Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2018-05-29, n. 201803212

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2018-05-29, n. 201803212
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201803212
Data del deposito : 29 maggio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 29/05/2018

N. 03212/2018REG.PROV.COLL.

N. 03764/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero di registro generale 3764 del 2017, proposto da:
Comune di Orta di Atella, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Generoso M T I, con domicilio eletto presso lo studio Antonio Borraccino in Roma, via Ruggero Bonghi, n. 11/B;

contro

C C, in proprio e quale titolare della ditta individuale “Minimarket da Pina”, rappresentato e difeso dagli avvocati M F, C L, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato M F in Roma, via Mecenate, 77;

per la riforma della sentenza breve del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI, SEZ. III, n. 1036/2017, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di C C;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 aprile 2018 il Cons. Giuseppina Luciana Barreca e uditi per le parti gli avvocati Lorenzo Lentini. su delega dell'avv. Iodice Generoso, e Ferrante Michele;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il Comune di Orta di Atella (CE) ha impugnato la sentenza indicata in epigrafe, con la quale il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, sezione terza, ha accolto il ricorso proposto da C C, quale titolare della ditta individuale “Minimarket da Pina” con sede in Orta di Atella (CE), avviata per lo svolgimento di attività di commercio al pubblico di generi alimentari e diversi, avverso il provvedimento prot. n. 21122 del 21 dicembre 2016, con cui il Responsabile del Settore Attività Produttive – Sportello Unico Attività Produttive del Comune aveva disposto l’annullamento della s.c.i.a. presentata in data 28 luglio 2016 dal C per l’esercizio dell’attività di commercio al pubblico di generi alimentari vari, presso i locali di via Viggiano Parco San Salvatore s.n.c., con conseguente inibizione dell’attività commerciale avviata.

A base dell’annullamento della s.c.i.a. era posto l’annullamento in autotutela del permesso a costruire n. 130 del 15 luglio 2005 (avvenuto con provvedimento n. 1854 del 21 settembre 2009), relativo ai locali ospitanti l’attività di commercio al pubblico di generi alimentari, e la mancanza di validità dell’attestazione di agibilità per i locali interessati dal permesso di costruire annullato.

2. Condividendo in parte le premesse in diritto del ricorrente e dopo aver precisato di dover tenere distinte le ipotesi in cui i locali presso i quali deve essere avviata l’attività commerciale “ sono fin dall’origine abusivi (in quanto privi di qualsivoglia titolo abilitativo edilizio) ” e quella in cui i locali, ab origine muniti di tale titolo, “ ne sono rimasti sprovvisti per essere venuto meno il titolo abilitativo a seguito dell’esercizio dell’autotutela, diverse risultando nelle due ipotesi i riflessi sull’attività commerciale svolta nei predetti locali ”, ha osservato che:

a) la sentenza del T.A.R. che aveva respinto il ricorso proposto avverso l’annullamento del permesso di costruire era stata appellata ed il giudizio era pendente dinanzi al Consiglio di Stato, sezione IV, nrg. 1542/2016, per modo che non poteva sostenersi che “ il presupposto di legittimità urbanistica sia venuto definitivamente a mancare […] ”;

b) l’autorizzazione all’agibilità dei locali con destinazione commerciale era stata rilasciata a domanda della proprietaria società F.C.G. S.r.l. dal Comune di Atella, con certificato n. 36 del 20 gennaio 2007, e “ non risulta essere stata mai oggetto di ritiro in autotutela (annullamento o revoca) ”;
né tanto meno risultava che l’agibilità dei locali fosse stata messa in discussione per effetto di una dichiarazione di inagibilità ai sensi dell’art. 26 del d.P.R. n. 380 del 2001;

c) era rilevante ai fini della soluzione della controversia la previsione dell’art. 38, commi 1 e 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 e le applicazioni fattene dalla giurisprudenza richiamata;

d) con il provvedimento impugnato non si era tenuto conto che - come già rappresentato al Comune in sede procedimentale - la FCG Edilizia S.p.A., proprietaria dell’unità immobiliare in esame, nonché titolare del permesso di costruire, senza rinunciare alla contestazione giudiziale dell’annullamento in autotutela del titolo edilizio, aveva da tempo instaurato con l’amministrazione comunale dei procedimenti amministrativi volti a rimediare alle assunte carenze urbanistiche poste a base dell’impugnato annullamento, in conformità del nuovo Piano Urbanistico Generale medio tempore approvato dall’amministrazione locale.

