Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-08-09, n. 202207023

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-08-09, n. 202207023
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202207023
Data del deposito : 9 agosto 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 09/08/2022

N. 07023/2022REG.PROV.COLL.

N. 10098/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10098 del 2020, proposto da
Comune di Torre del Greco, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato R S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato S C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Terza) n. -OMISSIS-/2020, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Vista la memoria di costituzione in giudizio di -OMISSIS- con riproposizione dei motivi ex art. 101, comma 2, c.p.a.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 maggio 2022 il Cons. Francesco De Luca e uditi per le parti gli avvocati R S e Ennio De Vita per delega di S C;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Ricorrendo dinnanzi al T Campania, Napoli, il Sig. -OMISSIS- ha impugnato il provvedimento n. 58353 del 6.9.2019, recante il diniego di accertamento di conformità ex art. 36 DPR n. 380/01 opposto da Comune di Torre del Greco, nonché l’ordinanza n. 222 del 18.7.2019, assunta dalla stessa Amministrazione comunale, recante l’irrogazione della sanzione pecuniaria ex art. 31, comma 4 bis, DPR n. 380/01.

Secondo quanto dedotto nel ricorso di primo grado:

- il ricorrente, comproprietario di un immobile ubicato in Torre del Greco, ha ricevuto la notificazione, all’esito di alcuni accertamenti comunali svolti nel corso del 2011, di due ordinanze di demolizione (nn. 955 e 956 del 6.10.2011), con cui si contestava alla parte privata, quale proprietario e committente, la realizzazione di una ristrutturazione edilizia con ampliamento volumetrico in assenza del titolo edilizio;

- l’immobile è stato sottoposto a sequestro convalidato dal G.I.P. presso il Tribunale di Torre Annunziata;

- il ricorrente, per provvedere alla rimozione degli abusi contestati e non sanabili, ha chiesto e ottenuto il dissequestro dell’immobile in data 4.11.2013;
in particolare, il dissequestro è stato disposto limitatamente alle opere in contestazione non sanabili per difformità con lo strumento urbanistico;

- il ricorrente ha, quindi, presentato in data 8.11.2013 una DIA (pratica n. 606/2013) per la rimozione degli abusi non sanabili;

- l’Amministrazione comunale con provvedimento n. 435 del 3.3.2014 ha revocato parzialmente l’ordinanza di demolizione n. 956/2011;

- le opere rimanenti sono rimaste sotto sequestro;

- il ricorrente ha presentato in data 22.1.2018 un’istanza di accertamento di conformità ex art. 36 DPR n. 380/01, sulla quale: a) il responsabile del procedimento, con relazione del 16.2.2018, sotto il profilo urbanistico ed edilizio, ha verificato la sussistenza del requisito della doppia conformità ex art. 36 DPR n. 380/01;
b) la Commissione Locale del Paesaggio, nella seduta del 19.2.2018, ha espresso parere favorevole di compatibilità paesaggistica;
c) la Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio per l’Area Metropolitana di Napoli, con nota n. 10002 del 22.6.2018, ha espresso parere favorevole di compatibilità paesaggistica;

- l’Amministrazione comunale, con provvedimento n. 48820 del 16.7.2019, nel dichiarare la sussistenza di presupposti per l’accoglimento dell’istanza di sanatoria, ha irrogato la sanzione amministrativa pecuniaria di € 4.843,80, ai sensi dell’art. 36 DPR n. 380/01, e di € 1.309,13, ai sensi dell’art. 167 D. Lgs. n. 42/04;
tali importi sono stati pagati dal ricorrente in data 25.7.2019;

- la stessa Amministrazione, con ordinanza n. 222 del 18.7.2019, ha irrogato la sanzione pecuniaria ex art. 31, comma 4 bis, DPR n. 380/01, per mancata demolizione delle opere dei termini assegnati, per un importo di € 20.000,00;

- il ricorrente, con nota del 7.8.2019, ha svolto argomentazioni controdeduttive in ordine all’insussistenza dei presupposti per il pagamento della sanzione di € 20.000,00;

- l’Amministrazione, con provvedimento n. 58353 del 6.9.2019, ha confermato l’irrogazione della sanzione pecuniaria disposta con l’ordinanza n. 222/2019, nonché ha rigettato l’istanza di accertamento di conformità ex art. 36 DPR n. 380/01, riscontrando il difetto di legittimazione in capo alla parte privata ad ottenere la sanatoria dell’abuso edilizio in concreto commesso;

- il Sig. -OMISSIS- ha impugnato il provvedimento n. 58353 del 6.9.2019 e l’ordinanza n. 222 del 18.7.2019, deducendone l’illegittimità con l’articolazione di plurimi motivi di censura.

2. Il T adito, con ordinanza n. -OMISSIS- del 15.11.2019, ha accolto l’istanza cautelare articolata dal ricorrente, rilevando che:

- il ricorso appariva, prima facie , assistito da sufficienti elementi di fondatezza, in relazione ai profili - dedotti con la seconda censura - di difetto di motivazione, in punto di legittimazione del ricorrente a presentare istanza di concessione edilizia in sanatoria;

- ove relativa alla mancanza di legittimazione del ricorrente per essersi verificato l’effetto acquisitivo, l’atto non resisteva ai lamentati vizi, in ragione della non predicabilità di un effetto ostativo assoluto per la sola verifica della scadenza dei termini ex art. 31 co 3 TUE , essendo consentita la sanatoria “ fino alla irrogazione delle sanzioni definitive ”.

Il primo giudice, inoltre, in relazione al diniego di accertamento di conformità, ha ritenuto “ idonea tutela degli interessi del ricorrente ordinare alla resistente amministrazione il riesame del provvedimento alla luce dei motivi contenuti in ricorso (in particolare quelli esplicitati sub VII) ”.

3. L’Amministrazione comunale, in esecuzione dell’ordine cautelare, ha assunto il provvedimento n. 78509 del 26.11.2019, con cui, richiamato l’accertamento dell’inottemperanza dell’ordine demolitorio n. 955/2011, recato nel verbale del Comando di Polizia Municipale del 27.4.2016, ha confermato “ la sanzione pecuniaria così come irrogata con l’ordinanza n. 222/2019 e, per l’effetto, il non accoglimento della pratica edilizia n. 33/2018, prot. n. 5071 del 22.01.2018, ex art. 36 del DPR 380/2001 ”.

4. Tale provvedimento è stato impugnato con motivi aggiunti proposti in primo grado, con l’articolazione di plurimi vizi di legittimità.

5. Il Comune intimato si è costituito in giudizio, resistendo al ricorso.

6. Il T, a definizione del giudizio, ha dichiarato l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse del ricorso introduttivo, in quanto riferito ad un atto ormai sostituito dal provvedimento censurato con motivi aggiunti, mentre ha accolto i motivi aggiunti, rilevando che il provvedimento di conferma risultava corredato da erronea e non conferente motivazione.

7. Il Comune soccombente in primo grado ha appellato la sentenza pronunciata dal T, deducendone l’erroneità con l’articolazione di molteplici motivi di censura.

8. Il Sig. -OMISSIS- si è costituito in giudizio, riproponendo i motivi di doglianza assorbiti in primo grado.

9. In pendenza del giudizio di appello, l’Amministrazione comunale ha chiesto la concessione di misure cautelari con domanda depositata in data 14.2.2021

10. L’appellato ha controdedotto in ordine alla domanda cautelare con memoria dell’8.3.2021.

11. La Sezione, con ordinanza n. 1323 del 15.3.2021, ha rigettato la domanda cautelare proposta dall’appellante.

12. In vista dell’udienza di discussione le parti hanno depositato documenti, memorie e repliche.

13. La causa è stata trattenuta in decisione nell’udienza pubblica del 5 maggio 2022.

DIRITTO

1. Preliminarmente, deve essere esaminata l’eccezione di improcedibilità o di cessazione della materia del contendere opposta dall’appellato con la memoria conclusionale e motivata sulla base della sopravvenuta adozione, in pendenza dell’odierno grado di giudizio, del permesso di costruire in sanatoria riferito alle opere per cui è causa.

L’eccezione è infondata.

L’adozione di un provvedimento amministrativo sopravvenuto nel corso del giudizio di appello non implica una sopravvenuta, implicita, rinuncia a coltivare l’impugnazione nelle more proposta, né è significativa di una condotta di acquiescenza valorizzabile quale causa di improcedibilità del gravame.

Deve, al riguardo, essere richiamato l’indirizzo giurisprudenziale di questo Consiglio (ex multis, sez. III, 10 febbraio 2021, n. 1246), secondo cui non può essere prospettata alcuna acquiescenza in mancanza di una chiara manifestazione di volontà di segno contrario.

L'acquiescenza alla sentenza di primo grado non può, infatti, desumersi dall'esecuzione della sentenza stessa che, se non sospesa, è doverosa per l'amministrazione soccombente, a meno che nell'ambito dell'esecuzione così intrapresa quest'ultima dichiari in modo espresso di accettare la decisione o, comunque, tale accettazione sia inequivocabilmente evincibile dal complessivo comportamento tenuto (cfr. Consiglio di Stato, sez. II, 27 aprile 2020, n. 2666).

Avuto riguardo al caso di specie, emerge che la condotta comunale, tradottasi nell’adozione del permesso di costruire in sanatoria n. 57 del 21 settembre 2021, all’esito di una sentenza di primo grado non sospesa (stante il rigetto della domanda cautelare proposta dall’appellante - cfr. ordinanza n. 1323 dell’11 marzo 2021 cit.), in assenza di contrari indici ritraibili dalla determinazione amministrativa e significativi di un’adesione spontanea alla pronuncia di primo grado, implica soltanto la doverosa esecuzione di un ordine giudiziale, recato nella sentenza gravata, che imponeva all’Amministrazione di pronunciarsi nuovamente sull’istanza di accertamento di conformità, nel rispetto dei criteri conformativi divisati nel provvedimento giurisdizionale.

Tanto emerge, del resto, dallo stesso contenuto motivazionale del provvedimento di sanatoria n. 57/21, in cui si dà espressamente atto che:

- il T, con sentenza n. -OMISSIS- del 2010, aveva annullato e reso improduttivi tutti i provvedimenti impugnati con ricorso n. 4258/2009 “ e tra questi, il provvedimento prot. n. 78509 del 26.11.2019 che in quanto adottato in sede di riesame, si è sostituito integralmente ai provvedimenti impugnati con il ricorso introduttivo ”;

- con nota n. 1982 del 14.1.2021 il Sig. -OMISSIS- “ ha diffidato ed ha messo in mora l’Amministrazione a dare completa ed immediata esecuzione alla Sentenza TAR n. -OMISSIS- del 2020 e a provvedere al rilascio della sanatoria richiesta con prot. 5071 del 22.01.2018 ”;

- il Consiglio di Stato, con l’ordinanza n. 1323 del 2021, aveva rigettato la richiesta cautelare articolata dall’Amministrazione appellante in relazione alla sentenza di prime cure n. -OMISSIS-/2020;

- in data 1.7.2021, il legale incaricato dall’Ente aveva trasmesso all’Amministrazione la sentenza del T Campania, Napoli, resa sul ricorso per l’ottemperanza della sentenza n. -OMISSIS-/2020 proposto dalla parte privata, recante l’ordine al Comune di pronunciarsi sulla domanda di accertamento di conformità proposta da parte ricorrente, esaminando il merito della stessa;

- per l’effetto, con nota n. 38554 del 9.7.2021, l’Amministrazione aveva invitato il “ R.d.P. all’esame in merito all’accertamento di conformità, in esecuzione a quanto disposto con la su citata Sentenza TAR 1290/2021 ”;

- alla stregua di quanto comunicato all’Amministrazione dal legale incaricato, doveva ritenersi persistente l’obbligo per l’Ente di pronunciarsi sull’istanza edilizia dell’ing. -OMISSIS- e, per l’effetto, di dare esecuzione alla sentenza di primo grado, nonché alla successiva sentenza di ottemperanza.

