Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-11-13, n. 201705191

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-11-13, n. 201705191
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201705191
Data del deposito : 13 novembre 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/11/2017

N. 05191/2017REG.PROV.COLL.

N. 10672/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10672 del 2015, proposto dal Ministero della Giustizia, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

I C, rappresentato e difeso dall'avvocato L D R, con domicilio eletto presso lo studio Simonetta Marchetti in Roma, via Paolo Emilio, 7;

per la riforma

della sentenza in forma semplificata del T.a.r.per la Puglia– Bari – Sezione II, n. 1385 del 28 ottobre 2015, resa tra le parti, concernente mancata ammissione alla prova orale dell'esame di abilitazione all'esercizio della professione di avvocato per l’anno 2014.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di I C;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 maggio 2017 il Cons. O F e uditi per le parti gli avvocati Grumetto (avv. Stato) e Di Rella;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. 1. Con l’appello in esame, il Ministero della Giustizia impugna la sentenza 28 ottobre 2015 n. 1385, con la quale il TAR per la Puglia, sez. II, accogliendo il ricorso proposto dal dott. I C, ha annullato gli atti di valutazione negativa delle sue prove scritte dell’esame di abilitazione all’esercizio della professione legale, sessione 2014.

Tale giudizio era stato espresso dalla III sottocommissione della Corte di Appello di Firenze sulle prove redatte dai candidati, e segnatamente dal C, che avevano in precedenza sostenuto l’esame presso la Corte di Appello di Bari.

1.2. La sentenza impugnata ha ritenuto fondato il motivo di ricorso “con cui si deduce il difetto di motivazione nelle sue varie articolazioni”, in quanto la commissione:

- “si è limitata a recepire i criteri generali definiti dalla Commissione centrale, riportandoli in via tralaticia e senza ulteriori integrazioni e specificazioni”;

- “ha proceduto alla correzione di ciascun compito esprimendo una valutazione in forma puramente numerica, senza che vi sia traccia negli elaborati di indicazioni o sottolineature o correzioni operate dagli esaminatori”.

Da ciò consegue – secondo la sentenza – che “il metodo di correzione basato sull’uso del solo voto numerico si rivela nella fattispecie insufficiente proprio in considerazione dell’evidenziato carattere generico dei criteri elaborati dalla Commissione centrale e seguiti dalla Commissione esaminatrice senza alcuna integrazione e/o specificazione . . . con la connessa impossibilità – in assenza di ulteriori esternazioni – di un serio riscontro dell’effettiva e corretta applicazione dei criteri stessi”. Peraltro, “gli atti non rilevano alcun segno, grafico o testuale, che possa fungere da tramite logico-argomentativo tra i criteri generali e l’espressione finale numerica del singolo giudizio”.

Inoltre, la sentenza riscontra anche “la lamentata assenza nell’elaborato scritto di indicazioni, sottolineature o correzioni che valgano ad esternarne l’operato, come richiesto dall’art. 46, co. 5, della l. 31 dicembre 2012 n. 247, norma che, benché non ancora applicabile per il termine dilatorio di quattro anni contenuto nel successivo art. 49, costituisce idoneo supporto sul piano interpretativo, in linea con i principi di trasparenza dettati dal generale obbligo di motivazione introdotto dall’art. 3 l. n. 241/1990”.

1.3. Avverso tale decisione è stato proposto un unico complesso motivo di appello per violazione e/o falsa applicazione art. 3 l. n. 241/1990, nonché degli artt. 17-bis, 23, 24 R.D. n. 3722/1934, art. 22, co. 9 r.d.l. n. 1378/1933;
artt. 46 e 49 l. n. 247/2012;
illogicità manifesta della sentenza;
insussistenza del difetto di motivazione in ragione della corretta apposizione del voto numerico;
ciò in quanto:

a) “i criteri normativamente previsti, specificati dalla Commissione centrale, e recepiti dalla sottocommissione competente, sono assolutamente adeguati allo scopo di enucleare le carenze idonee alla declaratoria di inidoneità dei candidati”;

