Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2015-10-23, n. 201504880

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2015-10-23, n. 201504880
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201504880
Data del deposito : 23 ottobre 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00433/2015 REG.RIC.

N. 04880/2015REG.PROV.COLL.

N. 00433/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 433 del 2015, proposto da
L R di Minasso Elena &
C. s.a.s. (in seguito, L R), rappresentata e difesa dagli avvocati R M, G S e F P, con domicilio eletto presso l’avv. F P in Roma, viale Maresciallo Pilsudski, 118;

contro

Comune di Imperia, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati A M e P P, con domicilio eletto presso l’avv. A M in Roma, Via Federico Confalonieri, 5;

nei confronti di

Agenzia del Demanio, n. c. ;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LIGURIA -GENOVA -SEZIONE I, n. 1605/2014, resa tra le parti, concernente diniego di condono edilizio - sospensione attivita' di somministrazione di alimenti e bevande -richiesta di risarcimento danni;

e sull’appello incidentale proposto da

Comune di Imperia, come sopra rappresentato e difeso,

contro

L R di Minasso, come sopra rappresentata e difesa,

per la riforma della sentenza in epigrafe, nella parte in cui è stato accolto il motivo basato sulla violazione degli articoli 35 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e 51 della l. reg. Liguria 6 giugno 2008, n. 16 ( Disciplina dell'attività edilizia ) e, per l’effetto, è stata annullata l’ingiunzione 2 agosto 2012, n. 233, nella parte in cui viene rivolto alla ricorrente l’ordine di rimozione delle opere abusive esistenti presso il chiosco bar “L R”;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto il “ controricorso e contestuale appello incidentale ” del Comune di Imperia;

Viste le memorie difensive;

Vista l’ordinanza della Sezione n. 1117 del 2015 di accoglimento dell’istanza di misure cautelari avanzata dall’appellante L R e, per l’effetto, di sospensione dell’esecutività della sentenza nella parte in cui è respinto il ricorso di primo grado, con conseguente accoglimento della domanda cautelare presentata e sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti impugnati in prime cure;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 6 ottobre 2015 il cons. Marco Buricelli e uditi per le parti gli avvocati Paoletti, per l’appellante, e Reggio d’Aci, in dichiarata delega di Manzi, per il Comune di Imperia;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso presentato nell’agosto del 2012 nei confronti del Comune di Imperia e dell’Agenzia del Demanio, la signora E M, quale socia accomandataria e legale rappresentante della società “L R di Minasso Elena e C. s. a. s. ” ha impugnato, dinanzi al Tribunale amministrativo regionale della Liguria: 1) il provvedimento dirigenziale del Comune n. 180 del 7 giugno 2012 con il quale è stata respinta l’istanza di condono edilizio per la sanatoria di opere realizzate su area demaniale sul lungomare di Imperia, in località Borgo Peri, 2) il provvedimento dirigenziale n. 181 del 7 giugno 2012 di sospensione dell’attività di somministrazione di alimenti e di bevande e 3) il provvedimento n. 233 del 2 agosto 2012 con cui è stato impartito l’ordine di rimuovere le opere abusive realizzate su suolo demaniale, consistenti nel chiosco bar di circa 16 mq. e nelle altre opere descritte nell’ordinanza, e di ripristinare lo stato dei luoghi entro 60 giorni, chiedendone l’annullamento e deducendo, a sostegno del ricorso, 13 motivi concernenti violazione di legge ed eccesso di potere sotto svariati profili.

L R ha chiesto anche l’accertamento del diritto al risarcimento dei danni ingiusti arrecati alla stessa dai provvedimenti impugnati e la conseguente condanna al ristoro dei medesimi da parte del Comune.

Con atto di motivi aggiunti proposto nel novembre del 2012 L R ha contestato l’ingiunzione di rimozione delle opere abusive in particolare laddove la ricorrente, estranea all’abuso, viene individuata quale destinataria dell’ordine di rimozione, anziché individuare nel soggetto responsabile dell’abuso il destinatario unico dell’ingiunzione, con conseguente illegittimità della stessa nella parte in cui è indirizzata alla Rabina.

Il Comune di Imperia si è costituito per resistere.

2. Il Tribunale amministrativo ha, dapprima, con ordinanza interlocutoria n. 324/2013, reiterata nel 2014, pronunciata sull’assunto che la vertenza è imperniata “ sull’accertamento dell’effettiva esecuzione dell’intervento edilizio assentito con concessione edilizia 12 gennaio 1981, n. 4/81 rilasciata…per l’installazione del chiosco prefabbricato a uso bar…” , disposto una verificazione, incaricando la Capitaneria di porto di Imperia, allo scopo di accertare se la concessione edilizia 12 gennaio 1981, n. 4, fosse stata eseguita, o no, in data antecedente all’11 maggio 1988, mediante la realizzazione delle opere assentite nella concessione stessa, non rilevando, a questo fine, le opere di carattere precario o stagionale. Quindi, a seguito del deposito della relazione di verificazione, con la sentenza impugnata:

-ha respinto i primi 13 motivi (v. parte in Diritto, da pag. 8 a pag. 14);

-ha accolto il “ motivo dedotto in aggiunzione ” rilevando “ come il sistema sia del testo unico dell’edilizia sia della legge regionale n. 16 del 2008 contempli come unico destinatario dell’ordine di demolizione dell’abuso realizzato su aree demaniali o di enti pubblici il responsabile dell’abuso (art. 35 d.p.r. 380/01 e art. 51 l.r. 16/08) (sicchè, una volta) accertata la sostanziale estraneità della ricorrente alla realizzazione dell’abuso l’amministrazione non poteva ingiungere la demolizione dell’opera nell’esercizio dei suoi poteri di vigilanza e repressione dell’abusivismo edilizio… ” .