Emerge, dunque, che il rilascio del permesso di costruire in sanatoria n. 57 del 2021 non si è tradotto in un’azione amministrativa spontaneamente e autonomamente tenuta in pendenza di giudizio (non riscontrandosi alcuna adesione dell’Amministrazione alla sentenza gravata, con conseguente impossibilità di ravvisare un’acquiescenza allo sfavorevole dictum giudiziale o un’ipotesi di cessata materia del contendere);
bensì ha rappresentato una doverosa esecuzione di una sentenza impugnata, non sospesa, cogente per l’Amministrazione soccombente, alla stregua di quanto pure prescritto dal T in sede di ottemperanza.

Di conseguenza, deve ritenersi persistente in capo all’appellante un interesse ad ottenere una pronuncia sulla propria impugnazione, tenuto conto che, in caso di accoglimento dell’appello, in ragione dell’effetto espansivo esterno della riforma della sentenza di primo grado ex art. 336, comma 2, c.p.c., si produrrebbe la caducazione di tutti gli atti assunti in esecuzione della pronuncia gravata, ivi compreso il provvedimento di sanatoria assunto in sua ottemperanza.

2. Sempre in via preliminare, deve essere esaminata l’eccezione di inutilizzabilità dei documenti nn. 5 e 8 opposta dal Sig. -OMISSIS- (con la memoria dell’8.3.2021) e motivata sulla base della violazione del divieto dei nova in appello.

Premesso che l’eccezione sembra riferibile ai documenti contraddistinti ai numeri 4 e 7 dell’indice depositato dall’appellante -non sussistendo il documento 8 e, dunque, dovendo ritenersi che l’ultimo documento depositato, n. 7, corrisponda al documento n. 8 erroneamente indicato dalla parte appellata, con conseguente necessità di riconsiderare anche il riferimento al documento n. 5 quale rinvio al documento n. 4 (tenuto conto, peraltro, che il doc. n. 5 riguarda il provvedimento impugnato con i motivi aggiunti in primo grado, già compreso tra gli atti acquisiti al giudizio) - la violazione processuale denunciata dall’appellato non risulta riscontrabile nella specie.

Difatti, il doc. n. 7, recante una sentenza penale di condanna emessa dal Tribunale di Torre Annunziata, era già presente agli atti di primo grado, perché prodotto dall’Amministrazione comunale dinnanzi al T (nell’ambito dei documenti sub 2 della memoria di costituzione in giudizio), mentre il doc. n. 4 configura il verbale di accertamento posto a base del provvedimento impugnato in primo grado con motivi aggiunti, tale, dunque, da essere acquisibile in grado di appello in quanto indispensabile ai fini della decisione.

Sotto tale profilo, si osserva, infatti, che la documentazione riguardante i procedimenti amministrativi definiti con provvedimenti impugnati in giudizio può essere acquisita anche in grado di appello, trattandosi di documenti considerati ex lege (artt. 46, comma 2, c.p.a. e 65, comma 3, c.p.a.) indispensabili ai fini della decisione, come tali oggetto di un obbligo di produzione a carico dell’Amministrazione intimata e acquisibili al giudizio, in caso di inottemperanza della resistente, anche in sede di gravame e su ordine giudiziale (Consiglio di Stato, sez. V, 14 aprile 2020, n. 2385).

Avuto riguardo al caso di specie, il provvedimento n. 78509 del 26 novembre 2019 impugnato con motivi aggiunti dinnanzi al T richiamava, il “ verbale redatto dal Comando di Polizia Municipale in data 27/04/2016 ”, valorizzato dall’Amministrazione a sostegno della decisione di riesame in concreto assunta;
per l’effetto, tale verbale, prodotto dall’appellante sub doc. 4 della produzione di secondo grado, in quanto alla basse del provvedimento impugnato in primo grado, deve ritenersi indispensabile ai fini della decisione (giusta il combinato disposto di cui agli artt. 46, comma 2, c.p.a, 65, comma 3, c.p.a. e 104, comma 2, c.p.a.) e, come tale, è acquisibile anche in grado di appello.

3. Ciò premesso nel rito, è possibile soffermarsi sui motivi di appello, provvedendo, a fronte di censure oggettivamente connesse, alla loro trattazione unitaria.

Nella misura in cui siano connessi ai motivi di appello, saranno esaminati congiuntamente anche i motivi di ricorso riproposti dall’appellato con memoria del 12 febbraio 2021.

4. Con il primo motivo di appello viene dedotta la contraddittorietà della sentenza gravata, per avere il T acriticamente valorizzato la narrazione dei fatti recata in un ricorso (introduttivo) dichiarato improcedibile, non avente alcuna correlazione con i motivi aggiunti in concreto accolti.

4.1 Secondo la prospettazione attorea, il Sig. -OMISSIS- si sarebbe limitato, nell’ambito del ricorso per motivi aggiunti, a descrivere gli accadimenti processuali, ragion per cui i fatti descritti nel ricorso introduttivo avrebbero dovuto ritenersi irrilevanti in relazione ai nuovi motivi di censura.

Il T avrebbe, inoltre, omesso di considerare altre circostanze rilevanti ai fini dell’odierna controversia, concernenti altre istanze e procedimenti, anche giudiziari, suscettibili di frapporsi alla “ pretesa linearità dell’operato dell’appellato, originario ricorrente ” (pag. 5 ricorso in appello).

4.2 Il motivo di appello è infondato;
il che esime il Collegio dallo statuire sull’eccezione di inammissibilità delle censure attoree opposta dal Sig. -OMISSIS-, il cui accoglimento non arrecherebbe alla parte privata una utilità maggiore rispetto a quella discendente dal rigetto, nel merito, del relativo motivo di impugnazione.

4.3 In primo luogo, si osserva che la dichiarazione di improcedibilità del ricorso introduttivo riguarda meri profili di rito, essendo stato al riguardo escluso un interesse attuale alla disamina nel merito dei motivi di impugnazione ivi proposti: una siffatta pronuncia, tuttavia, non consente di ritenere travolta l’esposizione dei fatti di causa riportata nel ricorso introduttivo che, per esigenze di sinteticità, il ricorrente non era onerato a riprodurre nell’ambito dei motivi aggiunti, trattandosi di un atto acquisito al medesimo grado di giudizio, integrativo delle doglianze già svolte con il ricorso principale.

Con i motivi aggiunti, correttamente, la parte attorea si è soffermata sugli accadimenti successivi alla proposizione del ricorso, al fine di evidenziare le ulteriori ragioni di illegittimità inficianti l’operato amministrativo in contestazione.

Non si registra, dunque, alcuna erroneità nel valorizzare, ai fini della disamina dei motivi aggiunti, i fatti dedotti nell’atto introduttivo del giudizio, trattandosi di circostanze comunque rilevanti per delineare il complessivo assetto di interessi attuato sul piano sostanziale tra le parti processuali, valutabile anche per statuire sulle ulteriori censure svolte dal ricorrente ai sensi dell’art. 43 c.p.a.

4.4 In secondo luogo, si osserva che, in ragione dell’effetto devolutivo proprio dell’appello, l’omessa pronuncia ovvero la contraddittorietà o l’erroneità della motivazione giudiziale non determinano l’annullamento con rinvio della sentenza gravata (non ricorrendo alcuna delle fattispecie di rimessione al primo giudice ex art. 105 c.p.a.), né comportano la riforma della pronuncia di prime cure, ammissibile soltanto ove si giunga ad un diverso esito della controversia.

Pure di fronte ad una omessa pronuncia ovvero ad una motivazione contraddittoria o erronea, occorre che il giudice ad quem verifichi se il contenuto dispositivo della decisione assunta dal T – nella specie di accoglimento del ricorso – sia comunque corretto.

L’asserita omessa valorizzazione di circostanze fattuali in ipotesi decisive ai fini di una diversa definizione del giudizio non può, dunque, comportare, di per sé, la riforma della sentenza gravata, essendo onere della parte appellante evidenziare quali siano tali ulteriori accadimenti non valorizzati dal primo giudice e come gli stessi rilevino al fine di condurre ad un diverso esito della controversia.

Tali specifiche deduzioni non vengono svolte nell’ambito del primo motivo di appello, essendosi limitata l’Amministrazione ad un generico riferimento alla “ sussistenza di altre istanze e procedimenti, anche giudiziari, che si frappongono alla pretesa linearità dell’operato dell’appellato, originario ricorrente, cui ha dato credito il Collegio partenopeo ” (pag. 5 ricorso in appello), senza, tuttavia, indicare puntualmente quali fossero tali istanze e procedimenti e come essi potessero influire sulla decisione del ricorso.

Sulla base di tali deduzioni, dunque, il motivo di appello non può trovare accoglimento.

4.5 In terzo luogo, si rileva, comunque, che il T ha valorizzato, a base della propria decisione, la mancata irrogazione di una sanzione rilevante ai sensi dell’ex art. 36 DPR n. 380/01, escludendo che potesse apprezzarsi a tali fini il mero verbale di accertamento dell’inottemperanza dell’ordine di demolizione.

In particolare, secondo quanto statuito dal T, da un lato, l’art. 36 DPR n. 380/01 consentiva “ la presentazione della domanda di accertamento di conformità in un momento successivo alla scadenza del termine ex art. 31, comma 3, ove a tal momento non siano state ancora in concreto irrogate le sanzioni definitive” ;
dall’altro, “ la sanzione della perdita della proprietà per inottemperanza all'ordine di remissione in pristino, pur se definita come una conseguenza di diritto dall'art. 31, co III, del D.P.R. n. 380/2001, richiede, in ogni caso, un provvedimento amministrativo che definisca l'oggetto dell'acquisizione al patrimonio comunale attraverso la quantificazione e la perimetrazione dell'area sottratta al privato;
nella specie deve evidenziarsi come l'Amministrazione comunale non abbia adottato alcun provvedimento di acquisizione, impedendo il consolidarsi in favore dell'Amministrazione dell'effetto traslativo della proprietà
”;
con la precisazione che “ E’ dunque erroneo e contrastante con il dettato normativo l’assunto dell’amministrazione per cui una volta intervenuto l’accertamento dell’inottemperanza che, nel caso de quo il 27/04/2016, il sig. -OMISSIS- -OMISSIS- non aveva più la possibilità di richiedere l’accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del DPR 380/2001 essendo scaduti i termini di cui agli articoli 31, comma 3 ”.

Ne deriva che, a giudizio del T, il dies ad quem per la presentazione della domanda di accertamento di conformità avrebbe richiesto almeno l’adozione del provvedimento di acquisizione al patrimonio comunale, non rilevando a tali fini il mero verbale di accertamento di inottemperanza.

Per l’effetto, le doglianze svolte dall’appellante non riguardano l’effettiva ratio decidendi alla base della sentenza gravata, data dall’assenza di un provvedimento sanzionatorio idoneo ad impedire la presentazione dell’istanza di accertamento di conformità: l’Amministrazione, piuttosto, valorizza ulteriori procedimenti, istanze o circostanze, che non sono stati richiamati in sentenza non perché erroneamente apprezzati nella loro esistenza oggettiva, ma soltanto perché ritenuti inidonei ad influire sulla decisione della controversia.

