Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2016-02-08, n. 201600473

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2016-02-08, n. 201600473
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201600473
Data del deposito : 8 febbraio 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 07226/2015 REG.RIC.

N. 00473/2016REG.PROV.COLL.

N. 07226/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7226 del 2015, proposto da:
A P, C P S, J C, rappresentati e difesi dagli avvocati G A, R C, con domicilio eletto presso G A in Roma, via Simeto, 12;

contro

Comune di Latina, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito;
Regione Lazio, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, rappresentata e difesa per legge dall'avv. E C, domiciliata presso la sede dell’Avvocatura dell’Ente in Roma, via Marcantonio Colonna, 27;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Lazio - Sez. staccata di Latina: Sezione I n. 00062/2015, resa tra le parti, concernente diniego permesso di costruire


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Lazio;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 gennaio 2016 il Cons. G C e udito per la Regione l’avv. Ricci in dichiarata sostituzione dell'avv. Caprio;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

In data 12 giugno 2012 i signori A P, C P S e J C, comproprietari di un lotto di terreno nel Comune di Latina, hanno presentato un’istanza volta a ottenere - ai sensi dell’art. 3 ter , comma 3, della legge della Regione Lazio 11 agosto 2009, n. 21 - c.d. “Piano casa” - il permesso di costruire per edificare un fabbricato a uso residenziale e commerciale nonché per alloggi a canone calmierato.

Con atto del 21 gennaio 2013 la Conferenza di servizi, promossa dal Comune con intervento della Regione, ha espresso parere di inammissibilità sul progetto presentato.

Gli interessati hanno dunque impugnato il verbale conclusivo dei lavori della Conferenza, assieme alla comunicazione di trasmissione (considerata di recepimento della decisione adottata) e ogni atto connesso, compresa la relazione istruttoria resa dal Comune alla Regione, deducendo la violazione della legge regionale nonché il difetto di istruttoria e di motivazione.

Dopo avere accolto la domanda cautelare, il T.A.R. per il Lazio - Latina, sez. I, respinta un’eccezione di inammissibilità, ha rigettato il ricorso con sentenza 21 gennaio 2015, n. 62. Il Tribunale regionale ha ritenuto che le disposizioni richiamate del Piano casa, nella parte in cui consentono il cambio di destinazione d’uso della superficie libera non residenziale “nelle “aree edificate libere”, non si applicherebbero a qualsiasi lotto libero con destinazione non residenziale, ma unicamente alle aree libere con destinazione non residenziale che siano soggette a strumenti urbanistici, comunque denominati, anche se decaduti, perché solo questa caratteristica consentirebbe un impatto armonico dell’edificio erigendo con il contesto territoriale. Nel caso di specie, per contro, le aree sarebbero destinate a standard e non attribuirebbero ai ricorrenti alcun diritto edificatorio.

I ricorrenti hanno interposto appello contro la sentenza, chiedendone anche la sospensione dell’efficacia esecutiva.

Nel merito, essi

1. osservano che il quadro normativo sarebbe stato ricostruito dal T.A.R. in termini non coerenti con la situazione di fatto, posto che - come avrebbe affermato lo stesso giudice in sede cautelare - la pianificazione corrente (piano particolareggiato) destinerebbe ampia parte dell’area interessata a “servizi generali” (realizzazione di interventi per attrezzature commerciali, amministrative, turistiche, ecc.), rendendola compatibile con l’esistenza potenziale di diritti edificatori;

2. sostengono che, in punto di fatto, da nessun documento risulterebbe la destinazione a standard dell’area. Sarebbe irrilevante l’intervenuta decadenza del piano particolareggiato, che non inciderebbe sulla natura delle attività consentite in quello specifico contesto.

La Regione Lazio si è costituita in giudizio per resistere all’appello, mentre è rimasto assente dal giudizio il Comune di Latina.

Con memoria del 4 settembre 2015 la Regione ricorda come il diniego fosse fondato non sull’art. 2, comma 2, lett. f) della legge regionale n. 21 del 2009 (come sostenuto nel ricorso introduttivo), ma sull’art. 3 ter, comma 3, della stessa legge. La Regione aderisce all’interpretazione della normativa fatta dalla sentenza impugnata (l’ammissibilità dell’intervento presupporrebbe l’edificabilità di aree libere), mentre in concreto il piano particolareggiato del Comune destinerebbe il lotto a servizi generali - edilizia scolastica, senza prevedere un indice di edificabilità per l’edilizia privata non residenziale e dunque escludendo l’applicabilità del citato art. 3 ter , comma 3. Inoltre, con nota n. 548366 del 14 dicembre 2012, il Comune avrebbe precisato che la destinazione attuale dell’area costituisce standard a norma del decreto ministeriale n. 1444 del 1968.

Alla camera di consiglio dell’8 settembre 2015, sull’accordo delle parti, la causa è stata rinviata al merito.