Il tribunale ha pertanto ha concluso che, “ sempre con salvezza dell’esito del giudizio di appello ” (n.d.r.: è da ritenere, del giudizio n. 1542/2016), la circostanza che il titolo edilizio fosse stato non già denegato sin dall’inizio, ma annullato in sede di autotutela, non poteva “ di per sé giustificare la cessazione dell’attività commerciale da tempo in essere nei medesimi locali, almeno fino al momento in cui l’amministrazione non avrà adottato le determinazioni consequenziali all’annullamento del permesso di costruire ”, potendosi l’annullamento risolvere anche con la sanatoria del manufatto, eventualmente ai sensi dell’art. 38 del d.P.R. n. 380 del 2001;
il provvedimento impugnato, di annullamento della s.c.i.a. e di cessazione dell’attività commerciale, nelle more di tali ulteriori determinazioni da parte dell’amministrazione, risultava “ incauto e contrastante con i principi di ragionevolezza e proporzionalità dell’azione amministrativa […] ”.

3. Per la riforma di questa sentenza il Comune di Orta di Atella ha formulato un unico articolato motivo di appello.

Si è costituito in giudizio, per resistere al gravame, C C, in proprio e quale titolare della ditta individuale “Minimarket da Pina” di C Crescenzo, che ha depositato anche memoria difensiva.

Alla pubblica udienza del 12 aprile 2018 la causa è stata trattenuta la decisione.

4. Con l’unico motivo di gravame ( Illogicità della motivazione;
errore sui presupposti di fatto;
travisamento;
ingiustizia ed erroneità manifeste;
violazione principi giusto procedimento e ragionevolezza;
error in procedendo e in iudicando; illogicità ) il Comune contesta l’affermazione della sentenza secondo cui “[…] la circostanza per la quale il titolo abilitativo edilizio sia stato (non denegato dall’inizio ma) solo annullato in sede di autotutela non può di per sé giustificare la cessazione dell’attività commerciale da tempo in essere nei medesimi locali almeno fino al momento in cui l’amministrazione non avrà adottato le determinazioni consequenziali all’annullamento del permesso a costruire. […]” .

Riguardo a queste ultime l’ente esclude che possano essere sanati i vizi che hanno determinato l’annullamento in autotutela del permesso a costruire ovvero che possa trovare applicazione l’art. 38 del T.U. n. 380 del 2001, con gli effetti sottesi alla motivazione della sentenza impugnata, in quanto il permesso a costruire è stato annullato in autotutela per vizi sostanziali, e non per vizi formali (che soli consentirebbero l’applicazione della sanzione pecuniaria ai sensi del citato art. 38);
ribadisce poi che l’annullamento del permesso di costruire ha “ determinato l’abusività dei locali in cui si svolge l’attività commerciale dell’appellato e ciò ha travolto anche l’agibilità degli stessi ” .

Secondo l’appellato il gravame si baserebbe innanzitutto su argomenti del tutto nuovi, comunque inconferenti e viziati da un salto logico, perché, discutendo dell’applicabilità dell’art. 38 del T.U. n. 380 del 2001, l’amministrazione appellante prescinderebbe dall’esaminare, invece, i presupposti per il legittimo esercizio dell’attività commerciale, sotto il profilo della sussistenza delle condizioni di agibilità/utilizzabilità del locale che la ospita;
nel merito vengono poi riproposti gli argomenti posti a sostegno del ricorso in primo grado ed in gran parte condivisi dalla gravata sentenza, aggiungendosi che gli stessi troverebbero riscontro nella nota prot. n. 1334 del 25 novembre 2016 del Responsabile del Servizio Urbanistica del Comune di Orta di Atella, prodotta già nel corso del giudizio di primo grado.

5. L’appello è fondato e va accolto.

5.1. In via preliminare, in relazione alla eccepita inammissibilità del gravame, si osserva che, sebbene gran parte dello stesso sia volto a sostenere l’inapplicabilità dell’art. 38 del T.U. n. 380 del 2001, il quale è stato posto a fondamento di una parte soltanto degli argomenti che sorreggono la decisione, è tuttavia adeguatamente censurata la ratio decidendi su cui quest’ultima si basa.