L’ipotetico errore del T non potrebbe riguardare, dunque, la ricostruzione dei fatti, ma l’interpretazione del dato normativo, occorrendo verificare se effettivamente occorra l’adozione del provvedimento di acquisizione al patrimonio comunale per precludere la presentazione dell’istanza ex art. 36 DPR n. 380/01 ovvero se un tale effetto ostativo possa discendere da atti o fatti anteriori;
il che costituisce la questione principale oggetto dell’odierno giudizio (pure suscettibile di influire sulla sussistenza dei presupposti per l’applicazione della sanzione pecuniaria ex art. 31, comma 4 bis, DPR n. 380/01), che sarà esaminata infra nella trattazione delle ulteriori censure impugnatorie.

5. Con il secondo motivo di appello viene dedotta l’erroneità della sentenza gravata, per avere il T accolto i motivi aggiunti facendo riferimento ai motivi contenuti in un ricorso dichiarato improcedibile.

5.1 In particolare, il T avrebbe apprezzato favorevolmente la seconda censura svolta con i motivi aggiunti, che tuttavia aveva ad oggetto la sola conferma del diniego dell’accertamento di conformità, senza riguardare gli altri provvedimenti impugnati, in particolare l’irrogazione della sanzione;
parimenti, a tali fini, non avrebbe potuto valorizzarsi il settimo motivo di ricorso, pure richiamato in sentenza, in quanto non riferito al provvedimento sanzionatorio.

5.2 Per ragioni di connessione, il secondo motivo di appello deve essere esaminato congiuntamente al terzo motivo e all’undicesimo motivo di appello.

Con il terzo motivo si censura la sentenza gravata per avere ritenuto assorbente un profilo di doglianza (dato dalla possibilità di presentazione dell’istanza ex art. 36 DPR n. 380/01 anche una volta intervenuto l’accertamento di inottemperanza dell’ordine demolitorio) riguardante soltanto la conferma del rigetto dell’istanza ex art. 36 DPR n. 380/01 e non anche la conferma della sanzione pecuniaria.

Con l’undicesimo motivo si denuncia il difetto di motivazione della sentenza gravata in relazione all’annullamento della conferma dell’ordinanza n. 222/2019, non percependosi le ragioni alla base della decisione di annullare non solo la conferma del diniego di sanatoria, ma anche la conferma della sanzione pecuniaria ex art. 31, comma 4 bis, cit., incentrata su autonomi presupposti e oggetto di censure diverse da quelle accolte in primo grado

Nella specie si sarebbe in presenza di un atto plurimo;
il che avrebbe imposto al T di statuire anche sul distinto provvedimento di conferma della sanzione ex art. 31, comma 4 bis, DPR n. 380/01

5.3 I motivi di appello sono infondati.

5.4 Preliminarmente, si osserva che l’Amministrazione con un unico atto (impugnato in primo grado con motivi aggiunti) ha assunto due provvedimenti amministrativi, deputati alla conferma sia del rigetto dell’istanza di accertamento di conformità, sia del provvedimento sanzionatorio ex art. 31, comma 4 bis, DPR n. 380/01.

Tuttavia, l’atto così emergente non può qualificarsi come atto plurimo, definizione da riservare ai documenti contenenti una pluralità di autonome e separate determinazioni amministrative, concernenti una pluralità di specifici destinatari, che si trovano occasionalmente riunite in unico provvedimento, ma che avrebbero potuto assumere anche la veste di tanti separati provvedimenti quanti sono i singoli destinatari (Consiglio di Stato, Sez. III, 10 febbraio /2022, n. 988).

Nel caso di specie, i provvedimenti sono rivolti nei confronti del medesimo destinatario e non risultano autonomi, in quanto incentrati sul medesimo presupposto fattuale, dato dall’inottemperanza dell’ordine demolitorio, rilevante sia per l’applicazione della sanzione pecuniaria, sia per il rigetto dell’istanza di sanatoria.

5.5 Ciò precisato, si rileva che il T non si è limitato a statuire sulla conferma del rigetto dell’istanza di accertamento di conformità, ma ha anche accolto le censure attoree riferite al provvedimento di conferma della sanzione pecuniaria, evidenziando che: “ E, come stigmatizzato nella VII censura, il Comune di Torre del Greco, con l’ordinanza impugnata aveva irrogata la sanzione pecuniaria, senza considerare che – come risulta dagli atti - il deducente:

- nel 2013, dopo il dissequestro penale, asserisce di aver rimosso gli abusi edilizi contestati;

- con DIA del 08.11.2013 – pratica 606/2013 aveva comunicato al Comune che avrebbe proceduto alla rimozione degli abusi non sanabili, DIA sulla quale il Comune nulla aveva mai contestato, ed in particolare nulla ha eccepito in ordine alla mancata rimozione degli abusi sanabili;
ed, ancora più, che sulla richiesta di sanatoria presentata dal ricorrente:

- la Commissione Locale del Paesaggio, nella seduta del 19.02.2018 (verbale n. 472), ha espresso parere favorevole di compatibilità paesaggistica;

- la Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio per l’Area metropolitana di Napoli, con nota prot. n. 10002 del 22.06.2018, ha espresso parere favorevole di compatibilità paesaggistica;

– il Dirigente del Settore Tecnico con provvedimento prot. n. 48820 del 16.07.2019 ha irrogato la sanzione amministrativa pecuniaria ex art. 36 D.P.R. n. 380/2001 ed ex art. 167 D.Lgs. 42/2004, dichiarando "che sussistono i presupposti per l’accoglimento di sanatoria in parola ”.

Tale capo decisorio riguarda anche la conferma della sanzione pecuniaria, per avere il Comune confermato l’applicazione della sanzione pecuniaria senza tenere conto di una serie di eventi influenti sia sulla rimozione di parte delle opere abusive, sia sulla conservazione di quelle rimanenti.

È vero che il T ha richiamato, al riguardo, la settima censura, avente tuttavia una portata differente (riguardante l’impossibilità della compensazione tra l’introito derivante dal pagamento della sanzione ex art. 36 DPR n. 380/01 e il quantum asseritamente dovuto ex art. 31, comma 4 bis, DPR n. 380/01), ma un tale errore deve ritenersi una fortuita divergenza fra il giudizio e la sua espressione letterale, cagionata da mera svista nella redazione della motivazione giudiziale, in quanto le circostanze predette erano state effettivamente dedotte dal ricorrente con i motivi aggiunti, (anziché con la settima cesura) con il terzo motivo di ricorso, diretto proprio a contestare la conferma della sanzione pecuniaria recata dall’ordinanza n. 222/2019 sulla base delle stesse circostanze valorizzate in sentenza (rimozione degli abusi contestati e non sanabili dopo il dissequestro penale, presentazione della DIA dell’8.11.2013, presentazione dell’istanza di sanatoria con l’acquisizione del parere favorevole della Commissione Locale del Paesaggio e della Soprintendenza BAP per l’Area metropolitana di Napoli e la dichiarazione della sussistenza dei presupposti per l’accoglimento dell’istanza di sanatoria di cui al provvedimento n. 48820/2019).

Ne deriva che il T ha statuito sui motivi di ricorso, provvedendo all’accoglimento di censure indirizzate tanto contro la conferma del diniego di accertamento di conformità, quanto contro la conferma della sanzione pecuniaria.

5.6 Infine, si osserva che il T non ha definito la controversia accogliendo le censure svolte nell’ambito di un ricorso dichiarato improcedibile, ma ha statuito su doglianze che, sebbene recate nel ricorso principale, erano state anche richiamate nell’ambito dei motivi aggiunti, costituente l’oggetto della decisione di merito.

6. Con il quarto motivo di appello l’Amministrazione impugna la sentenza di prime cure, da un lato, riportando la trascrizione di un precedente giudiziario, intervenuto sugli elementi caratterizzanti l’accertamento di conformità ex art. 36 DPR n. 380/01 (pure incentrato sul requisito della c.d. doppia conformità), dall’altro, rilevando di avere correttamente negato l’accertamento di conformità per cui è causa.

6.1 Per ragioni di connessione, il quarto motivo deve essere esaminato unitamente al quinto, al sesto, all’ottavo, al nono, al dodicesimo e al tredicesimo motivo di appello, nonché al primo motivo di ricorso riproposto dal Sig. -OMISSIS-.

6.2 In particolare, con il quinto motivo è dedotta l’erroneità della sentenza del T, per non avere tenuto conto della necessità di ancorare la decadenza dalla presentazione dell’istanza di sanatoria all’acquisizione ipso iure al patrimonio comunale della proprietà delle opere abusive, da individuare nella decorrenza del termine di novanta giorni dall’ingiunzione a demolire.

6.3 Con il sesto motivo viene dedotta l’erroneità della sentenza gravata, per non avere tenuto conto che l’istanza di accertamento era stata presentata sette anni dopo la realizzazione dei lavori e due anni dopo l’avvenuta redazione del verbale di inottemperanza all’ordinanza di demolizione, quest’ultima peraltro successiva ad una sentenza penale di condanna del Tribunale di Torre Annunziata con pena accessoria dell’abbattimento, trasmessa al Comune di Torre del Greco per gli adempimenti di competenza.

Nella specie non sarebbe stato neppure assunto il provvedimento di accertamento di conformità, in quanto non consegnato al destinatario, né comunque pubblicato, con la conseguenza che l’Amministrazione, una volta avvedutasi della carenza di legittimazione in capo all’istanza, ben avrebbe potuto negare l’istanza ex art. 36 DPR n. 380/01.

6.4 Con l’ottavo motivo viene dedotta l’erroneità della sentenza gravata, per non avere tenuto conto che l’accertamento dell’inottemperanza dell’ordine demolitorio integrasse un atto ostativo alla presentazione dell’istanza ex art. 36 DPR n. 380/01, essendo stato già acquisito di diritto al patrimonio comunale il bene abusivamente realizzato (unitamente alla relativa area di sedime), con conseguente emersione del difetto di legittimazione dell’originario proprietario o committente degli abusi.

6.5 Con il nono motivo di appello è richiamata la giurisprudenza del T Campania, Napoli, secondo cui il termine per la tempestiva ottemperanza dell’ordine demolitorio sarebbe perentorio, con la conseguenza che la sua inutile scadenza determinerebbe la decadenza della parte dalla presentazione della domanda di sanatoria.

6.6 Con il dodicesimo motivo è censurato il difetto di motivazione della sentenza gravata, in specie in relazione all’annullamento della conferma della sanzione pecuniaria: si tratterebbe, secondo quanto dedotto dall’appellante, di atto vincolato ancorato al mero dato della inottemperanza entro il termine assegnato di 90 giorni dalla notifica dell’ordinanza di demolizione, per come acclarata dal verbale pubblico di accertamento dell’inottemperanza, idoneo a giustificare l’irrogazione della sanzione pecuniaria.

Nella specie, il verbale risultava sottoscritto dall’appellato senza nulla dichiarare, nonché era intercorso un rilevante lasso temporale tra la commissione della violazione e l’accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione, non impedita da un parziale asserito ripristino. Anche eventuali problemi di salute della parte privata non avrebbero potuto ritenersi idonei ad impedire la tempestiva ottemperanza.

6.7 Con il tredicesimo motivo di appello è dedotta l’erroneità della sentenza gravata, per non avere tenuto conto che il rigetto per difetto di legittimazione dell’istanza di accertamento non risultava incompatibile con l’irrogazione della sanzione pecuniaria per mancata tempestiva ottemperanza;
parimenti, il sequestro delle opere non avrebbe potuto sottrarre il responsabile dall’applicazione della sanzione pecuniaria, non esimendo la parte dall’ottemperanza della sanzione demolitoria.

Dalla cronologia degli accadimenti emergerebbe, peraltro, che, sebbene l’abuso risalisse al 2011, il committente aveva provveduto alla richiesta di dissequestro ed alla demolizione parziale solo nel 2013, e quindi ben oltre il termine previsto dall’art. 31, senza peraltro ripristinare lo stato dei luoghi, come accertato con sentenza del Tribunale Penale di Torre Annunziata cit.

