Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2017-05-26, n. 201702505
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Testo completo
Pubblicato il 26/05/2017
N. 02505/2017REG.PROV.COLL.
N. 05240/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5240 del 2010, proposto dalla signora IN AN, rappresentata e difesa dagli avvocati Orazio Abbamonte e Giovanni Basile, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Orazio Abbamonte in Roma, via Terenzio, n. 7;
contro
Il Ministero per i beni e le attività culturali e la Soprintendenza per i beni archeologici di Napoli e Caserta, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;
il Comune di Pozzuoli, in persona del Sindaco pro tempore , non costituito in giudizio;
per la riforma della sentenza del T.A.R. per la Campania, Sede di Napoli, Sez. VI, n. 1909/2009, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero per i beni e le attività culturali e della Soprintendenza per i beni archeologici di Napoli e Caserta;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 maggio 2017 il pres. Luigi Maruotti e uditi per le parti l’avvocato Orazio Abbamonte e l’avvocato dello Stato Maria Vittoria Lumetti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con una istanza proposta ai sensi dell’art. 39 della legge n. 724 del 1994 e dell’art. 32 della legge n. 47 del 1985, l’appellante ha chiesto il condono edilizio di un edificio realizzato senza titolo su un’area (di proprietà prima dell’Opera nazionale combattenti e poi della Regione Campania), sita nel territorio del Comune di Pozzuoli.
Il Comune di Pozzuoli ha respinto l’istanza di condono, con l’atto n. 51996 del 28 dicembre 2004, emanato dopo l’acquisizione del parere negativo della Soprintendenza per i beni archeologici delle province di Napoli e Caserta n. 13195 del 30 maggio 2000.
2. Con il ricorso n. 1725 del 2005 (proposto al TAR per la Campania, Sede di Napoli), l’appellante ha impugnato il diniego di condono ed il presupposto parere negativo statale, chiedendone l’annullamento.
3. Con motivi aggiunti, ella ha impugnato anche:
- il decreto del Ministro della pubblica istruzione di data 24 settembre 1947, che ha imposto il vincolo indiretto di inedificabilità assoluta sul suolo in questione;
- l’atto n. 6570 del 3 marzo 2005, con cui la Soprintendenza ha respinto la richiesta di riesame del parere negativo di data 30 maggio 2000.
4. Con la sentenza impugnata, il TAR – nell’evidenziare che l’immobile è stato realizzato su una «tra le più antiche aree archeologiche d’Italia», «afferente alla Acropoli di Cuma» - ha respinto il ricorso principale e i motivi aggiunti ed ha condannato l’interessata al pagamento delle spese del giudizio in favore dell’Amministrazione statale, liquidate in euro 2.500.
5. Con l’appello in esame, l’interessata ha chiesto che, in riforma della sentenza del TAR, siano accolti il ricorso di primo grado ed i motivi aggiunti.
Si sono costituiti in giudizio il Ministero per i beni e le attività culturali e la Soprintendenza per i beni archeologici di Napoli e Caserta, i quali hanno chiesto che l’appello sia respinto.
All’udienza dell’11 maggio 2017, la causa è stata trattenuta per la decisione.
6. L’atto di appello:
- sino a p. 7, ha analiticamente ricostruito i fatti che hanno condotto al secondo grado del giudizio;
- da p. 7 a p. 32, contiene cinque articolate censure, con cui sono state riproposte le doglianze di primo grado, respinte dal TAR.
7. Col primo motivo, è dedotta la violazione dell’art. 7 e ss. della legge n. 241 del 1990, nonché la presenza di vizi nella sentenza appellata, ed è stato chiesto l’accoglimento della censura sulla mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, proposta col ricorso principale di primo grado.
Ad avviso dell’appellante, non rileva il fatto – rilevato dal TAR - che il provvedimento di diniego di condono sia stato emesso all’esito di un procedimento attivato ad istanza di parte, concluso con un provvedimento finale del Comune, emesso dopo l’emanazione del parere negativo della Soprintendenza.
