Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2022-05-03, n. 202203452

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2022-05-03, n. 202203452
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202203452
Data del deposito : 3 maggio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 03/05/2022

N. 03452/2022REG.PROV.COLL.

N. 07224/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello numero di registro generale 7224 del 2021, proposto da
Congregazione dei Poveri Servi della Divina Provvidenza - Casa Buoni Fanciulli - Istituto Don Calabria, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato C C, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

contro

Ministero della giustizia, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Cooperativa Sociale A.S.M.I.D.A. a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato Alfredo Gualtieri, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
Società Cooperativa Sociale Angelo Azzurro ONLUS, Ministero della giustizia - Centro per la giustizia minorile per la Calabria - Catanzaro, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Calabria (Sezione prima) n. 1463/2021, resa tra le parti.


Visto il ricorso in appello;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della giustizia;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Cooperativa Sociale A.S.M.I.D.A. a r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del 10 febbraio 2022 il Cons. Anna Bottiglieri e preso atto della richiesta in atti di passaggio in decisione, senza discussione, avanzata dagli avvocati Cataldi, Gualtieri e dello Stato Noviello;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.


FATTO

Congregazione dei Poveri Servi della Divina Provvidenza - Casa Buoni Fanciulli - Istituto Don Calabria partecipava alla procedura aperta “sottosoglia” ai sensi dell’art. 36 comma 2 lett. b) del d.lgs. 50/2016 indetta dal Centro per la giustizia minorile per la Calabria - Catanzaro presso il Dipartimento di giustizia minorile e di comunità del Ministero della giustizia per l’affidamento per 12 mesi del servizio di vigilanza, assistenza e accompagnamento educativo in favore dei minori e giovani adulti accolti con provvedimento dell’autorità giudiziaria nella Comunità ministeriale di Catanzaro.

All’esito della valutazione delle offerte l’Istituto si collocava al primo posto della graduatoria di merito, ma veniva poi escluso dalla procedura in sede di accertamento dei requisiti per l’aggiudicazione, a motivo della carenza del requisito di capacità economica e finanziaria previsto a pena di esclusione dall’art. 10 comma 1 lett. c) del disciplinare di gara [“ pareggio di bilancio al netto delle imposte negli ultimi tre esercizi (2017-2018-2019) o dalla data di avvio delle attività se trattasi di operatore costituitosi in data successiva all’anno 2017 ”];
all’esclusione faceva seguito l’escussione della garanzia fideiussoria prestata quale cauzione provvisoria.

L’Istituto impugnava innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Calabria i due predetti provvedimenti, nonché il disciplinare di gara in parte qua e la determina n. 7/2021 di aggiudicazione della gara al raggruppamento temporaneo di imprese tra Cooperativa Sociale A.S.M.I.D.A. a r.l. e Società Cooperativa Sociale Angelo Azzurro ONLUS. Domandava l’annullamento degli atti gravati, la declaratoria di inefficacia del contratto eventualmente stipulato con l’aggiudicataria e il risarcimento del danno in forma specifica, con subentro nello stesso contratto, ovvero per equivalente.

Con sentenza della Sezione prima n. 1463/2021 l’adito Tribunale, nella resistenza del Ministero della giustizia e di A.S.M.I.D.A., in proprio e quale capogruppo del RTI aggiudicatario, respingeva il ricorso e condannava la ricorrente alle spese del giudizio in favore di entrambe le controparti.

