Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2024-01-08, n. 202400277
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Testo completo
Pubblicato il 08/01/2024
N. 00277/2024REG.PROV.COLL.
N. 03719/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3719 del 2023, proposto da
Dream House Immobiliare s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato B A P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Commissario Ad Acta - Delegato del Prefetto di Bari - Dott. M F, non costituito in giudizio;
Comune di Gravina in Puglia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato L L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Vincenzo L, rappresentato e difeso dall'avvocato Antonello Stigliano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sezione Terza, n. 00271/2023, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Gravina in Puglia e di Vincenzo L;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 17 ottobre 2023 il Pres. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Annalisa Bice Pasqualone, L L e Antonello Stigliano;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.Con l’appello in esame, la società Dream House Immobiliare s.r.l. impugna la sentenza 7 febbraio 2023 n. 271, con la quale il TAR per la Puglia, sez. III di Bari, ha respinto il ricorso da essa società proposto, unitamente alla società S&D costruzioni edili s.r.l., nell’ambito del giudizio di ottemperanza alla sentenza del medesimo TAR n. 231/2015.
La presente controversia attiene alla realizzazione di lavori di demolizione e ricostruzione di un fabbricato ubicato nel centro storico di Gravina di Puglia, in zona A2 del piano particolareggiato, vicenda che ha dato luogo ad una pluralità e complessità di giudizi.
Il permesso di costruire n. 55/2006, a tal fine rilasciato al sig. Vincenzo L, veniva annullato in autotutela dall’amministrazione con ord. n. 183/2006 (in sostanza – come si legge nella sentenza impugnata – per “alterazione della rappresentazione grafica dello stato di fatto preesistente . . . alterazione decisiva ai fini del rilascio del medesimo permesso e che aveva consentito la realizzazione di una volumetria eccedente rispetto a quella assentibile”).
Faceva seguito l’adozione di ordinanza di sospensione lavori n. 128/2006.
Il ricorso proposto avverso tali due provvedimenti veniva rigettato dal TAR Puglia con sentenza n. 371/2008.
Proposto appello avverso tale decisione, in pendenza di giudizio il sig. L ed il Comune stipulavano un “accordo integrativo” ex artt. 10 e 11 l. n. 241/1990, che prevedeva il rilascio di un nuovo titolo edilizio da parte del Comune e la rinuncia del L all’appello proposto.
A tale accordo faceva seguito il rilascio del permesso di costruire n. 89/2010 e la definizione con decreto decisorio n. 73/2011 del giudizio di appello, stante la rinuncia al medesimo da parte dell’appellante.
Il nuovo permesso di costruire n. 89/2010 veniva impugnato dalla società S&D, proprietaria di immobile confinante, ed il TAR Puglia accoglieva il ricorso, evidenziando un difetto di motivazione dell’atto, con sentenza n. 231/2015.
La società S&D proponeva, dunque, ricorso per l’esecuzione della sentenza, il cui giudizio, dapprima sospeso in attesa della decisione del Consiglio di Stato sull’appello proposto avverso la predetta sentenza n. 231/2015 (poi intervenuta con rigetto dell’appello: sent. n. 2238/2020), proseguiva concludendosi con la pronuncia della sentenza n. 446/2021.
Tale sentenza – ormai consolidatasi la pronuncia di annullamento del permesso di costruire n. 89/2010 - accoglieva il ricorso per l’ottemperanza, ordinando al Comune di procedere all’esecuzione e nominando, per il caso di inottemperanza, il Prefetto di Bari, quale commissario ad acta.
Ques’ultimo – insediatosi a seguito dell’inottemperanza dell’amministrazione – vista la nota del sig. L e sulla base di una relazione tecnica degli uffici del Comune all’uopo disposta, con nota 17 agosto 2022 n. 0107347 comunicava che, non essendo possibile la demolizione, avrebbe valutato le altre opzioni offerte dalla sentenza da eseguire e, di seguito, con nota 27 settembre 2022 n. 0127002, incaricava il dirigente responsabile di procedere alla determinazione dell’importo della sanzione eventualmente irrogabile, ai sensi dell’art. 38, co. 1, DPR n. 380/2001.
