Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2017-04-19, n. 201701844
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Pubblicato il 19/04/2017
N. 01844/2017REG.PROV.COLL.
N. 02122/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2.122 del 2016, proposto dalla
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, e da -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall'avvocato G L L, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato P C in Roma, via Valle Scrivia, n. 8;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro
pro tempore
, U.T.G. - Prefettura di Caserta, in persona del Prefetto
pro tempore
, rappresentati e difesi
ex lege
dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
nei confronti di
Ministero delle Infrastrutture - Provveditorato Interregionale per le Opere Pubbliche Campania e Molise, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso
ex lege
dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
Ministero dello Sviluppo Economico, in persona del Ministro
pro tempore
, non costituito in giudizio;
Comune di Casapesenna, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avvocato Terenzio Fulvio Ponte, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gloria Calenda in Roma, Piazzale Enrico Dunant, n. 15;
per la revocazione
della sentenza del Consiglio di Stato – Sezione Terza, n. 3.707/2015 del 28.07.2015, resa tra le parti, concernente domanda di risarcimento dei danni subiti a seguito di illegittima adozione di informativa interdittiva antimafia e dei conseguenti atti risolutivi di contratti.
Visti il ricorso in revocazione e i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno, dell’U.T.G. - Prefettura di Caserta, del Ministero Infrastrutture - Provveditorato Interregionale per le Opere Pubbliche Campania e Molise, del Ministero dello Sviluppo Economico e del Comune di Casapesenna;
viste le memorie difensive;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 marzo 2017 il Consigliere Oswald Leitner e uditi, per i ricorrenti, l’avvocato G L L, per il Comune di Casapesenna, l’avvocato Terenzio Fulvio Ponte e, per le Amministrazioni Statali, l'Avvocato dello Stato Mario Antonio Scino;
ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il presente procedimento ha ad oggetto il ricorso in revocazione proposto dal sig. -OMISSIS-, in proprio e quale legale rappresentante della -OMISSIS-, avverso la sentenza di questa Sezione n. 3.707/2015, depositata in data 28.07.2015, con la quale, in riforma delle sentenze del TAR per la Campania n. 2.929/2013 (sentenza non definitiva) e n. 4.715/2014 (successiva sentenza definitiva), è stata respinta - riconosciuto l’errore scusabile ed esclusa, quindi, la colpa dell’Amministrazione - la domanda proposta dalla predetta società nei confronti del Ministero dell’Interno - U.T.G. – Prefettura di Caserta, tesa all’ottenimento del risarcimento dei danni subiti a seguito dell’illegittima adozione dell’interdittiva antimafia di data 18.03.2010 del Prefetto di Caserta e dei conseguenti atti risolutivi di contratti d’appalto;informativa che, precedentemente, era già stata annullata dal TAR per la Campania, nell’ambito di due separati procedimenti che si erano conclusi con le sentenze n. 1081 del 23.02.2011 e n. 1515 del 19.03.2011, entrambe passate in giudicato.
2.1 Nel ricorso in revocazione vengono formulati due distinti motivi.
2.2 Con un primo articolato motivo si deduce la violazione degli articoli 106 e 107 del D.L.vo 104/2010 e dell’articolo 395, commi 4 e 5 c.p.c., sostenendo:
a) che la sentenza sarebbe errata nella parte in cui ritiene la sussistenza di acquisizioni informative indicative di interferenze tra la gestione dell’impresa e il clan mafioso -OMISSIS-, anche se queste, nei procedimenti all’esito dei quali era stata accertata l’illegittimità dell’informativa, annullandola, erano state giudicate dal T.A.R. inidonee a legittimare la misura interdittiva;
b) che a tale erronea presupposizione conseguirebbe anche un contrasto della sentenza impugnata con il giudicato formatosi sulle precedenti pronunce del T.A.R., di annullamento dell’interdittiva, ove si riconosceva che il giudizio di permeabilità della -OMISSIS- agli interessi della criminalità organizzata non appariva adeguatamente supportato da elementi di giudizio, ancorché indiziari, capaci di fondare i provvedimenti adottati;sempre secondo i ricorrenti, inoltre, la sentenza violerebbe il giudicato anche nella parte in cui il T.A.R. aveva imposto l’obbligo di indagini che dimostrassero in modo ragionevole e congruo la possibile interferenza degli ambienti malavitosi sulla gestione della società.
2.3 Entrambe le prospettazioni – con le quali si deducono, da un lato il motivo revocatorio di cui all’art.395, n. 4 c.p.c. (errore di fatto), dall’altro il motivo di cui al n. 5 (contrasto di giudicati) - non meritano accoglimento, per le considerazioni di seguito esposte.