b) “il giudizio numericamente espresso (che è un giudizio globale dell’elaborato sotto i vari profili considerati nei predeterminati criteri di valutazione), rapportato ai richiamati criteri di valutazione, consente al candidato di comprendere i motivi del giudizio negativo ed al giudice di ricostruire, in sede di sindacato giurisdizionale, l’iter logico seguito nell’attribuzione di quel voto dalla Commissione, il cui apprezzamento discrezionale non è sindacabile dal giudice della legittimità, se non sotto i profili della illogicità e della carenza di motivazione insussistenti nel caso di specie”;

c) non è condivisibile il richiamo, operato a fini interpretativi, all’art. 46, co. 5, l. n. 287/2014, posto che il successivo art. 49 tiene ferma l’applicabilità delle norme previgenti sia per quanto riguarda le prove scritte e le prove orali, sia per quanto riguarda le modalità di esame, per i primi due anni successivi all’entrata in vigore della legge.

1.4. Si è costituito in giudizio il dott. I C, che ha concluso, in via principale, “anche previa disapplicazione della normativa nazionale non conforme ai principi di diritto comunitario”, per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.

Inoltre, l’appellato ha riproposto i motivi di ricorso dichiarati assorbiti e precisamente:

a1) violazione di norme con riferimento ai principi comunitari di concorrenza, con riguardo alla composizione della III sottocommissione nella seduta del 13 aprile 2015;
invalidità delle operazioni condotte ed illegittimità dell’assegnazione al candidato di un punteggio insufficiente. Ciò in quanto, se nel corso dei lavori della Commissione i magistrati titolari, resisi eventualmente indisponibili per motivi sopravvenuti, sono sostituiti da avvocati supplenti, come è accaduto nella fattispecie, manca o comunque viene ridimensionata illegittimamente quella componente da ritenersi emanazione dello Stato . . . e quindi di quella componente che permetta allo Stato di occupare un posto sostanziale in seno alla commissione stessa e di conservare il carattere statale della normativa attinente l’accesso alla professione forense, evitando di delegare ad avvocati la responsabilità di prendere decisioni in ordine all’accesso alla loro professione”;

b1) violazione della regola dell’anonimato e quindi dell’art. 97 Cost., con riferimento all’imparzialità dell’amministrazione e conseguente invalidità degli esiti della correzione degli elaborati scritti;
ciò in quanto la Corte di Appello di Bari ha prima individuato i tre elaborati di ogni candidato, inserendoli quindi in una busta cui è stato assegnato un numero (per il C n. 617). A fronte di ciò, le sottocommissioni presso la Corte d’Appello di Firenze, prima di valutare ogni elaborato, erano consapevoli del numero della busta, di modo che “la correzione degli elaborati non è quindi avvenuta in modo anonimo, regola che sarebbe stata rispettata, ad esempio, nel caso la sottocommissione di Firenze fosse venuta a conoscenza del numero identificativo dopo le operazioni di correzione”;
e comunque anche nel caso di cd. rimescolamento sussiste “il pericolo di segnalazione di alcune buste . . . e quindi di condizionamento dell’operato delle sottocommissioni”.

Infine, il dott. C chiede che vengano poste alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea una pluralità di questioni pregiudiziali, indicate alle pagg. 15 – 20 della memoria del 16 dicembre 2015.

1.5. Questo Consiglio di Stato, con ordinanza 20 gennaio 2016 n. 164 ha accolto la domanda cautelare di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata.

1.6. Dopo il deposito di ulteriori memorie e repliche, all’udienza pubblica di trattazione del 25 maggio 2017 la causa è stata riservata in decisione.

DIRITTO

2.1. L’appello del Ministero della Giustizia è fondato e deve essere, pertanto, accolto.

2.2. Questa Sezione, già in sede cautelare (ord. n. 164/2016 cit.), con riguardo alla sentenza impugnata, ha avuto modo di osservare che

“il principio affermato dal T.A.R. nella sentenza impugnata (insufficienza del voto numerico a dar ragione del giudizio negativo circa le prove scritte in tema di esami di avvocato) contrasta con la giurisprudenza costante della Sezione, consolidatasi sulla base del noto orientamento espresso dalla Corte costituzionale (v. da ultimo ordinanza n. 5562/2015).