2. Proposto reclamo avverso tali atti, la sentenza impugnata ha, in particolare, affermato:
- l’art. 38 DPR n. 380/2001 “prevede una precisa graduazione delle modalità di intervento in ipotesi di annullamento del permesso di costruire, in particolare le sanzioni repressive (restituzione in pristino o sanzione pecuniaria) vano irrogate solo ove non sia possibile la rimozione dei vizi che hanno condotto all’annullamento del permesso di costruire”;
- “la giurisprudenza amministrativa tende in generale a considerare la demolizione di opere realizzate sulla base di titolo annullato quale extrema ratio, privilegiando, ogni volta che ciò sia possibile, la riedizione del permesso di costruire emendato dei vizi riscontrati”;
- “ne discende che l’invocata demolizione, contrariamente a quanto dedotto dalla parte ricorrente, non può affatto considerarsi la naturale e unica conseguenza della sentenza n. 231/2015”;
- nel caso di specie, come asseverato dal tecnico di parte e confermato dal dirigente dell’ufficio tecnico comunale, vi è “l’impossibilità di demolire la porzione del fabbricato realizzata in eccedenza al P.d.C. senza compromettere la stabilità della restante parte dello stesso immobile”;
- inoltre, “l’annullamento del permesso di costruire n. 89/2010 “non è avvenuto per vizi sostanziali, bensì per vizi formali”, stante, in sostanza, il difetto di motivazione del provvedimento assunto in autotutela”;di modo che “la cd. fiscalizzazione ex art. 38 del DPR n. 380/2001 non si pone in contrasto con la richiamata sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato”.
3. Avverso tale decisione vengono proposti i seguenti motivi di appello:
a) error in procedendo et iudicando;violazione e falsa applicazione artt. 34, 36 e 38 DPR n. 380/2001;violazione dei principi espressi dall’A.P. n. 17/2020;motivazione carente e perplessa;contraddittorietà;errore di fatto e di diritto;omesso esame delle sentenze del TAR Bari nn. 371/2008 e 231/2015 e del Consiglio di Stato n. 2238/2020;violazione del principio di effettività della tutela (art. 1 c.p.a. e artt. 6 e 13 CEDU);ciò in quanto: a1) il difetto di motivazione, quale vizio dell’atto, non rientra tra i vizi formali emendabili, di modo che “non è legittimo, nel caso di intervenuto annullamento giurisdizionale per un vizio di motivazione, semplicemente sostituire una motivazione con un’altra, quasi si tratti di elementi estrinseci e aggiuntivi all’atto, fungibili o intercambiabili”;a2) in ogni caso, l’amministrazione comunale, dopo l’annullamento in autotutela del P.d.C. n. 55/2006 e l’annullamento giurisdizionale del P.d.C. n. 89/2010, non ha svolto alcuna istruttoria ed assunto determinazioni sulla possibilità di eliminare le accertate violazioni dell’art. 8 delle NTA, delle norme sulle distanze tra le costruzioni di cui al D.M. n. 1444/1968”;a3) “l’annullamento del P.d.C. n. 89/2010 non è avvenuto per vizi formali, bensì per vizi sostanziali costituiti dalla rappresentazione artefatta dello stato dei luoghi”;ed il “mendacio rappresenta un vizio sostanziale del P.d.C.;