3. L R ha appellato per le ragioni che saranno esposte in prosieguo.

4. Si è costituito per resistere il Comune il quale, nelle 52 pagine di “ controricorso e contestuale appello incidentale ”:

-ha illustrato gli antefatti del contenzioso e il giudizio di primo grado (da pag. 3 a pag. 17);

-ha preso posizione critica sui motivi d’appello, in relazione alle illegittimità riferite a tutti e tre i provvedimenti gravati in primo grado, e ha ribattuto all’istanza di risarcimento del danno (da pag. 18 a pag. 48);

-ha proposto appello incidentale contestando la sentenza nella parte in cui, in accoglimento del motivo aggiunto, ha annullato l’ordine di rimozione delle opere per cui è causa poiché “ il sistema sia del testo unico dell’edilizia sia della legge regionale 16/08 contempl(a) come unico destinatario dell’ordine di demolizione dell’abuso realizzato su aree demaniali o di enti pubblici il responsabile dell’abuso (art. 35 d.p.r. 380/01 e art. 51 l.r. 16/08) (sicchè, secondo il Tribunale amministrativo,) accertata la sostanziale estraneità della ricorrente alla realizzazione dell’abuso l’amministrazione non poteva ingiungere la demolizione dell’opera nell’esercizio dei suoi poteri di vigilanza e repressione dell’abusivismo edilizio… ” .

5. Questa Sezione, con l’ordinanza n. 1117 del 10 marzo 2015, ha accolto l’istanza di misure cautelari della Rabina, ex art. 98 Cod. proc. amm. e, per l’effetto, ha sospeso l’esecutività della sentenza nella parte in cui viene respinto il ricorso di primo grado, con conseguente accoglimento della domanda cautelare e sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti impugnati dinanzi al giudice di primo grado.

6. In prossimità dell’udienza di discussione le parti hanno illustrato le posizioni rispettive con memorie e, all’udienza del 6 ottobre 2015, l’appello principale e l’appello incidentale sono stati trattenuti in decisione.

7. L’appello della Rabina va respinto poiché infondato.

L sentenza impugnata, nella parte in cui sono stati rigettati i primi 13 motivi della ricorrente, resiste alle critiche che le sono state rivolte con l’atto di gravame.

Va invece accolto l’appello incidentale del Comune e, per l’effetto, in riforma parziale della decisione, va respinto in toto il ricorso di primo grado.

7.0. Dovere di sintesi e di semplificazione (arg. ex art. 3, comma secondo, Cod. proc. amm. ) impone di non ripercorrere in modo dettagliato la vicenda della Rabina (e del chiosco –bar realizzato sul lungomare di Imperia in località Borgo Peri in zona sottoposta a vincolo di tutela ambientale e panoramica) nel suo dipanarsi, dal rilascio della concessione edilizia del 12 gennaio 1981 alla signora Liberata D M, all’istanza di nuova concessione, per la realizzazione del chiosco, avanzata dalla stessa D M l’11 maggio del 1988;
dal rilascio della concessione edilizia ulteriore in data 15 luglio 1988, a favore sempre della D M, all’annullamento del titolo da parte della Provincia nel 1995;
dalla successiva concessione a eseguire i lavori, a valere anche come nulla osta ex art. 7 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, assentita nel marzo del 1997, all’annullamento dell’autorizzazione da parte della Soprintendenza nel novembre del 1997 alla diffida a rimuovere il manufatto adottata il 10 luglio del 1998 (e sospesa in sede giurisdizionale nell’ambito di un giudizio dichiarato perento nel 2010), alle cessioni d’azienda nel frattempo intervenute, alla presentazione, nel dicembre del 2004, da parte della ricorrente e odierna appellante, dell’istanza di condono edilizio ex decreto–legge 30 settembre 2003 n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 - Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici , riferita a: 1) tensostruttura in alluminio con copertura di tendone a forma di cupola di 93,50 mq., eretta su un battuto di cemento e ancorata al suolo con 4 basi di calcestruzzo pari a 0,40 mq. cadauna;
2) locale igienico con basamento di calcestruzzo su una superficie di ingombro di circa 1,44 mq.;
3) bancone in legno a forma di "U" delle dimensioni di 9,70 mq;
4) occupazione arbitraria di suolo demaniale marittimo per la posa di tavoli e sedie pari ad una superficie di circa 66,00 mq., delimitata da pannelli paravento in vetro e metallo verniciato verde aventi un'altezza di circa 1,45 ml. e 5) chiosco bar-prefabbricato di superficie pari a 15,75 mq. ;
al provvedimento dirigenziale del 7 giugno 2012 di ripulsa del condono, adottato previo parere negativo della Commissione locale per il paesaggio dato il 25 gennaio 2012, alla sospensione dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande, autorizzata nel 2002, disposta contestualmente al diniego di condono e all’ordine di rimozione delle opere abusive emesso e notificato il 2 agosto 2012 (oltre che all’atto del 23 dicembre 2014, estraneo, peraltro, al contenzioso odierno, col quale il Comune ha comunicato alla Rabina l’avvio del procedimento di decadenza della concessione demaniale marittima assentita l’11 novembre 2005).

Sullo snodarsi della vicenda, nei suoi “ segmenti amministrativi ” vi è chiarezza di posizioni tra le due parti costituite.

L’atto d’appello, nella sua parte in diritto, risulta strutturato su cinque motivi.

Con il primo e il secondo è dedotta l’erroneità della sentenza gravata con riferimento alla ritenuta legittimità del provvedimento dirigenziale n. 180 del 7 giugno 2012, di rigetto dell’istanza di condono edilizio presentata dalla Rabina nel dicembre del 2004.

Con il terzo motivo è criticata la decisione di primo grado in relazione al provvedimento del dirigente del Settore legale –contratti n. 181 del 7 giugno 2012, di sospensione temporanea dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande.

Il quarto motivo d’appello è diretto contro la sentenza impugnata nella parte in cui sono state respinte le censure indirizzate avverso il provvedimento dirigenziale n. 233 del 2 agosto 2012, recante ordine di rimozione delle opere abusive descritte nell’ingiunzione sopra citata.

Con il quinto motivo l’appellante reitera la richiesta di risarcimento dei danni sofferti a causa dei provvedimenti impugnati, “ come formulata nel ricorso introduttivo del giudizio e da intendersi qui integralmente riproposta ”.

7.1. Più in particolare, con riferimento al provvedimento dirigenziale n. 180 del 7 giugno 2012 di diniego di condono edilizio, assume rilievo cruciale la contestazione, riproposta nell’atto d’appello, che riguarda la prova piena sul se la concessione edilizia n. 4/1981 relativa al chiosco –bar sia stata attuata, con la realizzazione del manufatto, prima dell’11 maggio 1988, data in cui la signora D M ebbe a richiedere un novo titolo edilizio, oppure dopo l’11 maggio 1988.

