Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-08-21, n. 202307885

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-08-21, n. 202307885
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202307885
Data del deposito : 21 agosto 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 21/08/2023

N. 07885/2023REG.PROV.COLL.

N. 07692/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7692 del 2019, proposto da
De Grecis Cos.E.Ma.Verde S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati P C, I M D e M I L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato P C in Roma, via Principessa Clotilde n. 2

contro

Ministero dello Sviluppo Economico, non costituito in giudizio;
Banca Ifis S.p.A., rappresentata e difesa dagli avvocati A V S, M D R e R F D M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato M D R in Roma, largo Messico, 3

nei confronti

GE Capital Interbanca Spa, non costituita in giudizio;
Luca D'Alessandro, rappresentato e difeso dagli avvocati Italo D'Alessandro e Michelangelo Pinto, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Prima) n. 257/2019


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del signor Luca D'Alessandro e della Banca Ifis S.p.A.;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 5 luglio 2023 il Pres. Claudio Contessa e uditi per le parti gli avvocati I M D e M I L per la parte appellante, e l’avvocato R F D M per Banca Ifis S.p.a.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La società De Grecis Cos.E.Ma.Verde s.r.l., odierna appellante, ha impugnato in primo grado il decreto di annullamento della concessione di benefici economici ai sensi della legge n. 488 del 1992 del Ministero dello Sviluppo economico (MiSE) - Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica - Direzione generale per l’incentivazione delle attività imprenditoriali - Div. IX, Grandi progetti d’investimento, sviluppo economico territoriale e finanza d’impresa in data 5 settembre 2013, nonché la nota di GE Capital Interbanca del 10 dicembre 2010, avente ad oggetto “agevolazioni finanziarie L. n.488/92 - progetto n. 33594/14 - 32° Bando Turismo - D.M. n. 155596 del 19.3.2007 - Proposta di revoca”;
agendo contestualmente per il risarcimento dei relativi danni patiti e patiendi.

Il provvedimento impugnato in primo grado, recante la revoca della concessione di benefici sotto forma di finanziamento agevolato per la realizzazione di una struttura congressuale, mediante la ristrutturazione di una dimora storica (si tratta della “Villa De Grecis” di Bari), si fonda sulla circostanza dell’insussistenza dei requisiti di ammissibilità al beneficio.

Tale provvedimento era stato preceduto da una nota del soggetto finanziatore GE Capital Interbanca, con la quale si proponeva al MiSE la revoca dei contributi sull’assunto della mancata corrispondenza dell’immobile ai vincoli edilizi, urbanistici e di destinazione d’uso. In particolare, la villa oggetto dell’intervento di ristrutturazione da finanziare al momento della scadenza del termine per la presentazione delle domande sarebbe rientrata in una categoria catastale non rispondente alla destinazione d’uso della struttura congressuale da realizzare.

Il Ministero dava quindi avvio al procedimento conclusosi con il decreto in data 5 settembre 2013 (recante l’annullamento della concessione provvisoria in data 15 marzo 2007 come modificato dal decreto del 13 luglio 2009), nonché con l’ordine di restituzione dell’importo derivante dal finanziamento agevolato e con la dichiarazione di non spettanza del contributo.

Nel giudizio di primo grado, il TAR, dopo aver ricostruito nei suddetti termini la vicenda fattuale, ha dichiarato l’impugnato atto in autotutela doveroso e immune dalle censure contestate dalla società ricorrente respingendo la domanda annullatoria e quella di risarcimento dei danni.

Con il presente gravame, la parte ripropone e sviluppa le proprie doglianze criticando sotto diversi profili gli assunti posti a fondamento della sentenza impugnata.

Con il primo motivo di ricorso l’appellante lamenta l’erroneità della decisione di prime cure nella parte in cui ha ritenuto insussistente ab origine il requisito della rispondenza dell’immobile alla destinazione d’uso prevista dal programma agevolato.