Le critiche si desumono dalla contestazione specifica dell’affermazione (interamente riportata alla pag. 4 del ricorso in appello) secondo cui il titolo edilizio, che sia stato (non denegato dall’inizio ma) solo annullato in sede di autotutela, non potrebbe di per sé giustificare la cessazione dell’attività commerciale fintantoché l’amministrazione “ non avrà adottato le determinazioni consequenziali all’annullamento del permesso a costruire ”.

Con riferimento a siffatta ratio decidendi , l’atto di gravame contiene censure e conclusioni sufficientemente specificate per gli effetti dell’art. 101, comma 1, Cod. proc. amm., atteso che i motivi di gravame sono ammissibili, ai sensi di tale norma, quando individuano chiaramente le questioni e i punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, le critiche che l’appellante rivolge, senza necessità che vengano confutati uno per uno gli argomenti spesi nella motivazione per sorreggere la decisione di primo grado.

5.2. Destituito di fondamento è anche l’ulteriore assunto dell’appellato secondo cui l’inammissibilità conseguirebbe al fatto che il Comune appellante avrebbe introdotto temi del decidere del tutto nuovi.

E’ sufficiente rilevare al riguardo che, trattandosi di mere difese – attesa la posizione di resistente in primo grado del Comune, senza che siano state sollevate eccezioni non rilevabili d’ufficio – non opera il divieto dei nova di cui all’art. 104, comma 1, Cod. proc. amm.

D’altronde gli argomenti concernenti l’applicabilità e le conseguenze applicative dell’art. 38 del D.P.R. n. 380 del 2001, cui è rivolta l’eccezione dell’appellato, non sono estranei al thema decidendum perché espressi dall’appellante in conseguenza del rilievo attribuito alla norma sia dal ricorrente che dal primo giudice. Piuttosto, come si dirà trattando del merito, essi finiscono per risultare piuttosto marginali rispetto alle ragioni di legittimità del provvedimento amministrativo impugnato. Su queste il Comune è tornato anche in appello, sia pure sinteticamente, osservando che, essendo venuto meno il permesso di costruire con effetto ex tunc a seguito del suo annullamento d’ufficio, i locali destinati dall’attività commerciale dell’appellato sono risultati abusivi (oltre che inagibili), con conseguente ingiustizia ed erroneità della sentenza impugnata che ha comportato la possibilità di esercitarvi il commercio al pubblico.

5.3. Passando all’esame del merito si rileva quanto segue.

5.3.1. Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale nel rilascio dell’autorizzazione commerciale occorre tenere presente i presupposti aspetti di conformità urbanistico-edilizia dei locali in cui l’attività commerciale si va a svolgere, con l’ovvia conseguenza che il diniego di esercizio di attività di commercio deve ritenersi senz’altro legittimo ove fondato, come nella fattispecie, su rappresentate e accertate ragioni di abusività dei locali nei quali l’attività commerciale viene svolta (cfr., tra le altre, Cons. Stato, IV, 14 ottobre 2011 n. 5537 e id., V, 8 maggio 2012, n. 5590).

Il legittimo esercizio dell’attività commerciale è pertanto ancorato, non solo in sede di rilascio dei titoli abilitativi, ma anche per la intera sua durata di svolgimento, alla iniziale e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa viene posta in essere, con conseguente potere-dovere dell’autorità amministrativa di inibire l'attività commerciale esercitata in locali rispetto ai quali siano stati adottati provvedimenti repressivi che accertano l’abusività delle opere realizzate ed applicano sanzioni che precludono in modo assoluto la prosecuzione di un’attività commerciale (cfr. Cons. Stato, VI, 23 ottobre 2015, n. 4880).

5.3.2. Va quindi confermato che la regolarità urbanistico edilizia dell’opera condiziona l’esercizio dell’attività commerciale al suo interno anche perché ritenere il contrario comporterebbe elusione delle sanzioni previste per gli illeciti edilizi. Così si è affermato che la stretta connessione tra materie del commercio e dell’urbanistica ha indotto il legislatore a indicare il medesimo fatto quale presupposto per l’esercizio di poteri propri sia della materia dell’urbanistica, sia di quella del commercio, con la conseguente inibizione, per l’autorità amministrativa, di assentire l’attività nel caso di non conformità della stessa alla disciplina urbanistico – edilizia (Cons. Stato, V, 17 ottobre 2002, n. 5656 e 28 giugno 2000, n. 3639). E’ stato così superato il precedente indirizzo giurisprudenziale che affermava l’illegittimità del diniego di autorizzazione commerciale (o di ampliamento o di trasferimento dell’esercizio) per ragioni di ordine urbanistico, sul presupposto che l’interesse pubblico nella materia del commercio fosse di diversa natura ed implicasse perciò criteri valutativi differenti (cfr. Cons. Stato, V, 21 aprile 1997, n. 380): il revirement giurisprudenziale si fonda su un criterio di ragionevolezza e sul principio costituzionale di buona amministrazione per cui non è tollerabile l’esercizio dissociato, addirittura contrastante, dei poteri che fanno capo allo stesso ente per la tutela di interessi pubblici distinti, specie quando tra questi interessi sussista un obiettivo collegamento, come è per le materie dell’urbanistica e del commercio.