A questo riguardo la ricorrente in primo grado aveva evidenziato che:

- il chiosco bar prefabbricato non riveste carattere abusivo, essendo stato oggetto di regolare concessione edilizia del 12 gennaio 1981, n. 4, valida ed efficace;

- l'esistenza di detto chiosco in epoca antecedente all'11 maggio 1988 (data in cui la signora Liberata D M aveva presentato una nuova richiesta di concessione edilizia) trova conferma in numerosi elementi documentali agli atti del Comune;

-la struttura attualmente esistente in loco presenta le stesse dimensioni e caratteristiche di quella a suo tempo assentita ai fini sia edilizi sia demaniali;

- a parte il dehors , spontaneamente rimosso dalla ricorrente, alcuni degli interventi oggetto di sanatoria (piccolo w.c., bancone in legno a forma di "U", pannelli paravento in vetro e metallo, tavoli e sedie posti a nord del chiosco), diversamente da quanto asserito dal Comune, non sono riconducibili alla tipologia 1 di cui all'allegato 2 del d. l. n. 269 del 2003, convertito con modificazione in l. n. 326 del 2003 (" opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistic i"), ma rientrano in tipologie edilizie sanabili e comunque non avrebbero comportato un aumento di volume, trattandosi di elementi di arredo privi di rilevanza edilizia ovvero costituenti, al più, opere di carattere accessorio.

L sentenza impugnata ha anzitutto condiviso l’argomentazione difensiva comunale riferita all’esigenza di considerare unitariamente il complesso costituito dal chiosco e dalle opere qualificate, dalla ricorrente e odierna appellante, come “ minor i”, affermando che il complesso va inteso in modo unitario e che nessuna delle opere “ minori ” lo è effettivamente, determinando le stesse un’evidente trasformazione edilizia del territorio per l’innanzi inedificato (statuizione questa non contestata con l’appello).

Ma soprattutto in sentenza è stato rilevato che, sul nodo fondamentale della vicenda, vale a dire quello del chiosco, “ le risultanze dell’istruttoria paiono avere fatto chiarezza evidenziando come non vi sia prova che il manufatto in questione sia stato realizzato prima dell’11 maggio 1988 data di richiesta di un nuovo titolo edilizio ”.

A sostegno delle conclusione suddetta il Tribunale amministrativo ha richiamato:

- gli esiti della verificazione eseguita dalla Capitaneria di Porto;

- quanto confessoriamente ammesso dalla signora D M nella richiesta di concessione edilizia dell’11 maggio 1988, laddove ha affermato di non aver potuto dare corso ai lavori assentiti a mezzo della concessione edilizia n. 4/81 del 12 gennaio 1981 per motivi indipendenti dalla sua volontà;

- la documentazione fotografica acclusa alla detta richiesta, dalla quale " si può evincere indubitabilmente l'assenza di manufatti sul sedime in questione ";

- la circostanza che la ricorrente abbia chiesto il condono delle opere in questione, con ciò rendendo evidente la propria consapevolezza in ordine alla natura abusiva delle stesse.

Né, del resto, in sentenza si è ritenuto di attribuire rilievo, in senso contrario alla posizione comunale, alle affermazioni contenute nella nota del Comune –Settore porti e demanio marittimo, 25 giugno 2012, prot. n. 21404, secondo cui esisterebbero immagini che ritraggono l'opera nel 1997 e nel 1988, trattandosi di foto da un lato irrilevanti in quanto di molto successive al periodo d’interesse e dall’altro scattate nell’agosto del 1988, ossia in epoca successiva al rilascio della concessione edilizia.

Secondo la sentenza è poi ininfluente la circostanza che siano stati rilasciati titoli per l'occupazione del sedime demaniale posto che, premessa doverosamente l’autonomia dei due profili, l'occupazione ben potrebbe essersi concretizzata nella realizzazione di opere precarie e stagionali, come tali irrilevanti ai fini di causa.

In base a queste argomentazioni considerate nel loro insieme il Tribunale amministrativo ha respinto i primi due motivi di ricorso poiché, “ accertato che il chiosco è stato realizzato nella vigenza del titolo edilizio 15 luglio 1988, poi annullato dalla Provincia, e del successivo titolo edilizio 16 marzo 1997 n. 353, poi annullato anch'esso dalla Soprintendenza, deve concludersi per l’assenza di qualsivoglia titolo legittimante il manufatto ”.

L’appellante contesta tuttavia la correttezza delle conclusioni alle quali è pervenuto il giudice di primo grado sostenendo che esse scaturiscono, da un lato, da una " non corretta lettura della relazione della Capitaneria di Porto di Imperia " e dall’altro lato " dalla omessa considerazione degli altri, rilevanti documenti probatori acquisiti in giudizio ".

Per quel che concerne la relazione della Capitaneria, con l’appello si sostiene che essa non ha fornito elementi decisivi in ordine alla verificazione che le era stata demandata, essendosi limitata a segnalare che “ non sussistono elementi sufficienti che consentano di poter affermare con certezza che la concessione edilizia n. 4 del 12 gennaio 1981 sia stata effettivamente eseguita dalla signora D M Liberata in data antecedente all'11 maggio 1988" , e avendo dato atto nella propria relazione che:

- " la concessione demaniale marittima relativa al posizionamento e mantenimento del chiosco -bar in questione è stata sistematicamente rinnovata da questa Capitaneria di Porto dal 1981 al 1988";

- "agli atti dell'ufficio è presente un rilievo fotografico aereo del litorale di giurisdizione datato 10 agosto 1988 "Litorale da Imperia (Foce) - Cervo", data successiva a quella di interesse, nel quale si nota la presenza di un manufatto ubicato proprio in Via A. S. Novaro ad Imperia…

Pertanto, prosegue l’appellante, la Capitaneria non ha affatto escluso che il chiosco bar sia stato installato in epoca anteriore al 1988, essendosi limitata a segnalare l'assenza di elementi sufficienti per affermare con certezza tale circostanza e dando atto del costante rinnovo, negli anni, della concessione demaniale marittima relativa al posizionamento e al mantenimento del chiosco medesimo, rinnovo che non avrebbe avuto senso qualora fosse stato riscontrato il mancato esercizio dell'attività da parte dell'interessata.