A sostegno della propria tesi difensiva, parte appellante valorizza il dato letterale della “ rispondenza ” evidenziando come il d.m. 1 febbraio 2006, recante “ Nuovi criteri, condizioni e modalità per la concessione ed erogazione delle agevolazioni alle attività produttive nelle aree sottoutilizzate, di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto-legge 22 ottobre 1992, n. 415, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 1992, n. 488 ”, nonché la circolare del 23 marzo 2006 n. 980902. Tali atti, piuttosto che prevedere la conformità dell’immobile ai menzionati vincoli, richiederebbero una compatibilità degli interventi da realizzare rispetto alle destinazioni d’uso possibili.

Sulla scorta di tali argomentazioni, si censura la sentenza appellata nella quale, ad avviso di parte appellante, il giudice avrebbe stravolto il dato testuale in quanto “ conformità e coerenza ” avrebbero distinti significati. Parimenti apodittica e priva di fondamento sarebbe la statuizione del TAR nella parte in cui afferma che la conformità dell’immobile alla destinazione fosse necessaria prima della concessione del beneficio.

Nello specifico, la società appellante insiste sulla circostanza che la rispondenza prescritta ai sensi dell’art. 1, comma 3, d.m. 1 febbraio 2006 si riferisca all’attività da svolgere piuttosto che alla destinazione d’uso dell’immobile oggetto dell’intervento di ristrutturazione.

In sostanza, ciò che si richiederebbe ai fini dell’agevolazione sarebbe una compatibilità dell’intervento da finanziare rispetto ai vincoli previsti dagli strumenti urbanistici. Tale interpretazione, ad avviso di parte appellante, sarebbe l’unica coerente con la previsione di “ nuovo impianto ”, non potendosi pretendere una conformità alla destinazione d’uso già al momento di presentazione della domanda.

Sotto altro profilo, si deduce poi un travisamento dei fatti da parte del TAR invocando la produzione documentale, anche endoprocedimentale, a riprova della rispondenza dell’immobile ai vincoli edilizi e urbanistici.

Secondo la difesa di parte appellante, infatti, la destinazione d’uso al momento della concessione del beneficio sarebbe stata irrilevante, potendo ammettersi una variazione successiva alla realizzazione del nuovo impianto, per effetto dell’intervento oggetto di finanziamento. Si eccepisce, in tal senso, la sussistenza del requisito contestato di rispondenza ai vincoli di destinazione d’uso, desumendolo dalla mera compatibilità con l’attività di gestione della struttura congressuale. Si asserisce, infatti, trattarsi di zona per attività terziarie, senza che possa essere dirimente la destinazione catastale.

Sul punto, si contesta altresì la sentenza del TAR per aver escluso il fabbricato dalla certificazione di destinazione urbanistica, circoscrivendone l’oggetto al suolo sul quale insiste.

Del resto, si osserva come una parte del progetto avrebbe coinvolto anche lo stesso terreno per la realizzazione di un “ giardino d’inverno ”, con una conseguente difformità al più parziale.

Infine, la parte appellante contesta le statuizioni del giudice di prime cure in ordine alla nozione di “destinazione d’uso”. Si osserva criticamente il richiamo ad una normativa non applicabile ratione temporis e, ad ogni modo, l’infondatezza delle argomentazioni del TAR.

I successivi motivi di gravame lamentano doglianze inerenti a profili procedimentali.

Con il secondo motivo di appello, nello specifico, la parte censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 11, d.m. 1 febbraio 2006.

Secondo la ricostruzione di parte appellante, una volta intervenuto il decreto di concessione dell’agevolazione, la fase di istruttoria e di verifica del possesso dei requisiti di ammissibilità doveva ritenersi conclusa. Con la conseguenza che qualsiasi atto in autotutela poteva ammettersi negli stretti e tassativi limiti della revoca come disciplinata dal menzionato art. 11, d.m. 1 febbraio 2006.

Sulla scorta di tali argomentazioni contesta, pertanto, l’erroneità della sentenza di prime cure;
nonché l’inconferenza della pretesa assunzione di un obbligo da parte della società beneficiaria a provvedere affinché l’immobile, al momento della chiusura delle domande, fosse rispondente in relazione all’attività da svolgere ai vigenti vincoli edilizi, urbanistici e di destinazione d’uso a pena di invalidità della domanda stessa, in quanto impegno genericamente previsto dal modello di domanda e, nel caso di specie, asseritamente garantito dalla “ rispondenza ” dell’immobile ai vincoli prescritti.

