Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-04-06, n. 202002300
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Pubblicato il 06/04/2020
N. 02300/2020REG.PROV.COLL.
N. 04319/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4319 del 2018, proposto da
Reti Televisive Italiane - R.T.I. S.p.A., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati prof. G R, L M e M M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato L M in Roma, via Panama 58;
contro
Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, non costituita in giudizio;
Per l’annullamento e/o la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma, sez. III, 21 febbraio 2018, n. 1978, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 febbraio 2020 il Cons. Francesco De Luca e uditi per le parti gli avvocati Luigi Modugno e Giovanni Greco dell’Avvocatura Generale dello Stato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con atto di contestazione n. 17/05/DGC del 15 febbraio 2005 l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (d’ora in avanti, per brevità, anche Autorità o AGCOM) ha rilevato che nel corso di un intervento in diretta alle ore 22,40 del 20 aprile 2004 è stata pronunziata una bestemmia durante il programma “La Fattoria” mandato in onda sull’emittente Italia Uno della società RTI SpA: alla stregua di tali emergenze istruttorie ha contestato alla società RTI SpA la violazione dell’art. 15, comma 10, L. n. 223/90.
Con successiva delibera n. 83/05/CSP del 14 luglio 2005 l’Autorità ha ordinato alla ricorrente di pagare la sanzione amministrativa di euro ventimila/00 per la violazione dell’art. 15 comma 10 l. n. 223/1990.
In particolare, l’Autorità – rilevato che l’art. 15, comma 10, L. n. 223/90, nel vietare la trasmissione di programmi “che possono nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori” ha inteso riferirsi specificatamente a quei programmi che, tenuto conto del loro oggetto, del loro contenuto, del tempo e/o delle modalità di trasmissione o di altri connessi elementi rilevati nel caso specifico, possano risultare concretamente idonei a turbare, pregiudicare o danneggiare i delicati e complessi processi di apprendimento dall’esperienza e di discernimento tra valori diversi od opposti, nei quali si sostanziano lo svolgimento e la formazione della personalità del minore sia come individuo che come “cittadino”- ha ritenuto che nel caso di specie la pronuncia di una bestemmia nell’ambito di un reality show, seguito da larga porzione di pubblico, anche in relazione all’orario di trasmissione, fosse idonea a suscitare nei minori in ascolto la legittimazione all’uso di un linguaggio aggressivo e blasfemo, configurandosi nel suo insieme come nocivo degli interessi morali, etici e di corretto sviluppo psichico degli stessi.
L’Autorità, inoltre, ha reputato che “ la circostanza che l’organizzazione del programma abbia preventivamente adottato ogni cautela per evitare situazioni che possono recare nocumento ai minori e che si sia stato trattato di un episodio involontario, non esclude la responsabilità dell’emittente giacché grava sulla stessa l’obbligo di vigilare sulla rispondenza delle trasmissioni alla normativa vigente in materia di diffusione di programmi radiotelevisivi ”.
Alla stregua di tali rilievi l’Autorità ha ritenuto integrata la fattispecie di cui all’art. 15, comma 10, L. n. 223/90, nonché, valutate la gravità della violazione, l’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o l’attenuazione delle conseguenze della violazione, la personalità dell’agente e le condizioni economiche dell’agente, ha ingiunto il pagamento della sanzione amministrativa di euro 20.000,00.
2. Avverso la delibera n. 83/05/CSP l’odierna appellante ha proposto ricorso dinnanzi al Tar Lazio, affidato a tre motivi di censura, con cui ha dedotto che:
- la condotta in contestazione non avrebbe potuto essere considerata concretamente idonea ad esporre a pericolo il bene tutelato dall’art. 15, comma 10, L. n. 223/90, rappresentato dall’esigenza di assicurare lo sviluppo psichico e morale dei minori;
- difetterebbe nella specie un accertamento in ordine alla sussistenza di una condotta cosciente e volontaria e di un’azione soggettivamente rimproverabile e, comunque, colposa, tenuto conto che non sussistevano elementi idonei a lasciare supporre la pronuncia della bestemmia;
- nella determinazione della sanzione l’Autorità avrebbe dovuto tenere conto dell’assoluta episodicità ed estemporaneità della condotta e dell’univoco messaggio di deplorazione trasmesso successivamente dalla trasmissione.