L’Istituto ha appellato la predetta sentenza. Ha dedotto: 1) Error in iudicando ;
sulla corretta interpretazione del requisito di capacità economico-finanziaria di cui all’art. 10 lett. c punto IX del disciplinare di gara;
sulla violazione dei principi del favor partecipationis , di proporzionalità e ragionevolezza;
2) Error in iudicando ;
sull’omesso accertamento della violazione delle previsioni di legge in materia di mezzi di prova del possesso dei requisiti di capacità economica e finanziaria, della violazione dei principi di non discriminazione e di parità di trattamento, nonché della violazione delle leggi n. 121/1985 e n. 222/1995;
3) Error in iudicando ;
sull’omessa dichiarazione della nullità della clausola che impone il requisito del pareggio di bilancio per violazione degli artt. 83 comma 8 e 86 comma 4 del d.lgs. 50/2016 e dell’allegato XVII, parte prima, lett. b);
4) Error in iudicando ;
sul mancato accoglimento della domanda di risarcimento in forma specifica e, in subordine, per equivalente. Ha concluso per la riforma della sentenza gravata e ribadito le domande demolitorie e risarcitorie già formulate in primo grado.

Il Ministero della giustizia si è costituito in resistenza domandando la reiezione del gravame, di cui ha illustrato l’infondatezza.

Anche A.S.M.I.D.A. si è costituita in resistenza, rappresentando in fatto che il contratto di affidamento del servizio è stato stipulato il 9 agosto 2021 e spiegando eccezioni di rito e di merito.

L’Istituto appellante ha affidato a memoria lo sviluppo delle proprie tesi difensive.

La causa è stata indi trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 10 febbraio 2022.

DIRITTO

1. L’appello si rivela infondato.

Restano pertanto assorbite le eccezioni preliminari svolte dalla controinteressata.

2. L’Istituto appellante è stato escluso dalla procedura di cui in fatto perché carente del requisito di capacità economica e finanziaria previsto a pena di esclusione dall’art. 10 comma 1 lett. c) del disciplinare di gara, prevedente “ il pareggio di bilancio al netto delle imposte negli ultimi tre esercizi (2017-2018-2019) o dalla data di avvio delle attività se trattasi di operatore costituitosi in data successiva all’anno 2017 ”.

3. La sentenza impugnata, nel respingere le censure al riguardo formulate dall’Istituto e nel concludere per la legittimità del provvedimento espulsivo, da cui la reiezione di tutte le domande demolitorie e risarcitorie da questi formulate, ha rilevato che l’Istituto è un ente ecclesiastico civilmente riconosciuto, non obbligato in quanto tale alla predisposizione del bilancio di esercizio ai fini civilistici, bensì tenuto, ai fini fiscali, alla presentazione annuale del Modello Unico Enti non Commerciali, che, nel triennio di riferimento della gara (2017-2019), riporta un reddito complessivo netto pari ad € 662.697,00 (€ 139.681,00 per il 2017, € 227.200,00 per il 2018, € 295.816,00 per il 2019). Ha ancora rilevato che l’Istituto ha redatto comunque il bilancio di esercizio, che pur riportando complessivamente, nello stesso triennio, un risultato netto positivo di € 3.525.930,00, tenuto anche conto di accantonamenti per futuri progetti immobiliari per € 10.000.000, registra per l’anno 2017 un risultato negativo (€ -854.879,00), imputabile, alla luce dei chiarimenti resi dall’Istituto, ad accantonamenti per € 5.000.000,00 predisposti al fine di coprire possibili futuri investimenti immobiliari.

Tanto osservato, la sentenza impugnata, in estrema sintesi:

- ha escluso la fondatezza del primo motivo di ricorso, con cui l’interessata aveva sostenuto che il provvedimento espulsivo, contro il principio di favor partecipationis , fosse frutto di una interpretazione irragionevolmente formalistica e restrittiva della norma di disciplinare, potendosi anche intendere nel senso, favorevole all’Istituto, di correlare il pareggio di bilancio al triennio complessivo.

Il Tar ha al riguardo ritenuto che la norma di disciplinare, in assenza dell’avverbio “complessivamente” o simili, e in considerazione della naturale autonomia degli esercizi economici annuali, avesse prescritto con ogni chiarezza il pareggio di bilancio per ciascuno degli esercizi in rilievo;

- ha escluso che la clausola applicata nel provvedimento di esclusione fosse nulla per contrasto con l’art. 83 comma 8 d.lgs. n. 50 del 2016, come sostenuto dall’Istituto con memorie depositate ex art. 73 Cod. proc. amm..

