Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2022-11-24, n. 202210364
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Pubblicato il 24/11/2022
N. 10364/2022REG.PROV.COLL.
N. 02328/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2328 del 2017, proposto da
B Spa, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall'avvocato G T, domiciliato presso la segreteria sezionale del Consiglio di Stato, in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;
contro
Agenzia del Demanio, non costituita in giudizio;
nei confronti
R A s.r.l., non costituita in giudizio;
per la riforma della sentenza del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA – BOLOGNA, SEZIONE I n. 01032/2016, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 ottobre 2022 il Cons. Giuseppina Luciana Barreca e preso atto della richiesta di passaggio in decisione depositata in atti dall’Avv. Turri;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna ha respinto il ricorso proposto dalla B s.p.a., iniziale aggiudicataria della gara, contro l’Agenzia del Demanio, per l’annullamento del provvedimento di esclusione dalla procedura aperta per la stipula di un accordo-quadro per l’esecuzione dei lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria sugli immobili in uso alle amministrazioni dello Stato compresi nel territorio di competenza della Direzione regionale del Demanio Regione Emilia Romagna – lotto 2, nonché per l’annullamento del provvedimento di escussione della polizza fideiussoria e per il risarcimento dei danni.
1.1. Il tribunale ha premesso che il provvedimento di esclusione della ricorrente B era motivato sulla base della ritenuta mancanza del requisito della qualificazione per la categoria di lavori OG2 II classifica e che la B, che ne era sprovvista, si era avvalsa dell’impresa R A s.r.l., nei cui confronti era stata accertata la mancanza della continuità del possesso del requisito.
1.2. Il tribunale ha quindi respinto sia il motivo concernente l’illegittimità del provvedimento di esclusione dedotta per il fatto che, secondo la ricorrente, la R A non aveva mai perso il suddetto requisito, sia il motivo subordinato concernente la mancata applicazione dell’art. 89 del d.lgs. n. 50 del 2016, laddove prevede la possibilità per il concorrente che è ricorso all’istituto dell’avvalimento di sostituire l’impresa ausiliaria.
Il primo motivo è stato ritenuto infondato sulla base di un’interpretazione del dictum dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 18 luglio 2012, n. 27;il secondo, sulla base dell’inapplicabilità della normativa sopravvenuta di cui all’art. 89, comma 3, del d.lgs. n. 50 del 2016, essendo il presente appalto regolato dal d.lgs. n. 163 del 2006, nonché sulla base dell’inapplicabilità in via immediata della direttiva 2014/24/UE, che, secondo la ricorrente, avrebbe consentito la sostituzione dell’impresa ausiliaria, risultata priva del requisito di qualificazione.
1.2.1. Sono stati quindi respinti sia un ulteriore motivo concernente la possibile sostituzione dell’impresa ausiliaria ai sensi degli artt. 1218 e 2051 c.c. sia i motivi quarto e quinto, concernenti l’escussione della polizza fideiussoria.
Quanto a quest’ultima, il tribunale ha ritenuto insussistente l’illegittimità derivata ed imputabile alla ricorrente la causa della mancanza del requisito oggetto dell’avvalimento.
1.3. Respinto il ricorso, le spese processuali sono state compensate in ragione della novità della principale questione esaminata e del carattere interpretativo della decisione.
2. Avverso la sentenza la B ha proposto appello con quattro motivi, sostanzialmente riproduttivi delle censure di primo grado.
L’Agenzia del Demanio non si è costituita.
2.1. Con ordinanza collegiale del 23 gennaio 2018, n. 433 il giudizio è stato sospeso in attesa della decisione da assumersi da parte della Corte di Giustizia dell’Unione europea a seguito del rinvio pregiudiziale disposto da questo Consiglio di Stato, con ordinanza 15 aprile 2016, n. 1522, sulla seguente questione di interpretazione del diritto comunitario: “ Se gli artt. 47 secondo alinea e 48 terzo alinea della Direttiva 2004/18/CE, come sostituiti dall’art. 63 della Direttiva 2014/24/UE ostino ad una disciplina normativa nazionale che esclude, o possa essere interpretata nel senso che esclude, la possibilità per l’operatore economico, ossia per il soggetto che concorre alla gara, di indicare altra impresa in luogo di quella originariamente assunta quale “impresa ausiliaria”, che abbia perduto o abbia visto ridurre i requisiti di partecipazione, e quindi comporti l’esclusione dell’operatore economico dalla gara per fatto non a lui riconducibile né oggettivamente né soggettivamente ”.