Nel merito, peraltro, si eccepisce come il difetto del requisito di ammissibilità fosse stato superato, già al momento di adozione del decreto di annullamento, essendo intervenuto l’accatastamento nella categoria prevista. Da ciò, si desumerebbe in capo all’amministrazione un difetto di interesse alla revoca.

Con il terzo motivo, infine, la società appellante deduce che pur qualificando il decreto come annullamento in autotutela difetterebbero parimenti i presupposti richiesti dalla Legge n. 241 del 1990.

Nello specifico, si censura la sentenza del TAR nella parte in cui, ha escluso la sussistenza di un legittimo affidamento del privato tutelabile, sulla scorta della “ non predicabile ignoranza della originaria carenza oggettiva dei requisiti di ammissibilità dell’intervento e la non veritiera dichiarazione della sussistenza degli stessi ”;
nonché dalla provvisorietà della concessione e dalla mancata erogazione delle somme trattandosi di un contributo conseguito ma non percepito.

Sul punto, si eccepisce innanzitutto il dato temporale, essendo il decreto di annullamento stato adottato a distanza di sei anni, e, dunque, in violazione asserisce la parte di qualsiasi termine ragionevole. Si contesta, poi, la sussistenza di false rappresentazioni, come desumibile dall’esame della perizia giurata presentata in sede di domanda.

Parte appellante lamenta, pertanto, la violazione degli artt. 21-nonies e 10, lett. b) della legge n. 241 del 1990, evidenziando l’assenza di ragioni idonee a giustificare deroghe alla disciplina ivi prevista.

Si ripropone, da ultimo, la domanda risarcitoria che il TAR erroneamente avrebbe respinto in forza del rigetto della domanda annullatoria, con aggiornamento nella quantificazione dei danni come da perizia in atti.

Il Ministero dello sviluppo economico, ancorché regolarmente intimato, non si è costituto nel presente grado di giudizio.

Banca IFIS s.p.a., società capogruppo, incorporante di Interbanca S.p.A., già GE Capital Interbanca s.p.a, si è costituita concludendo per il rigetto dell’appello.

Si è, altresì, costituito in giudizio Luca D’Alessandro, intervenuto in primo grado ad adiuvandum in qualità di direttore della società, istando ai fini dell’accoglimento dell’appello con annullamento degli atti impugnati e conseguente risarcimento dei danni.

In vista dell’udienza di trattazione la società appellante e la banca appellata hanno depositato memorie insistendo nelle rispettive difese ed eccezioni, e contestando quanto ex adverso dedotto.

Banca IFIS insiste sulla correttezza delle statuizioni del TAR, evidenziando come il requisito della rispondenza ai vincoli, edilizi, urbanistici e di destinazione d’uso debba intendersi nel senso di “ conformità ” e debba sussistere al momento della chiusura del termine per la presentazione delle domande senza che ciò possa ritenersi illogico o incompatibile con la nozione di “nuovo impianto”. Sul punto, si osserva come basti pensare alla realizzazione di nuove costruzioni rispetto alle quali il requisito della conformità va valutato rispetto al terreno.

Peraltro, nel caso in esame, essendo già esistente un fabbricato, si deduce che lo stesso avrebbe dovuto essere “ conforme ” ai vincoli. Esclusa, quindi, una diversa interpretazione della normativa in esame come prospettata da parte appellante, si evidenzia altresì l’impegno assunto al momento della domanda dalla società beneficiaria in ordine al requisito della rispondenza, e la non veridicità di quanto attestato nella perizia desunta dalla documentazione integrativa richiesta dalla Banca.

Sotto altro profilo si censurano le doglianze di parte appellante incentrate su un preteso travisamento dei fatti da parte del TAR nella parte in cui ha accertato che la destinazione d’uso della Villa non fosse rispondente all’attività da svolgere.

Sul punto, la Banca nella propria memoria difensiva deduce la correttezza delle statuizioni del giudice di prime cure evidenziando come la rispondenza al vincolo di destinazione d’uso sia un requisito di ammissibilità per l’agevolazione avente ad oggetto il progetto da realizzare nel suo complesso, né si afferma il certificato di destinazione urbanistica dei terreni interessati, quali “ zone per attività terziarie ” è ex se sufficiente in quanto non riferibile anche all’immobile.