5.3.4. Tale conclusione trova del resto riscontro nel d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114 ( Riforma della disciplina relativa al settore del commercio ) e succ. mod., il cui art. 7, relativo agli esercizi di vicinato, nella parte rimasta in vigore dopo le modifiche e le abrogazioni apportate con il d.lgs. n. 59 del 26 marzo 2010, impone al soggetto interessato il rispetto dei regolamenti edilizi e delle norme urbanistiche, oltre che di quelle relative alle destinazioni d’uso.

In ambito regionale, poi, va tenuto presente l’art. 15 della legge della Regione Campania n. 1 del 9 gennaio 2014 e succ. mod. ( Nuova disciplina in materia di distribuzione commerciale ), che contiene una previsione analoga in riferimento, tra l’altro, all’apertura degli esercizi di vicinato, soggetti alla SCIA.

Per comprendere se le regole ed i principi di cui sopra trovino applicazione nel caso di specie, che pur presenta delle peculiarità, occorre evidenziare, in fatto, i seguenti elementi, così come risultano dagli atti, secondo il loro ordine cronologico:

- il permesso a costruire n. 130 del 15 luglio 2005, rilasciato in favore della società Edilizia F.G.C. s.r.l. (oggi Edilizia F.G.C. S.p.A.), cui fa capo la titolarità dell’immobile nel quale si trovano i locali da adibire ad attività commerciale da parte del sig. C, è stato annullato in autotutela con provvedimento n. 1854 del 21 settembre 2009;

- detto provvedimento è stato impugnato dalla società Edilizia F.G.C. S.p.A. ed il ricorso è stato respinto con sentenza del TAR Campania, sez. VIII, depositata il 2 luglio 2015, n. 3483/15;

- la sentenza è stata appellata dalla società ricorrente ed il ricorso in appello, depositato il 26 febbraio 2016, iscritto col numero di registro 1542/2016, è tuttora pendente dinanzi alla IV sezione di questo Consiglio di Stato, senza che siano state adottati provvedimenti cautelari;

- in data 28 luglio 2016, pendente perciò tale ultimo giudizio, il sig. C Crescenzo, nella qualità di titolare della ditta individuale “Minimarket da Pina”, ha presentato segnalazione certificata di inizio di attività in materia di “minimercati ed altri esercizi non specializzati di alimentari vari” presso i locali siti in Orta di Atella, alla via Viggiano, P.co San Salvatore, s.n.c., già oggetto del permesso di costruire di cui sopra, nonché di certificato di agibilità con destinazione commerciale n. 36 del 20 gennaio 2007 (non fatto oggetto di provvedimenti in autotutela);

- il procedimento di verifica della s.c.i.a. è stato avviato in data 30 settembre 2016 nota prot. n. 15148 e si è concluso col provvedimento impugnato, prot. n. 21122 del 21 dicembre 2016, che nella motivazione richiama sia la sentenza del T.A.R. (erroneamente indicata col numero di iscrizione del ricorso) di rigetto del ricorso avverso il provvedimento di annullamento del permesso di costruire, sia il parere legale del 23 novembre 2016 (con cui si assume che il certificato di agibilità sia stato “travolto” dall’annullamento in autotutela del permesso di costruire), sia un precedente giurisprudenziale che afferma il principio -di cui si è detto sopra- che la “ legittimità urbanistica dei locali costituisce presupposto indefettibile del legittimo esercizio dell’attività commerciale ”;
disponene perciò annullamento della s.c.i.a. presentata in data 28 luglio 2016.