Ha rilevato sul punto come detta clausola si fosse limitata a individuare i requisiti di capacità economica e finanziaria necessari per partecipare alla gara, senza recare prescrizioni espulsive ulteriori rispetto a quelle previste dal Codice dei contratti pubblici;

- ha escluso la violazione dell’art. 86 e dell’allegato XVIII del d.lgs. 50/2016 denunziata con il secondo motivo.

Ha osservato al riguardo sia che l’amministrazione non aveva richiesto, a dimostrazione del possesso dei requisiti richiesti dalla legge speciale di gara, documentazione diversa da quella di cui alle predette previsioni, sia che l’Istituto ricorrente, non tenuto alla redazione del bilancio ai fini civilistici, era stato ammesso a provarne la dichiarata sussistenza senza limitazione di mezzi, senza però riuscirvi.

4. A questo punto può osservarsi che con il primo motivo di appello l’Istituto sostiene che il Tar non si sarebbe avveduto che la clausola applicata nel provvedimento espulsivo, non specificando se il requisito debba essere soddisfatto complessivamente o per ciascuno degli esercizi annuali ivi previsti, è affetta da evidente ambiguità, e doveva pertanto essere interpretata in virtù del principio della massima partecipazione. Sostiene ancora che il primo giudice ne abbia invece indebitamente integrato il significato, validando l’interpretazione assunta dalla stazione appaltante, intrinsecamente contraddittoria e irragionevole.

Si tratta di censure che, come meglio in seguito, sono tutte infondate.

4.1. Sul punto, va richiamato il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui ai fini dell’interpretazione delle clausole di una lex specialis trovano applicazione le norme in materia di contratti e anzitutto il criterio letterale e quello sistematico, ex artt. 1362 e 1363 Cod. civ. (da ultimo, Cons. Stato, V, 6 agosto 2021, n. 5781;
8 aprile 2021, n. 2844;
8 gennaio 2021, n. 298;
III, 24 novembre 2020, n. 7345;
15 febbraio 2021, n. 1322): conseguentemente, le stesse clausole non possono essere assoggettate a procedimento ermeneutico in una funzione integrativa, diretta a evidenziare in esse pretesi significati impliciti o inespressi, ma vanno interpretate secondo il significato immediatamente evincibile dal tenore letterale delle parole utilizzate e dalla loro connessione;
soltanto ove il dato testuale presenti evidenti ambiguità, deve essere prescelto dall’interprete il significato più favorevole al privato (Cons. Stato, VI, 6 marzo 2018, n. 1447;
V, 27 maggio 2014, n. 2709).

La sentenza impugnata ha fatto buon governo degli anzidetti principi, in quanto, nell’interpretazione della clausola del disciplinare qui in rilievo e nell’escludere qualsiasi sua ambiguità, ha tenuto conto sia del criterio letterale che di quello sistematico.

In particolare, quanto al criterio letterale, rileva il chiaro tenore della norma [“ il pareggio di bilancio al netto delle imposte negli ultimi tre esercizi (2017-2018-2019) o dalla data di avvio delle attività se trattasi di operatore costituitosi in data successiva all’anno 2017 ]” che considera con ogni evidenza singolarmente gli anni che compongono il triennio di riferimento.

Non può quindi accedersi alla tesi dell’Istituto secondo cui, per legittimare tale unica interpretazione della clausola, sarebbe stato necessario prevedere che il pareggio di bilancio dovesse risultare per “ciascuno” degli anni in questione.

E’ vero infatti proprio il contrario: il criterio logico-sistematico impone di considerare la naturale autonomia dei vari esercizi economici annuali, come ha fatto il primo giudice, sicchè sarebbe stata la loro complessiva considerazione a dover richiedere una qualche ulteriore specificazione nella norma.

Ad abundantiam , può rilevarsi che, come riferito dalla difesa erariale, si tratta dell’identica previsione a cui la stessa stazione appaltante ha già fatto ricorso in altra procedura cui ha partecipato l’Istituto, e che in quell’ambito ha costituito anche oggetto di chiarimenti nei sensi qui precisati.

