Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2020-01-02, n. 202000005

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2020-01-02, n. 202000005
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202000005
Data del deposito : 2 gennaio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 02/01/2020

N. 00005/2020REG.PROV.COLL.

N. 05445/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5445 del 2017, proposto da
Laboratorio Analisi Cliniche delle Valli S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati P A, M M, con domicilio eletto presso lo studio P A in Roma, via Po 102;

contro

Regione Lazio, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato E P, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Marcantonio Colonna n. 27;

per la riforma

della Sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma, Sez. III-quater, n. 2743 del 23 febbraio 2017, nella parte in cui è stata respinta l'istanza risarcitoria proposta ai sensi dell'art. 30, comma 2 e 4 c.p.a., in conseguenza dei gravi pregiudizi causati dalla Regione Lazio, per l'illegittimo esercizio della propria attività amministrativa, nonché per la violazione dell'art.

2-bis della Legge n. 241/1990


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Lazio;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 novembre 2019 il Cons. Raffaello Sestini e uditi per le parti gli avvocati M M e E P;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1 - L’appellante, che gestisce un presidio polispecialistico ambulatoriale autorizzato e accreditato con il Servizio Sanitario Regionale del Lazio, chiede la riforma in parte qua della sentenza del TAR del Lazio che, dopo aver dichiarato la improcedibilità del ricorso dallo stesso presentato contro la Regione Lazio a seguito del rilascio dell’autorizzazione all’ampliamento inizialmente negata, ha poi respinto la domanda di risarcimento del danno, avendo il TAR statuito l’assenza di colpa della Regione Lazio in ragione della oggettiva difficoltà interpretativa della vigente normativa.

2 – A giudizio dell’appellante, infatti, l’oggettiva incertezza e oscurità della normativa, evidenziata dal TAR, non potrebbe comunque giustificare l’atteggiamento dilatorio della Regione e il suo indebito e colpevole sconfinamento nelle competenze edilizie comunali ai fini del rilascio di una autorizzazione sanitaria, mediante attività che avrebbero portato anche all’aperta un’indagine penale contro i dirigenti regionali, peraltro poi archiviata per la mancata prova del dolo. Il Laboratorio polispecialistico appella quindi la sentenza, insistendo per la domanda istruttoria di acquisizione dei documenti relativi all’iter autorizzatorio degli altri laboratori per dimostrare la disparità di trattamento, proponendo la condanna dell’amministrazione alle spese di giudizio e reiterando la domanda di risarcimento, che quantifica con propria perizia in circa 90.000 Euro oltre il danno non patrimoniale da stabilirsi in via equitativa, ovvero nella diversa somma equitativamente stabilita dal giudice.

3 – In particolare, l’appellante espone di aver inoltrato al Municipio III di Roma Capitale, in data 22 aprile 2014, un’istanza di autorizzazione ad “ampliamento ai sensi dell’art. 6 L.R. 4/2003 con modificazione dell’assetto distributivo funzionale/impiantistico e senza incremento delle attività prestazionali”, segnatamente per l’esecuzione delle analisi cliniche e ferme restando le attività di prelievo e i servizi comuni (accettazione, wc accessibili, prelievo) nei locali già autorizzati, comportanti l’aumento della volumetria complessiva della struttura sanitaria mediante l’utilizzo di un locale di proprietà di circa 80 mq. sito in via Val Trebbia nn. 42-44, nello stesso stabile di quello preesistente autorizzato e da questo separato soltanto dall’androne.

Nelle more del parere di compatibilità di cui all’art. 6, commi 2 e 3, l..r. n. 4/2003 della Regione Lazio, cui era stata trasmessa la domanda il 16 maggio 2014, l’art. 27, comma 2, del d.l. 24 giugno 2014, n. 90 (con disposizione non convertita dalla legge 11 agosto 2014, n. 114) abrogava il comma 3 dell’art.

8-ter del d.lgs. n. 502/1992 che prevedeva tale parere, cosicché, per conseguenza, l’art. 2 della l.r. 14 luglio 2014, n. 7 provvedeva ad abrogare i commi 2 e 3 dell’art. 6 della l.r. n. 4/2003. Pertanto, avendo la Regione, con nota del 1° luglio 2014, preso atto del venir meno della propria competenza al rilascio del parere di compatibilità, permanendo invece quella all’autorizzazione all’esercizio, il III Municipio rilasciava il 24 luglio 2014 (dandone contestuale comunicazione alla Regione) l’autorizzazione alla realizzazione dell’intervento, cosicché l’istante provvedeva ad effettuare i lavori di ampliamento per un importo pari ad € 301.123,72.