b) error in procedendo et iudicando;violazione e falsa applicazione artt. 34, 36 e 38 DPR n. 380/2001, sotto diverso profilo;violazione dei principi espressi dall’A.P. n. 17/2020;motivazione carente e perplessa;contraddittorietà;errore di fatto e di diritto;omesso esame delle sentenze del TAR Bari nn. 371/2008 e 231/2015 e del Consiglio di Stato n. 2238/2020;omessa pronuncia;ciò in quanto: b1) la sentenza ha statuito sulla base di una relazione del tecnico del controinteressato “condivisa visivamente dal Comune di Gravina di Puglia”, sostenendosi “che l’immobile del L consti di una parte realizzata legittimamente (ma non è dato sapere da quale titolo edilizio) e di una parte illegittima”;b2) l’edificio, invece, “è stato realizzato in assenza di un legittimo titolo edilizio, perché annullato dal G.A., nella sua interezza e nella sua totalità. L’erronea conclusione cui è giunto il TAR Bari avrebbe potuto essere sostenuta solo se una parte dell’edificio fosse stata realizzata in base a un titolo diverso da quello annullato, ovvero se il titolo edilizio fosse stato annullato in una parte specifica”;b3) nel caso di vizi sostanziali dell’opera, l’accesso alla cd. fiscalizzazione “comporta una attenta, puntuale e motivata valutazione tecnica-costruttiva, che, nel caso di specie …. è consistita in un esame organolettico da parte del tecnico comunale”;b4) peraltro, l’abuso commesso non è sanabile, in quanto realizzato in zona paesaggisticamente vincolata, in difformità dal titolo abilitativo;
c) violazione dei principi espressi dalla A.P: n. 17/2020;omessa pronuncia;ciò in quanto deve essere esclusa l’applicazione della cd. fiscalizzazione poiché è intervenuta – come evidenziato dalla decisione dell’Adunanza Plenaria – la vanificazione della tutela del terzo che “all’esito di un costoso e defatigante giudizio, si troverebbe privato di qualsivoglia utilità, essendo la sanzione pecuniaria incamerata all’erario”.
4. Si è costituito in giudizio il Comune di Gravina di Puglia, che ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità dell’appello, non essendo state “formulate specifiche censure, così come richiesto espressamente dall’art. 101 c.p.c.” ed ha comunque concluso per il suo rigetto, stante l’infondatezza. In particolare, l’appellata amministrazione ha riproposto nel presente grado l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado, per essere stato lo stesso proposto oltre il termine decadenziale di cui all’art. 114 c.p.a.
Si è altresì costituito il sig. Vincenzo L, che ha eccepito:
- l’inammissibilità del reclamo per non avere la società Dream House “manifestato espressamente la qualità in forza della quale ha inteso agire”, posto che “il ricorso introduttivo del procedimento di ottemperanza è stato originariamente proposto dalla società S&D Costruzioni”;
- l’inammissibilità del ricorso per l’ottemperanza, stante il difetto di interesse in capo alla società Dream House, non essendo sufficiente a tal fine il solo criterio della “vicinitas”.
Il L ha concluso richiedendo, comunque, il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.
All’udienza di trattazione in camera di consiglio, la causa è stata riservata in decisione.
DIRITTO
5. L’appello è fondato e deve essere, pertanto, accolto, con conseguente riforma della sentenza impugnata.
6. Preliminarmente, il Collegio, in accoglimento dell’eccezione formulata in udienza dalla società Dream House, dichiara l’inutilizzabilità del contenuto della memoria di costituzione del sig. Vincenzo L, stante la tardività del suo deposito, ferma restando la piena validità della medesima quale mero atto di costituzione della parte in giudizio.