In seguito, gli appellanti hanno depositato documentazione urbanistica rilasciata dal Comune.

Con memoria dell’11 dicembre 2015, la Regione ha ribadito le proprie argomentazioni.

All’udienza pubblica del 19 gennaio 2016, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.

DIRITTO

In via preliminare, il Collegio osserva che la ricostruzione in fatto, come sopra riportata e ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, non è stata contestata dalle parti costituite. Di conseguenza, vigendo la preclusione posta dall’art. 64, comma 2, c.p.a., devono darsi per assodati i fatti oggetto di giudizio.

Gli odierni appellanti hanno chiesto al Comune di Latina il rilascio di un permesso di costruire sulla base dell’art. 3 ter, comma 3, della legge regionale n. 21 del 2009.

Il primo periodo di tale disposizione stabilisce:

“3. Nelle aree edificabili libere, in deroga alle previsioni degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi comunali, vigenti o adottati, con destinazione non residenziale nell’ambito dei piani e programmi attuativi di iniziativa pubblica o privata nonché di ogni atto deliberativo comunale avente efficacia di atto attuativo dello strumento urbanistico generale adottati alla data del 31 dicembre 2013, ancorché decaduti, con esclusione dei piani degli insediamenti produttivi, dei piani regolatori delle aree e dei nuclei di sviluppo industriale e dei piani industriali particolareggiati, è consentito il cambio della destinazione d’uso della superficie utile lorda non residenziale, prevista dal piano nella stessa area, per la realizzazione di immobili ad uso residenziale, fino ad un massimo di 10.000 metri quadrati di superficie utile lorda – SUL”.

La Regione (memorie del 4 settembre e dell’11 dicembre 2015) insiste che il diniego sarebbe fondato sulla disposizione ora citata e non - come vorrebbero gli originari ricorrenti - sull’art. 2, comma 2, lett. f), della medesima legge.

Nel testo vigente all’epoca dei fatti, l’art. 2, comma 2, stabilisce, per quanto qui interessa:

“2. Le disposizioni del presente capo non si applicano agli interventi di cui al comma 1” (interventi di ampliamento, di ristrutturazione, di nuova costruzione e di sostituzione edilizia con demolizione e ricostruzione degli edifici) “da effettuarsi su edifici realizzati abusivamente nonché:

f) su edifici situati nelle aree con destinazioni urbanistiche relative ad aspetti strategici ovvero al sistema della mobilità, delle infrastrutture e dei servizi pubblici generali nonché agli standard di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968 “.

L’affermazione non sembra trovare conforto negli atti di causa.

La relazione della Regione Lazio - area urbanistica e copianificazione comunale, indirizzata al Comune in data 20 dicembre 2012, e il verbale della Conferenza di servizi parrebbero espliciti nel riportare la valutazione di non ammissibilità del progetto presentato all’art. 2 e non all’art. 3 della legge regionale.

Già alla luce di questa diversità di impostazione la condotta complessiva di Comune e Regione può apparire perplessa.

Ma, in disparte tale rilievo (peraltro non specificamente dedotto dagli appellanti), appare fondato il primo motivo dell’appello.

Come appare dalla documentazione in atti, l’area controversa ricade nel quartiere R2, disciplinato dalla variante al P.P.E. del 1994, divenuta inefficace a partire dal 1994 per la parte in cui non ha avuto esecuzione. Secondo il certificato di destinazione urbanistica, il piano la destinava parte a “servizi generali”, parte a “edilizia scolastica”, parte a “viabilità”.

L’intervenuta decadenza del piano attuativo non priva però lo strumento urbanistico di rilievo ai fini della valutazione dell’ammissibilità dell’intervento perché - come osserva la circolare adottata con delibera della Giunta regionale 8 maggio 2012, n. 184, in ciò sostanzialmente seguita dal T.A.R. - la norma non intende avallare un’indiscriminata utilizzazione a fini residenziali di lotti liberi, ma presuppone che l’area sia già dotata di una disciplina di dettaglio, anche se per avventura decaduta, che abbia già valutato le esigenze connesse alla nuova costruzione, consentendole di inserirsi armonicamente nel contesto territoriale.

Ritiene il Collegio che le Amministrazioni non abbiano sufficientemente approfondito il punto del se la destinazione a “servizi generali” di una significativa porzione dell’area possa giustificare l’intervento progettato, come aveva ritenuto in un primo tempo, in sede cautelare, il Tribunale regionale, che però è andato in contrario avviso, ma senza adeguata motivazione, con la decisione impugnata.

L’appello è dunque fondato e va accolto, con annullamento della sentenza impugnata e, di conseguenza, accoglimento del ricorso di primo grado, salvi gli ulteriori provvedimenti delle Amministrazioni competenti.

Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a condurre a una conclusione di segno diverso.

La novità della questione principale giustifica la compensazione fra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.

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