3. Si è costituita l’Autorità, al fine di resistere al ricorso.
4. Il Tar ha rigettato il ricorso, tenuto conto che:
- la pronuncia di una bestemmia risultava, per il suo contenuto, di per sé idonea a pregiudicare lo sviluppo morale e psichico dei minori in ragione dell’offesa al sentimento religioso insita in essa;tale idoneità era stata valutata anche con riferimento al contesto in cui si è verificato l’episodio, ritenendosi che la condotta veicolata dal mezzo televisivo, caratterizzato di per sé da alta diffusività, comportasse il concreto rischio di una legittimazione ad usare nel linguaggio comune tali espressioni non commendevoli, rischio nella fattispecie aggravato dal fatto che la frase era stata proferita nell’ambito di un reality show ovvero di un programma seguito da una larga fascia di pubblico, anche minore;ulteriormente, ai fini della concreta pericolosità della condotta, il Tar ha ritenuto corretta la decisione dell’Autorità anche nella parte in cui ha valorizzato l’orario dell’episodio, verificatosi alle ore 22.40, immediatamente contiguo alla fascia oraria della c.d. <televisione per tutti>;né la pericolosità concreta della condotta avrebbe potuto essere esclusa dall’espulsione dell’autore dell’episodio, in quanto integrante un evento successivo alla pronuncia dell’espressione blasfema;
- sussisteva nella specie un accertamento dell’Autorità in ordine all’imputazione soggettiva della condotta, avendo la parte resistente riscontrato un’inosservanza dell’obbligo di vigilare sulla rispondenza delle trasmissioni alla normativa vigente in materia di diffusione di programmi radiotelevisivi;inoltre, le particolari condizioni in cui operavano i partecipanti e la serrata competizione esistente tra gli stessi, costituenti alcuni dei principali elementi di richiamo del programma televisivo, rendevano non implausibile il ricorso ad espressioni dello stesso tipo di quelle contestate alla ricorrente;ragion per cui l’emittente avrebbe dovuto adottare idonee misure preventive, quali la sottoscrizione, da parte dei partecipanti, di impegni giuridicamente vincolanti ad evitare tali comportamenti o la predisposizione di meccanismi di controllo dei dialoghi dei partecipanti (vigilanza continuativa sul contenuto delle conversazioni dei partecipanti in quanto dirette al pubblico televisivo/adozione di strumenti tecnici di immediata eliminazione della bestemmia con conseguente impossibilità di percezione da parte degli utenti);
- l’Autorità aveva correttamente applicato i criteri di cui all’art. 11 L. n. 689/81, valutando, da una parte, la gravità della violazione e l’organizzazione e le condizioni economiche della ricorrente e, dall’altra, la condotta tenuta dalla ricorrente stessa successivamente al fatto con l’espulsione del concorrente;non avrebbe potuto, invece, farsi riferimento all’impossibilità di operare alcun efficace controllo preventivo, in quanto costituente circostanza non veritiera e, comunque, non rilevante ai fini della graduazione della sanzione in quanto criterio necessario per l’attribuzione stessa della responsabilità.
5. Avverso la sentenza di primo grado la società Reti Televisive Italiane – R.T.I. S.p.A. ha proposto appello, affidato a tre motivi di impugnazione.
Con il primo motivo di appello (rubricato “ Error in iudicando circa il primo motivo del ricorso introduttivo (diretto a contestare la violazione e falsa applicazione dell’articolo 15, comma 10, lett. b), l. 223/1990, nonché l’eccesso di potere nelle figure sintomatiche dell’errore nei presupposti, della carenza di motivazione e di adeguata istruttoria) ”) la sentenza di primo grado è censurata per non avere ritenuto la condotta contestata concretamente inidonea a ledere lo sviluppo psichico e morale dei minori e per non avere ritenuto rilevante l’orario di trasmissione dell’episodio contestato, fuori dalla “televisione per tutti”.