Del resto, si deduce la mancata rispondenza alla destinazione d’uso è provata dalla circostanza che il cambio di destinazione, come si asserisce ammesso dalla stessa controparte, è successivo al termine per la presentazione delle domande. Eppure, osserva ancora la parte era possibile per la società appellante richiedere preventivamente permessi e autorizzazioni.

Avverso le censure dedotte nel secondo motivo di appello, la parte deduce criticamente come la non veridicità delle dichiarazioni rese rappresenterebbe di per sé motivo di revoca ai sensi dell’art. 11, d.P.R. n. 403 del 1988 e art. 14 del d.m. 1 febbraio 2006.

Sull’infondatezza del terzo motivo di appello eccepisce, infine, l’inconfigurabilità di una situazione di legittimo affidamento tutelabile, sull’assunto che la revoca sarebbe intervenuta per fatti imputabili alla stessa società beneficiaria la quale avrebbe violato uno specifico obbligo assunto in sede di domanda delle agevolazioni.

Ne conseguirebbe, alla luce di quanto premesso, anche il rigetto della domanda risarcitoria proposta nei confronti del Ministero.

In sede di replica la De Grecis Cos.E.Ma.Verde s.r.l. insiste nelle proprie difese.

In particolare, ribadisce come la rispondenza ai vincoli vigenti debba intendersi nel senso che l’immobile, secondo la normativa vigente al momento della presentazione della domanda, possa avere una destinazione d’uso corrispondente all’attività da svolgere ovvero possa, all’esito dell’intervento agevolato, essere adibito all’uso previsto dal progetto di “ nuovo impianto ”. Sul punto, la parte appellante osserva altresì l’esito paradossale della diversa interpretazione, prospettata dal Mise e avallata dal TAR, ove la si applicasse anche ai vincoli edilizi sull’assunto che gli interventi possono essere avviati solo successivamente alla presentazione della domanda e all’ammissione al beneficio. Da qui desume anche l’infondatezza di quanto ex adverso dedotto, si sostiene per la prima volta in giudizio, nell’avversaria memoria difensiva in ordine all’esigenza di provvedere ai fini del rilascio di permessi e autorizzazioni. Sostiene, dunque, che il requisito sia quello della compatibilità ed evidenzia come nella fattispecie in esame il cambio di destinazione d’uso fosse un “ mero atto dovuto ”. Contesta, inoltre, le deduzioni di controparte in ordine alla non veridicità delle dichiarazioni rese al momento della domanda, desumendone le ulteriori conseguenze in punto di affidamento e di violazione dei termini per l’annullamento del decreto. Insiste, infine, sull’istanza risarcitoria.

All’udienza di smaltimento del 5 luglio 2023 il ricorso in epigrafe è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dalla società De Grecis Cos.E.Ma.Verde s.r.l., avverso la sentenza del TAR della Puglia – Bari - Sezione prima con cui è stato respinto il ricorso avverso il provvedimento con cui il Ministero dello sviluppo economico ha annullato il decreto di concessione provvisoria di agevolazioni, ordinando la restituzione dell’importo derivante dal finanziamento agevolato e dichiarando la non spettanza del contributo.

2. Con il primo motivo di ricorso (più analiticamente descritto in premessa) la società appellante lamenta sotto diversi profili l’illegittimità dell’impugnato provvedimento di revoca del beneficio erogato ai sensi della legge n. 488 del 1992 in quanto assunto con violazione della pertinente normativa eccesso di potere, carenza istruttoria, travisamento dei fatti e contraddittorietà.

2.1. Il motivo è fondato.

2.1.1. In via generale va qui osservato che il decreto ministeriale 1 febbraio 2006 (recante ‘ Nuovi criteri, condizioni e modalità per la concessione ed erogazione delle agevolazioni alle attività produttive nelle aree sottoutilizzate, di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto-legge 22 ottobre 1992, n. 415, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 1992, n. 488 ’), all’articolo 1, comma 3 stabilisce che, ai fini dell'ammissibilità alle agevolazioni, è necessario che le imprese, alla data di chiusura dei termini di presentazione delle domande del bando a cui partecipano, siano già in possesso dei presupposti e dei requisiti che giustificano l’erogazione del beneficio.