2.2. Pendente la sospensione, con avviso di segreteria comunicato al difensore dell’appellante è stata fissata l’udienza pubblica del 30 settembre 2021, al fine di decidere sull’estinzione del giudizio.
All’esito di detta udienza, con ordinanza collegiale del 7 ottobre 2021, n. 6705 è stata disposta l’acquisizione agli atti, a cura della segreteria, della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea pronunciata nel giudizio di rinvio pregiudiziale introdotto con l’ordinanza su menzionata.
In data 15 ottobre 2021 è stata acquisita la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea 14 settembre 2017, resa nel giudizio C-223/16 Casertana Costruzioni.
2.3. Quindi è stata quindi fissata l’udienza pubblica del 5 maggio 2022, nella quale il difensore dell’appellante ha chiesto rinvio per trattare sia la questione di estinzione del giudizio che il merito della controversia.
Accordato il rinvio, all’udienza del 20 ottobre 2022 la causa è stata assegnata a sentenza senza discussione, su richiesta dell’appellante, previo deposito di memoria difensiva ex art. 73 c.p.a..
3. Con tale memoria, depositata il 4 ottobre 2022, la società appellante, in primo luogo, si oppone alla dichiarazione di estinzione del giudizio per propria inattività.
3.1. A sostegno dell’opposizione espone i seguenti fatti processuali:
- l’ordinanza di sospensione n. 433 del 23 gennaio 2018 non conteneva alcuna disposizione o termine in merito alle modalità con cui sarebbe dovuta avvenire la prosecuzione del processo;
- nell’adottare l’ordinanza il Collegio non si rese conto che in realtà la CGUE si era già pronunciata sulla questione con sentenza in causa C-223/2016 depositata il 14 settembre 2017;
- ritenendo che il giudizio fosse stato sospeso in maniera non corretta e che perciò non dovesse assumere alcuna iniziativa, l’appellante attendeva che, rilevata l’irritualità della sospensione, fosse disposta la prosecuzione del giudizio d’ufficio;
- in data 4 dicembre 2020 era fissata d’ufficio l’udienza pubblica del 30 settembre 2021;
- in calce alla comunicazione era precisato che “ … Egregio Avvocato, alla luce del considerevole lasso di tempo intercorso dalla pronuncia di sospensione, il giudizio in parola è fissato ai soli fini dell’estinzione. Si invita la S.V., qualora sussistano ragioni ostative all’estinzione a volerle comunicare in atti entro 60 giorni dal ricevimento del presente avviso … ”;
- all’udienza del 30 settembre 2021 l’appellante non compariva e, con ordinanza n. 6705 del 7 ottobre 2021, il Collegio riteneva necessario acquisire agli atti la sentenza della CGUE predetta, ai fini dell’adozione dei provvedimenti consequenziali in merito all’eventuale estinzione del giudizio;
- depositata la sentenza, a cura della segreteria, in data 15 ottobre 2021, il successivo 19 ottobre 2021 era fissata d’ufficio l’udienza pubblica del 5 maggio 2022;
- nel corso della relativa discussione B illustrava le ragioni ‘particolari’ che nel caso concreto avrebbero impedito di procedere con l’estinzione.
3.1.1. Sulla scorta della ricostruzione che precede e dato atto di non avere presentato tempestiva istanza per la prosecuzione del giudizio, B espone le seguenti ragioni ostative alla dichiarazione di estinzione.
Richiamato il disposto dell’art. 80, comma 1, c.p.a. (“ In caso di sospensione del giudizio, per la sua prosecuzione deve essere presentata istanza di fissazione di udienza entro novanta giorni dalla comunicazione dell’atto che fa venir meno la causa della sospensione ”), l’appellante sostiene che il termine ivi fissato (commisurato a 45 giorni nei giudizi nei quali i termini processuali sono dimezzati, come nel presente) non sarebbe perentorio ai fini della dichiarazione di estinzione ex art. 35, comma 2, lett. a (“ il giudice dichiara estinto il giudizio: a) se, nei casi previsti dal presente codice, non viene proseguito o riassunto nel termine perentorio fissato dalla legge o assegnato dal giudice ”), ma dovrebbe essere qualificato ordinatorio (come da sentenza del Consiglio di Stato, IV, 25 agosto 2015, n. 3985).