Con il secondo motivo di appello (rubricato “ Error in iudicando circa il secondo motivo di ricorso (inteso a far valere la violazione e falsa applicazione dell’articolo 15, comma 10, e 31, comma 3, l. 223/1990, dell’articolo 3 l. 689/1981 e dei principi generali vigenti in materia di illeciti amministrativi;nonché l’eccesso di potere nelle figure sintomatiche dell’omessa ed erronea valutazione di circostanze decisive, del difetto di istruttoria e della carenza di adeguata motivazione). Assenza di profili di colpa in capo alla ricorrente ”) la sentenza di primo grado è censurata per avere ritenuto integrata nella specie una forma di responsabilità colposa, per inosservanza dell’obbligo di vigilanza sulla rispondenza delle trasmissioni alla normativa vigente in materia di diffusione dei programmi radiotelevisivi.
Con il terzo motivo di appello (rubricato “ Error in iudicando circa il terzo, subordinato, motivo di ricorso (inteso a far valere la violazione e falsa applicazione dell’articolo 15, comma 10, e 31, comma 3, l. 223/1990 e dell’articolo 11 l. 689/1981. Eccesso di potere nella figura sintomatica della carenza di motivazione) ”) la sentenza di primo grado è censurata per avere ritenuto corretta la quantificazione della sanzione irrogata, pari al quadruplo del minimo edittale.
6. L’Autorità, ritualmente intimata in sede giurisdizionale, non ha depositato atto di costituzione in giudizio.
7. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 20 febbraio 2020.
DIRITTO
1. Con il primo motivo di appello viene contestata l’erroneità della sentenza, per aver ritenuto integrato, sotto il profilo oggettivo, l’illecito di cui all’art. 15, comma 10, L. n. 223/1990.
In particolare, a giudizio dell’appellante, il Tar, ritenendo che l’uso di un linguaggio improprio tramite il mezzo televisivo sia ex se pregiudizievole per il minore stesso, avrebbe accolto un’interpretazione dell’art. 15, comma 10, L. n. 223/1990 volta ad eliminare la distinzione delle fattispecie ivi previste in illeciti di pericolo concreto e pericolo presunto.
Ferma rimanendo la fondamentale importanza del bene tutelato dalle norme richiamate dal Tar (cfr., tra le altre, le Convenzioni europee ed internazionali in tema di tutela dei minori), la corretta interpretazione dell’art. 15, comma 10, cit. dovrebbe, invece, condurre – secondo la prospettazione dell’appellante – a distinguere le trasmissioni contenenti “ scene di violenza gratuita o pornografiche, o che inducano ad atteggiamenti di intolleranza ”, soggette ad una presunzione legislativa di pericolo e, quindi, ad un divieto assoluto, dalle trasmissioni “ che possano nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori ", per le quali occorre una verifica dell’effettiva sussistenza del pericolo per lo sviluppo del minore;pertanto, posto che nella specie si farebbe questione di condotta suscettibile di nuocere allo sviluppo del minore, sarebbe stato necessario accertare l’idoneità, in concreto, del programma sanzionato a pregiudicare i processi di apprendimento e lo sviluppo del minore.
L’esito di tale verifica avrebbe dovuto condurre al disconoscimento dell’illecito, tenuto conto che l’emittente non soltanto non aveva avallato o legittimato in alcun modo la condotta del concorrente, incentivando effetti emulativi negli spettatori più giovani, ma il protagonista del comportamento censurato era stato ritenuto indegno di continuare la partecipazione alla trasmissione ed estromesso dalla stessa: “ Infatti il concorrente stesso, oltre ad essere stato immediatamente espulso dal programma, è stato escluso da qualsivoglia apparizione televisiva sulle reti RTI, comprese le trasmissioni rievocative delle varie edizioni de “La Fattoria”. ” (pag. 10 appello).