Si tratta di una tesi che il T.A.R. finisce per mettere in discussione - là dove richiede che il voto numerico sarebbe inficiato da una presunta genericità dei criteri di valutazione fissati dalla commissione centrale e da quella esaminatrice (i quali comunque tali non appaiono) e dall’assenza di segni, grafici o testuali, sull’elaborato (in ciò richiamando una norma non ancora applicabile) - e che invece il Collegio ritiene di dover riaffermare (v. anche ordinanza n. 518/2014)”.

Quanto già osservato in sede cautelare è coerente con la giurisprudenza amministrativa che – anche sulla scorta delle decisioni della Corte Costituzionale 30 gennaio 2009 n. 20 e 8 giugno 2011, n. 175 - ha affermato la sufficienza della espressione del voto in forma numerica. Ed infatti, si è precisato, con considerazioni che si intendono ribadite nella presente sede:

- ai fini della verifica di legittimità dei verbali di correzione e dei conseguenti giudizi non occorre l'apposizione di glosse, segni grafici o indicazioni di qualsivoglia tipo sugli elaborati in relazione a eventuali errori commessi. Solo se mancano criteri di massima e precisi parametri di riferimento cui raccordare il punteggio assegnato, si può ritenere illegittima la valutazione dei titoli in forma numerica (Cons. Stato, sez. VI, 11 dicembre 2015, n. 5639, Cons. Stato, Sez. VI, 11 febbraio 2011, n. 913);

- “in sede di valutazione degli elaborati scritti presentati dai candidati agli esami di abilitazione all'esercizio della professione di avvocato non è richiesta, da parte della competente commissione, l'apposizione di glosse, di segni grafici o di indicazioni di qualsiasi tipo, sui verbali relativi alle operazioni di correzione, non avendo detti verbali la finalità di rendere edotti i candidati degli eventuali errori commessi, ma unicamente di dar conto del giudizio espresso con il punteggio numerico” (Cons. Stato, sez. IV, 9 luglio 2010 n. 445);

- “anche dopo l'entrata in vigore dell'art. 3 l. n. 241 del 1990, i provvedimenti della commissione esaminatrice che valutano negativamente le prove scritte vanno considerati di per sé adeguatamente motivati quando si fondano su voti numerici, attribuiti in base ai criteri da essa predeterminati, senza necessità di ulteriori spiegazioni e chiarimenti, valendo comunque il voto a garantire la trasparenza della valutazione” (Cons. Stato, sez. IV, 4 maggio 2010 n. 2557);

- “i provvedimenti della commissione esaminatrice che rilevano l'inidoneità delle prove scritte e non ammettono all'esame orale il partecipante agli esami per l'abilitazione all'esame di avvocato vanno di per sé considerati adeguatamente motivati, quando si fondano su voti numerici, attribuiti in base ai criteri da essa - o comunque dalla competente commissione istituita presso il Ministero della giustizia - predeterminati, senza necessità di ulteriori spiegazioni e chiarimenti e senza, dunque, che sia ipotizzabile la necessità della « predisposizione di una griglia » volta a chiarire il significato del voto attribuito in rapporto ai predeterminati criteri di valutazione” (Cons. Stato, sez. IV, 4 maggio 2010 n. 2544);

- nessun argomento di segno contrario alla consolidata giurisprudenza in punto di sufficienza dell’espressione numerica può trarsi dall'articolo 46, comma 5, della legge 31 dicembre 2012 n. 247, in quanto detta norma non risulta applicabile per il termine dilatorio contenuto nel successivo articolo 49 della legge medesima (Cons. Stato, sez. IV, 30 settembre 2016 n. 4040).

Le considerazioni innanzi espresse sono state, da ultimo, ribadite dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato, con la sentenza 20 settembre 2017 n. 7.

In definitiva, per le ragioni esposte, l’appello deve essere accolto.

3.1. All’accoglimento dell’appello dell’amministrazione consegue la necessità di esaminare i motivi di ricorso dichiarati assorbiti dalla sentenza impugnata e riproposti dal dott. C nel presente grado di giudizio con memoria del 16 dicembre 2015 (pagg. 7 – 14).