8. Ritiene la Sezione che la censura così sintetizzata vada respinta.
Va condivisa la statuizione del TAR, secondo la quale l’interessata era a conoscenza del contenuto del parere ben prima di quando si è poi concluso il procedimento, col diniego comunale.
Infatti, come risulta da p. 6 della sentenza appellata, l’interessata aveva a suo tempo impugnato in sede giurisdizionale il parere negativo reso in data 8 giugno 2000 dalla Soprintendenza, con un ricorso che è stato poi deciso con una pronuncia che ne ha dichiarato la perenzione.
Risulta condivisibile anche la statuizione con cui il TAR ha evidenziato che – trattandosi di un procedimento unitario ad istanza di parte, le cui fasi sono state determinate dalla legge - non occorreva formalmente consentire la formulazione di osservazioni, dopo la proposizione della istanza.
Oltre che per tale ragione, già evidenziata dal TAR, l’infondatezza della formulata censura emerge anche dall’esame dello normativa vigente alle date di emanazione degli atti impugnati col ricorso principale.
Infatti, a tali date, nessuna disposizione di legge aveva previsto il dovere dell’Amministrazione di comunicare al richiedente, nei procedimenti ad istanza di parte, le ragioni ostative all’accoglimento della domanda, prima della formale emanazione di un provvedimento negativo.
Tale regola è stata innovativamente introdotta nel sistema con la legge n. 15 del 2005 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 42 del 21 febbraio 2005), che ha inserito nella legge n. 241 del 1990 l’art. 10 bis, che nella specie risulta dunque irrilevante, perché entrato in vigore l’8 marzo 2005, dopo le date di emanazione degli atti impugnati col ricorso principale.
9. Col secondo motivo, è lamentata la violazione dell’art. 29 della legge n. 47 del 1985, nonché la presenza di profili di eccesso di potere, per violazione del giusto procedimento e inadeguata valutazione degli interessi coinvolti.
L’appellante ha dedotto che il Comune di Pozzuoli – prima di concludere il procedimento sul condono – avrebbe dovuto valutare se dare applicazione al citato art. 29 e se porre in essere varianti agli strumenti urbanistici vigenti, volte al recupero degli insediamenti in tutto o in parte abusivi, dal momento che l’immobile in questione è stato realizzato in un contesto caratterizzato da un ‘generalizzato fenomeno d’edilizia abusiva’.
Vi sarebbe una contraddittorietà dell’azione amministrativa, poiché nel corso del tempo sono stati realizzati interventi di urbanizzazione della zona, con la realizzazione di un impianto fognario e di una scuola elementare.
L’appellante inoltre ha dedotto che il TAR avrebbe equivocato sul contenuto della censura di primo grado, poiché con essa non è stata dedotta la sussistenza dell’obbligo del Comune di attivare un procedimento di variante, ma è stato sostenuto che il Comune non poteva ignorare la dimensione che ha avuto nella zona il fenomeno dell’abusivismo.
10. La censura è infondata e va respinta, per le seguenti considerazioni.
10.1. In primo luogo, è decisivo considerare che:
- l’appellante ha presentato la domanda di condono edilizio in applicazione dell’art. 39 della legge n. 724 del 1994;
- il comma 1 del medesimo art. 39 (sulla « Definizione agevolata delle violazioni edilizie ») ha previsto l’applicabilità delle « disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni e integrazioni », ma non anche di quelle del capo III della medesima legge del 1985;
- l’art. 29 invocato dall’appellante risulta inserito nel capo III della legge n. 47 del 1985 e dunque non è stato reso applicabile dalla legge n. 724 del 1994.
Ne consegue che l’appellante ha censurato il mancato esercizio di poteri discrezionali non esistenti, perché non attribuiti dall’art. 39 della legge n. 724 del 1994 alla amministrazione comunale (in un quadro normativo nel quale in sede amministrativa – anche per le implicazioni di natura penale - le iniziative sulla sanatoria degli abusi edilizi possono esservi solo nei casi espressamente previsti