In particolare, è necessario che, a tale data, l’immobile al quale è riferibile il programma agevolato “ [debba] essere già rispondente, in relazione all'attività da svolgere, ai vigenti specifici vincoli edilizi, urbanistici e di destinazione d'uso ”.

In termini del tutto analoghi dispone la circolare ministeriale n. 980902 del 23 marzo 2006 (‘ Circolare esplicativa sulle modalità e le procedure per la concessione ed erogazione delle agevolazioni alle attività produttive nelle aree sottoutilizzate del Paese previste dall'articolo 1, comma 2, del decreto-legge 22 ottobre 1992, n. 415, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 1992, n. 488, emanata ai sensi del decreto del Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze del 1° febbraio 2006. Settori «Industria», «Turismo» e «Commercio» ’).

Ora, è pacifico fra le parti che, alla data di chiusura del termine che qui rileva (15 settembre 2006), l’immobile denominato “Villa De Grecis” fosse incluso in “ Zone per attività terziarie ” e che, a seguito di presentazione di una DIA, sia stata ottenuta una variazione della relativa destinazione d’uso, compatibile con l’utilizzo a fini convegnistici che rappresentava il presupposto stesso della domanda di agevolazione.

Sotto tale aspetto la res controversa può dunque essere ricondotta alla questione interpretativa in ordine alla richiamata nozione di “ rispondenza ”, in relazione all’attività da svolgere, agli specifici vincoli esistenti nell’area e a quelli riferibili alla pertinente destinazione d’uso.

In particolare, in base a una lettura assai rigorosa (fatta propria dall’amministrazione appellata e dal primo Giudice), tale “ rispondenza ” postulerebbe la piena e immediata rispondenza a tutti i vincoli esistenti nell’area, nonché l’altrettanto pieno possesso della destinazione d’uso necessaria ai fini della realizzazione del programma oggetto di agevolazione.

In base a una lettura più elastica e funzionale della richiamata nozione, la stessa dovrebbe essere ritenuta sussistente in tutti i casi in cui – come nel caso in esame – l’immobile oggetto di agevolazione fosse lato sensu compatibile con i vincoli di zona e fosse in possesso dei requisiti oggettivi necessari per ottenere (anche previa modifica) la destinazione d’uso necessaria per l’esercizio dell’attività oggetto di agevolazione.

2.2. Ad avviso del Collegio la questione interpretativa dinanzi sinteticamente richiamata deve essere risolta in senso conforme alla prospettazione dell’appellante.

Depongono in tal senso elementi di carattere testuale e sistematico.

2.2.1. Dal punto di vista testuale si osserva che la nozione di “ rispondenza ” dettata dall’articolo 1, comma 3 del richiamato decreto ministeriale non coincida con quella – evidentemente più stringente – di “ conformità ” (in particolare, con la destinazione d’uso finale dell’immobile).

Può convenirsi con il primo Giudice nel senso che “ l’attività da svolgersi a seguito dell’intervento finanziato [debba] essere coerente con la destinazione d’uso del bene ”.

Non può invece ritenersi che la normativa ministeriale (piuttosto che richiedere una generica compatibilità fra le caratteristiche oggettive dell’immobile e l’esercizio dell’attività che ivi è prevista) si spinga fino ad imporre che l’attuale classificazione catastale coincida – già al momento della domanda – con quella prevista nell’ambito del programma agevolato.

La necessità di tale coincidenza già al momento della presentazione della domanda non emerge dal senso letterale del richiamato articolo 1, comma 3.

Del resto, se la disposizione avesse inteso imporre ‘ tunc ed illic ’ la classificazione dell’immobile secondo la categoria catastale e la specifica destinazione d’uso propria del programma agevolato lo avrebbe stabilito in modo espresso e non avrebbe avuto ragione alcuna di utilizzare un parametro relazionale quale quello della rispondenza in ordine alla specifica attività da svolgere.

2.2.2. Dal punto di vista funzionale, poi, appare evidente che la richiamata nozione di “ rispondenza ” presenti un carattere teleologico ed ammetta le forme di utilizzo del bene le quali – pur necessitando specifici procedimenti di carattere accertativo – risultino lato sensu compatibili con la destinazione finale del bene (non si spiegherebbe altrimenti la scelta di riferire la nozione di “ rispondenza ” alle caratteristiche proprie dell’attività da svolgere).