Dato ciò, assume che il termine perentorio non era stato fissato nell’ordinanza di sospensione né si sarebbe potuto desumere dalla comunicazione di fissazione di udienza del 4 dicembre 2020, trasmessa dalla segreteria, che contiene un mero invito privo di indicazione di perentorietà e di riferimento normativo.
3.1.2. L’appellante aggiunge due ulteriori ragioni di opposizione alla dichiarazione di estinzione, che reputa dirimenti;e precisamente:
- il giudizio è stato sospeso dopo la pubblicazione della sentenza della Corte di Giustizia, quindi in assenza della causa di sospensione indicata dalla relativa ordinanza;
- la sentenza della CGUE è stata acquisita d’ufficio a seguito dell’ordinanza collegiale del 7 ottobre 2021, n. 6705, con deposito effettuato il 15 ottobre 2021;tuttavia B non ha avuto il tempo materiale di predisporre un’istanza di prosecuzione del giudizio perché il successivo 19 ottobre 2021 è stata fissata d’ufficio l’udienza del 5 maggio 2022.
3.1.3. B conclude osservando che non vi sarebbero i presupposti per la dichiarazione di estinzione, sussistendo ragioni particolari che, unite all’evidente buona fede dell’appellante, dovrebbero indurre a riconoscere l’errore scusabile.
3.2. Il Collegio ritiene che si possa provvedere ai sensi dell’art. 37 c.p.a., così come richiesto dall’appellante, considerata l’incertezza ingenerata nella società ricorrente dalla successione degli eventi processuali sopra esposti e dalle diverse questioni interpretative poste dall’art. 80, comma 1, c.p.a..
3.3. Quanto a queste ultime, va preliminarmente ribadito che, all’opposto di quanto assume parte appellante, il termine per la presentazione dell’istanza di prosecuzione del giudizio sospeso è da intendersi come perentorio, per le ragioni che seguono.
3.3.1. L’art. 79, comma 1, c.p.a. dispone che “ la sospensione del processo è disciplinata dal codice di procedura civile, da altre leggi e dal diritto dell’Unione europea ”. La norma comporta due rilevanti conseguenze applicative:
- vi è compreso il caso di pregiudizialità comunitaria, quale il presente, che dà luogo ad un’ipotesi di pregiudizialità necessaria, riconducibile solo in senso lato alla fattispecie della sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c., perciò definito di sospensione c.d. impropria;
- atteso il rinvio alla disciplina del codice di procedura civile, vanno applicati al processo amministrativo, per quanto qui rileva, sia l’art. 298 c.p.c. sia in parte l’art. 297 c.p.c.
Il rapporto tra l’art. 297 c.p.c. e gli artt. 79, comma 1, e 80, comma 1, c.p.a. sta a fondamento della questione concernente la “ fissazione della nuova udienza dopo la sospensione ” e la perentorietà del termine per la prosecuzione del processo sospeso.
L’art. 80, comma 1, ha inteso risolvere un contrasto interpretativo presente nella giurisprudenza amministrativa prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 ( Codice del processo amministrativo );e precisamente: se per la prosecuzione del giudizio sospeso occorresse un’istanza di fissazione di udienza, da presentarsi nel termine di perenzione biennale, decorrente dalla notizia della cessazione della causa di sospensione (cfr. Cons. Stato, IV, 9 ottobre 2002, n. 5364) ovvero se fosse applicabile l’art. 297 c.p.c., sicché si sarebbe dovuta presentare un’apposita istanza nel termine di sei mesi (ridotto a tre dall’art. 46, comma 11, della legge n. 69 del 2009) dalla conoscenza della cessazione della causa di sospensione (cfr. Cons. Stato, VI, 15 giugno 2009, n. 3829).
L’art. 80, comma 1, c.p.a. ha condiviso tale seconda opzione, stabilendo che nel termine di novanta giorni “ dalla comunicazione dell’evento che fa venir meno la causa di sospensione ”, la parte interessata “deve” presentare un’istanza di fissazione di udienza.