6.8 Con il primo motivo di ricorso riproposto nell’odierno grado di giudizio il Sig. -OMISSIS- deduce l’illegittimità del provvedimento impugnato con i motivi aggiunti in primo grado, in quanto incentrato sull’erroneo assunto per cui la decorrenza del termine di cui all’art. 31, comma 3, DPR n. 380/01 e, comunque, l’accertamento dell’inottemperanza all’ordinanza di demolizione fossero sufficienti per impedire l’accoglimento dell’istanza di accertamento di conformità, quando, invece, sarebbe stato necessario, a tali fini, l’espressa adozione del provvedimento di acquisizione delle opere al patrimonio comunale.

6.9 Preliminarmente, si osserva che il primo motivo di ricorso riproposto dal Sig. -OMISSIS- non è idoneo ad introdurre censure non esaminate ex art. 101, comma 2, c.p.a., facendosi questione di doglianze accolte dal T con la sentenza gravata.

Difatti, nel definire la controversia, il primo giudice ha rilevato che:

- da un lato, “ il privato destinatario di un ordine di demolizione può richiedere la sanatoria delle opere eseguite, ai sensi dell'art. 36 D.P.R. 380/2001, anche oltre il termine di 90 giorni dalla notifica dell'ordinanza. Ciò si ricava dalla chiara lettera del comma 1 dell’art. 36, che ammette la possibilità di ottenere l’accertamento di conformità "fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all'irrogazione delle sanzioni amministrative";
- la domanda di accertamento di conformità può quindi essere presentata in un momento successivo alla scadenza del termine ex art. 31, comma 3, cit., ove a tal momento non siano state ancora in concreto irrogate le sanzioni amministrative, il che ha lo scopo di evitare le previste sanzioni amministrative, senza operarsi alcuna distinzione fra sanzioni demolitorie e sanzioni pecuniarie
”;

- dall’altro, “ la sanzione della perdita della proprietà per inottemperanza all'ordine di remissione in pristino, pur se definita come una conseguenza di diritto dall'art. 31, co III, del D.P.R. n. 380/2001, richiede, in ogni caso, un provvedimento amministrativo che definisca l'oggetto dell'acquisizione al patrimonio comunale attraverso la quantificazione e la perimetrazione dell'area sottratta al privato;
nella specie deve evidenziarsi come l'Amministrazione comunale non abbia adottato alcun provvedimento di acquisizione, impedendo il consolidarsi in favore dell'Amministrazione dell'effetto traslativo della proprietà
”;

- per l’effetto, “ E’ dunque erroneo e contrastante con il dettato normativo l’assunto dell’amministrazione per cui una volta intervenuto l’accertamento dell’inottemperanza che, nel caso de quo il 27/04/2016, il sig. -OMISSIS- -OMISSIS- non aveva più la possibilità di richiedere l’accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del DPR 380/2001 essendo scaduti i termini di cui agli articoli 31, comma 3 ”.

Ne deriva che le censure svolte dalla parte privata con il primo motivo riproposto, tendenti a denunciare l’impossibilità di ricondurre il difetto di legittimazione a presentare l’istanza ex art. 36 cit. al mero verbale di accertamento dell’inottemperanza e, comunque, la necessità dell’adozione del provvedimento di acquisizione al patrimonio comunale, non configurano censure su cui il T ha omesso di pronunciare, bensì integrano un motivo accolto con la pronuncia gravata, in cui si evidenzia proprio come il mero decorso del termine di novanta giorni dalla notificazione dell’ordinanza di demolizione o il mero accertamento dell’inottemperanza in assenza dell’adozione del provvedimento di acquisizione delle opere abusive al patrimonio comunale non fossero sufficienti per privare la parte obbligata alla demolizione della legittimazione a presentare l’istanza ex art. 36 DPR n. 380/01.

Di conseguenza, non si è in presenza di un motivo suscettibile di essere riproposto ex art. 101, comma 2, c.p.a.

6.10 Ciò rilevato, si osserva che i motivi di appello proposti dall’Amministrazione sono infondati ai sensi di quanto di seguito precisato.

6.11 Preliminarmente, si rileva che, al fine dello statuire sulla legittimità degli atti amministrativi, occorre avere riguardo alle rationes decidendi alla base della loro adozione, non potendo il giudice confermare il contenuto dispositivo di un provvedimento sulla base di ragioni diverse ed ulteriori rispetto a quelle poste a base della decisione assunta dall’Amministrazione.

Nel processo amministrativo, in particolare, l'integrazione in sede giudiziale della motivazione del provvedimento impugnato è ammissibile soltanto se effettuata mediante gli atti del procedimento - nella misura in cui i documenti dell'istruttoria offrano elementi sufficienti ed univoci dai quali possano ricostruirsi le concrete ragioni della determinazione assunta - oppure attraverso l'emanazione di un autonomo provvedimento di convalida (art. 21-nonies, secondo comma, della legge n. 241 del 1990). È invece inammissibile un'integrazione postuma effettuata in sede di giudizio, mediante atti processuali, o comunque scritti difensivi.

La motivazione costituisce, infatti, il contenuto insostituibile della decisione amministrativa, anche in ipotesi di attività vincolata e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell'art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, il provvedimento affetto dai cosiddetti vizi non invalidanti (Consiglio di Stato, sez. VI, 19 ottobre 2018, n. 5984).

6.12 Sulla base di tali coordinate ermeneutiche, giova evidenziare come l’appello non possa trovare accoglimento nella parte in cui, citando un precedente giudiziario, tende a negare la ricorrenza dei presupposti per l’accertamento di conformità, dati dalla doppia conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della realizzazione delle opere e della presentazione dell’istanza.

Trattasi di una ratio decidendi non dedotta in sede amministrativa, come tale non scrutinabile in giudizio.

Con il provvedimento n. 78509/2019 l’Amministrazione ha, infatti, confermato “ la sanzione pecuniaria così come irrogata con l’ordinanza n. 222/2019 e, per l’effetto, il non accoglimento della pratica edilizia n. 33/2018, prot. n. 5071 del 22.01.2018, ex art. 36 del DPR 380/2001 ”, rilevando che:

- “ laddove il Comune ha portato a termine il procedimento sanzionatorio, accertando l’inottemperanza all’ordine di demolizione e la conseguente acquisizione gratuita del bene al patrimonio comunale, il termine entro la parte può domandare l’accertamento di conformità delle opere abusivamente realizzate è scaduto ”;

- per l’effetto, “ una volta intervenuto l’accertamento dell’inottemperanza che, nel caso del sig. -OMISSIS- -OMISSIS- è avvenuto il 27/04/2016, il sig. -OMISSIS- -OMISSIS- non aveva più la possibilità di richiedere l’accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del DPR 380/2001 essendo scaduti i termini di cui agli articoli 31, comma 3, come, tra l’altro, espressamente comunicato nel provvedimento impugnato del 06/09/2019 prot. 058353/2019 ”;

- difatti, “ allorquando l’Ente accerta, con apposito ed idoneo verbale, l’inottemperanza all’Ordinanza di demolizione, si determina il momento applicativo della sanzione e, quindi, quello a partire dal quale la parte non può più accedere alla procedura di sanatoria di cui all’accertamento di conformità ex art 36 del DPR 380/2001 ”;

- di conseguenza, doveva rilevarsi il difetto di legittimazione del Sig. -OMISSIS-, “ in quanto, per quanto innanzi detto, lo stesso non ha titolo ad accedere all’art. 36 del DPR 380/2001 perché la sanzione amministrativa è stata emessa ben prima della presentazione dell’accertamento di conformità (l’istanza è, infatti, presentata al prot. n. 5071 del 22.01.2018, cioè ben oltre il 27.04.2016, data riportata dal verbale di accertamento dell’inottemperanza) ”.

Il Comune, dunque, non ha escluso la ricorrenza del presupposto della doppia conformità, soffermandosi soltanto sulla questione della legittimazione dell’istante, negata in ragione dell’intervenuto accertamento dell’inottemperanza dell’ordine demolitorio;
la stessa circostanza è stata valorizzata per confermare la sanzione pecuniaria.

Pertanto, nella presente sede è possibile esaminare la legittimità di tale sola ratio decidendi , non potendo essere introdotti con scritti difensivi questioni non trattate in sede amministrativa, né poste alla base del provvedimento impugnato, quale la mancata integrazione degli ulteriori presupposti delineati dall’art. 36 DPR n. 380/01, alla stregua della giurisprudenza amministrativa formatasi in materia.

6.13 Rivolgendo l’attenzione, dunque, alla questione esaminata dall’Amministrazione con il provvedimento impugnato in primo grado (attraverso motivi aggiunti) e oggetto delle censure impugnatorie sollevate in sede di appello, occorre verificare quale sia il termine ultimo per la presentazione di un’istanza di accertamento di conformità ex art. 36 DPR n. 380/01.

6.14 Al riguardo, questo Consiglio:

- da un lato, ha sostenuto che “ Acclarata la natura amministrativa della sanzione recante l’ingiunzione di demolizione, ne consegue che, una volta impartito il relativo ordine, si è contestualmente inverata la fattispecie delineata dal combinato disposto degli articoli 33, comma 1 (trattasi di ristrutturazione ricostruttiva con ampliamento) e 36 del d.P.R. n. 380/20021 a mente dei quali il dies ad quem ultimo per ottenere il permesso in sanatoria è quello indicato nell’ordinanza di demolizione come “congruo termine stabilito dal dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale con propria ordinanza, decorso il quale l'ordinanza stessa è eseguita a cura del comune e a spese dei responsabili dell'abuso” ” (Consiglio di Stato, sez. IV, 27 dicembre 2021, n. 8631), con la precisazione che la tardiva presentazione dell’istanza integra una “ carenza di condizione dell’azione procedimentale (id est, carenza di legittimazione attiva) ”, ostativa al rilascio dell’accertamento di conformità per difetto di un presupposto essenziale delineato dall’articolo 36 cit.;

- dall’altro, ha riconosciuto “ la possibilità di proporre la domanda di accertamento di sanatoria in un momento successivo alla scadenza del termine previsto per la demolizione;
invero, fino a quando l'opera esiste nella sua integrità ed il soggetto ne conserva la titolarità, è sempre possibile richiedere la sanatoria, che ha lo scopo di evitare le previste sanzioni amministrative
” (Consiglio di Stato, sez. VI, 7 novembre 2019, n. 7601).

Tali statuizioni, pure potendo sembrare tra loro contrastanti – affermando, la prima, la perentorietà del termine di novanta giorni a decorrere dalla notificazione dell’ordinanza di demolizione, la seconda, la possibilità di presentare un’istanza di accertamento ex art. 36 DPR n. 380/01 anche una volta decorso il termine per la spontanea ottemperanza dell’ordine demolitorio – invero, esprimono il medesimo principio giuridico, incentrato sull’impossibilità di presentare una domanda ex art. 36 DPR n. 380/01 ove la parte istante non risulti più proprietaria del bene abusivo, in quanto già acquisito al patrimonio comunale ai sensi dell’art. 31, comma 3, DPR n. 380/01.

In tali ipotesi, del resto, si verificherebbe una carenza di legittimazione alla presentazione dell’istanza, non potendo la parte agire in sede amministrativa per chiedere la sanatoria (attraverso l’accertamento di conformità) di un bene ormai in proprietà pubblica.

6.15 Trattasi di interpretazione compatibile con il dato positivo e maggiormente idonea a realizzare le esigenze di tutela sottese alla normativa in esame.

