Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-07-20, n. 202105479

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-07-20, n. 202105479
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202105479
Data del deposito : 20 luglio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 20/07/2021

N. 05479/2021REG.PROV.COLL.

N. 01861/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1861 del 2015, proposto dalla s.r.l. M, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato N P, domiciliato presso la Segreteria della Sesta Sezione del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, n. 13;

contro

il Comune di Signa, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati E C ed E V, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato S C in Roma, via Pierluigi da Palestrina, n. 63;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza) n. 1129/2014, resa tra le parti, concernente un diniego di concessione edilizia in sanatoria;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Signa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza del giorno 14 luglio 2021 il Cons. D P e uditi per le parti gli avvocati N P e E C in collegamento da remoto, ai sensi dell’art. 4, comma 1, del decreto legge 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 2020, n. 70, e dell’art. 25 del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto dalla circolare del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa 13 marzo 2020, n. 6305;


Rilevato in fatto che:

- con l’appello in esame l’odierna parte appellante impugnava la sentenza n. 1129 del 2014, con cui il Tar Toscana aveva respinto l’originario gravame;

- quest’ultimo era stato proposto dalla stessa parte per l’annullamento del provvedimento comunicato con nota 7 aprile 1997, prot. 738, pervenuto in data 9 aprile 1997 a firma dell'assessore all'urbanistica, con la quale si respingeva la richiesta di sanatoria presentata dalla soc. M in data 25 febbraio 1995, prot. 3614, e degli atti connessi;

- con motivi aggiunti era stato altresì impugnato il provvedimento comunicato con nota prot. 576 del 9 aprile 1997 a firma dell'assessore all'urbanistica prevenuto in data 12 aprile 1997, con cui è stata respinta la richiesta presentata in data 22 settembre 1995, prot. 17086, di accertamento di conformità e degli atti connessi, compresa la successiva ordinanza demolitoria n. 2958 del 26 maggio 1997;

- nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante censurava la sentenza appellata, riproponendo le censure di primo grado;

- in particolare, sul diniego di condono edilizio, veniva dedotta la erronea rappresentazione dei fatti, contraddittorietà ed illogicità della motivazione, error in procedendo ed omessa pronuncia;

- sul diniego di accertamento di conformità, venivano dedotti analoghi motivi, nonché violazione della legge 1497 del 1939 e del d.m. 21 luglio 1971, sviamento e difetto di competenza;

- sull’ordine di demolizione venivano dedotti analoghi motivi, anche in relazione al gazebo;

- venivano altresì riproposte le censure in termini di incompetenza all’adozione degli atti impugnati;

- la parte appellata si costituiva in giudizio, chiedendo il rigetto dell’appello;

- alla pubblica udienza del 14 luglio 2021 la causa passava in decisione.

Considerato in diritto che:

- l’appello è infondato;

- la fattispecie risulta correttamente ricostruita dalla sentenza impugnata;

- in origine, con atto del 14 aprile 1989 il Comune appellato autorizzava la società appellante a mantenere in essere una tensostruttura in plastica a copertura del cortile di ingresso della “Villa Castelletti” di sua proprietà (soggetta a vincolo paesaggistico), assenso limitato al periodo autunnale ed invernale, con obbligo di rimozione del telone;

- in seguito la società stessa procedeva a sostituire la copertura con altra di più solida fattura ed a realizzare all’esterno dell’ingresso al cortile dell’edificio un ulteriore manufatto coprente in metallo e vetro, senza più procedere alla rimozione stagionale;

- al fine di regolarizzare gli interventi effettuati e di stabilizzare il carattere permanente della nuova struttura, la società proponeva istanza di condono edilizio ai sensi dell’art. 39 della L. 724 del 1994;

- nelle more della definizione di tale domanda di condono, la società operava la sostituzione del telone di copertura interna al cortile con una struttura in vetro e metallo e presentava al Comune istanza di accertamento di conformità per sanare tale intervento, qualificato in termini di manutenzione straordinaria;

- con il primo atto impugnato in prime cure, il Comune respingeva l’istanza di condono edilizio ritenendo, che l’opera che ne costituiva l’oggetto sarebbe venuta meno a causa della sua demolizione e della ricostruzione di un diverso manufatto;

- con il secondo atto impugnato in prime cure il Comune respingeva anche la richiesta di accertamento di conformità, ritenendo che l’intervento eseguito dalla Società nelle more del procedimento di condono non potesse classificarsi nell’ambito della manutenzione straordinaria, costituendo, invece, una nuova costruzione realizzata in violazione dell’art. 14 delle NTA che, nella zona ove è sito l’immobile, non consentirebbe incrementi volumetrici;

- il rigetto della istanza era motivato anche da ragioni di natura paesaggistica, contrastando l’intervento realizzato, per dimensioni e caratteristiche tipologiche, con i valori protetti dal vincolo paesaggistico nell’ambito del quale la villa ricade;

- seguiva quindi l’ordinanza sanzionatoria, parimenti impugnata in prime cure;

- il primo ordine di motivi di appello riguarda il diniego di condono, in relazione al quale vanno condivise le argomentazioni poste a base della sentenza impugnata;

- in linea di diritto, costituisce principio consolidato l’orientamento per il quale in pendenza di una domanda di condono è precluso all'interessato apportare all'immobile da questa interessato modifiche travalicanti il limite di quelle non sostanziali, essendo essenziale alla procedibilità della domanda di condono che l'immobile cui la stessa si riferisce permanga inalterato fino al momento della definizione dell'istanza, a maggior ragione laddove, come nel caso di specie, l’area sia soggetta a vincolo;