In definitiva, la richiamata disposizione non si presta a una lettura di carattere – per così dire – ‘formale e meccanicistico’ ma postula una lettura di carattere funzionale, ispirata a una logica di carattere sostanzialistico.

Allo stesso modo la “ rispondenza ” agli specifici vincoli edilizi, urbanistici e di destinazione d’uso deve essere intesa in senso teleologico, sì da ammettere i benefìci nelle ipotesi in cui l’immobile interessato, pur non presentando all’attualità la specifica destinazione d’uso finale, non presenti alcuna caratteristica incompatibile con tale destinazione e con gli ulteriori vincoli di zona.

E il fatto che l’immobile all’origine dei fatti di causa presentasse il richiamato canone della “ rispondenza ” viene confermato dalla circostanza per cui, a seguito di presentazione di apposita D.I.A., per lo stesso sia stata richiesta e ottenuta una variazione di destinazione d’uso. In tal modo risulta confermato – anche attraverso un elemento di carattere controfattuale – l’originario possesso della rispondenza in relazione all’attività da svolgere (nonché l’altrettanto originaria compatibilità con i vincoli esistenti nell’area).

Tale circostanza (riferita al riconoscimento ex post del necessario requisito della “ rispondenza ”) risulta di per sé dirimente ai fini del decidere ed esime il Collegio dall’esame di motivi di ricorso con i quali si è contestata la scelta del primo Giudice di operare invece un’indagine – di carattere, per così dire. ‘retrospettivo’ – in ordine al contenuto del certificato di destinazione urbanistica dell’immobile in data 8 novembre 2010.

L’interpretazione sin qui descritta non solo appare maggiormente coerente con la logica funzionale e teleologica sottesa alla disciplina delle agevolazioni finanziarie del tipo di quella per cui è causa ma non presenta neppure il rischio di applicazioni distorsive e opportunistiche (ovvero quello di introdurre margini di incertezza per periodi non preventivabili circa il possesso o meno del requisito della ‘rispondenza’).

Ed infatti l’adesione a tale impostazione comporta che

- nel momento – per così dire – ‘genetico’ dell’ammissione al contributo sia sufficiente dimostrare il possesso dell’elastico e funzionale requisito della “ rispondenza ” mentre

- nel momento – per così dire – ‘funzionale’ della realizzazione del programma agevolato risulti invece necessario il possesso di tutti i titoli abilitativi (nonché la sussistenza della specifica destinazione d’uso) richiesti per la concreta realizzazione del programma agevolato.

2.2.3. Per ragioni connesse a quelle appena evidenziate non può poi ritenersi (contrariamente a quanto sostenuto dall’appellata Banca Ifis) che l’odierna appellante avesse disatteso gli impegni assunti in sede di presentazione della domanda di agevolazione (in tale occasione la stessa si era impegnata “ a provvedere affinché, entro la data di chiusura dei termini di presentazione delle domande, [l’]immobile sia rispondente, in relazione all’attività da svolgere, ai vigenti vincoli edilizi, urbanistici e destinazione d’uso, consapevole del fatto che, altrimenti, la presente domanda non sarà ritenuta valida ”).

Non può infatti ritenersi – per le ragioni in precedenza esposte – che tale dichiarazione risultasse inveritiera in relazione al più volte richiamato canone della “ rispondenza ”.

2.2.4. Deve essere accolto anche il motivo con il quale si è lamentato che il primo Giudice abbia erroneamente argomentato sulla previsione di cui all’articolo 23-ter del d.P.R. 380 del 2001 (articolo rubricato ‘ Mutamento d’uso urbanisticamente rilevante ’).

A tacere d’altro si osserva infatti che la disposizione in questione (introdotta nell’ambito del T.U. Edilizia soltanto nel corso del 2014 – e quindi in data successiva a quella di adozione del provvedimento impugnato in primo grado -) non potrebbe comunque costituire un valido parametro giuridico per l’inquadramento e la definizione della res controversa .