7.1. Il Collegio ritiene comunque utile precisare, anche al fine della verifica, ben possibile di ufficio, della sussistenza della legittimazione attiva in capo alla società appellante, quanto segue:
- il ricorso avverso il permesso di costruire 11 gennaio 2011 n. 89/2010, rilasciato in favore del sig. L, è stato proposto (r.g. n. 539/2011), dalla società S&D ed è stato accolto con sentenza n. 231/2015;
- il ricorso instaurativo del giudizio per l’esecuzione della sentenza n. 231/2015 innanzi al TAR Puglia, sede di Bari, è stato proposto dalla sola società S&D, all’epoca unica esistente (r.g. n. 1293/2016) e depositato in data 14 novembre 2016;
- nelle more, è intervenuta la costituzione della società Dream House Immobiliare s.r.l., per scissione dalla già citata società S&D con atto 20 febbraio 2017 per notaio Di Giesi (rep. 67856), alla quale sono stati attribuiti gli immobili che si assumono pregiudicati dall’attività edilizia del sig. L;
- la società Dream House si è dunque costituita nel giudizio per l’esecuzione r.g. n. 1293/2016;
- l’appello intanto proposto avverso la sentenza TAR Puglia n. 231/2015 dal sig. L (r.g. n. 4435/2015), è stato respinto dal Consiglio di Stato con sentenza sez. IV, 2 aprile 2020 n. 2238, pronunciata anche nei confronti della soc. Dream House, costituitasi in giudizio unitamente alla soc. S&D;
- il giudizio di ottemperanza è stato definito con sentenza del TAR Puglia, sede di Bari, sez. III, con sentenza 11 marzo 2021 n. 446, pronunciata anche nei confronti della soc. Dream House;
- in data 25 novembre 2021, la soc. Dream House ha notificato e depositato il reclamo contro taluni atti del Commissario ad acta, sul quale il TAR Puglia si è pronunciato con sentenza 7 febbraio 2023 n. 271 (oggetto del presente appello), nella cui intestazione compare non solo l’indicazione della reclamante Dream House, ma anche quello della società S&D.
Tanto precisato - e richiamato all’attenzione delle parti il principio di cooperazione processuale di cui all’art. 2, co. 2, c.p.a. - appare evidente la sussistenza della legittimazione attiva della società appellante, già costituita sia nel giudizio di appello avverso la sentenza n. 231/2015 del TAR Puglia, sia nel giudizio di ottemperanza, entro il quale si iscrive anche la fase di reclamo avverso gli atti del commissario ad acta.
E’ appena il caso di osservare che la indicazione della società S&D nell’epigrafe della sentenza n. 271/2023, oggetto di impugnazione nella presente sede, è spiegabile proprio per il fatto che il presente giudizio si iscrive, quale sostanziale incidente di esecuzione, nel (più ampio) giudizio di ottemperanza a suo tempo instaurato proprio dalla società S&D, e costituisce, dunque, un mero “residuo” telematico di quel giudizio.
7.2. Né il Collegio rileva una carenza di interesse ad agire in sede di ottemperanza (e più propriamente di reclamo proposto nell’ambito di tale giudizio) in capo alla società Dream House.
Fermi e già chiariti i rapporti tra questa e la società S&D, appare evidente che, in sede di ottemperanza, la parte vittoriosa nel giudizio di cognizione agisce a tutela della posizione giuridica ad essa riconosciuta dalla sentenza passata in giudicato (di qui l’actio iudicati esercitata), di modo che ogni questione relativa all’interesse ad agire (in particolare, con riferimento alla dedotta necessità di allegazione di un pregiudizio specifico che non si risolva nella mera constatazione della cd. “vicinitas”), attiene al preesistente (e già concluso) giudizio di cognizione e non può porsi (né riproporsi) con fondatezza nel giudizio di ottemperanza (in tal senso ulteriormente argomentando da quanto già affermato da questa Sezione con sentenza 6 novembre 2023 n. 9556).
I principi affermati dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato con sentenza 9 dicembre 2021 n. 22 (che espressamente si riferisce ai “casi di impugnazione di un titolo autorizzatorio edilizio”), a tutta evidenza concernono il giudizio di cognizione, dove “l’interesse al ricorso correlato allo specifico pregiudizio derivante dall’intervento previsto dal titolo autorizzatorio edilizio che si assume illegittimo può comunque ricavarsi dall’insieme delle allegazioni racchiuse nel ricorso”. Essi non possono, al contrario, applicarsi al giudizio di ottemperanza (ipotesi, peraltro, non contemplata dalla Adunanza Plenaria).