Il Tar avrebbe, altresì, errato nel ritenere irrilevante l’orario di trasmissione dell’episodio contestato, sebbene lo stesso si fosse verificato alle ore 22.40, dunque fuori “la televisione per tutti”, in un orario nel quale la presunzione di assenza di spettatori adolescenti sarebbe pressoché assoluta e la libertà di messa in onda, con i limiti di cui alla seconda parte dell’articolo 15, comma 10, l. 223/1990, in allora vigente, dovrebbe considerarsi totale;elemento idoneo ad escludere l’illecito contestato, tenuto conto che la circostanza per cui la condotta sia collocata al di fuori, non solo della fascia protetta, ma anche della “televisione per tutti” escluderebbe il rischio di visione da parte di minori e, dunque, la sussistenza dell’illecito in discussione.
2. Il motivo di appello risulta fondato.
Ai sensi dell’art. 15, comma 10, l. n. 223/1990 (fondamento normativo del provvedimento impugnato in prime cure, ratione temporis applicabile nella specie), “ è vietata la trasmissione di programmi che possano nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori, che contengano scene di violenza gratuita o pornografiche, che inducano ad atteggiamenti di intolleranza basati su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità ”.
2.1 La previsione in commento, da un lato, richiamando espressamente i programmi recanti scene di violenza gratuita o pornografiche o che inducano ad atteggiamenti di intolleranza basati su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità, tipizza talune condotte ritenute in astratto (con valutazione legislativa immune da vizi di irragionevolezza) idonee a pregiudicare lo sviluppo psichico o morale dei minori, come tali soggette ad un divieto assoluto di trasmissione;dall’altro, omettendo di specificare le modalità dell’azione illecita, estende il divieto di trasmissione a qualsivoglia programma idoneo a nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori.
Mentre nella prima ipotesi si è di fronte ad illeciti di pericolo astratto, in relazione ai quali l’evento di pericolo non rappresenta un elemento costitutivo della fattispecie sanziona, integrata di per sé dalla commissione dell’azione tipizzata dal legislatore nelle sue specifiche forme di manifestazione;nella seconda ipotesi, si fa questione di illeciti di pericolo concreto, in cui, ai fini dell’integrazione della fattispecie sanzionata, occorre l’accertamento, altresì, della effettiva esposizione a pericolo del bene tutelato dalla norma violata, desumibile da specifiche e rilevanti circostanze concretamente occorse.
Con riferimento al caso di specie, l’Autorità appellata ha inteso riferirsi ai programmi “ che possono nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori ” (cfr. pag. 2 del provvedimento impugnato in prime cure), con l’effetto di contestare e sanzionare una fattispecie di illecito di pericolo concreto.
Al fine di delineare la portata precettiva dell’art. 15, comma 10, l. n. 223/1990 – nella parte in cui, senza descrivere le specifiche modalità della condotta illecita, richiama soltanto l’idoneità del programma a nuocere allo sviluppo psichico o morale del minore – occorre avere riguardo alla pertinente disciplina unionale, vigente al tempo di commissione dei fatti di causa, come recata dalla direttiva 89/552/CEE, modificata dalla direttiva 97/36/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 30 giugno 1997 (successivamente ulteriormente modificata dalla direttiva 2007/65/CE e, infine, abrogata e sostituita dalla direttiva 2010/13/UE).
Il regime giuridico applicabile alle trasmissioni radiotelevisive, infatti, per quanto più di interesse ai fini del presente giudizio, richiede di operare un bilanciamento tra l’esigenza di tutela del minore e la garanzia della libertà di espressione, beni giuridici entrambi rilevanti non soltanto in ambito nazionale (cfr. art. 21 Cost. in materia di libera manifestazione del pensiero e art. 31, comma 2, Cost. in tema di tutela dell’infanzia e della gioventù), ma anche, sul piano sovranazionale (cfr. considerando 8 direttiva 89/552/CEE e, relativamente al bilanciamento tra i due valori, il considerando 60 direttiva 2010/13/UE), non potendo, pertanto, prescindersi dal dato europeo nell’interpretazione della disposizione interna.
In presenza di interessi parimenti rilevanti nell’ambito dell’ordinamento giuridico, suscettibili di entrare in conflitto tra loro, al fine di evitare dubbi di compatibilità unionale o di legittimità costituzionale, occorre garantire, alla stregua dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, un bilanciamento equilibrato tra i beni in raffronto, tale da non determinare il sacrificio o la compressione di uno di essi in misura eccessiva.
