricato. Ha ragione allora il TAR a ribadire che «… il nuovo progetto preved(e) la non abitabilità, in quanto sono state tamponate le finestre, non può indurre a ritenere che il nuovo edificato non venga computato ai fini dell’altezza …».
6. – Ribatte l’appellante che in fondo, come si deduce dalla relazione dell’arch. Pensa, non solo non v’è una vera e propria elevazione rispetto alla massima altezza originaria dell’edificio condominiale (del 1957), ma neppure si può riscontrare un aumento di superficie, in quanto il Comune di Milano ha imposto l’arretramento di cm 50 per l'intera facciata di c.so Indipendenza al fine d’allinearla al prospetto del palazzo adiacente.
Ebbene, per ciò che attiene al primo argomento attoreo, l’appellante afferma che la demolizione e la ricostruzione del precedente sottotetto non avrebbero determinato sopralzi, poiché al c.d. “nono piano” del fabbricato sarebbero rimasti intonsi il vano scale, la cabina ascensori ed il pianerottolo condominiale ad altezza interna di m 3,00, al quale, ad altezza invariata per alcuni mq si accede alla sua proprietà. Non v’è ragione di ritenere, trattandosi di dati fotografati e visibili in situ (cfr. § 4 della perizia dell’arch. Pensa), che vi siano stati interventi modificativi dell’appellante su tal zona, peraltro di proprietà condominiale, a sezione piana e d’altezza di m 3 e che s’estende per ca. m 8 verso il di lui manufatto. Non s’avvede, però, l’appellante che, in disparte la diversa conclusione cui è pervenuta in fatto e nelle relative considerazioni la verificazione dell’Agenzia delle entrate sul punto, il volume non è tecnico, ma è e resta un’aggiunta in esito ad una ristrutturazione edilizia. Sicché, anche a voler accedere a tutti i dati ed a tutti gli argomenti dell’avv. M, rimane ferma la trasformazione d’un sottotetto in un nuovo manufatto in violazione dell’art. 64 della l.r. 12/2005 e con quell’indebito aumento dei carichi urbanistici che la norma intende evitare.
Si può discettare se abbia, o no, una qualche seria validità l’argomento dei controinteressati, quando temono che il locale de quo «… ''potrebbe comunque essere asservito a deposito merci e mercanzie al servizio delle attività commerciali che caratterizzano tutti i locali dei piani terra degli edifici che affacciano sul Corso Indipendenza …». Pare, però, al Collegio che una tal improbabile evenienza in pratica sia solo una considerazione ad colorandum e che, quindi, nulla aggiunga o tolga al punto nodale della controversia. La verità è che l’appellante continua a ripetere, anche con enfasi grafica, che la «… difesa avversa tace… sulla circostanza che il medesimo locale tuttora di abitabile non ha niente e meno di niente …», errando così sotto un duplice aspetto. Non è vero che i controinteressati non abbiano dedotto alcunché sull’abitabilità del manufatto, anzi;né tampoco è assodato o escluso in via definitiva che tal deficienza d’abitabilità sia irreversibile e che, comunque, essa ritrasformi il manufatto in sottotetto. È appena da soggiungere solo che, se migliaia di altri cittadini milanesi han beneficiato di progetti a recupero abitativo anche in zona B1 di PRG, tal vicenda non fonda alcun titolo di legittimità all’intervento attoreo, il quale va valutato in sé e per sé e non per raffronto con altre situazioni, le più disparate.
In ordine poi alla seconda questione posta dall’appellante nella memoria conclusiva, non dura fatica il Collegio a credere che non vi dovrebbe esser stato un aumento di superficie. Al riguardo, giova al Collegio richiamare la relazione dell’arch. Pansa, laddove (pagg. 3/4) tal perizia fa presente che non di sopralzo si deve parlare nella specie, quantunque il colmo dell’originario sottotetto attoreo fosse posto a m.2,33. Ebbene, per un verso, non la verificazione dell’Agenzia delle entrate, ma l’intento dello stesso avv. M fu di rendere abitabile tal sottotetto per trasferirvisi. Per altro verso, la testé citata differenza tra i due dati originari delle altezze di quest’ultimo, al c.d. nono piano dell’edificio di c.so Indipendenza n. 6, va valutata dal Collegio in coerenza con quanto statuì il TAR, ossia come l’effetto della sostituzione del vecchio con il nuovo sottotetto (e ben lo si vede dalle fotografie e dai grafici allegati alla relazione Pensa), ossia un sopralzo indebito al fine di renderlo abitabile.
Infine, si può forse discutere sulla legittimità in sé della sanzione demolitoria verso tal manufatto, disposta dal Comune di Milano in relazione ai decisa di questo Giudice nel corso degli anni. Però questa vicenda forma oggetto di un separato giudizio tra le parti, onde solo in quella sede si vedrà se ed in qual misura sussistano i presupposti per l’irrogazione di tal sanzione, piuttosto che d’altra natura, come pare esser accaduto per un cambio di destinazione d’uso d’un sottotetto in un altro e viciniore sito.
7. – In definitiva, l’appello va respinto. Le spese del presente giudizio seguono, come di regola, e sono liquidate come da dispositivo.