4.2. L’Istituto, invocando una serie di massime giurisprudenziali relative al principio di favor partecipationis , afferma che il Tar avrebbe dovuto adottare l’interpretazione più favorevole all’ente e annullare il provvedimento espulsivo.

Ma dette massime presuppongono l’ambiguità o la contraddittorietà delle norme della lex specialis , condizione che nella fattispecie, per quanto sopra, non sussiste, sicchè bene ha fatto, prima, l’Amministrazione, poi, la sentenza impugnata, ad applicare la prescrizione di cui trattasi nell’unico significato evincibile dalle sue parole.

Si rammenta, sul punto, che, per consolidata giurisprudenza, la lex specialis di una procedura pubblica costituisce un vincolo da cui l’amministrazione non può sottrarsi: in particolare, per effetto del rigoroso principio formale che la assiste, a garanzia dei principi di cui all’art. 97 Cost. ( ex multis , Cons. Stato, V, 29 settembre 2015, n. 4441;
III, 20 aprile 2015, n. 1993;
VI, 15 dicembre 2014, n. 6154), le prescrizioni ivi stabilite impegnano non solo i privati interessati, ma, ancora prima, la stessa amministrazione, che non conserva margini di discrezionalità nella loro concreta attuazione, né può disapplicarle, neppure quando alcune di queste regole risultino inopportune o incongrue o comunque superate, fatta salva naturalmente, in tale ultimo caso, la possibilità di procedere all’annullamento del bando nell’esercizio del potere di autotutela (tra tante, Cons. Stato, V, 5 marzo 2020, n. 1604;
13 settembre 2016, n. 3859;
28 aprile 2014, n. 2201;
30 settembre 2010, n. 7217;
22 marzo 2010, n. 1652;
Ad. plen., 25 aprile 2014, n. 9).

4.3. L’Istituto si duole che la contestata interpretazione della norma di disciplinare in parola abbia condotto, anche in spregio dell’interesse pubblico, “ all’esito paradossale di escludere dalla gara l’operatore più affidabile sotto il profilo economico finanziario ” e che aveva presentato l’offerta migliore.

A sostegno dell’affermazione, l’appellante evidenzia che la stazione appaltante, nell’inoltrare con atto n.11926/2020 la richiesta di parere sulla fattispecie all’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catanzaro, ha riconosciuto la solidità economico-finanziaria dell’Istituto, e che la difesa erariale, nel riscontare la richiesta con il parere di cui all’atto n. cs3206/2020, ha richiamato una sentenza amministrativa secondo cui il dato del pareggio di bilancio non consente automaticamente la formulazione di un giudizio sulla solidità di una impresa.

La questione è inconferente, non potendo in alcun modo l’appellante giovarsi del contenuto della predetta consultazione.

Il parere della difesa erariale in questione (agli atti di primo grado) ha concluso univocamente per l’esclusione dalla gara dell’Istituto, in quanto carente per l’esercizio del 2017 del prescritto requisito di capacità economico-finanziaria. Ha altresì ritenuto l’irrilevanza dell’ascrivibilità della perdita ivi registrata all’accantonamento di importi a fondo rischio dichiarata dall’Ente, perché giustificazione inidonea a modificare da un punto civilistico la connotazione del bilancio come in perdita, e, tanto chiarito, e solo in vista di bandi futuri, ha richiamato la massima giurisprudenziale di primo grado qui invocata dall’Istituto.

Ma siffatta posizione non riverbera alcun effetto nella vicenda in esame, sia in quanto “ de iure condendo ”, sia perché nell’odierno contenzioso non viene in autonoma evidenza la prescrizione di disciplinare in forza della quale l’Istituto è stato escluso dalla gara: l’Ente non ha infatti contestato il capo di sentenza n. 5 con cui il Tar, in via preliminare, ha rilevato che “ nonostante nell’intestazione del ricorso si dichiari di impugnare, ‘per quanto occorrer possa’, il disciplinare di gara, in realtà non viene articolata alcuna specifica censura riguardante la validità dell’art. 10, comma 1, lett. c) del disciplinare di gara ”.