2.3. In conclusione, il primo motivo risulta fondato. Quindi, in riforma della sentenza appellata, deve essere accolto il ricorso di primo grado e conseguentemente deve essere annullato l’impugnato provvedimento di revoca impugnato in primo grado in quanto adottato sulla base di un’erronea interpretazione e applicazione del pertinente quadro normativo, nonché con travisamento delle pertinenti circostanze in fatto.

3. L’accoglimento del ricorso in appello per le ragioni dinanzi esposte sub 2 esime in via di principio il Collegio dall’esame puntuale degli ulteriori motivi di doglianza articolati nei confronti del provvedimento impugnato in primo grado.

In particolare, non risulta qui necessario esaminare il secondo motivo di appello con il quale la società appellante lamenta

- che il TAR abbia omesso di rilevare che l’impugnato provvedimento di revoca fosse stato adottato senza la previa verifica dei presupposti che giustificano l’atto di ritiro;

- che l’amministrazione avrebbe dovuto preventivamente verificare la sussistenza di tutti i presupposti – soggettivi e oggettivi – per il riconoscimento del beneficio;

- che le ipotesi di revoca del beneficio, una volta concesso, sono specifiche e tassative (e nessuna di esse ricorreva nel caso in esame);

- che l’amministrazione avrebbe irragionevolmente lasciato decorrere un termine di ben sei anni prima di contestare la (presunta) carenza di un requisito la cui sussistenza, al contrario, era immediatamente verificabile (sia in positivo che in negativo) sin dal momento della presentazione della domanda di agevolazione.

Ed infatti, ciascuno di tali motivi di doglianza (taluno dei quali coincidente con quelli articolati in relazione al primo motivo) rappresenterebbe, al più, un’ulteriore ragione di annullamento del provvedimento di ritiro del quale si è già accertata l’illegittimità all’esito dell’esame del primo motivo di appello.

4. Per ragioni analoghe non si fa luogo all’esame del terzo motivo di ricorso, con il quale la società appellante lamenta che, quand’anche il provvedimento di ritiro impugnato in primo grado fosse qualificabile come annullamento d’ufficio (e non quale revoca), lo stesso risulterebbe comunque illegittimo per carenza dei relativi presupposti legittimanti.

5. Occorre a questo punto esaminare i motivi con cui l’appellante ha riproposto la domanda risarcitoria già articolata in primo grado.

Va premesso al riguardo che l’appellante ha riferito la domanda risarcitoria alla sola “ amministrazione appellata ” (pag. 30 dell’appello) e che la stessa ha espressamente riconosciuto che il programma agevolato – almeno secondo la configurazione propria della domanda a suo tempo presentata – non potrebbe comunque essere realizzato, ragione per cui l’istanza risarcitoria viene limitata alla sola forma dell’equivalente pecuniario.

Tanto premesso, la domanda risarcitoria può trovare accoglimento con le precisazioni e nei limiti di seguiti indicati.

L’illegittimità degli atti e dei provvedimenti con cui il beneficio finanziario è stato revocato è stata esaminata retro , sub 2.

Appare adeguatamente provato in atti che la revoca del beneficio (oltretutto, a notevole distanza di tempo dall’ammissione allo stesso e all’esito di un procedimento ingiustificatamente lungo, se solo si consideri il carattere puntuale delle ragioni della revoca) abbia determinato in danno dell’appellante un pregiudizio, rappresentato dalla compromissione del programma agevolato (almeno, nella sua iniziale configurazione).

In definitiva, risulta adeguatamente dimostrata in atti la sussistenza dell’elemento oggettivo della fattispecie foriera di danno risarcibile.

Per quanto riguarda l’esame in ordine all’elemento soggettivo il Collegio ritiene di prestare adesione (non sussistendo ragioni per discostarsene) al consolidato orientamento secondo cui in materia di responsabilità della pubblica amministrazione, quanto all'onere probatorio, al privato danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo non è richiesto un particolare impegno probatorio per dimostrare la colpa dell'amministrazione, potendo egli limitarsi ad allegare l'illegittimità dell'atto e dovendosi fare applicazione, al fine della prova dell'elemento soggettivo, delle regole di comune esperienza e della presunzione semplice di cui all’articolo 2727 cod. civ.;
a questo punto spetta all'Amministrazione dimostrare, se del caso, di essere incorsa in un errore scusabile (sul punto – ex multis -: Cons. Stato, III, 22 marzo 2023, n. 2903).