5.3.5. L’appello del Comune in sostanza si basa sull’applicazione del principio di cui si è appena detto (pur intrattenendosi più del necessario sulla non sanabilità dell’abuso e sull’impraticabilità dei rimedi, compresa la sanzione amministrativa, di cui all’art. 38 del d.P.R. n. 380 del 2001), oltre che sulla circostanza dell’avvenuta caducazione dell’agibilità dei locali.

L’appellato oppone diversi argomenti, che ricalcano quelli posti a fondamento della sentenza impugnata, che tuttavia vanno disattesi per le ragioni qui di seguito indicate.

5.3.5.1. Il provvedimento di annullamento del permesso di costruire n. 1854 del 21 settembre 2009, sebbene asseritamente illegittimo e impugnato in separato giudizio (al quale è estraneo l’appellato), è nondimeno efficace e non disapplicabile, per la stessa amministrazione e per il giudice amministrativo, finché non risulti annullato o sospeso nelle forme previste dall’ordinamento;
non può rilevare che in riferimento ad altri annullamenti in autotutela disposti dal Comune di Orta di Atella il giudizio di appello si sia concluso sfavorevolmente per l’ente locale, come sottolinea la difesa dell’appellato citando le relative decisioni di questo Consiglio di Stato (aventi i numeri 3996 e 3997 del 2016), poiché riferite a permessi di costruire ed a provvedimenti di annullamento riguardanti altri immobili ed altri soggetti;

5.3.5.2. Se è vero che, allo stato, non risultano adottate dagli organi competenti del Comune apposite sanzioni repressive dell’abuso che precludano in modo assoluto l’esercizio di un’attività commerciale (in particolare l’ordine di demolizione), riguardanti l’immobile abusivo nel quale si trovano i locali nella disponibilità dell’appellato, va considerato che nel caso di specie è fondamentale il dato -trascurato nella sentenza impugnata- che la presentazione della s.c.i.a. è di gran lunga successiva (2016) all’adozione del provvedimento di annullamento (2009), nonché al rigetto del ricorso avverso questo provvedimento da parte del T.a.r. (2015): quando l’attività commerciale è stata avviata l’immobile era già privo di permesso di costruire.

E’ vero perciò che la verifica della regolarità urbanistico-edilizia dei locali adibito a negozio è stata compiuta dopo l’inizio dell’esercizio dell’attività, ma si tratta di verifica avviata ai sensi dell’art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241: tale norma testualmente dispone che l’amministrazione deve procedere alla verifica dei requisiti e dei presupposti previsti dalla legge, in carenza dei quali vieta la prosecuzione dell’attività (comma 3, art. 19 cit.).

La norma, riferita al caso in esame, ha comportato che il Comune abbia dovuto controllare che i locali, dove avrebbe dovuto essere svolta l’attività commerciale oggetto della s.c.i.a., fossero, dal punto di vista urbanistico - edilizio, conformi a legge, giacché tale conformità si pone come un presupposto indispensabile per consentire lo svolgimento legittimo di un’attività che, per sua natura, coinvolge il pubblico. Constatata la carenza del presupposto, venuto meno in epoca precedente la presentazione dell’istanza di s.c.i.a. da parte del sig. C, il Comune non avrebbe potuto fare altro che impedire lo svolgimento dell’attività commerciale denunciata da quest’ultimo.

5.3.5.3. Si tratta di provvedimento vincolato, rispetto al quale non è invocabile la valutazione alla stregua dei principi di proporzionalità e ragionevolezza dell’azione amministrativa, soprattutto se si considera che l’appellato, pur essendo terzo rispetto alla vicenda inerente il permesso di costruire, non ha da invocare la tutela del proprio legittimo affidamento.

Infatti, prima di avviare l’attività commerciale avrebbe dovuto assicurarsi dell’idoneità dei locali da adibire allo scopo (fatto salvo quanto previsto nel contratto di locazione commerciale stipulato con la società proprietaria e locatrice F.G.C. Edilizia S.p.A., rilevante nei rapporti tra i soggetti contraenti, e in ambito di diritto privato), tenuto conto delle previsioni normative che ne richiedono la conformità alla normativa edilizia ed urbanistica – senza che rilevi che negli stessi locali fosse già esercitata altra attività commerciale, poiché autorizzata nei confronti di diversi soggetti.

5.3.5.4. Non rileva, ancora, il mancato ritiro, da parte del Comune di Orta di Atella, del certificato di agibilità dei locali con destinazione commerciale n. 36 del 20 gennaio 2007.