Sicchè anche in questa sede va rilevato che l’Istituto ha diretto le sue doglianze esclusivamente contro l’interpretazione della prescrizione fornita dalla stazione appaltante, mentre la prescrizione in sé è rimasta inoppugnata, con conseguente impossibilità di valutarne in questo giudizio la legittimità.

4.4. Infine, vanno condivise le osservazioni del predetto parere e le conclusioni del Tar circa l’inidoneità delle giustificazioni addotte dall’Ente a modificare da un punto civilistico la connotazione del bilancio come in perdita.

In particolare, la puntuale osservazione della sentenza impugnata [“ Il fatto, poi, che lo squilibrio sia dovuto all’accantonamento di € 5.000.000,00, allo scopo di coprire futuri investimenti immobiliari non ancora effettuati, non ne esclude l’esistenza per l’anno di riferimento ”, tenuto anche conto che “ le passività eventuali potenziali sono state rilevate in bilancio e iscritte nei fondi in quanto ritenute probabili ed essendo stimabile con ragionevolezza l’ammontare del relativo onere” (cfr. pag. 6 della nota integrativa) ”], consente di superare l’ultima censura del motivo in trattazione, con cui l’Istituto torna a sostenere che la perdita in parola non costituisca un effettivo squilibrio tra poste attive e passive, condizione che invece sussiste e che il Tar ha bene messo in rilievo.

5. Il secondo motivo di appello è parimenti infondato.

5.1. L’Istituto afferma che la sentenza è erronea anche nella parte in cui non ha tenuto conto della natura giuridica dell’Ente, che non lo obbliga alla redazione del bilancio, per cui la sua solidità finanziaria andava verificata con esclusivo riferimento ai Modelli Unici Enti non Commerciali che lo stesso è tenuto fiscalmente a presentare.

L’affermazione è infondata sia nella prima parte, atteso che come sopra visto il primo giudice ha espressamente considerato sia la natura dell’Ente che gli obblighi fiscali cui esso è sottoposto, sia nella seconda: come meglio infatti nell’immediato seguito, dal momento che l’Istituto ha comunque predisposto e inviato alla stazione appaltante i bilanci di esercizio, oggetto della specifica prescrizione di disciplinare, non si vede come l’Amministrazione potesse non tenerne conto.

5.2. Non è infatti accoglibile la tesi dell’Istituto incentrata sulla violazione dell’art. 86 del d.lgs. 50/2016 (il cui comma 4 stabilisce che “ Di norma, la prova della capacità economica e finanziaria dell’operatore economico può essere fornita mediante uno o più mezzi di prova indicati nell’allegato XVII, parte I. L’operatore economico, che per fondati motivi non è in grado di presentare le referenze chieste dall’amministrazione aggiudicatrice, può provare la propria capacità economica e finanziaria mediante un qualsiasi altro documento considerato idoneo dalla stazione appaltante ”), e dell’allegato XVIII ivi richiamato.

In particolare, sul presupposto della carenza di rilevanza esterna dei bilanci predisposti dall’Ente, derivante dall’inesistenza di un obbligo giuridico della loro pubblicazione, l’Istituto sostiene che l’Amministrazione non avrebbe potuto valutare i bilanci del triennio qui in rilievo, e avrebbe invece dovuto ammettere che il requisito di capacità economica e finanziaria fosse provato a mezzo della ulteriore documentazione di cui al ridetto allegato XVIII.

Sul punto, non può non premettersi che, come pure correttamente osservato dal primo giudice, dal coordinamento delle predette previsioni emerge espressamente la possibilità delle stazioni appaltanti di richiedere la presentazione di bilanci a dimostrazione della capacità economica e finanziaria degli operatori economici partecipanti alle gare pubbliche, essendo tali documenti richiamati nell’Allegato

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