Sotto un diverso profilo, la sentenza avrebbe trascurato altri elementi probatori forniti dalla ricorrente e basati su:

-rilievi aerofotogrammetrici e fotografie agli atti del Comune;

-concessioni demaniali marittime rilasciate in quegli anni dalla Capitaneria di Porto di Imperia alla signora Liberata D M, nelle quali si fa espresso riferimento all'installazione di un chiosco bar prefabbricato;

-licenze di pubblico esercizio e inerenti autorizzazioni sanitarie;

-accatastamento;

-riprese aeree effettuate dalla Regione Liguria nel settembre del 1983;

-dichiarazioni di notorietà rese da persone che in quegli anni frequentavano la passeggiata a mare di Imperia;

-istanza 20 maggio 1987 con la quale la signora D M aveva chiesto la licenza di pubblico esercizio per un chiosco bar, facendo presente " di essere in possesso della prescritta Licenza edilizia" , ossia quella del 1981;

-nota del Comando dei Vigili Urbani di Imperia 22 ottobre 1987, relativa a un sopralluogo effettuato a seguito della suddetta istanza e nella quale si dà atto dell'esistenza del chiosco in questione a tale data.

Le considerazioni riassunte sopra non appaiono al Collegio fondate.

Risultano plausibili, e vanno confermate, le argomentazioni e la statuizione conclusiva della sentenza sul punto, e ciò anche alla luce delle deduzioni aggiuntive svolte dall’appellato.

E infatti:

-in via preliminare è il caso di precisare che, per consolidata giurisprudenza, secondo il criterio della vicinanza della fonte e dei mezzi di prova alla sfera delle rispettive parti processuali, sull’argomento, non privo di somiglianze rispetto alla questione odierna, che attiene alla prova della data dell’ultimazione di un manufatto abusivo al fine di ottenere il condono edilizio, la prova stessa grava sul soggetto che richiede la sanatoria (in questo senso, ex multis , Cons. Stato, IV, 10 giugno 2014, n. 2962 e Sez. VI, 20 marzo 2012, n. 1563) sicché, in difetto di elementi sufficienti per sostenere la tesi prospettata dal privato, il giudice non può che pronunciarsi in senso favorevole all'Amministrazione che abbia negato il provvedimento richiesto. E’ quindi anche alla luce di questo criterio che andrà vagliato il motivo d’appello;

- la relazione di verificazione della Capitaneria di Porto di Imperia, richiesta dal Tribunale amministrativo con ordinanza istruttoria n. 324 del 2013 allo scopo di accertare con esattezza se il chiosco fosse stato realizzato in attuazione della concessione edilizia n. 4/1981 (in base alla quale, all’epoca, ex art. 4 della l. 28 gennaio 1977, n. 10, i lavori dovevano essere ultimati entro tre anni), ossia se la concessione edilizia sopra citata fosse stata eseguita prima dell’11 maggio 1988 con la realizzazione delle opere nella stessa assentite, non rilevando a questo fine le opere precarie e stagionali, riveste comunque una funzione assai significativa ai fini della soluzione da dare alla controversia;

- con detta relazione, sia pure entro un contesto oggettivamente non privo di incertezze, è stato osservato come non sussistessero elementi sufficienti che consentissero di poter affermare con certezza che la concessione edilizia n. 4 del 12 gennaio 1981 fosse stata effettivamente eseguita dalla signora D M prima dell’11 maggio 1988;

- tuttavia il contenuto della relazione della Capitaneria di porto non costituisce affatto l’unico elemento sul quale la sentenza -in modo, come detto, plausibile- ha fondato la propria decisione di rigetto, essendo state richiamate, dal Tribunale amministrativo, le seguenti, ulteriori circostanze, ricavabili dagli atti di causa:

- anzitutto, quanto confessoriamente ammesso dalla signora D M nell’istanza di concessione edilizia dell’11 maggio 1988, laddove ebbe ad affermare di non aver potuto dare corso ai lavori assentiti a mezzo della concessione edilizia n. 4/81 del 12 gennaio 1981 per motivi indipendenti dalla sua volontà;

- la documentazione fotografica allegata alla richiesta suddetta, dalla quale " si può evincere indubitabilmente l'assenza di manufatti sul sedime in questione" ;

- il fatto che la ricorrente abbia chiesto il condono edilizio del chiosco e delle altre opere indicate nell’istanza del 9 dicembre 2004 con ciò rendendo manifesta la propria consapevolezza sulla natura abusiva delle opere stesse;

-l’autonomia tra il profilo della legittimità edilizia e quello attinente alla concessione per l’occupazione di area demaniale, con conseguente esclusione della rilevanza dell'intervenuto rilascio di titoli per l'occupazione dell’area demaniale, evidenziandosi in modo corretto come " verosimilmente nella specie l'occupazione si sia concretizzata nella realizzazione di opere precarie e stagionali".

D’altra parte, i rilievi dell’appellante, anche nella parte in cui sono poste in risalto le note sopra citate del Comando dei Vigili Urbani di Imperia del 22 ottobre 1987 e del Settore Porti e Demanio del 25 giugno 2012 non appaiono sufficienti per sovvertire le argomentazioni e la statuizione finale del Tribunale amministrativo sul punto.

Più in particolare, come rilevato dal Comune in modo persuasivo, e comunque plausibile, in aggiunta agli argomenti per così dire “forti”, recepiti in sentenza e riprodotti sopra:

- l’accatastamento non è legato alla regolarità urbanistica dell’immobile;

- la circostanza che esistano foto risalenti all’agosto del 1988 le quali raffigurano il chiosco non è decisiva per dirimere la controversia nel senso voluto dall’appellante posto che la seconda concessione edilizia ottenuta dalla signora D M porta la data del 15 luglio 1988 sicché, venendo in questione un semplice chiosco installabile in tempi brevi, non appare ostativa all’accoglimento della tesi del Comune l’esistenza di fotografie che ritraevano il manufatto sin dal mese di agosto del 1988, ben potendosi ritenere che il chiosco sia stato innalzato dopo l’assenso comunale del 15 luglio 1988;