2.4 Per quanto riguarda il primo profilo, ovvero quello di cui al precedente punto a), con il quale si denuncia che la sentenza oggetto del ricorso in revocazione sarebbe l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti del giudizio, giova ricordare che, nel processo amministrativo, l'errore di fatto idoneo a fondare la domanda di revocazione, ai sensi del combinato disposto degli artt. 106 c.p.a. e 395 n. 4, c.p.c., deve rispondere a tre requisiti: 1) derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l'organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, ritenendo così esistente un fatto documentalmente escluso ovvero inesistente un fatto documentalmente provato;2) attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato;3) essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l'erronea presupposizione e la pronuncia stessa;inoltre, deve apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche (cfr., in questo senso, Consiglio di Stato, sez. IV, 26/08/2015, n. 3993;Consiglio di Stato, sez. III, 4/08/2015, n. 3844 e 21 ottobre 2015, n. 4811).
2.4 Così chiariti i canoni in base ai quali va condotto l’esame sull’ammissibilità del ricorso in revocazione fondato sul combinato disposto degli artt. 106 c.p.a. e 395 n. 4, c.p.c., va dato atto che, nel caso di specie, le prospettazioni di parte ricorrente non permettono di ravvisare l’errore di fatto come definito dalla giurisprudenza sopra richiamata, il quale, invero, deve essere frutto di una pura e semplice percezione errata o omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l'organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, ritenendo così esistente un fatto documentalmente escluso ovvero inesistente un fatto documentalmente provato.
2.5 A ben vedere, con il motivo di censura in esame, infatti, si denuncia non un errore di percezione delle risultanze materiali degli atti del giudizio, ma un presunto errore di valutazione dei dati di fatto posti a fondamento della decisione, dal momento che si lamenta che, nella sentenza impugnata per revocazione, il Collegio si è espresso nel senso che “l’interdittiva risulta adottata a fronte di un quadro fattuale e sulla base di acquisizioni informative indicative di interferenze tra la gestione dell’impresa e il menzionato clan mafioso, anche se giudicate inidonee a legittimare la misura, di talché l’adozione di quest’ultima deve essere ritenuta immune da profili di rimproverabilità soggettiva e, quindi, ascrivibile al perimetro di operatività dell’errore scusabile” , affermazione che, secondo i ricorrenti, sarebbe “palesemente inesistente prima ancora che erronea” , in quanto il TAR per la Campania, investito del giudizio sulla legittimità dell’interdittiva, aveva ritenuto “che il giudizio di permeabilità della società ricorrente agli interessi alla criminalità organizzata non appare adeguatamente supportato neppure ex post da quanto riferito, successivamente dal provvedimento impugnato, dalle forze dell’ordine in riscontro a richieste di approfondimento formulate dall’UTG di Caserta;nelle succitate decisioni, invero, la Sezione aveva ritenuto che la segnalazione a carico dell’amministratore della società ricorrente di frequentazioni con elementi asseritamente contigui ad un noto sodalizio criminale fosse formulata in termini generici, risolvendosi in affermazioni incapaci di offrire, nella loro indeterminatezza, elementi di giudizio ancorché indiziari, tanto è vero che le addotte circostanze non risultavano richiamate tra quelle assunte a supporto delle conclusioni raggiunte dal GIA della riunione del 3.07.2009 … senonché … l’emanazione di provvedimenti antimafia non può basarsi su affermazioni quali il richiamo di elementi non ancora formalizzati, incapaci di offrire elementi di giudizio” .
2.6 Ciò premesso, appare evidente che, in realtà, con il motivo di doglianza in esame si lamenta la distonia delle valutazioni dei fatti, da parte del TAR, nei giudizi che hanno portato all’annullamento dell’interdittiva, e da parte del Consiglio di Stato, nel giudizio avente ad oggetto la domanda di risarcimento dei danni, ovvero un presunto error in iudicando non rilevabile in sede di revocazione, con la conseguenza che il motivo di ricorso va dichiarato inammissibile.
3.1 Anche l’ulteriore profilo di censura dedotto con il primo motivo, ovvero quello di cui al sopra riportato punto b), riguardante il presunto contrasto tra giudicati, non può essere accolto.
