Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-06-24, n. 202004070
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Pubblicato il 24/06/2020
N. 04070/2020REG.PROV.COLL.
N. 05439/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA IALIANA
IN NOME DEL POPOLO IALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5439 del 2017, proposto da R N F, rappresentato e difeso dall'avvocato G A D M, con domicilio eletto presso lo studio Antonino Bosco in Roma, via Sestio Calvino, n. 33;
contro
Comune di Mira, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avvocati S e C, M F, con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Simone Cadeddu in Roma, via Flaminia, 133;
per la riforma
della sentenza 23 maggio 2017, n. 502 del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, Sezione Seconda
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Mira;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 giugno 2020 il Cons. Vincenzo Lopilato.
L’udienza pubblica si è svolta attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams”, nel rispetto della normativa emergenziale vigente.
FATTO
1.˗ In data 7 dicembre 2004 i signori R N F e Marta Manente hanno presentato domanda di condono edilizio ai sensi del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito in legge 24 novembre 2003, n. 326, relativa alla costruzione di un’abitazione bifamiliare nel Comune di Mira.
L’istanza è stata respinta perché, da un lato, è stata accertata l’abusiva realizzazione dell’immobile in una data successiva a quella utile, dall’altro, la legge regionale 5 novembre 2004, n. 21 non ammette la sanatoria per le costruzioni ad uso residenziale.
In relazione all’abusiva realizzazione dell’immobile, con sentenza 4 giugno 2007, n. 152, il Tribunale penale di Venezia ha condannato il signor Emilio Ferrato Noschese per il reato di cui all’art. 44, comma 1, lett. b, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e l’Ufficio esecuzioni penali della Procura ha disposto la demolizione del fabbricato.
L’ordine è rimasto inottemperato.
Il Comune di Mira nel 2011, con ordinanza 22 marzo 2012, n. 8096, ha ordinato ai signori R N F e Marta Manente la demolizione del suddetto immobile e, con provvedimento 13 agosto 2012, n. 1531, ha accertato l’inottemperanza e ha disposto l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’immobile e del suo sedime.
2.˗ Le parti sopra indicate hanno proposto ricorso innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, per i motivi riproposti in sede di appello e riportati nei successivi punti.
3.˗ Il Tribunale amministrativo, con sentenza 23 maggio 2017, n. 502, ha rigettato il ricorso.
DIRITO
1.˗ La questione all’esame della Sezione attiene alla legittimità dell’ordine di demolizione e del provvedimento acquisizione al patrimonio pubblico dell’immobile descritto nella parte in fatto unitamente all’area di sedime.
2.˗ Con un primo motivo l’appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza e degli atti impugnati nella parte in cui non hanno rilevato che, in ragione della natura sostanzialmente penale delle sanzioni irrogate ai sensi degli artt. 6 e 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, non avrebbe potuto applicarsi due volte la stessa sanzione, con violazione del principio del ne bis in idem .
Il motivo non è fondato.
Sul piano penale, l’art. 44, comma 1, lett. b, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) prevede che « salvo che il fatto costituisca più grave reato e ferme le sanzioni amministrative » si applica « l'arresto fino a due anni e l'ammenda da 10328 a 103290 euro nei casi di esecuzione dei lavori in totale difformità o assenza del permesso o di prosecuzione degli stessi nonostante l'ordine di sospensione ».
Sul piano amministrativo, l’art. 31, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) prevede che « il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l'esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali (…) ingiunge al proprietario e al responsabile dell'abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l'area che viene acquisita di diritto ».
Le sanzioni amministrative possono essere afflittive (sanzionatorie in senso stretto) o ripristinatorie (sanzionatorie in senso lato).
Le sanzioni ripristinatorie « mirano alla soddisfazione diretta dell'interesse pubblico specificamente pregiudicato dalla violazione » (Cons. Stato, Sez. VI, 26 luglio 2017 n. 3694).
Le sanzioni afflittive sono quelle definite dal diritto europeo e, in particolare, dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), che ha contributo a configurare uno statuto di regole fondato su garanzie convenzionali di natura sostanziale e processuale (artt. 6 e 7).
I criteri per individuare la prima tipologia di sanzioni sono costituite: i ) dalla qualificazione giuridica dell’illecito; ii ) dalla natura dell’illecito, desunta dall’ambito di applicazione, di carattere generale, della norma che lo prevede (deve essere rivolto alla generalità dei consociati) e dallo scopo perseguito che deve essere non risarcitorio ma afflittivo; iii ) dal grado di severità della sanzione, che è determinato con riguardo alla pena massima prevista dalla legge applicabile e non di quella concretamente applicata (Corte eur. dir. uomo, Grande Camera, 8 giugno 1976, Engel e altri c. Bassi).