3.2. Quanto al primo motivo riproposto - con il quale si lamenta la composizione della sottocommissione nella seduta del 13 aprile 2015, dove, applicandosi il principio di fungibilità tra commissari titolari e supplenti, a prescindere dalla categoria di provenienza, si sarebbe verificata una presenza “sproporzionata” di avvocati – occorre osservare che la giurisprudenza di questa Sezione ha chiarito i termini di ultrattività dell’art. 22, co. 3 r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, e, quindi, il principio della piena fungibilità fra membri effettivi e membri supplenti delle commissioni dell’esame di abilitazione all’esercizio della professione di avvocato, con la possibilità di sostituzione di ciascun componente da parte di altro componente, senza alcun riguardo alla qualifica professionale dagli stessi posseduta, posto che gli stessi non sono portatori di interessi settoriali, ma concorrono al raggiungimento del preminente interesse pubblico alla più sollecita definizione della procedura abilitativa (Cons. Stato, sez. IV, 21 aprile 2017 n. 1873;
Sez. IV, 8 febbraio 2017, n. 558;
Sez. IV, 21 ottobre 2016, n. 4406 e 5 agosto 2005, n. 4165).

Né è fondato sostenere che, con riguardo alla predetta composizione della III sottocommissione presso la Corte di Appello di Firenze, si realizzerebbe – per effetto dell’art. 22 R.D. n. 1578/1933 e del principio di fungibilità dei componenti della Commissione – una violazione dei principi comunitari di concorrenza.

Come ha chiarito la stessa Corte di Giustizia delle Comunità Europee (sez. II, ord. 17 febbraio 2005 n. C-250/2003, Mauri, citata anche dalla parte appellata):

“31. anche a voler ritenere che gli avvocati, in quanto membri delle commissioni degli esami di Stato, possano essere qualificati come imprese ai sensi degli artt. 81 CE e 82 CE, non risulta che . . . lo Stato abbia tolto alla propria normativa attinente all’accesso alla professione forense il suo carattere statale delegando ad avvocati la responsabilità di prendere decisioni in ordine all’accesso alla loro professione”, anzi “il controllo esercitato dallo Stato in ogni fase dell’esame . . . consente, pertanto, di concludere che esso non ha delegato l’esercizio del proprio potere ad operatori privati”. . . ;

“45. Tale partecipazione (degli avvocati alle Commissioni esaminatrici: ndr) risponde infatti ad un motivo imperativo di interesse generale, vale a dire la necessità di valutare al meglio le attitudini e le capacità dei soggetti chiamati ad esercitare la professione forense”.

3.3. Anche il secondo motivo riproposto – con il quale si lamenta la violazione della regola dell’anonimato e quindi dell’art. 97 Cost., con riferimento all’imparzialità dell’amministrazione, per effetto del previo inserimento degli elaborati delle prove scritte in un’unica busta cui è assegnato un numero – è infondato.

Come è noto, l’art. 22, co. 4, R.D. 22 gennaio 1034 n. 37 prevede:

“4. Nel giorno immediatamente successivo all'ultima prova e nell'ora indicata dal presidente, la commissione in seduta plenaria, alla presenza di almeno di cinque candidati designati dal presidente e tempestivamente avvertiti, constata l'integrità dei sigilli e delle firme, apre i pacchi contenenti le buste con i lavori, raggruppa le tre buste aventi sui rispettivi tagliandi lo stesso numero e, dopo aver staccato i tagliandi, le chiude in un'unica busta più grande, nella quale viene apposto un numero progressivo soltanto quando é ultimata l'operazione di raggruppamento per tutte le buste con i lavori, avendo cura di rimescolare le buste stesse prima di apporvi il predetto numero progressivo”.

Questo Consiglio di Stato (sez. IV, 8 febbraio 2017 n. 558), ha già avuto modo di affermare che:

“una volta acclarato l’avvenuto rimescolamento anche presso una sola Corte d’appello, il vizio denunciato dal privato, anche se accertato, degrada comunque a semplice irregolarità non viziante, perché sarebbe comunque fatta salva l’esigenza sostanziale di garanzia dell’assoluto anonimato dei candidati, neppure potenzialmente suscettibile di essere messa in pericolo dall’omissione dell’operazione nella diversa sede”.