3.2 Come è noto, affinché il giudicato risultante da un giudizio separato possa essere posto a base di un’istanza di revocazione ex art. 395, n. 5 c.p.c., occorre che tra i due giudizi vi sia perfetta identità, oltre che di soggetti, anche di oggetto, di modo che possa ritenersi sussistente una ontologica e strutturale concordanza fra gli estremi su cui debba esprimersi il secondo giudice e gli elementi distintivi della decisione emessa per prima, avendo questa accertato lo stesso fatto od un fatto ad esso antitetico (così, ex multis , Cons. St., sez. IV, 24.9.2013, n. 4712 e 5 marzo 2015, n. 1124;Cons. St., VI, 26 maggio 2015, n. 2646 ). Nel caso di specie, tale identità di petitum e causa petendi , stante l’assoluta diversità, quanto a siffatti elementi distintivi, tra giudizio demolitorio, da un lato, e giudizio avente ad oggetto un’azione di condanna dall’altro, non sussiste, per cui va escluso in nuce la configurabilità del presunto contrasto tra giudicati denunciato dai ricorrenti.
3.3 Al di là del fatto che, alla luce dell’assoluta diversità del thema decidendum dei due giudizi, il dedotto vizio della sentenza impugnata non è già astrattamente configurabile, va comunque anche escluso che, nella specie, l’affermato contrasto possa essere desunto dal contenuto delle due pronunce giurisdizionali oggetto del contendere.
3.4 Innanzitutto, infatti, va rilevato che, accertando l’illegittimità dell’interdittiva e, in particolare, enunciando le statuizioni sopraccitate, il T.A.R. non si è affatto pronunciato in merito alla responsabilità per danno della pubblica amministrazione (in particolare, in merito al carattere colposo o meno del comportamento tenuto dalla pubblica amministrazione), per cui è da escludere che sul punto possa essersi formato il giudicato. Il Consiglio di Stato, poi, a sua volta, come risulta chiaramente dalla sentenza impugnata, non ha messo in alcun modo in discussione la decisione del T.A.R. con cui quest’ultimo ha dichiarato illegittimo il provvedimento interdittivo, ma ha semplicemente riconosciuto l’errore scusabile in capo all’amministrazione.
3.5. Conclusivamente, nella specie, non è ravvisabile alcun conflitto di giudicati censurabile in sede di revocazione, per cui, sul punto, il ricorso in revocazione va dichiarato senz’altro inammissibile.
4.1 Con il secondo motivo di ricorso si deduce, invece, che la sentenza oggetto del ricorso in revocazione sarebbe affetta dalla violazione degli articoli 106 e 107 del D.L.vo 104/2010, in relazione agli articoli 395 e 396 c.p.c., in quanto il Collegio Giudicante sarebbe incorso in un’omissione di pronuncia, integrante un’ipotesi revocatoria, nella parte in cui non ha riconosciuto le somme relative al mancato guadagno in conseguenza della risoluzione dei contratti d’appalto in essere al momento dell’illegittima adozione dell’interdittiva antimafia.
4.2 In particolare, parte ricorrente afferma che in materia di appalti pubblici vige una responsabilità oggettiva dell’amministrazione, sottratta a qualsiasi accertamento dell’elemento psicologico. Ne seguirebbe, che il Collegio Giudicante, non riconoscendo le somme relative al mancato guadagno conseguito alla risoluzione dei contratti d’appalto, in conseguenza dell’interdittiva illegittima, sarebbe incorso in un’omissione di pronuncia, essendosi limitato ad escludere il diritto al risarcimento dei danni per difetto dell’elemento psicologico della colpa.
4.3 Il motivo di doglianza non merita accoglimento, in quanto, oltre che inammissibile, è comunque anche infondato.
4.4 Il motivo in esame è inammissibile, in quanto con il medesimo viene lamentato un error in iudicando , consistente nella presunta falsa applicazione di norme di diritto, vizio che non è deducibile in sede di revocazione.
Inoltre, va altresì rilevato che il richiamo alla sopra indicata forma di responsabilità oggettiva è comunque del tutto inconferente. Invero, nel caso specie, la responsabilità civile dell’Amministrazione dell’Interno consegue semmai dall’adozione del provvedimento interdittivo, per cui si tratta in ogni caso di responsabilità aquiliana della pubblica amministrazione e non di responsabilità oggettiva in materia di appalti pubblici, con la conseguenza che nella statuizione sulla sussistenza dell’obbligo risarcitorio non si può in ogni caso prescindere dall’accertamento dell’elemento soggettivo.
5. Ne segue che, per le motivazioni esposte, il ricorso in revocazione deve essere dichiarato inammissibile.
6.1 Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
6.2 Rimane definitivamente a carico dei ricorrenti, attesa la loro soccombenza, il contributo unificato corrisposto per la proposizione del ricorso in revocazione.