In data 31 ottobre 2014, veniva presentata l’istanza di autorizzazione all’esercizio alla Regione, che con nota del successivo 6 novembre (non inviata alla interessata) chiedeva di verificare i requisiti minimi della struttura all’Asl competente. Quest’ultima, con risposta del 22 maggio 2015, chiariva che la struttura in ampliamento era in possesso dei requisiti minimi autorizzativi qualora potesse essere considerata come unica, diventando invece il parere sfavorevole ove fosse considerata come presidio a sé.

Con nota del 18 giugno 2015 inviata ai sensi dell’art. 7 l. n. 241/1990 la Regione, sulla premessa che il locale in questione era catastalmente separato da quello già autorizzato e che, pertanto, la fattispecie non rientrava tra gli ampliamenti conseguenti ad un incremento della volumetria preesistente disciplinati dall’art. 2, comma 1, lettera a), del r.r. n. 2/2007, avvisava l’interessata della conseguente impossibilità di rilasciare l’autorizzazione.

La ricorrente contestava con nota del 14 luglio 2015 gli assunti regionali e chiedeva un accesso documentale, eseguito il 2 settembre successivo, quindi sollecitava nuovamente il rilascio dell’autorizzazione all’esercizio con nota del 7 settembre 2015, cui seguiva, l’11 settembre, una risposta della Regione la quale, trascritte le conclusioni del parere dell’Ausl Rm A, non accoglieva un’ulteriore richiesta di accesso documentale considerata generica e sospendeva i termini del procedimento ex art. 9, comma 5, del r.r. n. 2/2007, «in considerazione della necessità di dover acquisire ulteriori elementi, chiarimenti e pareri in merito alla fattispecie dell’ampliamento strutturale»;

Il 18 settembre successivo l’interessata riscontrava tale ultima nota, sollecitando la Regione al rilascio dell’autorizzazione e reiterando la richiesta di accesso documentale, cui seguiva la nota regionale del 6 ottobre 2015 che consentiva solo parzialmente l’accesso, anch’essa contestata dall’istante con propria nota del 12 ottobre 2015 non riscontrata.

Infine l’interessata impugnava innanzi al TAR per il Lazio le note regionali del 6 ottobre, dell’11 settembre e del 18 giugno 2015, invocando anche l’accertamento dell’obbligo della Regione di provvedere al rilascio dell’autorizzazione all’esercizio nonché la condanna di questa a risarcire il danno patito per effetto del mancato rilascio.

4 - Il TAR respingeva la tutela cautelare invocata dalla parte con l’ordinanza n. 5641/2015, che in sede di appello questa Sezione riformava ingiungendo all’Amministrazione regionale «di riesaminare l’istanza di autorizzazione e di definirla sollecitamente, avuto riguardo alla corretta verifica dei soli requisiti sanitari (risultando già assentita, sotto il profilo edilizio, l’esecuzione dei lavori di ampliamento della struttura)» .

5 - In conseguenza la Regione, con delibera commissariale n. U00153 del 12 maggio 2016, revocava il DCA U00141 del 29 aprile 2016 – col quale frattanto era stata respinta l’istanza della ricorrente – e rilasciava l’autorizzazione richiesta.

6 - Stante l’ottenimento del bene della vita, il giudizio proseguiva per l’interesse risarcitorio della ricorrente e, con sentenza n. 2743/2017, il TAR dichiarava il ricorso in parte estinto per cessazione della materia del contendere, quanto alla domanda volta a conseguire l’autorizzazione dell’esercizio;
e in parte lo respingeva, a spese compensate, per i profili relativi alla domanda di risarcimento, poiché secondo il Giudice di primo grado vi era una oggettiva difficoltà interpretativa della normativa di riferimento conseguendone la mancanza dell’elemento psicologico che connota il danno da ritardo risarcibile ex art. 30 c.p.a.

