Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2013-06-13, n. 201303288
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Testo completo
N. 03288/2013REG.PROV.COLL.
N. 07571/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7571 del 2010, proposto da:
L B, rappresentata e difesa dagli avv. M I L e A C, con domicilio eletto presso A C in Roma, via Principessa Clotilde, 2;
contro
Comune di Reggio di Calabria, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. P M, con domicilio eletto presso Salvatore Scali in Roma, via Baldo degli Ubaldi, 59;
nei confronti di
Consorzio Cooperative Costruzioni (C.C.C.), non costituito in giudizio;
Sindaco Comune Reggio Calabria di F.D.Ex L.246/89, rappresentato e difeso dall'avv. P M, con domicilio eletto presso Salvatore Scali in Roma, via Baldo degli Ubaldi, 59;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. della CALABRIA – Sezione Staccata di REGGIO CALABRIA - n. 00113/2010, resa tra le parti, concernente risarcimento del danno derivato da occupazione appropriativa di terreno
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Reggio di Calabria e del Sindaco Comune Reggio Calabria di F.D.Ex L.246/89;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 aprile 2013 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli avvocati A C e P M;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con la sentenza in epigrafe appellata il Tribunale amministrativo regionale della Calabria – sede di Reggio Calabria - ha soltanto parzialmente accolto il ricorso di primo grado proposto dalla odierna parte appellante B L, volto ad ottenere il risarcimento del danno derivato da occupazione appropriativa di mq. 5945 di terreno e la condanna del Comune di Reggio Calabria al pagamento di € 1.486.250,00 (ovvero eventualmente della maggiore o minor somma che accertata in corso di causa) nonché ad un equo ristoro per la perdita del possesso dell’area occupata dalla p.a. per tutto il periodo di vigenza del decreto di occupazione d’urgenza, nonché al maggior danno relativo alla residua parte di fondo (mq. 4.100 circa), ormai asseritamente inutilizzabile a causa dell’insufficienza della stessa a garantire il lotto minimo (mq. 10.000) per procedere a lottizzazione.
Essa aveva agito assumendo di essere proprietaria del terreno sito in località Catona di Reggio Calabria, in C.T. al fg. 11, partt. 572, 573 (derivate dalla particella 108), 574 e 575 (derivante dalla particella 111), della superficie complessiva asseritamente di mq. 10.040. pervenutole in forza di atto pubblico del 31 maggio 2006, Rep. n. 4410, Racc. n. 2559, con il quale era stata stipulata una divisione ereditaria e donazione.
Per effetto di detto atto, si era voluta sciogliere la comproprietà tra le germane C L e, contestualmente si era operata una donazione in conto di legittima, su due dei tre lotti, a favore dei Signori V P e B L, figli rispettivamente di C L Francesca e C L Teresa.
Il primo giudice, con ordinanza collegiale n. 123/08 aveva disposto una verificazione al fine di individuare la consistenza del terreno occupato dall’amministrazione per l’esecuzione dei lavori di ristrutturazione della rete idrica (II lotto), a seguito di decreto d’occupazione d’urgenza del 7 ottobre 1999 e irreversibilmente trasformato, senza che venisse poi adottato il decreto d’esproprio, la sua destinazione urbanistica e le sue attuali condizioni ed inoltre volta a determinare il valore venale dello stesso alla data del 27 novembre 2007 e quantificare la diminuzione di valore afferente alla residua porzione di fondo rimasta in proprietà della odierna appellante.
Successivamente al deposito dell’elaborato di verificazione, il primo giudice ha trattenuto la causa in decisione ed ha ricostruito in dettaglio la intricata vicenda successoria che aveva condotto la odierna appellante a divenire proprietaria di (soltanto alcune) delle aree occupate dall’Amministrazione in ordine alle quali aveva avanzato la domanda risarcitoria e, giovandosi del predetto elaborato redatto dal verificatore ha affermato che la superficie oggetto di occupazione era costituita dalle particelle 612 e 616 (rispettivamente di mq. 4.430 e mq. 735) per complessivi mq. 5.165.
Con ciò motivatamente discostandosi dal rilievo tecnico di parte appellante secondo il quale la superficie ablata (inizialmente indicata in ricorso in mq. 5.945) misurava mq. 5.385,00.
Ciò in quanto (punto 2.2. della gravata decisione) nello stesso atto pubblico di divisione e donazione risultava che le aree soggette ad “occupazione ultra quinquennale d’urgenza” erano solo e soltanto le part. 612 e 616 rispettivamente per mq. 4.430 e mq. 735 (e, quindi, per un totale di mq. 5.165), mentre nella part. 614, di mq. 220, era ubicata la strada di accesso interpoderale precedente all’occupazione (proprio l’estensione della part. 614, di mq. 220, era pari alla differenza tra il dato complessivo accertato e la superficie di terreno effettivamente destinata all’opera pubblica, cui si doveva fare correttamente riferimento).