La ricostruzione normativa che precede consente di affermare che, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 80 c.p.a., la sospensione del processo e la sua prosecuzione, così come la sua estinzione, ai sensi dell’art. 35, comma 2, lett. a) c.p.a., sono vicende del tutto distinte ed indipendenti dalla perenzione di cui ai successivi artt. 81 e 82. Siffatta indipendenza è consequenziale all’applicabilità al processo amministrativo dell’art. 298 c.p.c., secondo cui “ durante il periodo di sospensione del processo non possono essere compiuti atti del procedimento ” (comma 1) e sono interrotti tutti i termini in corso (comma 2), di modo che la sospensione del processo amministrativo è incompatibile con la sua perenzione.
Non è perciò condivisibile il principale argomento (vale a dire l’impossibilità della pendenza sine die del processo sospeso, per la contemporanea attivabilità dell’istituto della perenzione “ordinaria”) speso -oltre quello letterale- dalla sentenza di questo Consiglio di Stato, IV, 25 agosto 2015, n. 3985, citata dall’appellante, per sostenere la natura ordinatoria del termine fissato dall’art. 80, comma 1, c.p.a.
In merito all’argomento basato sulla lettera della disposizione e sulla contrapposizione tra il comma primo e i commi successivi, che indurrebbe a ritenere - secondo detta sentenza - che il termine per la presentazione dell’istanza di prosecuzione del processo sospeso sarebbe ordinatorio mentre sarebbe perentorio soltanto quello per la riassunzione del processo interrotto, si osserva quanto segue:
- sebbene l’art. 80, comma 1, non qualifichi espressamente come perentorio il termine ivi indicato, esso si riferisce alla presentazione dell’istanza di fissazione di udienza, specificando che questa “deve” essere presentata entro il detto termine;
- a sua volta, l’art. 79, comma 1, richiama per intero la disciplina dettata dal c.p.c. , compreso perciò l’art. 297 c.p.c. per tutto quanto non previsto dalle norme del c.p.a., e l’art. 297 c.p.c. espressamente qualifica come perentorio il termine per la presentazione dell’istanza di fissazione della nuova udienza dopo la sospensione;
- se è vero, inoltre, che l’art. 152 c.p.c. (che al secondo comma prevede la generale ordinarietà dei termini processuali) è norma applicabile anche al processo amministrativo, a quest’ultimo è allo stesso applicabile anche l’orientamento interpretativo secondo cui la perentorietà di un termine non deve essere espressamente stabilita potendo la stessa desumersi anche implicitamente dalla ratio legis e dalle specifiche esigenze che lo svolgimento di un determinato adempimento entro un prefissato arco temporale è inteso a soddisfare (cfr. Cass.10 dicembre 2019, n. 32136);
- nel caso di specie, tale ratio legis , oltre a risultare dal già evidenziato combinato disposto degli artt. 79, comma 1, e 80, comma 1, c.p.a., si evince dall’art. 35, comma 2, dello stesso c.p.a., che fissa una volta per tutte la perentorietà dei termini legali di prosecuzione o riassunzione del giudizio recati dal codice, cosicché, la natura perentoria del termine in discussione si manifesta essenziale;
- quanto poi alla differenza, nell’art. 80 c.p.a., tra il comma 1, riferito alla sospensione, e il comma 3, riferito alla riassunzione, va considerato che, come già osservato in giurisprudenza, si mostrerebbe irrazionale e contraddittorio un sistema processuale che preveda meccanismi di riattivazione di un processo quiescente diversi a seconda che si tratti di sospensione o interruzione;tanto più che, ai sensi dell’art. 80, comma 2, anche in caso di evento interruttivo è possibile la mera “prosecuzione” del processo su istanza della parte nei cui confronti questo si è verificato (senza che la norma preveda espressamente alcun termine per presentare, anche in caso di interruzione, “ nuova istanza di fissazione di udienza ”, sicché è da ritenere che questo vada comunque commisurato al termine di novanta giorni di cui al terzo comma).