7 – La predetta sentenza viene ora appellata dal ricorrente di primo grado, secondo cui, indipendentemente da ogni eventuale difficoltà interpretativa della norma regionale (art. 2, comma 1, lettera a, del r.r. n. 2/2007), emerge chiaramente che l’Amministrazione regionale ha realizzato un indebito e dilatorio sconfinamento di competenza.

8 – Secondo l’appellante, in particolare, la condotta della Regione Lazio è stata lesiva poiché da una parte l’Amministrazione ha sospeso sine die i termini del procedimento e dall’altra ha, successivamente, adottato un diniego esplicito all’autorizzazione (poi revocato a seguito dell’accoglimento dell’appello cautelare presso questo Consiglio), basandosi su un’interpretazione contra legem della normativa regionale in materia sanitaria (art. 6 della legge Regionale n. 4/2003 e art. 2 del Regolamento Regionale n. 2/2007) ed agendo quindi al di fuori della propria competenza.

9 – A giudizio del Collegio l’appello è fondato, Infatti, l’Amministrazione Regionale non ha la competenza a rilasciare l’autorizzazione all’esercizio in ordine alle modifiche edilizie;
in altri termini, la Regione deve verificare solamente la regolarità sanitaria e non quella edilizia della struttura accreditata al SSN Regionale, che era stata peraltro già accertata dai competenti uffici, risultando pertanto palesemente illegittima la frapposizione di ulteriori ostacoli all’operatività dei nuovi servizi sanitari, alla stregua di una interpretazione della vigente normativa conforme ai principi costituzionali di libertà e di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost., di imparzialità e buon andamento –e quindi di economia e non aggravamento- dell’attività amministrativa sanciti dall’art. 97 Cost. nonché al principio di tutela della salute di cui all’art. 32 Cost., che postula la massimizzazione –e non la rarefazione- dell’offerta di servizi sanitari alla popolazione conformi ai requisiti di legge.

La legge erroneamente interpretata e applicata dalla Regione, era infatti – con impegno diligente , che è mancato – comprensibile e correttamente applicabile.

10 - Ne consegue, risultando evidente che l’appellante ha subito un danno da una tale condotta della Regione, che il danno subito dalla società appellante in conseguenza dell’illegittimo uso del potere da parte della Regione deve essere risarcito, indipendentemente da ogni diverso trattamento riservato dalla medesima Regione ad altri operatori economici privati, risultando quindi non necessari gli esperimenti istruttori chiesti dall’appellante.

11 - Quanto alla entità del danno suscettibile di ristoro, il Collegio osserva tuttavia la non completa congruità della domanda della parte appellante, che con propria analitica e motivata perizia quantifica il risarcimento in Euro 90.000 circa oltre il danno non patrimoniale da stabilirsi in via equitativa, includendovi anche voci che non attengono direttamente alla vicenda controversa o che risultano ricompresi nel perimetro dell’alea riconducibile al rischio d’impresa.

Risulta, viceversa, sicuramente riconducibile all’indebito ritardo del rilascio del titolo autorizzatorio il danno parametrato all’esborso di denaro al quale il Laboratorio ha dovuto far fronte per aver dovuto trasferire temporaneamente presso altre strutture i pazienti in cura, quantificato dal medesimo appellante in Euro 50 mila. Al riguardo, il Collegio considera che l’effettiva complessità e difficoltà interpretativa della normativa evidenziata dal TAR, non possa quindi –come invece ritenuto dal giudice di primo grado- interrompere il nesso causale che ha condotto al danno a seguito dell’illegittimo comportamento degli uffici regionali, data la certa colpevolezza di questi ultimi che ben potevano acquisire pareri preventivi dai competenti servizi legali della Regione stessa. Tuttavia, il grado non estremamente elevato della imputabilità soggettiva del medesimo comportamento antigiuridico, consente un giudizio equitativo di questo giudice –richiamato seppure in via subordinata dal medesimo appellante- che conduce ad un abbattimento del 50% del danno risarcibile.

12 – Conclusivamente, alla stregua delle pregresse considerazioni l’appello deve essere accolto nei sensi e per gli effetti sopraindicati, conseguendone la condanna dell’Amministrazione regionale al pagamento del risarcimento, equitativamente e forfetariamente quantificato in Euro 25.000,00 oltrechè al pagamento delle spese di giudizio, come liquidate in dispositivo.

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