Il Tar poi (capo n. 3 della gravata decisione) ha recepito le indicazioni del verificatore che aveva stimato il valore venale unitario dell’area in questione, al novembre 2007, in € 91,14 al mq, (con apprezzamento costituente risultato di una media fra i valori ottenuti dall’applicazione di più criteri) con ciò motivatamente disattendendo le indicazioni di parte appellante secondo le quali era alla stessa attribuibile il maggior valore di € 251,00 al mq.
Il primo giudice ha quindi statuito che spettava alla originaria ricorrente il risarcimento per la perdita del diritto di proprietà.
Esso doveva essere determinato, però non già con riferimento alla data di ultimazione dell’opera pubblica, secondo il meccanismo dell’accessione invertita, ormai espunto dall’ ordinamento, ma con riguardo alla data in cui l’Amministrazione aveva adottato un provvedimento di acquisizione sanante ex art. 43 T.U. espr., oppure, in mancanza (come nel caso di specie), a quello in cui il proprietario, optando per il solo risarcimento del danno per equivalente, aveva abbandonato implicitamente il proprio diritto di proprietà in favore dell’Amministrazione. Al capo 4.1 della sentenza, il primo giudice ha esaminato –alla luce degli atti giuridici succedutisi- la situazione della titolarità dell’area ed è pervenuto alla conclusione che la originaria ricorrente, contrariamente a quanto dedotto negli atti difensivi, non era proprietaria esclusiva di tutte le aree occupate dal Comune.
In virtù dell’atto di divisione e donazione del 31 maggio 2006, essa era, infatti, divenuta proprietaria esclusiva della part. 616 e comproprietaria di metà indivisa della part. 612, spettante per la restante parte (non a V P, come asserito dal verificatore, ma) a C L Letizia, come, era stato peraltro riconosciuto dallo stesso consulente di parte nella relazione del 7 maggio 2009, prodotta dal verificatore.
Ne conseguiva che, ad avviso del Tar, la domanda risarcitoria dovesse essere respinta con riferimento alla porzione di aree della quali l’odierna appellante non era proprietaria esclusiva: il principio secondo cui l'amministrazione poteva acquistare la proprietà del bene per effetto dell'implicita abdicazione dalla sua titolarità da parte del privato proprietario, espressa con l'esercizio dell'azione di risarcimento per equivalente, era inapplicabile nel caso in cui l’azione non fosse stata intrapresa da tutti i comproprietari in quanto l’effetto, utile per l’amministrazione, di acquisire la titolarità giuridica del bene nell’interesse della collettività, sarebbe stato impedito dall’automatico operare del meccanismo di c.d. espansione della quota, connaturale allo schema di contitolarità di un diritto reale.
La B aveva agito assumendo di essere proprietaria tout court dei fondi in questione e non aveva modificato la propria domanda a seguito degli esiti istruttori, sicché, anche per altro verso, la domanda era da respingere, atteso che, a tenore del co. 3 dell’art. 1108 c.c., (elencazione ritenuta non tassativa e comprensiva anche degli atti di rinuncia alla cosa comune) era necessario il consenso unanime dei partecipanti alla comunione quando venisse in considerazione l’intero diritto in comproprietà.
Ne conseguiva che il Comune di Reggio Calabria, che nella propria costituzione - così superando la stessa eccezione di difetto di legittimazione passiva preliminarmente dedotta - aveva anche chiesto di dichiarare l’acquisto, in proprio favore, della proprietà dei terreni occupati, senza nulla opporre circa la situazione di comproprietà (già esistente ai tempi dell’immissione in possesso, sia pure con titolari in parte diversi), doveva divenire proprietario solo della part. 616 (in ordine alla quale il risarcimento è stato quantificato dal Tar in misura pari a € 66.987,90 - € 91,14 x 735 mq).
E’ stata poi respinta la domanda volta alla liquidazione del “maggior danno relativo alle residue parti del fondo ormai praticamente inutilizzabili a causa della obiettiva insufficienza delle superfici delle stesse (mq. 4.100) a garantire il lotto minimo (mq. 10.000) per procedere a lottizzazione”.
Il primo giudice, infatti, quanto a tale capo di domanda, ha in primo luogo puntualizzato che il lotto minimo nella zona in questione era di 5.000 mq. e non di 10.000 mq. (come inesattamente sostenuto nel mezzo di primo) essendo state recepite dal Collegio di primo grado le osservazioni del verificatore, secondo cui la superficie residua del fondo aveva una estensione di mq.