3.4. Nel caso di specie, con il motivo riproposto il dott. C lamenta:

- per un verso, che “le sottocommissioni presso la Corte di Appello di Bari hanno prima individuato i tre elaborati di ogni candidato e poi li hanno inseriti in una busta a cui hanno assegnato un numero, tanto che ad ogni candidato corrisponde una busta numerata” e, poi, “le sottocommissioni presso la Corte di Appello di Firenze, prima di valutare ogni elaborato, erano consapevoli del numero della busta”, di modo che “la correzione degli elaborati non è quindi avvenuta in modo anonimo, regola che sarebbe stata rispettata, ad esempio, nel caso la sottocommissione di Firenze fosse venuta a conoscenza del numero identificativo dopo le operazioni di correzione”;

- per altro verso che, “anche se lo svolgimento di dette operazioni possa essere avvenuto in conformità a quanto dispone l’art. 22, co. 4, r.d. n. 37 del 1934, che prevede il rimescolamento delle “buste stesse prima di apporvi il predetto numero progressivo”, sussiste in ogni caso il pericolo di segnalazione di alcune buste nonostante il rimescolamento, le quali sono comunque individuate e non anonime”. Pertanto, secondo la parte, “la procedura seguita dalle sottocommissioni viola in ogni caso la regola dell’anonimato perché l’ìndicazione di un numero riconducibile ad un singolo candidato determina il pericolo di segnalazione di alcune buste;
di tal guisa detta procedura, pur conforme al r.d. n. 37 del 1934, viola direttamente la prescrizione dell’art. 97 Cost. con riferimento all’imparzialità dell’amministrazione”.

Solo successivamente (memoria del 2 maggio 2017), l’appellato precisa che la violazione della regola dell’anonimato dipenderebbe dal fatto che la III sottocommissione di Firenze “avrebbe dovuto venire a conoscenza del numero identificativo solo dopo l’apertura della busta e le relative operazioni di correzione”, ma ciò non è avvenuto perché “la commissione a Bari ha inserito sulla e non nella busta il numero progressivo, violando radicalmente la procedura e, quindi, la regola dell’anonimato”.

In definitiva, da un lato si lamenta in via generale la “insufficienza” della procedura, come disciplinata dall’art. 22, co. 4, r.d. n. 37/1934, a garantire l’imparzialità;
dall’altro lato, si lamenta una non conformità di quanto in concreto effettuato dalle sottocommissioni proprio in riferimento al predetto art. 22, co. 4.

Quanto al primo aspetto, la giurisprudenza amministrativa ha costantemente affermato l’adeguatezza della procedura di cui all’art. 22 r.d. n. 37/1934 (v. Cons. Stato, sez. IV, n. 558/2017 cit.) a preservare la regola dell’anonimato.

Quanto agli aspetti specifici, ciò che il candidato lamenta non è l’omissione del cd. “rimescolamento”, ovvero l’attribuzione del numero alla busta “finale” dopo avere staccato i tagliandi dalle singole buste, ma il fatto che l’attribuzione stessa di un numero alla busta rende quest’ultima potenzialmente “attribuibile” ad uno specifico candidato, così violandosi la regola dell’anonimato, e ciò a maggior ragione se il numero è apposto all’esterno (“sulla” busta) e non all’interno (“nella” busta).

Orbene – a prescindere dal rilievo che parte appellata ha specificato il motivo riproposto solo con le memorie del 16 aprile e 2 maggio 2017, introducendo, quindi, una specificazione circostanziata del motivo non ammissibile in grado di appello – occorre osservare che:

- in primo luogo, il testo dell’art. 22, co. 4, non depone in senso univoco per poter affermare che il numero deve essere inserito nella busta e non apposto sulla medesima, posto che da un lato si afferma che le buste con i lavori sono chiuse “in un’unica busta più grande nella quale viene apposto un numero progressivo” (il che fa propendere per l’inserimento);
dall’altro si afferma (subito dopo nel testo) che, a tal fine, la commissione deve procedere all’indicazione del numero dopo aver ultimato l’operazione di raggruppamento “per tutte le buste con i lavori, avendo cura di rimescolare le buste stesse prima di apporvi il predetto numero progressivo” (il che fa propendere per l’apposizione esterna);

- in secondo luogo, l’aspetto censurato dalla parte è comunque irrilevante ai fini della garanzia dell’anonimato, poiché ciò che in concreto rende non riferibile la busta “finale” al candidato è l’operazione di rimescolamento di tutte le buste “finali”, nelle quali sono state inserite le singole buste, previo distacco dei tagliandi (questi sì) identificativi, prima dell’attribuzione di un numero (inserito all’interno o apposto all’esterno che sia). E l’identità del candidato risulterà solo dopo che, a procedura ultimata, si aprirà la busta piccola, prevista dal comma 2 e contenente il suo nome.