Ciò in quanto in tale giudizio sono a tutta evidenza diversi causa petendi e petitum: in sede di ottemperanza, come si è detto, oggetto del giudizio è la posizione giuridica definita dal giudicato per la cui attuazione si agisce (il che presuppone già affrontato e risolto – implicitamente o esplicitamente – l’aspetto della sussistenza delle condizioni dell’azione);nel giudizio impugnatorio, oggetto del giudizio è la legittimità del provvedimento autorizzatorio edilizio del quale si richiede l’annullamento, poiché da esso deriva lo “specifico pregiudizio”, al quale la decisione dell’Adunanza Plenaria ricollega la sussistenza dell’interesse ad agire, negando ogni sorta di “automatismo” collegato alla mera “vicinitas”.
La distinzione tra giudizio di cognizione e giudizio di ottemperanza nelle ipotesi qui astrattamente considerate, a maggior ragione deve essere ricordata nel presente giudizio, non essendo possibile far conseguire al sopravvenuto esercizio della funzione nomofilattica (e all’affermazione dei principi che si impongono al successivo jus dicere) una sorta di “riapertura” di valutazioni sulla sussistenza (o meno) delle condizioni dell’azione a giudizio di cognizione ormai definito.
7.3. L’eccezione di inammissibilità dell’appello per difetto di specifiche censure, in violazione dell’art. 101 c.p.a., deve essere respinta, posto che dal ricorso sono chiaramente intelligibili i motivi di doglianza proposti dall’appellante nei confronti della decisione impugnata. Né, d’altra parte, si rilevano carenze, incertezze e/o ambiguità tali da poter potenzialmente pregiudicare il diritto di difesa delle controparti evocate (peraltro pienamente esplicato – da parte dell’amministrazione appellata – mediante memoria di costituzione di 21 pagine).
7.4. Anche l’eccezione di irricevibilità per tardività del reclamo con riferimento ai termini di cui all’art. 114, co. 6, c.p.a., riproposta dal Comune di Gravina di Puglia - in disparte ogni valutazione sulla sua eventuale tardività (come eccepito dall’appellante nella propria memoria del 6 ottobre 2023) – è infondata, posto che, per pacifica giurisprudenza, incombe sulla parte che propone l’eccezione fornire prova della denunciata tardività.
Nel caso di specie, l’appellata amministrazione ha meramente posto in relazione le date di adozione degli atti impugnati e quella di notifica del reclamo (v. pag. 21 memoria del 19 luglio 2023), senza indicare, come invece necessario, la data di intervenuta piena conoscenza di tali atti da parte del reclamante, data costituente dies a quo per la decorrenza del termine decadenziale.
8. Tanto preliminarmente definito, ai fini della migliore delimitazione del thema decidendum, per come emergente dai motivi di appello, occorre esaminare talune questioni interpretative di carattere generale, che possono essere così individuate:
- in primo luogo, occorre verificare, sulla scorta delle premesse da cui muove la sentenza impugnata e quale indispensabile cornice logico-giuridica, l’ambito ed i presupposti di applicazione dell’art. 38 DPR n. 380/2001 e, in particolare, se – come affermato dalla sentenza impugnata – detta disposizione preveda (o meno) una “precisa graduazione delle modalità di intervento in ipotesi di annullamento del permesso di costruire”, di modo che “le sanzioni repressive (restituzione in pristino o sanzione pecuniaria) vanno irrogate solo ove non sia possibile la rimozione dei vizi che hanno condotto all’annullamento del permesso di costruire”, dovendosi invece considerare “la demolizione di opere realizzate sulla base di titolo annullato quale extrema ratio” (pagg. 11-12 sentenza impugnata);
- in secondo luogo, se, tra i “vizi formali” dell’atto annullato, sussistendo i quali è possibile la cd. fiscalizzazione (id est: applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria), possa essere o meno ricompreso il difetto di motivazione dell’atto (come ritiene la sentenza impugnata: pagg. 14 – 15);
- in terzo luogo, quale sia la “impossibilità” della restituzione in pristino che determina non già la demolizione delle opere abusive, ma l’applicazione di una sanzione pecuniaria.