Come precisato dalla Corte costituzionale, in ambiti connotati da discrezionalità legislativa occorre “ […], verificare che il bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti non sia stato realizzato con modalità tali da determinare il sacrificio o la compressione di uno di essi in misura eccessiva e pertanto incompatibile con il dettato costituzionale. Tale giudizio deve svolgersi «attraverso ponderazioni relative alla proporzionalità dei mezzi prescelti dal legislatore nella sua insindacabile discrezionalità rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalità che intende perseguire, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti» (sentenza n. 1130 del 1988). Il test di proporzionalità utilizzato da questa Corte come da molte delle giurisdizioni costituzionali europee, spesso insieme con quello di ragionevolezza, ed essenziale strumento della Corte di giustizia dell’Unione europea per il controllo giurisdizionale di legittimità degli atti dell’Unione e degli Stati membri, richiede di valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misura e le modalità di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra più misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi ” (Corte costituzionale, 13 gennaio 2014, n. 1).
Parimenti, anche in ambito europeo, è stato affermato che “ il principio di proporzionalità esige che gli strumenti istituiti da una disposizione di diritto dell’Unione siano idonei a realizzare i legittimi obiettivi perseguiti dalla normativa di cui trattasi e non eccedano quanto è necessario per raggiungerli (sentenze del 15 novembre 2012, Al-Aqsa/Consiglio e Paesi Bassi/Al-Aqsa,C‑539/10 P e C‑550/10 P, EU:C:2012:711, punto 122 nonché giurisprudenza ivi citata, e del 29 novembre 2018, National Iranian Tanker Company/Consiglio, C‑600/16 P, EU:C:2018:966, punto 76) ” (Corte di Giustizia U.E., 31 gennaio 2019, in causa C – 225/17, Islamic Republic of Iran Shipping Lines).
La disciplina positiva, dunque, deve essere interpretata in maniera da assicurare la proporzionalità e la ragionevolezza della regolazione, attribuendo il significato precettivo idoneo a consentire la realizzazione dell’esigenza di tutela sottesa alla norma violata, secondo modalità, tuttavia, che, ove incidenti in senso limitativo su altri beni giuridici pure rilevanti per l’ordinamento, non ne determinino una limitazione eccessiva, con l’imposizione di oneri sproporzionati rispetto agli obiettivi di protezione perseguiti.
Con specifico riferimento alla materia radiotelevisiva, rilevante nel presente giudizio, il legislatore europeo, dopo aver previsto la possibilità per gli Stati membri di richiedere alle emittenti soggette alla loro giurisdizione di rispettare norme più particolareggiate o più rigorose nel settore oggetto di regolazione (art. 3 dir. 89/552/CEE, come modificata dalla dir. 97/36/CE;cfr. all’attualità art. 4, par. 1, direttiva 2010/13/UE), ha avvertito l’esigenza di assicurare un bilanciamento tra, da un lato, le esigenze di tutela dei minori e della dignità umana nei servizi audiovisivi e di informazione (valorizzata nel considerando n. 6 della dir. n. 36 del 1997 cit.), dall’altro, le esigenze di diffusione e distribuzione di servizi di televisione, costituente una specifica manifestazione del principio più generale della libertà di espressione, sancito dall'articolo 10, paragrafo 1 della Convenzione sulla salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (considerando n. 8 della dir. 89/552/CEE).
In particolare, in subiecta materia è stata operata una distinzione tra programmi soggetti a divieto assoluto di trasmissione e quelli suscettibili di essere autorizzati in ragione di specifiche circostanze da valutarsi nel caso concreto, avuto riguardo all’orario di trasmissione o agli accorgimenti tecnici impiegati.
Ai sensi dell’art. 22 dir. 89/552/CEE, come modificata dalla dir. 97/36/CE, “ 1. Gli Stati membri adottano le misure atte a garantire che le trasmissioni delle emittenti televisive soggette alla loro giurisdizione non contengano alcun programma che possa nuocere gravemente allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minorenni, in particolare programmi che contengano scene pornografiche o di violenza gratuita.