Per le ragioni esposte, anche questo motivo riproposto deve essere rigettato, stante la sua infondatezza.

4.1. Il Collegio non ritiene di sollevare le questioni pregiudiziali innanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, così come indicate e richiesto dalla parte appellata, stante la loro manifesta infondatezza.

4.2. In sostanza, l’appellato chiede (pagg. 15-20 memoria del 16 dicembre 2015) che vengano sottoposti al vaglio della Corte di Giustizia:

- gli articoli 17-bis, co. 2,, 23, co. 5, 24, co. 1, r.d. n. 37/1934;
l’art. 49 l. 31 dicembre 2012 n. 247 “solo per quel che riguarda il differimento del disposto dell’art. 46, co. 5”, prospettando la violazione dell’art. 41 della Carta fondamentale dei diritti dell’Unione Europea. In sostanza, si lamenta l’inadeguatezza del giudizio mediante espressione di voto in termini numerici ad adempiere all’onere di motivazione degli atti amministrativi;

- l’art. 22, co. 5, r.d. 27 novembre 1933 n. 1578, al fine di verificarne la compatibilità con “le norme del Trattato di funzionamento dell’Unione Europea anche, nell’interpretazione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sanciscono la tutela del principio di concorrenza e di non discriminazione”.

4.3. Innanzi tutto, quanto alle problematiche inerenti alla motivazione degli atti amministrativi (e, più in generale, al procedimento volto all’abilitazione forense) giova ricordare che la Corte costituzionale, con sentenza 8 giugno 2011, n. 175 – avente ad oggetto proprio la problematica del giudizio sulle prove di esame espresso con voto numerico - ha chiarito (considerando n. 3.2) che “la disciplina degli esami di abilitazione all'esercizio della professione forense non rientra nel campo di applicazione del diritto comunitario.”, per cui l'entrata in vigore, dall'1 dicembre 2009, del Trattato di Lisbona, ratificato con l. n. 130 del 2008, recante l'espressa equiparazione della Carta di Nizza al «valore giuridico dei Trattati» (art. 6 c. 1 Trattato UE), e che ha elevato l'obbligo di motivazione a principio comunitario, quale parte integrante del «diritto ad una buona amministrazione» garantito dall'art. 41 comma 2 della suddetta Carta non spiega refluenza nella presente controversia” (nello stesso senso, del resto, si era orientata in precedenza la giurisprudenza di questa Sezione, cfr. 10 aprile 2008, n. 1564, secondo cui è “…pacifico che la disciplina degli esami di abilitazione all’esercizio della professione forense non attiene certo alla attuazione del diritto comunitario”).

Inoltre, la stessa Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sez. III, 21 dicembre 2011 n. 482, causa C-482/10), con riferimento all’obbligo di motivazione degli atti amministrativi, ha affermato:

“20. Nel caso di specie (legge n. 241/1990, n.d.r.), è pacifico che la controversia di cui alla causa principale verte su disposizioni di diritto nazionale che si applicano in un contesto puramente nazionale e di cui sono controverse nella causa principale segnatamente quelle relative alla motivazione dei provvedimenti amministrativi”;

“25 . . . la legge n. 241/1990, all'art. 1, rinvia in modo generale ai «principi dell'ordinamento comunitario», e non specificamente agli artt. 296, secondo comma, TFUE e 41, n. 2, lett. c), della Carta, a cui si riferiscono le questioni pregiudiziali od ancora ad altre disposizioni del diritto dell'Unione inerenti l'obbligo di motivazione dei provvedimenti.

26 In queste circostanze non si può considerare che le disposizioni interessate dalle questioni proposte, in quanto tali, siano state rese applicabili in modo diretto dal diritto italiano.

27 Del pari, non si può ritenere, in tali circostanze, che il rinvio al diritto dell'Unione per disciplinare situazioni puramente interne sia, nel caso di specie, incondizionato, sicché le disposizioni interessate dalle questioni proposte sarebbero applicabili senza limiti alla fattispecie di cui alla causa principale.