-dal riferimento, contenuto nelle concessioni demaniali marittime assentite alla D M, alla “installazione” di un chiosco bar prefabbricato non può desumersi con un elevato grado di attendibilità che detto fabbricato sia stato effettivamente realizzato. Il rilascio di più titoli, nel corso degli anni, per 1' installazione — anziché per il solo mantenimento — del chiosco può essere elemento che anche dal punto di vista lessicale depone a favore della tesi del Comune secondo la quale, al momento del rilascio delle suddette concessioni, il manufatto in questione, ferma l’irrilevanza di opere precarie e stagionali, non era ancora stato costruito;

- quanto al rilievo secondo cui la signora D M avrebbe continuamente rinnovato la concessione demaniale, pagando il relativo canone, senza avere installato, utilizzato e mantenuto il chiosco, non implausibilmente l’appellato osserva che la stessa cedente potrebbe avere svolto la propria attività attraverso opere precarie e stagionali necessitanti, come tali, di periodiche re -installazioni;

- il rilascio, negli anni, di svariate licenze di somministrazione di alimenti e di bevande può trovare una spiegazione attendibile nella circostanza che l’esecuzione della diffida a demolire del 10 luglio 1998 (sulla quale v. sopra, p. 7.0) è rimasta sospesa in via cautelare per dodici anni per effetto dell'ordinanza del Tribunale amministrativo regionale della Liguria n. 529/1998 fino al decreto di perenzione pronunciato nel 2010, anche nelle more del procedimento per il rilascio del condono edilizio, iniziato nel 2004, sicché non v'era ragione per negare la concessione delle licenze;

- le riprese aeree prodotte da parte ricorrente nel giudizio di primo grado si concretizzano in una foto tutt’altro che nitida. Inoltre, non vi è modo di stabilire con certezza se si tratta, o no, del medesimo fabbricato per cui è causa, o di una struttura diversa;

- con riferimento alle dichiarazioni sostitutive di atti di notorietà prodotte dalla ricorrente, odierna appellante –il cui contenuto è contestato in maniera recisa dal Comune, trattandosi di dichiarazioni in conflitto con risultanze preminenti di segno opposto-, va osservato che le dichiarazioni stesse, secondo la giurisprudenza amministrativa, “…non hanno alcun valore certificativo o probatorio nei confronti della P.A. e non possono avere alcuna rilevanza, neppure indiziaria, nel processo civile o amministrativo (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 29 maggio 2014, n. 2782 )” (così, Cons. Stato, sez. V, 4 agosto 2014, n. 4134);

- l'affermazione della ricorrente " di essere in possesso della prescritta licenza edilizia " non prova di per sé sola che il manufatto, all'epoca, fosse già stato effettivamente edificato;

- quanto alla asserita svalutazione, in sentenza, della portata della nota del Dirigente Settore Porti e Demanio n. 21404 del 25 giugno 2012, da un lato, gli elementi aggiuntivi “messi accanto” alla nota stessa, come si è visto sopra non risultano dirimenti ai fini del decidere;
dall’altro, anche le foto richiamate nella nota, che riproducono l’opera nel 1997 e nel 1988, di per sé considerate, non sono risolutive poiché, come rilevato in sentenza, le prime sono irrilevanti in quanto assai successive al periodo d’interesse e le seconde, stando alla relazione di verificazione, sarebbero state scattate il 10 agosto 1988, “ quindi successivamente al rilascio del titolo ”. Senza sottacere infine la circostanza che la nota dell’Ufficio Porti risulta emessa “ per quanto di propria competenza ”, e quindi non sotto il profilo edilizio;

- per ciò che riguarda infine la nota del Comando dei Vigili Urbani di Imperia del 22 ottobre 1987, manca la prova piena che il chiosco ivi indicato corrisponda a quello per cui è causa e non a una struttura precaria e stagionale.

Va dunque condivisa la conclusione del giudice di primo grado circa “ l’assenza di qualsivoglia titolo ” legittimante la realizzazione del manufatto.

Da ciò consegue le reiezione del primo motivo d’appello.

7.2. Sempre con riferimento alla contestazione del provvedimento di diniego di condono edilizio, la sentenza impugnata ha respinto il III e il IV motivo di ricorso, riferiti in particolare al parere sfavorevole dato dalla Commissione locale per il paesaggio il 25 gennaio 2012, ritenuto viziato per insufficiente motivazione, incompetenza e inosservanza del termine per l’espressione del parere, in quanto intervenuto più di sette anni dopo la presentazione dell’istanza di condono, statuendo che:

- la motivazione del provvedimento è ampiamente diffusa, non limitandosi al mero recepimento del parere della Commissione locale per il paesaggio, e in ogni caso non ci sono state sovrapposizioni, essendosi la Commissione limitata a prendere atto di una causa ostativa al condono;

-una volta accertato che il chiosco non era assentito, dal che discende la sua sicura rilevanza in termini volumetrici e la sua non condonabilità, neppure può ritenersi apodittica ovvero infondata la motivazione che sorregge il parere della Commissione;

- il termine per l'espressione del parere da parte della Commissione “ non è perentorio e non è legato ad alcun meccanismo di silenzio assenso ";

- del resto, “ la ricorrente non ha interesse a dedurre la censura, avendo la stessa lucrato sul ritardo dell'amministrazione" .

Nell’atto d’appello L R ribadisce e rimarca che:

- il parere della Commissione risulta immotivato in quanto non spiega perché tutte le opere oggetto di sanatoria costituirebbero nuova volumetria e, come tali, non sarebbero ammissibili;

- alla detta Commissione spettano solo funzioni consultive attinenti alla compatibilità ambientale dell'intervento. Essa, pertanto, non poteva estendere il proprio giudizio a profili urbanistico -edilizi esulanti dalle sue competenze;

- la Commissione si è pronunciata sulla pratica soltanto nel gennaio del 2012, vale a dire a distanza di oltre sette anni dalla domanda di condono. Da un lato, detto ritardo incide sulla regolarità del procedimento. Dall’altro, la ricorrente ha interesse a dedurre tutti i vizi che, come nella specie, inficiano la legittimità degli atti comunali.

Per respingere l’articolato motivo d’appello come sopra riassunto è decisivo ribadire in primo luogo che il diniego di condono edilizio risulta ampiamente motivato con riferimento a rilievi autonomi e molto più circostanziati rispetto alla considerazione espressa dalla Commissione in sede consultiva.