- nel caso de quo le opere poste in essere non possono qualificarsi in termini di meri interventi finalizzati a garantire la conservazione del manufatto, in quanto hanno comportato l’integrale sostituzione dell’opera oggetto di istanza di condono, mutandone altresì le caratteristiche essenziali rispetto al pregresso;

- infatti, la precedente struttura in tela, da rimuovere stagionalmente, è stata sostituita da una diversa struttura in ferro e vetro, di caratteristiche sia funzionali (permanenti) che strutturali (per rigidità e per differenza di materiali) diverse, oltre che di impatto estetico (e quindi anche paesaggistico) ben differente;

- anche rispetto al secondo ordine di motivi di appello, riguardante il diniego di sanatoria, vanno condivise le argomentazioni poste a base della sentenza impugnata;

- contrariamente a quanto dedotto in appello, il Tar ha correttamente richiamato ed applicato la pianificazione indicata dalla stessa parte, evidenziando le carenze ostative alla presunta conformità;

- in particolare, i Giudici di prime cure hanno con chiarezza rilevato nel senso che “ le concrete possibilità di trasformazione del suddetto immobile erano in realtà specificate da un piano particolareggiato che ammetteva solo interventi di manutenzione straordinaria e restauro conservativo, sia per il fatto che la domanda di accertamento di conformità da essa presentata al Comune di Signa qualificava l'intervento come manutenzione straordinaria non contenendo perciò un progetto munito di calcoli planovolumetici che consentisse al predetto ente di accertare il rispetto dei parametri urbanistici previsti dalla zona F per le nuove costruzioni ”;

- tali corrette affermazioni trovano ulteriore sostegno nella qualificazione della nuova opere che, per funzione, consistenza ed impatto anche paesaggistico, rientra all’evidenza nel concetto di nuova opera, non certo in quelli di manutenzione straordinaria o restauro conservativo;

- a quest’ultimo proposito, assumono rilievo dirimente la completa sostituzione del preesistente tendone stagionale con una nuova struttura fissa, in vetro e ferro, stabilmente ancorata a terra, nei termini sopra evidenziati;

- se per un verso i profili sin qui rilevati, di carattere edilizio, assumono carattere sufficiente ed assorbente in merito alla legittimità degli atti impugnati, per un altro verso nessun rilievo può attribuirsi alle ulteriori contestazioni svolte in appello in tema di danno ambientale;

- infatti, se il vincolo paesaggistico esistente, seppur non riguardante solo la villa in questione, rileva nei termini correttamente evidenziati dagli uffici comunali e dal Tar (cfr. il d.m. 21 luglio 1971), le relative valutazioni appaiono coerenti rispetto al contesto coinvolto ed all’impatto della nuova opera realizzata;

- analoga piena condivisione va espressa in ordine al rigetto dei vizi dedotti in prime cure avverso il conseguente atto sanzionatorio;

- infatti, la predetta qualificazione dell’opera abusivamente realizzata ha come conseguenza vincolata l’applicazione della sanzione irrogata;

- in proposito va ribadito come opere quali quelle in questione, anche volendo prescindere dal contesto vincolato, in quanto determinano una variazione planovolumetrica ed architettonica dell'immobile nel quale vengono realizzate, sono senza dubbio soggette al preventivo rilascio di permesso di costruire (cfr. ex multis Consiglio di Stato sez. VI, 4 ottobre 2019, n.6720);

- trattasi infatti di strutture fissate in maniera stabile al pavimento che comportano la chiusura di una parte del terreno, con conseguente aumento di volumetria e modifica del prospetto, né può assumere rilievo la natura dei materiali utilizzati, in quanto la chiusura, anche ove realizzata con pannelli non in muratura, costituisce comunque un aumento volumetrico;

- deve anche escludersi che la trasformazione predetta costituisca una «pertinenza» in senso urbanistico, integrando infatti un nuovo spazio autonomamente utilizzabile, il quale viene ad aggregarsi ad un preesistente organismo edilizio, per ciò solo trasformandolo in termini di sagoma, volume e superficie;

- nel caso di specie nessun rilievo può attribuirsi al precedente tendone, sia per il carattere stagionale dello stesso, sia per la diversa consistenza, mentre le stesse considerazioni debbono estendersi al gazebo;

- infine, parimenti condivise sono le argomentazioni poste a base del rigetto di motivi di incompetenza;

- al riguardo, in linea di diritto come noto, l’ordinanza di demolizione è atto vincolato che non richiede specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né comparazione alcuna con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né motivazione sulla sussistenza dell'interesse pubblico concreto e attuale alla demolizione (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 19 marzo 2021, n. 2380);

- nel caso di specie, peraltro, il motivo appare erroneamente dedotto in quanto, lungi dall’indicare la competenza gestionale dei dirigenti (quella sì eventualmente rilevante ai fini di legittimità invocati), ci si limita a contestare la mancanza di delegabilità da parte del Sindaco all’assessore;

- a quest’ultimo proposito, va ribadito l’orientamento secondo cui non esistono ostacoli di ordine normativo - eccetto diverse norme di statuto o regolamento dell'ente locale - a che il sindaco deleghi un assessore all'adozione di atti in materia urbanistica ed edilizia che non costituiscano espressione di funzioni di ufficiale di governo, ma che attengano alla cura di interessi tipicamente locali e strettamente coordinati con le esigenze della comunità insediata in un certo territorio (cfr. Consiglio di Stato sez. IV, 3 agosto 2010, n. 5156);

- alla luce delle considerazioni che precedono, l’appello va respinto;

- le spese del presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

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