8.1. L’art. 38 DPR n. 380/2001 prevede, per:
“1. In caso di annullamento del permesso di costruire, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall'agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest'ultima e l'amministrazione comunale. La valutazione dell'agenzia è notificata all'interessato dal dirigente o dal responsabile dell'ufficio e diviene definitiva decorsi i termini di impugnativa.
2. L'integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all'articolo 36.
2-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi edilizi di cui all'articolo 23, comma 01, in caso di accertamento dell'inesistenza dei presupposti per la formazione del titolo.”
La disposizione in esame è applicabile, per sua espressa indicazione, solo ai casi in cui l’intervento edilizio sia stato realizzato in forza di un titolo abilitativo all’uopo precedentemente richiesto da un soggetto che abbia confidato nella sua legittimità e che ne abbia successivamente subito l’annullamento (Cass. Pen., sez. III, 2 febbraio 2023 n. 11783).
La finalità perseguita dalla norma è, infatti, quella di tenere indenne il cittadino, che ha confidato nella legittimità del titolo rilasciatogli, dalle conseguenze dell’annullamento del provvedimento (intervenuto in sede giudiziale o in via di autotutela), e sempre che ricorrano – come di seguito precisato - le due ipotesi previste dal comma 1 del medesimo art. 38.
Come ha affermato l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sent. 7 settembre 2020 n. 17):
“Il pacifico effetto della disposizione in commento è quello di tutelare, al ricorrere di determinati presupposti e condizioni, l’affidamento ingeneratosi in capo al titolare del permesso di costruire circa la legittimità della progettata e compiuta edificazione conseguente al rilascio del titolo, equiparando il pagamento della sanzione pecuniaria al rilascio del permesso in sanatoria.
L’equiparazione è solo quoad effectum, costituendo un eccezionale temperamento al generale principio secondo il quale la costruzione abusiva deve essere sempre demolita;temperamento in ragione, non già della sostanziale conformità urbanistica (passata e presente) della stessa (oggetto del diversa fattispecie prevista dall’art. 36 cit.), ma della presenza di un permesso di costruire che ab origine ha giustificato l’edificazione e dato corpo all’affidamento del privato alla luce della generale presunzione di legittimità degli atti amministrativi.
La composizione degli opposti interessi in rilievo – tutela del legittimo affidamento da una parte, tutela del corretto assetto urbanistico ed edilizio dall’altra – è realizzato dal legislatore per il tramite di una “compensazione” monetaria di valore pari “al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite” (cd fiscalizzazione dell’abuso)”.
Proprio perché ciò che sorregge l’applicazione dell’art. 38 è la tutela del cd. “legittimo affidamento”, ne consegue che non possono rientrare nel campo di applicazione dell’art. 38 tutti i casi in cui l’affidamento incolpevole del cittadino non possa essere soggettivamente riscontrato (venendo dunque meno qualsivoglia esigenza della sua tutela), posto che il “legittimo affidamento” costituisce una situazione soggettiva del privato destinatario del provvedimento amministrativo, non già un dato oggettivo e formale del provvedimento, con la conseguenza di confondere, in tal modo, la cd. “presunzione di legittimità” dell’atto – e la produzione interinale di effetti che ne deriva - con lo stato psicologico del soggetto beneficiario.
Lo stato di “affidamento legittimo”, dunque, in quanto stato psicologico del soggetto beneficiario dell’atto, presuppone che questi non abbia tenuto comportamenti (commissivi o omissivi) affetti da dolo o colpa nel procedimento volto all’emanazione dell’atto illegittimo, tali da influire sul contenuto di questo, o, comunque, posti in violazione dei principi di collaborazione e di buona fede di cui all’art. 1, co.