Nel provvedimento dirigenziale del 7 giugno 2012 si evidenzia infatti che le opere abusive ricadono in area demaniale, zona FC litorale sottoposta a vincolo ambientale ex d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, e rientrano nella tipologia 1 di abuso ex allegato 1 alla legge n. 326 del 2003. Né si ricade nei casi sottoponibili a sanatoria di cui all’art. 4 della legge regionale 29 marzo 2004, n. 5 - Disposizioni regionali in attuazione del decreto legge 30 settembre 2003 n. 269, convertito dalla legge 24 novembre 2003 n. 326 e modificato dalla legge 24 dicembre 2003 n. 350, concernenti il rilascio della sanatoria degli illeciti urbanistico – edilizi , poiché non viene in rilievo né un mutamento di destinazione d’uso, né un ampliamento di superficie o di volume di un fabbricato assentito, e neppure un’opera eseguita nel periodo che precede il 1° settembre 1967.

Ciò posto, la motivazione del parere della Commissione locale per il paesaggio è nulla più che uno dei molteplici elementi considerati dal dirigente emanante in sede di valutazione dell’istanza di condono.

Essa è effettivamente sufficiente e congrua poiché s’impernia su una circostanza, vale a dire la realizzazione di una nuova volumetria, di per sé ostativa ex lege ai fini della sanatoria.

Detta circostanza risulta essere stata segnalata alla Commissione dall’Ufficio Condono nella propria relazione: rispetto a essa non occorreva, evidentemente, fornire delucidazioni particolari.

Per la stessa ragione spiegata sopra non colpisce nel segno il rilievo dell’appellante per cui la Commissione non poteva estendere il proprio giudizio ai profili urbanistico –edilizi, esulanti dalle sue competenze non avendo, come detto, la Commissione, formulato alcuna valutazione sul punto, ma essendosi limitata a prendere atto di una ragione oggettivamente ostativa all’accoglimento della istanza, segnalata dal competente Ufficio Condono.

Bene quindi in sentenza è stata considerata sufficiente e congrua la motivazione del parere della Commissione, fondata sulla configurabilità delle opere come “ nuove volumetrie ”, come tali “ non ammissibili ai sensi della normativa sul condono ”.

Così operando, la Commissione non ha travalicato le proprie funzioni, fermo restando che le autonome considerazioni svolte dal dirigente sulla non conformità urbanistica di quanto realizzato appaiono assorbenti rispetto al dedotto vizio d’incompetenza: ciò anche alla luce di quello che da taluni si chiama “ atto plurimotivato ”, nel senso che alla luce del principio giurisprudenziale della ragione sufficiente, come riferito all’atto plurimotivato, è sufficiente la legittimità di una sola delle motivazioni .

E ugualmente corrette sono le considerazioni del Tribunale amministrativo secondo le quali il termine di 120 giorni previsto dall’art. 5, lett. a), della legge regionale 29 marzo 2004, n. 5, norma in base alla quale “ i comuni, al fine del rilascio del parere di cui all'articolo 32 della l. 47/1985 e successive modificazioni relativamente alle opere abusive oggetto di istanza di sanatoria inerenti immobili assoggettati a vincolo paesistico-ambientale … a) sono tenuti ad acquisire il conforme avviso della Commissione Edilizia integrata entro il termine di centoventi giorni dalla data di presentazione della domanda di sanatoria” , non è perentorio, dato che non è qualificato come tale e non è prevista la formazione del silenzio -assenso, in relazione alle istanze di condono edilizio, allo scadere del termine suddetto. Ciò è sufficiente per considerare meramente sollecitatorio il termine medesimo.

Né l’appellante ha precisato quale sia l’interesse a sollevare il profilo di censura.

Al contrario, come in modo corretto è stato affermato in sentenza, L R si è avvantaggiata a lungo del ritardo con cui è stato dato il parere, ritardo che le ha consentito in concreto “ di proseguire indisturbata per molti anni nella gestione del proprio esercizio ”.

7.3. Con il terzo motivo d’appello L R deduce l’erroneità della sentenza nella parte in cui sono stati respinti i motivi, dal V all’VIII, proposti contro il provvedimento del dirigente del Settore legale –contratti n. 181 del 7 giugno 2012 di sospensione dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande.

Nel ricorso di primo grado L R aveva rilevato, in sintesi:

- l’invalidità della disposta sospensione dell’attività, derivata dall’illegittimità del diniego di condono edilizio;

- violazione di legge ed eccesso di potere sotto plurimi profili in quanto da un lato l’attività di somministrazione di alimenti e di bevande era stata a suo tempo assentita e, dall’altro, l’art. 55 della legge regionale Liguria 3 gennaio 2007 n. 1 ( Testo unico in materia di commercio ), il quale subordina l’esercizio dell’attività di somministrazione di alimenti e di bevande al rispetto, tra le altre, della normativa edilizia, riguarderebbe i nuovi esercizi e non quelli già autorizzati alla data della entrata in vigore della legge citata;

- violazione di legge sotto aspetti ulteriori, in particolare con riguardo all’art. 21- nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, ed eccesso di potere sotto svariati profili poiché, muovendo dall’assunto che la sospensione dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande costituisca provvedimento adottato in autotutela, l’esercizio di quest’ultima non sarebbe stato sorretto da una motivazione adeguata sulla sussistenza di ragioni sufficienti d’interesse pubblico tali da indurre a sospendere l’attività a distanza di diversi anni;

- violazione di legge e dei principi generali in tema di azione amministrativa ed eccesso di potere sotto aspetti molteplici, poiché il rilascio dell’autorizzazione all’attività di somministrazione presuppone e implica la legittimità, sotto il profilo edilizio, del chiosco in cui la detta attività si svolge.