28 A tal proposito, occorre rilevare che la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana, non ha affatto affermato che tale rinvio comporta la conseguenza di escludere l'applicazione delle norme nazionali relative all'obbligo di motivazione, in favore degli artt. 296, secondo comma, TFUE e 41, n. 2, lett. c), della Carta, i quali sono diretti, peraltro, alla luce della loro formulazione, non già agli Stati membri, bensì unicamente alle istituzioni ed agli organi dell'Unione, o ancora di altre disposizioni del diritto dell'Unione relative all'obbligo di motivazione, anche allorquando venga in considerazione una situazione puramente interna, sì da trattare in modo identico le situazioni puramente interne e quelle disciplinate dal diritto dell'Unione.

29 Di conseguenza, né la decisione di rinvio, né la legge n. 241/1990 apportano indicazioni sufficientemente precise dalle quali potrebbe dedursi che, richiamandosi, all' art. 1 della legge n. 241/1990, ai principi del diritto dell'Unione, il legislatore nazionale abbia inteso, con riferimento all'obbligo di motivazione, realizzare un rinvio al contenuto delle disposizioni degli artt. 296, secondo comma, TFUE e 41, n. 2, lett. c), della Carta o ancora ad altre disposizioni del diritto dell'Unione inerenti all'obbligo di motivazione dei provvedimenti, al fine di applicare un trattamento identico alle situazioni interne e a quelle disciplinate dal diritto dell'Unione. Non si può dunque concludere che, nel caso di specie, sussista un interesse certo dell'Unione a che sia preservata l'uniformità di interpretazione di dette disposizioni”.

4.4. Quanto alla questione relativa alla compatibilità con la disciplina dell’Unione Europea dell’art. 22, co. 5, r.d. 27 novembre 1933 n. 1578 – in disparte ogni considerazione in ordine alla omessa indicazione delle norme del Trattato di funzionamento dell’Unione Europea che risulterebbero specificamente violate – giova richiamare quanto affermato dalla Corte di Giustizia della Comunità Europea con la già citata ordinanza sez. II, 17 febbraio 2005 n. 250/03 (innanzi succintamente riportata), essendo appena il caso di sottolineare ancora:

a) che la Corte (punto 31) dubita della possibilità di ritenere che “gli avvocati, in quanto membri della commissione per gli esami di Stato, possano essere qualificati come imprese ai sensi degli artt. 81 CE e 82 CE”, con conseguente applicazione dei principi a tutela della concorrenza;

b) che, anche a volere ciò concedere, non risulta alla Corte (punto 31) che “lo Stato abbia tolto alla propria normativa attinente all'accesso alla professione forense il suo carattere statale delegando ad avvocati la responsabilità di prendere decisioni in ordine all'accesso alla loro professione”, anzi (punto 36) “il controllo esercitato dallo Stato in ogni fase dell'esame oggetto della causa principale consente, pertanto, di concludere che esso non ha delegato l'esercizio del proprio potere a operatori privati;

c) infine che, secondo la Corte (punto 45) la partecipazione degli avvocati alle commissioni di esame di abilitazione “risponde ad un motivo imperativo di interesse generale, vale a dire la necessità di valutare al meglio le attitudini e le capacità dei soggetti chiamati ad esercitare la professione forense. Essa è atta a garantire la realizzazione di tale obiettivo, nel senso che gli avvocati possiedono un'esperienza professionale che li rende particolarmente idonei a valutare i candidati rispetto alle esigenze specifiche della loro professione.

5. Per tutte le considerazioni esposte, l’appello del Ministero della Giustizia deve essere accolto, mentre devono essere rigettati i motivi riproposti dall’appellato con memoria del 16 dicembre 2015.

Da ciò consegue che, in riforma della sentenza impugnata, deve essere rigettato il ricorso instaurativo del giudizio di I grado.

In considerazione della novità delle questioni e delle oscillazioni giurisprudenziali sottese al gravame in trattazione,il Collegio, ex artt. 26, co. 1, c.p.a. e 92, co. 2, c.p.c., compensa le spese di ambedue i gradi di giudizio.

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