6.16 In particolare, avendo riguardo al dato positivo, ai sensi dell’art. 36 DPR n. 380/01 - al ricorrere degli ulteriori presupposti ivi delineati -, il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria “ fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative ”.

La disposizione non richiama soltanto la mera scadenza dei termini per la tempestiva ottemperanza dell’ordine demolitorio (di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1), ma opera un puntuale riferimento anche all’irrogazione delle sanzioni amministrative.

Per l’effetto, se si intendesse il disposto positivo come ostativo alla presentazione dell’istanza ex art. 36 DPR n. 380/01 per il semplice fatto della scadenza del termine di tempestiva ottemperanza dell’ingiunzione a demolire, si abrogherebbe in via ermeneutica la rimanente parte della disposizione normativa, che consente “ comunque ” e, dunque, pure in caso di scadenza del termine per la tempestiva ottemperanza dell’ingiunzione a demolire (costituente la fattispecie precedentemente regolata dal legislatore), di ottenere il permesso in sanatoria “ fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative ”.

Ne deriva che l’istanza di accertamento di conformità potrebbe essere presentata, alla stregua del dato letterale, fino alla scadenza del termine per la tempestiva ottemperanza dell’ordine di demolizione ovvero, se successiva, fino all’irrogazione della sanzione amministrativa.

Il riferimento al momento sanzionatorio denota la volontà del legislatore di assicurare al responsabile dell’abuso e al proprietario la possibilità di scegliere se provvedere alla spontanea demolizione ovvero presentare un’istanza di accertamento di conformità;
ciò, fintantoché la parte obbligata non commetta un illecito all’uopo sanzionato, in tale modo decadendo dal beneficio della sanatoria, costituente una deroga (alla regola generale della repressione dell’abuso edilizio) inapplicabile in presenza di condotte (illecite) disapprovate dall’ordinamento.

6.17 Una tale interpretazione, tendente ad estendere la possibilità di ottenere l’accertamento di conformità fino all’irrogazione della sanzione amministrativa, ove successiva alla scadenza del termine di tempestiva ottemperanza dell’ordine demolitorio, è inoltre maggiormente idonea a realizzare la ratio sottesa alla previsione dell’art. 36 DPR n. 380/01 - data dalla conservazione di opere che risultino abusive soltanto sul piano formale, in quanto compatibili con la disciplina sostanziale edilizia e urbanistica di riferimento – nonché a garantire il rispetto del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa, che vieta di imporre sacrifici eccessivi a carico della parte incisa dall’esercizio del pubblico potere, non necessari per il conseguimento dell’obiettivo di pubblico interesse in concreto perseguito.

Consentendo di ottenere la sanatoria anche una volta scaduto il termine per la tempestiva ottemperanza dell’ordine demolitorio in assenza di sanzioni amministrative all’uopo irrogate, si tutela adeguatamente la proprietà privata in fattispecie in cui, da un lato, nessun giudizio di rimprovero potrebbe essere mosso nei confronti del soggetto obbligato, non destinatario di alcuna sanzione amministrativa;
dall’altro, nessuno abuso sostanziale risulterebbe commesso, stante la conformità delle opere abusive alla disciplina urbanistica ed edilizia di riferimento vigente al momento della loro realizzazione e della presentazione dell’istanza ex art. 36 DPR n. 380/01.

6.18 Ciò precisato, occorre verificare se nel caso di specie l’odierno appellato fosse destinatario di una sanzione amministrativa.

Al riguardo, rileva la sanzione della perdita della proprietà privata, conseguente all’inottemperanza dell’ordine demolitorio ex art. 31, comma 3, DPR n. 380/01.

L’Amministrazione, come osservato, nel provvedimento impugnato con motivi aggiunti in primo grado, ha ritenuto che l’accertamento dell’inottemperanza dell’ordine di demolizione fosse sufficiente per produrre l’effetto ablatorio della proprietà privata e, contestualmente, l’apprensione dei beni abusivi al patrimonio comunale.

6.19 Una tale impostazione non può essere condivisa.

Come precisato da questo Consiglio (tra gli altri, sez. II, 23 maggio 2019, n. 3364), l’acquisizione al patrimonio comunale, quale estrema sanzione della perdita della proprietà, non è comminata solo come sanzione dell’edificazione senza titolo da parte del responsabile, ma anche come conseguenza dell’inottemperanza all’ordine di ripristino impartito.

Costituisce, in particolare, una sanzione autonoma che consegue ad un duplice ordine di condotte, la esecuzione di un’opera abusiva e, poi, il mancato adempimento all’obbligo di demolirla (Consiglio di Stato, Sez. VI, 26 novembre 2018, n. 6672).

Pertanto, l'acquisizione automatica risulta legittima unicamente nel caso in cui siano oggettivamente presenti le condizioni fissate dalla norma stessa, quali la volontaria inottemperanza protrattasi ininterrottamente per novanta giorni dall’ingiunzione e l’inerzia dell’interessato in assenza di validi impedimenti di diritto o di fatto alla demolizione delle opere nell’anzidetto termine.

Mentre l’ordine di demolizione, avendo natura ripristinatoria, prescinde dalla valutazione dei requisiti soggettivi del trasgressore, applicandosi anche a carico di chi non abbia commesso la violazione, ma si trovi al momento dell’irrogazione in un rapporto con la res tale da assicurare la restaurazione dell’ordine violato, l’ulteriore misura sanzionatoria, consistente nell’acquisizione gratuita dell’immobile, non può essere disposta quando non sia possibile muovere alcun addebito di responsabilità nei confronti di chi la subisce (Consiglio di Stato, sez. VI, 1 marzo 2018, n. 1263).

Per l’effetto, sebbene l'effetto acquisitivo in favore del Comune si verifichi ope legis e l’atto di accertamento di tale inottemperanza sia necessario unicamente, anziché per l’irrogazione di una sanzione (già conseguente ex lege) , per provvedere all'iscrizione nei registri immobiliari ed all'immissione nel possesso - assumendo dunque valore ricognitivo, finalizzato soltanto a esternare e formalizzare l'acquisto a titolo originario della proprietà in capo all'amministrazione - affinché possa verificarsi un tale effetto, facendosi comunque questione di una sanzione afflittiva implicante la perdita della proprietà, occorre che l’Amministrazione valuti non solo l’inutile decorrenza del termine di tempestiva ottemperanza, ma anche la volontaria inottemperanza protrattasi ininterrottamente per novanta giorni dall’ingiunzione;
ciò sulla base degli elementi istruttori acquisiti in sede procedimentale su iniziativa della parte inottemperante, da porre in condizione di esercitare, in via preventiva, le proprie facoltà partecipative in funzione difensiva .

6.20 La volontaria inottemperanza rileva, in particolare, sul piano soggettivo, per valutare la possibilità di muovere un giudizio di rimprovero nei confronti della parte ingiunta, necessario per giustificare la sanzione acquisitiva in esame.

Al riguardo, se è vero che nelle sanzioni amministrative è necessaria e sufficiente la coscienza e volontà della condotta attiva od omissiva, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa giacché l’art. 3 L. n. 689/81 pone una presunzione di colpa in ordine al fatto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, è pur vero che si tratta di presunzione iuris tantum , ammettendo la prova contraria (Consiglio di Stato, sez. VI, 2 settembre 2019, n. 6063).

Per l’effetto, da un lato, la parte obbligata all’ottemperanza di un ordine di demolizione, deve avere la possibilità di fornire elementi positivi idonei a giustificare il proprio convincimento sulla liceità della condotta concretamente tenuta e a dimostrare di avere fatto tutto quanto possibile per conformarsi al precetto di legge, onde nessun rimprovero possa essergli mosso (Consiglio di Stato, Sez. V, 14 gennaio 2019, n. 299);
dall’altro, l’Amministrazione, anche ai sensi di quanto previsto dall’art. 10, comma 1, lett. b), L. n. 241/90, ha l’obbligo di valutare tali elementi, forniti dalla parte privata, stante la loro idoneità ad impedire l’integrazione (sul piano soggettivo) della fattispecie sanzionatoria in accertamento.

A tali fini, assume, come osservato, particolare rilievo il contraddittorio procedimentale, essendo necessario consentire alla parte coinvolta nell’esercizio del pubblico potere di dedurre in ordine alla volontarietà della condotta inottemperante, in specie introducendo elementi di valutazione da apprezzare in sede amministrativa al fine di verificare la responsabilità del proprietario e, dunque, l’avvenuta produzione - in relazione al bene abusivo non tempestivamente demolito - dell’effetto ablatorio della proprietà privata e, al contempo, dell’effetto acquisitivo al patrimonio comunale.

6.21 Tali principi devono trovare applicazione anche in relazione alla sanzione amministrativa pecuniaria prevista dall’art. 31, comma 4 bis, DPR n. 380/01, ancorata sempre alla mancata tempestiva ottemperanza dell’ingiunzione a demolire.

Come precisato dalla Sezione (1 dicembre 2015, n. 5425), “ le sanzioni, irrogate dalla pubblica amministrazione nell'esercizio di funzioni amministrative, si distinguono in sanzioni in senso lato e sanzioni in senso stretto: le prime hanno una finalità ripristinatoria, in forma specifica o per equivalente, dell'interesse pubblico leso dal comportamento antigiuridico;
le seconde hanno una finalità afflittiva, essendo indirizzate a punire il responsabile dell'illecito allo scopo di assicurare obiettivi di prevenzione generale e speciale.

Le principali tipologie di sanzioni in senso stretto sono pecuniarie, quando consistono nel pagamento di una somma di denaro, ovvero interdittive, quando impediscono l'esercizio di diritti o facoltà da parte del soggetto inadempiente.

La disciplina generale delle sanzioni pecuniarie, modellata alla luce dei principi di matrice penalistica, è contenuta nella L. 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale).

Se la sanzione ha natura afflittiva, la stessa deve essere sostanzialmente equiparata, ai fini della disciplina applicabile, ad una vera e propria sanzione penale.

La Corte di Strasburgo ha elaborato propri e autonomi criteri al fine di stabilire la natura penale o meno di un illecito e della relativa sanzione.

In particolare, sono stati individuati tre criteri, costituiti: i) dalla qualificazione giuridica dell'illecito nel diritto nazionale, con la puntualizzazione che la stessa non è vincolante quando si accerta la valenza "intrinsecamente penale" della misura;
ii) dalla natura dell'illecito, desunta dall'ambito di applicazione della norma che lo prevede e dallo scopo perseguito;
iii) dal grado di severità della sanzione (tra le altre, sentenze 4 marzo 2014, r. n. 18640/10, resa nella causa -OMISSIS- e altri c. Italia;
si veda, da ultimo, su questi tre criteri, Cons. Stato, sez. VI, sentenza 26 marzo 2015, n. 1596, spec. par. 14)”.

Alla luce di tali rilievi, la sanzione ex art. 31, comma 4 bis, DPR n. 380/01, in quanto indipendente dal valore del bene abusivo da demolire (in funzione ripristinatoria dell’ordine giuridico violato), ma discrezionalmente determinata dall’Amministrazione tra un importo minimo e massimo definito dal legislatore (rispettivamente pari a 2.000,00 e 20.000,00, salvo il caso di abusi realizzati sulle aree e sugli edifici di cui al comma 2 dell'articolo 27 DPR n. 380/01, per i quali la sanzione è applicata nella misura massima), si traduce nell’inflizione di un sacrificio economico non correlato al profitto ricavato dall’illecito;
il che manifesta la sua funzione accentuatamente dissuasiva, tale da ricondurla al novero delle sanzioni afflittive.