Nel senso della perentorietà del termine dell’art. 80, comma 1, si sono espresse, a superamento della decisione n. 3985/2015, citata dall’appellante, oltre a diversi precedenti di merito (tra cui T.A.R. Lazio Roma, sez. II, n. 6576/19 e T.A.R. Campania sez. IV, n. 5233/19), le sentenze di questo Consiglio di Stato, 5 giugno 2018, n. 3381 e del C.G.A.R.S. 31 gennaio 2018 n. 47, che hanno posto a base della decisione la posizione assunta dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato in occasione dell’ordinanza 15 ottobre 2014 n. 28 (con la quale nel disporsi la sospensione di un giudizio è stato osservato quanto segue: “ rimane inteso che il termine per la prosecuzione del giudizio sospeso è quello innovativamente sancito dall'art. 80, co. 1, c.p.a. per tutte le ipotesi di sospensione del processo amministrativo (90 giorni …);tale termine decorrerà dalla data di pubblicazione nella Gazzetta ufficiale del provvedimento della Corte costituzionale che definisce il giudizio … ”). La sentenza del C.G.A.R.S. n. 47/2018 precisa che la posizione dell’Adunanza Plenaria, per il fatto di essere motivata con la necessità di evitare, in aderenza al principio di ragionevole durata del processo, una condizione di quiescenza sine die del giudizio, “ presuppone … logicamente la perentorietà del termine in discussione, mentre non sarebbe conciliabile con una valenza solo ordinatoria del medesimo ”.
3.4. Ritenuto perciò perentorio il termine per la presentazione dell’istanza di prosecuzione del giudizio sospeso, va dato conto di un’ulteriore questione interpretativa dell’art. 80, comma 1, c.p.a., laddove prevede la decorrenza del termine di novanta giorni “ dalla comunicazione dell’atto che fa venire meno la causa di sospensione ” (a differenza del codice di procedura civile che prevede la decorrenza del termine perentorio dalla conoscenza della cessazione della causa di sospensione, ai sensi dell’art. 297, comma 1, come risultante dalla sentenza della Corte Costituzionale, 4 marzo 1970, n. 34).
La questione interpretativa si pone perché non è chiaro a quale “comunicazione” l’art. 80, comma 1, faccia riferimento e quale sia la sorte del processo amministrativo quando la cessazione della causa di sospensione non è stata comunicata ma sia comunque conosciuta dalla parte che avrebbe interesse alla prosecuzione del giudizio.
Una lettura della disposizione conforme alla sua ratio , quale sopra delineata, nonché coerente con la norma corrispondente del processo civile, induce a ritenere che il termine di prosecuzione del giudizio decorre, non solo dalla comunicazione , ma anche dalla piena conoscenza dell’atto che fa cessare la causa di sospensione. Perciò si è affermato che in caso di sospensione c.d. impropria per pregiudiziale costituzionale sollevata in altro giudizio, il termine decorre dalla data di pubblicazione nella Gazzetta ufficiale del provvedimento della Corte Costituzionale che definisce il giudizio di costituzionalità (Cass., 26 marzo 2013, n. 7580;Cons. Stato, Ad. Plen. n. 28/2014 cit.).
Analogamente è stato dichiarato estinto un giudizio amministrativo non riassunto in termini, all’esito della pubblicazione su Gazzetta Ufficiale di una pronuncia resa dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, determinante la cessazione della causa di sospensione (Consiglio di Stato, V, 5 giugno 2018, n. 3381).
Tuttavia, nel caso esaminato da quest’ultima sentenza, l’ordinanza di sospensione del giudizio aveva stabilito che, una volta intervenuta la decisione di definizione dei rinvii pregiudiziali, “ la parte più diligente [avrebbe dovuto], ai sensi dell’art. 80, comma 1, cod. proc. amm., presentare l’istanza di fissazione di udienza nel termine, dimidiato ai sensi dell’art. 119, comma 2 cod. proc. amm., di quarantacinque giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Unione Europea della comunicazione di cui all’art. 92 del Regolamento di procedura della Corte di Giustizia ”.
Invece, l’ordinanza n. 433/2018 di sospensione del presente giudizio non ha disposto nulla in proposito.
3.5. A ciò si aggiunga che il presente giudizio ha avuto un andamento che ha reso comunque problematica l’applicazione degli approdi interpretativi raggiunti dalla giurisprudenza in merito all’art. 80, comma 1, c.p.a.
Come sottolinea l’appellante, quando il processo venne sospeso era già stata pubblicata la sentenza della