Non avendo l’amministrazione fornito alcun elemento al fine di suffragare l’escusabilità dell’errore, deve dunque ritenersi provata anche la sussistenza dell’elemento soggettivo.

Per quanto riguarda la prova del danno effettivamente subito e la relativa quantificazione non può essere invece accolta la tesi dell’appellante secondo cui il danno andrebbe quantificato “ in misura pari alla somma del contributo in conto capitale e delle agevolazioni sugli interventi che la ricorrente avrebbe avuto titolo per conseguire in forza del provvedimento oggi annullato ” (l’appellante, anche sulla base di una perizia giurata, quantifica tale danno in complessivi euro 900.370,77).

Si osserva al riguardo:

- che non può essere accolta la tesi secondo cui il danno patito sarebbe pari all’intero importo del contributo in conto capitale non (più) erogato e delle agevolazioni sugli interessi del prestito agevolato mai concesso;

- che la stessa appellante riconosce che il programma agevolato è stato comunque realizzato (sia pure, secondo modalità oggettive e temporali diverse da quelle inizialmente previste), ragione per cui non può ritenersi che la mancata erogazione del beneficio abbia determinato la radicale impossibilità di realizzare il programma e di dedurne i conseguenti proventi economici;

- che, secondo la logica propria degli aiuti di Stato a finalità regionale (quali quelli di cui alla legge n. 488 del 1992, conformi alle previsioni di cui agli articoli 107 e 108 del TFUE), gli aiuti in questione dovrebbero in via di principio essere ammessi secondo il criterio dell’‘additività’ (nel senso che l’aiuto di Stato è ammesso solo a condizione e nei limiti in cui, in mancanza di esso, il programma agevolato non sarebbe possibile e l’iniziativa non sarebbe in radice realizzata). Nel caso in esame vie è però un elemento controfattuale che depone in senso opposto;

- che la tesi dell’appellante potrebbe essere in via di principio condivisa se fosse stata fornita la prova della radicale impossibilità di realizzare il programma agevolato in conseguenza dell’operato della P.A. Ma, anche in questo caso, il ristoro economico non potrebbe essere pari all’intero importo del finanziamento non erogato, dovendo piuttosto essere limitato ai profitti netti ritraibili dall’iniziativa non realizzata per fatto imputabile all’amministrazione;

- che, per quanto riguarda in particolare la mancata erogazione del prestito agevolato, l’appellante non ha provato di avere dovuto fare ricorso a un prestito alternativo di equivalente importo ma a condizioni meno vantaggiose. Difetta quindi l’allegazione del necessario tertium comparationis affinché sia possibile procedere a una adeguata quantificazione del lamentato danno.

In definitiva l’appellante (la quale ha plausibilmente provato di aver patito un danno ingiusto per effetto dell’operato dell’amministrazione appellata) non ha invece fornito elementi dirimenti per quantificare il danno nella richiesta misura di euro 900.370,77.

Si verte, quindi, in una delle ipotesi in cui è stata fornita adeguata prova in ordine alla sussistenza del danno ingiusto nella sua materialità ma lo stesso non può essere provato nel suo preciso ammontare, ragione per cui lo stesso può essere liquidato dal giudice con valutazione equitativa ai sensi dell’articolo 1226 cod. civ.

5.1. Ebbene, valutate tutte le circostanze del caso il danno patito dall’appellante può essere equitativamente quantificato nella misura di euro 200.000 (duecentomila), comprensivi di ogni accessorio di legge. Gli interessi sulla somma in tal modo liquidata decorrono dal giorno della pubblicazione della presente sentenza e sino all'effettivo soddisfo.

6. Per le ragioni esposte l’appello in epigrafe deve essere accolto e conseguentemente, in riforma della sentenza appellata, devono essere annullati gli atti impugnati in primo grado.

La domanda risarcitoria va accolta nei confronti del Ministero appellato nei sensi e nei limiti di cui al punto 5.1 della motivazione.

Sussistono giusti ed eccezionali motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese fra le parti, anche in ragione del diverso esito dei due gradi di giudizio.

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