Pertanto, anche in tale ipotesi, ferma rimanendo la presunzione di colpa propria dell’illecito amministrativo, deve assicurarsi alla parte autrice dell’infrazione, nell’ambito di un procedimento aperto alla sua partecipazione, di fornire elementi idonei a comprovare la scusabilità dell’inottemperanza, da valutare a cura dell’Amministrazione ai fini dell’adozione delle determinazioni di competenza (di accertamento dell’infrazione e di irrogazione della sanzione).

6.22 Alla stregua delle considerazioni svolte, la possibilità per l’Amministrazione, da un lato, di rigettare l’istanza di accertamento di conformità per il difetto di legittimazione dell’istante (in ragione dell’intervenuta perdita del diritto di proprietà sui beni abusivi e, dunque, dell’intervenuta applicazione di una sanzione amministrativa ostativa alla sanatoria), dall’altro, di irrogare la sanzione pecuniaria di cui all’art. 31, comma 4 bis, DPR n. 380/01 (motivata sempre sulla base di una volontaria inottemperanza dell’ordine demolitorio), deve ritenersi subordinata alla verifica non solo del mero decorso del termine, ma pure all’assenza di impedimenti fattuali o giuridici alla tempestiva ottemperanza dell’ordine demolitorio, che:

- la parte ingiunta deve essere posta in condizione di allegare e dimostrare in sede procedimentale;

- la parte pubblica procedente è obbligata a valutare ai fini dell’adozione del provvedimento definitivo.

A fronte di una inottemperanza involontaria, in particolare, da un lato, non potrebbe prodursi l’effetto ablatorio della proprietà privata sui beni abusivi non demoliti, con la conseguenza che la parte, ancora proprietaria del bene e non destinataria di alcuna sanzione, dovrebbe ritenersi legittimata a chiedere l’accertamento di conformità ex art. 36 DPR n. 380/01;
dall’altro, non emergerebbe alcun comportamento imputabile rilevante (altresì) per l’irrogazione della sanzione pecuniaria ex art. 31, comma 4 bis, DPR n. 380/01.

6.23 Alla luce dei tali rilievi, i motivi di appello proposti dall’Amministrazione comunale sono infondati, in quanto il Comune appellante ha negato la legittimazione dell’istante, limitandosi ad accertare “ l’inottemperanza all’ordine di demolizione e la conseguente acquisizione gratuita del bene al patrimonio comunale ” e ritenendo che, per ciò solo, il bene abusivo fosse stato acquisito al patrimonio comunale e, di conseguenza, il termine per la presentazione della domanda dell’accertamento di conformità fosse scaduto.

L’Amministrazione, pertanto, ha ritenuto integrata la sanzione acquisitiva al patrimonio comunale (e, dunque, la carenza di legittimazione a presentare la domanda ex art. 36 DPR n. 380/01) in ragione del mero accertamento dell’inottemperanza dell’ingiunzione a demolire, ma non ha motivato sui rilievi svolti dal privato (anche in sede giurisdizionale, in assenza di un adeguato contraddittorio procedimentale assicurato previamente all’adozione del diniego n. 58353 del 06.09.2019), descritti nel settimo motivo del ricorso principale, pure valorizzati dal T nell’ordinanza cautelare n. -OMISSIS-/2019, incentrati (tra l’altro) sulla rimozione degli abusi non sanabili sulla base di una DIA non contestata dal Comune, fonte di un affidamento sulla loro conservazione sino all’ottenimento della sanatoria;
ciò, tenuto pure conto della circostanza, correttamente valorizzata dal T, per cui sin dal 2011, epoca in cui il Comune aveva emesso le ordinanze di demolizione per gli abusi edilizi riscontrati sull’immobile, la parte privata era stata sempre qualificata dallo stesso Comune quale soggetto proprietario dell’immobile de quo .

Pure dovendosi escludere la necessità, ai fini della produzione dell’effetto ablatorio della proprietà privata, della previa adozione di un provvedimento di acquisizione al patrimonio comunale -sotto tale profilo dovendosi, dunque, correggere la motivazione della sentenza di primo grado, che sembra richiedere, ai fini della configurazione della sanzione acquisitiva (ostativa alla sanatoria), un provvedimento espresso dell’Amministrazione, quando, invece, tale atto avrebbe una mera natura dichiarativa di una sanzione amministrativa ex lege (tra gli altri, Consiglio di Stato, Sez. VI, 20 agosto 2020, n. 5158)-, l’Amministrazione avrebbe dovuto esaminare gli elementi difensivi forniti dal privato, valutandone la rilevanza al fine di verificare se si fosse in presenza di una involontaria inottemperanza dell’ordine demolitorio;
il che avrebbe impedito, da un lato, la produzione dell’effetto ablatorio della proprietà privata (e acquisitivo del bene alla proprietà comunale), costituente il momento sanzionatorio ostativo all’ottenimento della sanatoria, pure rilevante quale perdita della posizione proprietaria legittimante alla presentazione della domanda di accertamento di conformità (non potendo il privato chiedere la sanatoria di beni in proprietà pubblica);
dall’altro, l’integrazione dell’illecito ex art. 31, comma 4 bis, DPR n. 380/01.

6.24 Non potrebbe argomentarsi diversamente sulla base delle deduzioni svolte dall’Amministrazione in appello in ordine al lungo tempo trascorso o all’inidoneità del sequestro o dei motivi di salute a giustificare una tardiva ottemperanza.

Tali rilievi non possono essere favorevolmente apprezzati, in quanto afferiscono a questioni che nel provvedimento impugnato con motivi aggiunti non sono state adeguatamente trattate, non potendo, pertanto, essere introdotte per la prima volta in giudizio, pena la configurazione di un’inammissibile integrazione dell’apparato motivazionale alla base del provvedimento per cui è causa.

6.25 In definitiva, essendosi limitato il Comune, in sede sostanziale, a constatare l’intervenuta perdita della proprietà in ragione dell’accertata inottemperanza dell’ordine di demolizione, valorizzando un verbale dei Vigili Urbani riferito alla sola presenza delle opere abusive in loco, la decisione comunale di confermare il diniego dell’istanza ex art. 36 DPR n. 380/01 e la sanzione pecuniaria ex art. 31, comma 4 bis, DPR n. 380/01 si manifesta illegittima, non essendo stato accertato il presupposto comune ad entrambe le determinazioni, dato dalla volontaria inottemperanza dell’ordine demolitorio, alla stregua degli elementi difensivi dedotti dal privato al fine di giustificare la condotta inerte in concreto tenuta.

Né potrebbe opporsi che il Sig. -OMISSIS- aveva omesso di rendere dichiarazioni spontanee in sede di verbalizzazione dell’inottemperanza dell’ordine demolitorio, non essendo prevista una decadenza della parte obbligata dalla possibilità di fornire elementi difensivi non immediatamente dichiarati dinnanzi agli organi accertatori.

7. Con il settimo motivo di appello l’Amministrazione rileva che il diniego dell’istanza ex art. 36 DPR n. 380/01 e la conferma della sanzione pecuniaria non potrebbero ritenersi incompatibili con l’ordinanza cautelare n. -OMISSIS-/2019, “ avendo lo stesso Tribunale Amministrativo escluso che la stessa potesse avere il contenuto precettivo attribuitole dalla difesa dell’-OMISSIS- ” (pag. 10 ricorso in appello), pure tenuto conto dell’efficacia interinale delle misure cautelari.

Le deduzioni attoree non sono idonee ad integrare un motivo di impugnazione, non esprimendo una specifica critica alla sentenza gravata, che anzi viene richiamata in ordine ad un capo decisorio favorevole all’Amministrazione, stante la negazione di un contrasto tra il provvedimento impugnato con motivi aggiunti e l’ordine cautelare.

Il T, in particolare, ha ravvisato l’illegittimità del provvedimento di conferma, anziché per violazione dell’ordine cautelare, per violazione dell’art. 36 DPR n. 380/01 alla stregua dell’interpretazione fornita in sede cautelare e confermata nel merito.

8. Con il decimo motivo di appello è censurata la sentenza di primo grado, per avere configurato il silenzio tenuto dal Comune sulla DIA e sull’istanza di accertamento di conformità come idoneo a fondare un’aspettativa di diritto in capo all’istante, nonostante l’operatività in subiecta materia dell’istituto del silenzio rifiuto.

8.1 L’appellante deduce pure che non sarebbe necessaria la comunicazione di avvio del procedimento ex art. 36 DPR n. 380/01, né occorrerebbe assicurare il rispetto delle regole partecipative a fronte di una decisione vincolata, né infine la decisione di diniego dovrebbe essere dotata di motivazione operando il silenzio rigetto.

8.2 Il motivo di appello è esaminabile congiuntamente al terzo motivo di ricorso riproposto dal Sig. -OMISSIS-, incentrato sulla violazione dell’art. 10 bis L. n. 241/90, per la mancata comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza ex art. 36 DPR n. 380/01

8.3 I motivi (di appello e di ricorso riproposto) sono infondati.

8.4 In primo luogo, si osserva che il T non ha individuato nella condotta inerte tenuta dall’Amministrazione sull’istanza di permesso di costruire in sanatoria o sulla DIA presentata ai fini della parziale demolizione delle opere de quibus il consolidamento in capo al privato di una posizione di aspettativa giuridica.

Il primo giudice, piuttosto, ha evidenziato come l’Amministrazione, da un lato, non avesse assunto il provvedimento di acquisizione al patrimonio comunale, in tale modo non potendosi impedire la presentazione della domanda di accertamento di conformità, dall’altro, non avesse tenuto conto della successione dei fatti occorsi sul piano amministrativo, anche in relazione alla mancata tempestiva contestazione della DIA, al fine di valutare la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della sanzione pecuniaria.

In secondo luogo, si rileva l’inconferenza delle deduzioni comunali riferite al silenzio rifiuto (come correttamente dedotto dalla parte appellata nella memoria dell’8.3.2021), non avendo l’Amministrazione assunto il provvedimento di conferma invocando un preteso silenzio rifiuto, che peraltro sarebbe stato incompatibile con l’istruttoria in concreto svolta e i pareri favorevoli all’uopo acquisiti, costituenti prova di come l’Amministrazione non ritenesse concluso in senso sfavorevole all’istante il relativo procedimento amministrativo.

Infine, non possono neppure condividersi le censure svolte, in via generale, dall’Amministrazione in ordine alla possibilità di adottare il provvedimento senza rispettare le garanzie partecipative o in assenza di una specifica motivazione, in ragione della natura vincolata del diniego di accertamento di conformità.

Come supra osservato, il rigetto dell’istanza ex art. 36 DPR n. 380/01 per difetto di legittimazione non può esaurirsi nella mera verifica dell’oggettiva inottemperanza dell’ordine demolitorio, occorrendo valutare le allegazioni difensive della parte obbligata in ordine alla volontarietà della mancata esecuzione dell’ingiunzione a demolire.

Una tale verifica richiede, dunque, l’instaurazione di un previo contraddittorio procedimentale, per contestare l’infrazione riscontrata (inottemperanza dell’ordine demolitorio) e consentire al privato di fornire gli opportuni elementi informativi sulle ragioni della mancata tempestiva esecuzione dell’ingiunzione a demolire, al fine di verificare la volontarietà della condotta inottemperante.

In tali ipotesi, il confronto procedimentale è essenziale per potere valutare la ricorrenza dei presupposti del provvedere e, dunque, per delineare il contenuto dispositivo della decisione da assumere, suscettibile di variare in ragione dell’apporto partecipativo del privato.

Per l’effetto, la violazione delle garanzie partecipative previste dagli artt. 7 e ss. L. n. 241/90 non potrebbe sottostare alla disciplina di cui all’art. 21 octies, comma 2, L. n. 241/90, comportando l’annullabilità dell’atto assunto in assenza del contraddittorio endoprocedimentale.