In sentenza è stato osservato che:

- dal rigetto dei motivi proposti contro il diniego di condono edilizio discende l’infondatezza della censura d’invalidità derivata riferita al provvedimento di sospensione in argomento;

- l’art. 55 della citata l. reg. n. 1 del 2007 subordina l’esercizio dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande al rispetto tra le altre della normativa edilizia e trova applicazione non solo con riguardo alle autorizzazioni assentite dopo la sua entrata in vigore dato che, opinando come vorrebbe l’appellante, ne conseguirebbe “ una irrazionale disparità di trattamento di situazioni sostanzialmente simili ”;

-una volta accertata l’abusività delle opere “ non era necessaria una particolare motivazione per ordinare la sospensione dell’attività di somministrazione ”;

-non convince il rilievo per cui l’avvenuto rilascio delle autorizzazioni per la somministrazione di alimenti e bevande implicherebbe di per sé l’accertamento della legittimità del manufatto in cui l’attività è esercitata, atteso che “ la regolarità edilizia è il presupposto per l’esercizio dell’attività di somministrazione ma l’avvenuto rilascio dell’autorizzazione non vale a legittimare un’opera abusiva, stante il distinto oggetto delle valutazioni poste in essere dall’amministrazione. Nella specie, peraltro –prosegue la sentenza- “ le iniziative repressive degli abusi edilizi poste in essere dall’amministrazione sono state sospese per effetto di pronunce giurisdizionali cautelari e della presentazione dell’istanza di condono onde il rilascio delle autorizzazioni alla somministrazione di alimenti e bevande vieppiù appare inidonea a consentire qualsiasi inferenza in ordine alla legittimità delle opere per cui è causa ”.

Con l’appello sono contestate argomentazioni e statuizioni della sentenza sui punti suindicati.

L’appellante ribadisce e ripropone quanto esposto dinanzi al Tribunale amministrativo, con particolare riferimento alla violazione dell’art. 55 della legge regionale n. 1 del 2007, il quale non troverebbe applicazione per gli esercizi già autorizzati prima dell’entrata in vigore della legge stessa.

Nell’appello si insiste poi sulla qualificazione del provvedimento dirigenziale n. 181/2012 come determinazione adottata in via di autotutela.

Se così è, detto atto doveva essere supportato da una motivazione adeguata, in realtà mancante, circa l’effettiva sussistenza di un interesse pubblico specifico che rendesse necessario sospendere l’attività di somministrazione a distanza di anni.

I rilievi sopra riassunti non possono trovare accoglimento.

L sentenza va confermata anche su questo punto.

E infatti:

- le considerazioni svolte ai punti 7.1. e 7.2., sulla conferma della sentenza nella parte che riguarda il rigetto dei motivi proposti contro il diniego di condono edilizio, preclude l’accoglimento del motivo d’illegittimità derivata riferito alla sospensione dell’attività di somministrazione di alimenti e di bevande;

-sui rapporti tra regolarità urbanistico –edilizia dell’opera e legittimità dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande, richiamato quanto osservato sopra sulla “condizione d’illegittimità, sul piano edilizio”, del chiosco:

- è il caso di precisare, in primo luogo, che l’art. 55, comma 4, della citata l. reg. n. 1 del 2007 stabilisce che “ è fatto obbligo a tutti i soggetti che svolgono attività di somministrazione di alimenti e bevande di esercitarla nel rispetto delle vigenti norme, prescrizioni e autorizzazioni in materia edilizia, urbanistica, igienico-sanitaria, di sicurezza alimentare e di inquinamento acustico, sulla destinazione d'uso dei locali nonché delle norme in materia di sicurezza e prevenzione incendi e, qualora trattasi di esercizi aperti al pubblico, di sorvegliabilità” .

Il comma 5 dispone che “ il rispetto delle disposizioni di cui al comma 4 è richiesto ai fini dell'esercizio dell'attività, che rimane precluso in assenza di esso, ma non condiziona il rilascio dell'autorizzazione” .

Il comma 6 prevede che “ entro centottanta giorni dal rilascio dell'autorizzazione, salvo proroga in caso di comprovata necessità e comunque prima di dare inizio all'attività di somministrazione, il titolare deve porsi in regola con le disposizioni di cui al comma 4 ”;

- non pare superfluo rammentare che, anche prima dell'entrata in vigore di dette disposizioni, l'art. 3, comma 7, della legge 25 agosto 1991, n. 287 ( Aggiornamento della normativa sull'insediamento e sull'attività dei pubblici esercizi ) stabiliva che " le attività di somministrazione di alimenti e di bevande devono essere esercitate nel rispetto delle vigenti norme, prescrizioni e autorizzazioni in materia edilizia, urbanistica e igienica-sanitaria, nonché di quelle sulla destinazione d'uso dei locali e degli edifici, fatta salva l'irrogazione delle sanzioni relative alle norme e prescrizioni violate ";
e che la giurisprudenza amministrativa ha in molteplici occasioni riconosciuto che la regolarità urbanistico –edilizia dell'opera condiziona l’esercizio dell'attività commerciale all'interno di essa, anche perché opinare in senso contrario significherebbe eludere le sanzioni previste per la repressione degli illeciti edilizi. In particolare, è stato affermato che la stretta connessione tra materie del commercio e dell’urbanistica ha indotto il legislatore del 1991 a indicare il medesimo fatto quale presupposto per l’esercizio di poteri propri sia della materia dell’urbanistica e sia di quella del commercio, con la conseguente inibizione, per l’autorità amministrativa, di assentire l’attività nel caso di non conformità della stessa alla disciplina urbanistico –edilizia (Cons. Stato, sez. V, 17 ottobre 2002, n. 5656 e 28 giugno 2000, n. 3639);

-non appare condivisibile il rilievo dell’appellante secondo cui l’art. 55, comma 4, della l. reg. n. 1 del 2007 non si applicherebbe agli esercizi già autorizzati prima dell’entrata in vigore della stessa legge. Il requisito della conformità alla normativa urbanistico –edilizia dell’immobile in cui è svolta l’attività di somministrazione di alimenti e bevande, attenendo all’esercizio e quindi anche alla prosecuzione dell’attività, non vale solo per gli esercizi assentiti dopo l’entrata in vigore della disciplina regionale del 2007 ma si applica anche agli esercizi autorizzati prima, “pena una irrazionale disparità di trattamento di situazioni sostanzialmente simili”;

-sulla critica per la quale il Comune avrebbe dovuto, non disporre la chiusura dell’intero esercizio ma soltanto, ove del caso, vietare l’utilizzo del dehors , è sufficiente fare rinvio sopra, al p. 7.1.;