Le sanzioni amministrative previste in ambito edilizio hanno natura ripristinatoria e non afflittiva. Si tratta di misure di carattere reale finalizzate al ripristino dell’interesse pubblico primario violato (Cons. Stato, sez. VI, 26 marzo 2018, n. 1893).
Esse sono finalizzate, infatti, a ripristinare l’interesse pubblico violato al corretto assetto del territorio.
Ne consegue che non possono trovare applicazione i principi sopra esposti.
Ma anche a volere prescindere da tale qualificazione, il principio del ne bis in idem , evocato dall’appellante, non può trovare applicazione nella fattispecie in esame.
Tale principio, sul piano processuale, vieta di iniziare un secondo procedimento una volta definito quello precedente per la stessa condotta posta in essere dallo stesso soggetto.
L’art. 649 cod. proc. pen., prevede che: i ) « l'imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze » (comma 1); ii ) « se ciò nonostante viene di nuovo iniziato procedimento penale, il giudice in ogni stato e grado del processo pronuncia sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, enunciandone la causa nel dispositivo » (comma 2).
L’art. 4 del Protocollo n. 7 della Cedu prevede che « nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge ed alla procedura penale di tale Stato ».
Nel caso in esame, all’esito del procedimento penale è stata applicata una sanzione penale a Noschese Farrato Emilio, unitamente alla sanzione amministrativa, prevista in sentenza, della demolizione.
All’esito del procedimento amministrativo è stata applicata una sanzione amministrativa a Noschese Ferrato Roberto.
E’ evidente che si tratta di condotte e procedimenti differenti iniziati e conclusi a carico di soggetti diversi.
Ne consegue che non sussiste alcuna violazione del principio del ne bis in idem .
3.˗ Con un secondo motivo si assume l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui non ha ritenuto illegittimi gli atti amministrativi impugnati nella parte in cui hanno disposto l’acquisizione gratuita al patrimonio pubblico a carico di un soggetto non responsabile.
Il motivo non è fondato.
L’art. 31, comma 3, del suddetto decreto dispone che « se il responsabile dell'abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione, il bene e l'area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del Comune ». La norma aggiunge che « l'area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita ».
La giurisprudenza di questo Consiglio ha già avuto modo di affermare che « nella disciplina legislativa statale non è dubbio che il proprietario deve essere coinvolto nel procedimento successivo all'accertamento dell'inottemperanza all'ordine di demolizione (in particolare, nel sub -procedimento relativo all'acquisizione al patrimonio comunale del bene e dell'area di sedime), a prescindere da una sua diretta responsabilità nell'illecito edilizio;tale sistema non presenta profili di criticità sul piano del rispetto dei principi costituzionali, e tanto per la dirimente ragione che si parla di sanzioni in senso improprio, non aventi carattere personale, ma reale, essendo adottate in funzione di accrescere la deterrenza rispetto all'inerzia conseguente all'ordine demolitorio e di assicurare ad un tempo la effettività del provvedimento di ripristino dello stato dei luoghi e la soddisfazione del prevalente interesse pubblico all'ordinato assetto dei territori » (Consiglio di Stato sez. IV, 19 ottobre 2017, n.4837).
In altre sentenze si è affermato « che in materia di abusi edilizi commessi da persona diversa dal proprietario, la posizione di quest'ultimo può ritenersi neutra rispetto alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica. n. 380 del 2001, anche con riferimento all'acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell'area di sedime sulla quale insiste il bene, a condizione che risulti, in modo inequivocabile, la sua estraneità rispetto al compimento dell'opera abusiva ovvero risulti che, essendone venuto a conoscenza, si sia poi adoperato per impedirlo con gli strumenti offertigli dall'ordinamento » (Cons. Stato, sez. IV, 29 settembre 2017, n. 4547). Nella suddetta sentenza si è affermato che il coinvolgimento del proprietario può desumersi dalla presentazione di domande di sanatoria per le opere realizzate in assenza di titolo.
Nella fattispecie in esame, il proprietario appellante non ha dimostrato la sua estraneità rispetto alla vicenda amministrativa in esame. Risulta, inoltre, che lo stesso ha presentato domanda di sanatoria, con la conseguenza che si possono applicare i medesimi principi già sanciti da questo Consiglio con le sentenze sopra citate in relazione a fattispecie analoghe.
4.˗ L’appellante è condannato al pagamento in favore dell’amministrazione resistente della somma di euro 3.000,00 oltre accessori di legge.