8.5 Ciò precisato, deve, tuttavia, osservarsi che nell’odierno giudizio di appello non si discorre di un provvedimento di primo grado assunto dall’Amministrazione in assenza del contraddittorio instaurato con la parte privata, bensì di un atto di secondo grado che l’Amministrazione ha posto in essere in pendenza del giudizio, una volta acquisite le controdeduzioni della parte privata, sulla cui base ha confermato tanto il diniego di sanatoria, quanto l’irrogazione della sanzione pecuniaria per l’inottemperanza dell’ordine demolitorio.

Il T ha infatti dichiarato l’improcedibilità del ricorso introduttivo, proposto avverso il provvedimento di diniego (effettivamente) assunto dall’Amministrazione in assenza del previo contraddittorio con il privato, mentre ha accolto il ricorso per motivi aggiunti, proposto contro un atto ritenuto innovativo.

Se il primo giudice avesse ritenuto il provvedimento sopravvenuto un atto meramente confermativo, inidoneo a produrre effetti lesivi innovativi, avrebbe dovuto dichiarare l’inammissibilità per difetto di interesse dei motivi aggiunti;
il che non è avvenuto nella specie, a dimostrazione di come il T abbia ravvisato l’idoneità del provvedimento sopravvenuto a produrre un effetto sostitutivo dei pregressi atti amministrativi ai fini della regolazione del caso concreto.

Pertanto, dovendo aversi riguardo soltanto all’atto sopravvenuto, lo stesso è stato assunto all’esito delle controdeduzioni svolte dalla parte privata, sulla base di una specifica motivazione (illegittimamente incentrata sulla idoneità dell’accertata inottemperanza dell’ordine demolitorio a consentire l’acquisizione in proprietà pubblica dei beni abusivi).

Per l’effetto, le censure svolte dall’Amministrazione e dal privato non possono essere accolte, in quanto:

- il Comune argomenta le proprie doglianze sulla base di principi generali non conferenti al caso di specie, sostenendo la possibilità di assumere il provvedimento senza motivazione e in assenza del contraddittorio con la parte privata;
quando, invece, l’atto di conferma oggetto del presente grado di giudizio è stato ritenuto illegittimo non per la violazione delle garanzie procedimentali, ma per l’erronea motivazione in ordine al difetto di legittimazione della parte privata;

- il Sig. -OMISSIS- deduce una violazione delle garanzie procedimentali che avrebbe potuto essere predicata con riguardo al provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo, ma non in relazione al provvedimento di conferma, assunto in pendenza di giudizio, una volta acquisite le osservazioni (pure riportate in ricorso) svolte dalla controparte (illegittimamente non esaminate), con conseguente convalida in parte qua del vizio procedimentale, dato dall’assenza del contraddittorio.

Sotto tale profilo, deve, inoltre, darsi seguito all’indirizzo giurisprudenziale, in forza del quale “ L'art. 10 bis della L. n. 241 del 1990 si applica ai procedimenti che l'Amministrazione intenda concludere con un provvedimento che 'per la prima volta' rappresenta al richiedente una o più ragioni impeditive dell'accoglimento della sua istanza.

La sua ratio è quella di evitare 'provvedimenti a sorpresa', cioè che prospettino questioni di fatto o di diritto prima ignote al richiedente, o comunque da lui non percepibili: il contraddittorio da instaurare consente di valutare già in sede amministrativa le argomentazioni dell'interessato sul se vi siano effettivamente ragioni ostative all'accoglimento dell'istanza e agevola la deflazione dei ricorsi giurisdizionali, poiché può avvenire o che l'Amministrazione condivida le osservazioni o che l'interessato si convinca della adeguatezza della valutazione dell'Amministrazione e che non proponga dunque ricorso.

L'art. 10 bis non si applica invece quando sia proposta una istanza di riesame, volta alla rinnovazione dell'esercizio del potere, e non prospetti alcuna sopravvenienza.

In tal caso, infatti, si chiede all'Amministrazione di effettuare una ulteriore valutazione della situazione di fatto e di diritto già in precedenza valutata e non vi sono profili che potrebbero comportare una 'motivazione a sorpresa' ” (Consiglio di Stato Sez. VI, 26 maggio 2017, n. 2497).

Nel caso di specie, il riesame della pregressa decisione di rigetto dell’istanza ex art. 36 DPR n. 380/01, da un lato, originava propriamente (anziché da un’istanza di parte) da un ordine cautelare impartito in prime cure (con l’ordinanza n. -OMISSIS-/19 cit.), dall’altro, non era giustificato da elementi sopravvenuti, ma implicava una nuova valutazione di fatti pregressi;
con la conseguenza che, non facendosi questione propriamente di procedimento ad istanza di parte (ma attivato su ordine del giudice) e, comunque, discorrendosi di riesame di fatti pregressi, non emergevano le ragioni di tutela alla base dell’attivazione del contraddittorio procedimentale ex art. 10 bis L. n. 241/90;
il che permetteva all’Amministrazione di confermare il precedente atto senza una ulteriore interlocuzione procedimentale con l'interessato.

9. Con il quattordicesimo motivo di appello viene affermata l’applicabilità al caso di specie, ratione temporis , dell’art. 31, comma 4 bis, DPR n. 380/01, dovendo aversi riguardo al momento dell’accertata inottemperanza e non a quello della realizzazione delle opere, senza che per altro possano rilevare le vicende successive all’accertamento dell’inottemperanza.

Il motivo di appello non può essere accolto in quanto non mira a censurare una specifica statuizione giudiziale.

Premesso che il Comune appellante non rivestiva la posizione di ricorrente in primo grado e, dunque, non può essere interessato a riproporre motivi di ricorso non esaminati dal T, le deduzioni svolte con il presente motivo di appello non riguardano alcun capo decisorio, avendo il primo giudice accolto il ricorso per profili diversi dall’inapplicabilità ratione temporis dell’art. 31, comma 4 bis, DPR n. 380/01, costituente, invero, una questione introdotta dal ricorrente con motivo di ricorso assorbito in primo grado;
come testimoniato dalla sua riproposizione da parte dell’odierno appellato.

Non essendovi un capo di sentenza sfavorevole all’appellante, non sussiste al riguardo un effettivo interesse alla decisione in capo all’Amministrazione comunale.

10. Con il quindicesimo motivo di ricorso viene censurato il capo decisorio riferito alla regolazione delle spese di lite, poste a carico dell’Amministrazione.

10.1 Secondo la prospettazione attorea, il contrasto giurisprudenziale sulla perentorietà del termine di novanta giorni e sulla natura vincolata dei provvedimenti emessi in contrasto all’abusivismo edilizio (affermata dalla consolidata giurisprudenza) avrebbe precluso la condanna della parte resistente in primo grado al pagamento delle spese di giudizio.

10.2 Il motivo di appello è infondato.

10.3 In subiecta materia , deve confermarsi l’indirizzo giurisprudenziale, in forza del quale la regolazione delle spese processuali implica l’esercizio di un potere discrezionale amplissimo del primo giudice, non investente profili di legittimità e, quindi, non censurabile in appello, salve le ipotesi in cui sussista una violazione del principio di soccombenza –essendo state poste le spese processuali a carico della parte vittoriosa – ovvero si sia in presenza di manifesta e diretta violazione dei criteri fissati da norme di legge, tale da configurare statuizioni abnormi (Consiglio di Stato sez. V, 10 settembre 2018, n. 5283).

Nel caso di specie, da un lato, non vi è stata alcuna violazione del criterio della soccombenza, risultando le spese di giudizio poste a carico dell’Amministrazione intimata, soccombente nel giudizio di primo grado;
dall’altro, non emerge neppure la violazione dei parametri forensi per la liquidazione delle spese di giudizio.

Sicché, avendo il T esercitato un potere discrezionale nella regolazione delle spese di giudizio senza incorrere in alcun errore denunziabile in appello, anche il quattordicesimo motivo di impugnazione deve essere rigettato.

11. Una volta definito l’esame dei motivi di appello, è necessario statuire sui rimanenti motivi di ricorso riproposti dal Sig. -OMISSIS- in sede di gravame, ulteriori rispetto a quelli già trattati - per esigenze di connessione - unitamente alle censure impugnatorie svolte dall’Amministrazione comunale.

12. Con il secondo motivo di ricorso riproposto viene dedotta l’illegittimità della sanzione pecuniaria recata dall’ordinanza n. 222/2019, assunta dal T senza considerare la concreta successione degli eventi amministrativi e penali che avevano interessato il Sig. -OMISSIS-.

Analoghe censure sono svolte con l’ottavo motivo di ricorso riproposto.

Tali motivi non sono idonei a riproporre questioni non esaminate o assorbite dal primo giudice.

Come osservato nella perimetrazione dei capi decisori di cui si compone la sentenza gravata, le doglianze in esame sono state richiamate e condivise dal T, non riscontrandosi alcun assorbimento di motivi idoneo a legittimarne la riproposizione ex art. 101, comma 2, c.p.a.

Il T, in particolare, ha condiviso le doglianze attoree, avendo l’Amministrazione provveduto senza considerare che il deducente: “ - nel 2013, dopo il dissequestro penale, asserisce di aver rimosso gli abusi edilizi contestati;
- con DIA del 08.11.2013 – pratica 606/2013 aveva comunicato al Comune che avrebbe proceduto alla rimozione degli abusi non sanabili, DIA sulla quale il Comune nulla aveva mai contestato, ed in particolare nulla ha eccepito in ordine alla mancata rimozione degli abusi sanabili;
ed, ancora più, che sulla richiesta di sanatoria presentata dal ricorrente: - la Commissione Locale del Paesaggio, nella seduta del 19.02.2018 (verbale n. 472), ha espresso parere favorevole di compatibilità paesaggistica;
- la Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio per l’Area metropolitana di Napoli, con nota prot. n. 10002 del 22.06.2018, ha espresso parere favorevole di compatibilità paesaggistica;
– il Dirigente del Settore Tecnico con provvedimento prot. n. 48820 del 16.07.2019 ha irrogato la sanzione amministrativa pecuniaria ex art. 36 D.P.R. n. 380/2001 ed ex art. 167 D.Lgs. 42/2004, dichiarando "che sussistono i presupposti per l’accoglimento di sanatoria in parola. Dati tali presupposti l’affermazione apparsa per la prima volta nel provvedimento definitivo per la quale l’-OMISSIS- sarebbe privo di legittimazione si presenta del tutto priva di giustificazione, risultando pertanto evidente il vuoto motivazionale ed il salto logico che ne conseguiva dal confronto fra le risultanze dell’istruttoria esperita e la determinazione finale assunta
”.

Il T ha, dunque, accolto le censure attoree, dirette ad evidenziare come l’Amministrazione non avesse tenuto conto della successione degli eventi che avevano interessato il Sig. -OMISSIS-, in ipotesi rilevanti sia per l’applicazione della sanzione pecuniaria, sia al fine di valutare la permanente legittimazione della parte privata a chiedere l’accertamento di conformità ex art. 36 DPR n. 380/01.

Sicché, vertendosi in tema di censure accolte, le stesse non sono suscettibili di rituale riproposizione ex art. 101, comma 2, c.p.a.

13. Con il quarto motivo di ricorso riproposto si deduce l’illegittimità dell’azione provvedimentale, non potendo l’Amministrazione disporre il diniego di sanatoria nell’ambito del procedimento diretto all’irrogazione della sanzione pecuniaria per mancata tempestiva demolizione delle opere, trattandosi di procedimenti diversi;
peraltro, il procedimento di sanatoria sarebbe giunto a conclusione con il pagamento delle previste sanzioni amministrative.