- sulla qualificazione della sospensione della licenza di somministrazione di alimenti e bevande quale atto di autotutela, come tale motivato in modo insufficiente in ordine alla valutazione di prevalenza dell’interesse pubblico sull’interesse privato del destinatario, leso dalla sospensione stessa, colpisce nel segno il Comune appellato laddove osserva che il provvedimento non si atteggia ad atto di esercizio di autotutela rispetto a determinazioni precedenti e, quindi, non implica l’enunciazione delle ragioni d’interesse pubblico prevalenti sull’interesse privato del destinatario. Nel caso in esame la sospensione dell’attività deriva in via diretta dall’avvenuta constatazione della non conformità urbanistico –edilizia delle opere per le quali era stato richiesto il condono, circostanza di per sé sufficiente a impedire, ex art. 55 della l. reg. n. 1 del 2007, la prosecuzione dell’attività;
la sospensione si pone come effetto diretto che scaturisce dalla conclusione del procedimento di sanatoria, sicchè una volta accertata la natura abusiva dei manufatti non occorreva alcuna particolare motivazione in relazione alle esigenze di interesse pubblico che giustificavano l'adozione della misura. Inoltre, in modo condivisibile l’appellato puntualizza che non è il rilascio, di suo, della licenza di somministrazione di alimenti e bevande, in base alla legge regionale, a essere subordinato alla regolarità urbanistico –edilizia dell'immobile — elemento che condiziona invero solo la prosecuzione dell'attività all'interno dei locali e che comporta la sospensione della licenza — , sicché anche sotto detto profilo non può essere condivisa la tesi per cui la P. A. avrebbe fatto esercizio del potere di autotutela eliminando un proprio precedente atto da considerarsi illegittimo. Al contrario, la licenza, quando venne concessa, era legittima e la sua sospensione è correlata in via immediata e diretta all’accertamento, sopravvenuto e definitivo, dell'abuso edilizio. Il presupposto argomentativo dal quale prende le mosse l’appellante non può insomma essere condiviso e le conclusioni che se ne traggono sono erronee;

- sul preteso affidamento meritevole di tutela, correttamente l’appellato afferma che la ricorrente e odierna appellante era consapevole della situazione "precaria" connessa al chiosco e alle altre componenti edilizie nelle quali ella esercita la propria attività, considerando anche che, come detto sopra, al p. 7.0., è rimasto pendente per parecchi anni un ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale della Liguria avverso un precedente ordine di rimozione adottato nel 1998 –e sospeso in via cautelare per dodici anni fino al decreto di perenzione del 2010-, e la stessa signora Minasso nel 2004 aveva presentato istanza di condono edilizio. In questo contesto, da una parte non pare configurabile alcuna situazione di affidamento qualificato meritevole di tutela (nei termini in cui mai possa valere in questa materia), e dall’altra non si vede come il Comune avrebbe potuto negare l’assenso alla somministrazione;

-né il rilascio dell’autorizzazione all’attività presuppone e implica il riconoscimento della regolarità urbanistico –edilizia dell’opera dato che, in base all’art. 55, quinto comma, della l. reg. n. 1 del 2007, il rilascio della licenza non è subordinato all’osservanza delle prescrizioni urbanistico –edilizie, requisito che è verificato solo in un secondo momento e che, nel caso di accertata difformità, comporta il divieto di prosecuzione dell’attività. Bene quindi il Tar ha respinto il motivo sul rilievo che “ la regolarità edilizia è il presupposto per l’esercizio dell’attività di somministrazione ma l’avvenuto rilascio dell’autorizzazione non vale a legittimare un’opera abusiva… ”.

7.4. Con il quarto motivo d’appello sono riproposte le censure di primo grado, dalla IX alla XIII, esaminate e respinte dal Tribunale amministrativo, rivolte dalla Rabina contro il provvedimento dirigenziale n. 233 del 2 agosto 2012 recante ordine di rimuovere i manufatti abusivi realizzati su suolo demaniale, consistenti nel chiosco bar e nelle altre opere descritte nell’ordinanza, e di ripristinare lo stato dei luoghi entro 60 giorni.

In sentenza, nel respingere le censure, è stato osservato che:

-quanto al IX motivo, l’invalidità derivata dell’ordine di ripristino non sussiste;

- il X motivo, basato sull’asserita illegittimità di un ordine di rimozione avente a oggetto un chiosco bar da considerarsi regolarmente assentito in forza di una concessione edilizia del 1981, va respinto stante l’assenza di un titolo edilizio idoneo a legittimare il chiosco;

- l’XI motivo, con il quale era stata dedotta “ la mancata acquisizione del parere della Commissione locale per il paesaggio relativamente all’ordine di demolizione ”, è stato rigettato perché “ in realtà la commissione locale per il paesaggio si era già espressa sulla istanza di condono onde la richiesta di un nuovo parere si sarebbe risolta in un aggravio di attività procedimentale senza che tale attività potesse ragionevolmente aggiungere alcun elemento conoscitivo alla vicenda” ;

-è stato disatteso anche il XII motivo, con cui L R aveva enunciato l’insufficiente motivazione sull’interesse pubblico la cui sussistenza, a distanza di diversi anni, sola avrebbe potuto giustificare la disposta riduzione in pristino, e ciò perché –si legge nella sentenza, a pagina 14 - “ le ordinanze di demolizione non richiedono particolare motivazione in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico alla demolizione. Peraltro occorre rilevare come la stessa proposizione della istanza di condono renda evidente come la ricorrente fosse perfettamente consapevole della natura abusiva delle opere in questione” ;

- il XIII motivo, con il quale L R aveva lamentato l’illegittimità dell’ “estensione” dell’ordine di ripristino anche al “ battuto di cemento ” color verde, di circa 30 mq. , e a quello color rosso (quest’ultimo a quanto consta per soli 37 mq.), pavimentazione alla quale non si era fatto cenno nell’avviso di avvio del procedimento, è stato respinto poiché “ da un lato … le opere in questione non assumono valenza autonoma rispetto a quelle abusive, essendo, piuttosto, realizzate per meglio collocare queste ultime. In secondo luogo la ricorrente non evidenzia la sussistenza di alcun titolo legittimante tali opere, titolo indubbiamente necessario, realizzando le stesse la modificazione del territorio per l’innanzi inedificato” .

Il profilo di censura sulla “ violazione dei diritti partecipativi ” non merita poi accoglimento “ per la natura vincolata dell’attività repressiva edilizia ”.

Come detto, nell’atto d’appello L R ha riproposto i motivi di primo grado dal IX al XIII.

L sentenza sul punto merita di essere confermata.

E difatti:

- sull’illegittimità derivata, è sufficiente rinviare alle considerazioni sviluppate sulle censure relative al diniego di condono (v. sopra, p.

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