Per un verso è da ritenere, anche alla stregua dell’art. 24 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (secondo cui la richiesta di certificato di agibilità presuppone necessariamente la “conformità delle opere realizzate al progetto approvato”, dato che la richiesta deve essere corredata da una dichiarazione resa in tal senso dell’interessato), che sussista un collegamento funzionale tra i due provvedimenti, atteso che il rilascio del certificato di agibilità (e la formazione del relativo silenzio-accoglimento) presuppongono la conformità delle opere al permesso di costruire ed allo strumento urbanistico;
di guisa che va negato il rilascio del detto certificato nel caso di opera abusiva o difforme dal titolo abilitativo edilizio rilasciato (cfr. Cons. Stato, V, 16 ottobre 2013, n. 5025) e conseguentemente va anche ritenuto che la validità e l’efficacia del permesso di costruire possano condizionare quelle del certificato di agibilità.

Per altro verso tali conclusioni non sono infirmate dal fatto che il permesso di costruire ed il certificato di agibilità sono collegati a presupposti diversi e danno vita a conseguenze disciplinari non sovrapponibili, dato che il certificato di agibilità ha la funzione di accertare che l’immobile al quale si riferisce è stato realizzato nel rispetto delle norme tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli edifici e degli impianti (come espressamente recita l’art. 24 del Testo unico dell’edilizia), mentre il rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche è oggetto della specifica funzione del titolo edilizio, essendo stato sottolineato che “ i diversi piani possano convivere sia nella forma fisiologica della conformità dell’edificio ad entrambe le tipologie normative sia in quella patologica di una loro divergenza ” (così Cons. Stato, IV, 13 marzo 2014, n. 1220).

Il mancato ritiro del certificato di agibilità, così come non impedirebbe al Sindaco di reprimere gli abusi edilizi (cfr. Cons. Stato, V, 3 febbraio 1992, n. 87), nemmeno avrebbe potuto consentire l’esercizio dell’attività commerciale in immobile privo di permesso di costruire.

D’altronde, entrambe le ragioni –carenza di permesso di costruire e caducazione sopravvenuta del certificato di agibilità- sono poste a fondamento del provvedimento qui impugnato, ma la prima è, da sola, idonea a sorreggere l’adozione del provvedimento di annullamento della S.C.I.A. ai sensi dell’art. 19, comma 3, della legge n. 241 del 1990.

5.3.5.5. Infine tutti gli argomenti che fanno leva sull’art. 38 del d.P.R. n. 380 del 2001, sia a sostegno dell’accoglimento dell’appello (nel presupposto della sua inapplicabilità in ragione dei vizi di carattere sostanziale che avrebbero inficiato l’originario permesso di costruire) sia a sostegno del suo rigetto (nel presupposto che, comunque, si dovrebbero attendere le determinazioni da prendersi da parte della p.a. in merito alle conseguenze prodotte dall’annullamento del permesso di costruire, quindi si dovrebbe attendere anche l’adozione di provvedimenti espliciti in merito alla sanabilità dell’opera od all’applicabilità/inapplicabilità della sanzione ex art. 38 detto) risultano irrilevanti ed estranei al presente giudizio (ed, invece, più pertinenti rispetto a quello relativo all’impugnazione del provvedimento di annullamento, nel quale il Comune è ovviamente coinvolto).

Parimenti irrilevanti risultano i procedimenti amministrativi che si assumono avviati dalla FGG Edilizia S.p.A. volti a rimediare alle carenze urbanistiche poste a base dell’annullamento del permesso di costruire e le criticità che discendono da tale annullamento quali rappresentate anche nella nota prot. n. 1334 del 25 novembre 2016 del Responsabile del Servizio Urbanistica del Comune di Orta di Atella, richiamata dall’appellato.

L’attuale carenza di permesso di costruire impedisce che, allo stato, i locali che si trovano all’interno dell’immobile interessato dal provvedimento di annullamento del titolo abilitativo edilizio siano adibiti ad attività commerciali.

6.In conclusione, l’appello va accolto ed, in riforma della sentenza impugnata, va respinto l’originario ricorso proposto da C Crescenzo, in proprio e quale titolare della ditta individuale “Minimarket da Pina”.

Le spese di entrambi i gradi vanno eccezionalmente compensate in ragione della peculiarità del caso di specie e della conseguente novità delle questioni di diritto rilevanti per la decisione.

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