13.1 Il Comune avrebbe, inoltre, respinto la richiesta di sanatoria solo dopo che lo stesso aveva contestato l’insussistenza dei presupposti per l’irrogazione della sanzione ex art. 31, comma 4 bis, DPR n. 380/01, con la conseguenza che il rigetto della sanatoria sarebbe stato determinato dalla contestazione di parte.

13.2 Per ragioni di connessione, il quarto motivo di ricorso può essere esaminato congiuntamente al quinto motivo riproposto, diretto a qualificare il diniego di sanatoria quale implicito annullamento d’ufficio del provvedimento n. 48820 del 16.7.2019, in assenza della comunicazione di avvio del procedimento di secondo grado e del contraddittorio procedimentale, nonché in violazione del divieto di annullamento implicito dei provvedimenti amministrativi.

13.3 I motivi di ricorso sono infondati.

13.4 In primo luogo, si osserva che la decisione riferita al diniego della sanatoria e all’applicazione della sanzione pecuniaria di cui all’art. 31, comma 4 bis, DPR n. 380/01 risultano connessi, in quanto ancorati al medesimo presupposto, dato dall’integrazione del medesimo illecito, riferito alla volontaria inottemperanza dell’ordine demolitorio, rilevante sia per l’irrogazione della sanzione pecuniaria, sia per l’acquisizione del bene abusivo alla proprietà comunale (questione, a sua volta, idonea a condizionare la legittimazione a chiedere la sanatoria ex art. 36 DPR n. 380/01).

Dunque, non si era in presenza di procedimenti autonomi, ben potendo l’Amministrazione definire, anche con il medesimo documento, due procedimenti connessi.

13.5 In secondo luogo, si rileva che il procedimento di accertamento di conformità ex art. 36 DPR n. 380/01 non era stato ancora definito con il rilascio del permesso in sanatoria: il pagamento dell’oblazione prevista dall’art. 36 non costituiva la conseguenza del rilascio del titolo edilizio, ma configurava una condizione, alla cui verificazione, come previsto dall’art. 36, comma 1, cit. “ è subordinato ” “ il rilascio del permesso in sanatoria ”;
sicché il pagamento della sanzione, condizionando, anziché gli effetti di un atto già assunto, il rilascio del relativo titolo, precedeva l’adozione del provvedimento.

Come precisato da questo Consiglio, “ gli uffici comunali, una volta raggiunti dalla richiesta di accertamento di conformità, debbono prima delibare in ordine alla sussistenza dei presupposti per accordare la sanatoria richiesta, per poi individuare il quantum della sanzione dovuta, il cui pagamento costituisce condizione per il rilascio in via postuma del titolo abilitativo edilizio;
sicché nel corso dei sessanta giorni, pena il formarsi del silenzio-diniego, il comune deve dapprima valutare ed esprimersi sull’ammissibilità della domanda di sanatoria, per poi definire il procedimento con la indicazione della sanzione pecuniaria da pagare
” (Consiglio di Stato, sez. VI, 19 novembre 2018, n. 6506).

Dunque, la circostanza per cui l’odierno appellato avesse pagato la sanzione non risultava idonea a manifestare la positiva conclusione del procedimento, occorrendo ancora il rilascio del permesso in sanatoria: ben poteva, dunque, il Comune, senza per ciò solo esercitare un potere di riesame, valorizzare l’asserito difetto di legittimazione dell’istante, per pervenire alla definizione del procedimento con l’assunzione di una determinazione di rigetto.

Non emergono, nella specie, neppure elementi per potere ravvisare un esercizio sviato del pubblico potere, non potendo ritenersi che il diniego di sanatoria sia stato determinato dalla volontà di reagire all’altrui contestazione della sanzione pecuniaria.

È, invece, ben probabile che il Comune, una volta ricevute le osservazioni controdeduttive del privato in ordine all’insussistenza dei presupposti per l’applicazione della sanzione pecuniaria, abbia approfondito la relativa questione anche in vista della prossima conclusione del procedimento di sanatoria, pervenendo, all’esito di tale supplemento istruttorio (seppure illegittimamente, per quanto sopra osservato), a rigettare la domanda di parte.

13.6 Infine, si osserva che l’implicito annullamento d’ufficio della sanzione pecuniaria ex art. 36 DPR n. 380/01 non è utilmente denunziabile dall’odierno appellato.

Come osservato, il diniego di sanatoria non costituiva un atto di secondo grado in relazione all’istanza ex art. 36 DPR n. 380/01, ancora non definita con un provvedimento di primo grado.

La decisione di rigettare l’istanza, invece, presupponeva l’annullamento d’ufficio dell’atto sanzionatorio ex art. 36, comma 2, c.p.a., non essendo più funzionale il relativo pagamento al rilascio del titolo in sanatoria: tuttavia, la parte privata sotto tale profilo non è titolare di un attuale e concreto interesse al ricorso, facendosi questione di un provvedimento favorevole al ricorrente (annullamento d’ufficio di un provvedimento sanzionatorio), rispetto al quale non potrebbe riscontrarsi alcuna effettiva lesione giuridica idonea a sostenere in parte qua l’intrapresa azione giudiziaria.

14. Con il sesto motivo di ricorso riproposto viene denunciata l’illegittimità dell’incameramento della sanzione pecuniaria incassata ai sensi degli artt. 36 TUE e 167 D. Lgs. n. 42/04 quale acconto sulla maggiore somma irrogata dal Comune ai sensi dell’art. 31, comma 4 bis, DPR n. 380/01.

Il motivo di ricorso può essere assorbito, in quanto, annullato il provvedimento sanzionatorio ex art. 31, comma 4 bis, non emerge più alcuna ragione per l’incameramento delle somme riscosse ai sensi dell’art. 36 TUE e dell’art. 167 D. lgs. n. 42/04, non essendovi alcuna maggiore somma ancora dovuta dal privato.

15. Con il settimo motivo di ricorso è denunciata l’illegittimità della sanzione pecuniaria di cui all’art. 31, comma 4 bis, DPR n. 380/01 perché inapplicabile ratione temporis al caso di specie, facendosi questione di una condotta consumatasi tre anni prima dell’entrata in vigore dello ius supervenies, recante la nuova fattispecie sanzionatoria in esame.

Il motivo di appello è infondato.

Il Collegio intende dare seguito all’indirizzo giurisprudenziale in forza del quale “ gli abusi edilizi hanno natura di illeciti permanenti in quanto la lesione dell’interesse pubblico all'ordinato e programmato assetto urbanistico del territorio si protrae nel tempo sino al ripristino della legittimità violata (Cons. Stato, Sez. VI, 3/1/2019, n. 85;
4/6/2018, n. 3351;
29/1/2016, n. 357). Da ciò consegue che la mancata esecuzione dell’ordinanza n. 4/2012, proseguita dopo l’entrata in vigore del menzionato comma 4-bis, imponeva l’applicazione della sanzione da quest’ultimo prevista, senza che ciò implicasse violazione dell’invocato principio di irretroattività delle norme che introducono misure sanzionatorie
” (Consiglio di Stato, sez. VI, 16 aprile 2019, n. 2484).

Per l’effetto, facendosi questione di un illecito permanente, protrattasi oltre l’entrata in vigore dell'art. 17, comma 1, lett. q-bis), D.L. 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 novembre 2014, n. 164 - con cui è stata introdotta la nuova fattispecie sanzionatoria ex art. 31, comma 4 bis, cit. - non avrebbe potuto ravvisarsi alcuna violazione del principio di irretroattività, risultando applicata la disciplina vigente al tempo di commissione dell’asserito illecito (in pendenza del periodo, protratto nel tempo, di sua consumazione).

16.Con il nono motivo di ricorso, la parte privata, richiamando il procedimento delineato per l’applicazione delle sanzioni amministrative dalla L. n. 689/81, deduce che l’Amministrazione non avrebbe mai contestato al Sig. -OMISSIS- l’illecito commesso, con la conseguenza che il provvedimento sanzionatorio sarebbe illegittimo per la mancata previa contestazione e, per l’effetto, la sanzione dovrebbe ritenersi estinta ex lege .

16.1 Il motivo di ricorso è esaminabile congiuntamente al decimo motivo, con cui si deduce la violazione del termine di tempestiva contestazione dell’illecito ex art. 14 L. n. 689/81.

16.2 I motivi di ricorso sono infondati.

16.3 L’odierno giudizio è circoscritto al provvedimento di conferma del diniego di sanatoria e della sanzione pecuniaria irrogata ai sensi dell’art. 31, comma 4 bis, DPR n. 380/01, avendo il T dichiarato l’improcedibilità del ricorso introduttivo avverso gli atti originariamente impugnati, ritenuti sostituiti, nella regolazione del rapporto sostanziale, dal nuovo provvedimento di conferma impugnato con motivi aggiunti.

Ne deriva che, da un lato, la disciplina di cui alla L. n. 689/81 invocata a fondamento del motivo di ricorso risulta inapplicabile al diniego di accertamento di conformità, non facendosi questione al riguardo di atto sanzionatorio, dall’altro, in relazione alla conferma della sanzione pecuniaria di cui all’art. 31, comma 4 bis, la stessa è stata nuovamente assunta dall’Amministrazione, mediante l’adozione di un nuovo provvedimento, ritenuto dal T (come sopra osservato) sostitutivo dei precedenti atti impugnati con il ricorso principale.

Di conseguenza, il provvedimento di conferma è stato assunto dall’Amministrazione dopo che la parte privata è stata in condizione di svolgere le proprie argomentazioni controdeduttive;
il che esclude l’adozione di un provvedimento in violazione delle garanzie partecipative (in specie, in assenza di previa contestazione).

Non potrebbe neppure sostenersi la tardività della contestazione, tenuto conto che l’illecito in contestazione, dato dall’inottemperanza dell’ordine demolitorio, si atteggia quale illecito permanente, tenuto conto che l’obbligo di rimozione delle opere abusive (la cui violazione è altresì sanzionata ai sensi dell’art. 31, comma 4 bis, cit.) non si esaurisce con la scadenza del termine di novanta giorni dalla notificazione dell’ordine demolitorio, perdurando fino al ripristino dell’ordine giuridico violato;
sicché, decorrendo il termine per la tempestiva contestazione dalla cessazione dell’illecito, essendo nella specie ancora pendente il periodo di consumazione, il termine per la tempestiva contestazione dell’infrazione non poteva ritenersi neppure decorso, emergendo una condotta illecita ancora non esaurita.

17. Alla stregua delle considerazioni svolte, l’appello proposto dall’Amministrazione comunale e i motivi di ricorso riproposti dalla parte privata devono essere rigettati.

Al riguardo, giova ribadire come l’illegittimità inficiante il provvedimento impugnato con i motivi aggiunti in prime cure debba individuarsi nella mancata valutazione degli elementi difensivi forniti dal privato: il Comune avrebbe dovuto verificare se l’odierno appellato avesse maturato un legittimo convincimento sulla liceità della condotta concretamente tenuta o avesse comunque fatto tutto quanto possibile per conformarsi al precetto di legge, onde nessun rimprovero potesse essergli mosso.

Soltanto ove fosse stata riscontrata un’inottemperanza volontaria dell’ordine demolitorio, sarebbe stato possibile, da un lato, ravvisare la perdita della proprietà ex art. 31, comma 3, DPR n. 380/01, con conseguente carenza di legittimazione ad ottenere la sanatoria ex art. 36 DPR n. 380/01, dall’altro, irrogare la sanzione pecuniaria ex art. 31, comma 4 bis DPR n. 380/01.

Il mancato svolgimento di una tale verifica conduce, dunque, alla conferma, alla luce dei rilievi sopra svolti, della decisione -di accoglimento dei motivi aggiunti- assunta dal primo giudice.

18. La soccombenza reciproca delle parti e la particolarità della controversia giustificano l’integrale compensazione delle spese di giudizio del grado di appello.

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