Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2018-05-29, n. 201803227

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2018-05-29, n. 201803227
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201803227
Data del deposito : 29 maggio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 29/05/2018

N. 03227/2018REG.PROV.COLL.

N. 06695/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello numero di registro generale 6695 del 2017, proposto da:
D B, rappresentato e difeso dagli avvocati G V, A S, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato G V in Roma, Lungotevere dei Mellini, n. 17;

contro

G G D C, rappresentato e difeso dall'avvocato B C, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato G Sca in Roma, via Arbia n. 15;
Comune di Rossano, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. CALABRIA -CATANZARO, Sezione I, n. 00881/2017, resa tra le parti, concernente il ricorso per l'annullamento degli atti con i quali il Comune di Rossano ha disposto l'alienazione in favore del sig. D B, odierno appellante, del reliquato di terreno di circa 250 mq di proprietà comunale, distinto in Catasto al foglio 63, p.lle 1942 e 1944 (già p.lla 1691), adiacente la proprietà di quest'ultimo.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di G G D C;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 marzo 2018 il Cons. Angela Rotondano e uditi per le parti gli avvocati Vitolo e Carratelli Laura su delega dell’avvocato Carratelli Benedetto;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con atto notarile di compravendita rep. n. 97921, stipulato il 17 maggio 2016 e trascritto in pari data, il Comune di Rossano vendeva al signor D B, titolare di un’attività commerciale adibita a ristorante-pizzeria nel predetto Comune, su sua richiesta e previa sdemanializzazione dell’area in oggetto, il reliquato di terreno di circa 250 mq di proprietà comunale, distinto in Catasto al foglio 63, p.lle 1942 e 1944 (già particella 1961), adiacente alla proprietà dell’acquirente, per la somma di € 9.540,00.

L’area oggetto di alienazione era condotta in locazione dal signor B sin dal 1991, in forza di contratto di affitto stipulato con l’Ente, avente durata decennale e da ultimo rinnovato con scrittura privata del 6 aprile 2011, e sulla stessa il conduttore aveva eseguito, a proprie spese e nel corso degli anni, alcune opere di riqualificazione (tra le quali il terrazzamento dell’area) tutte assentite.

Con ricorso proposto al Tribunale amministrativo regionale per la Calabria- Catanzaro e notificato il 14.4.2018, il signor Giancamillo G di Castelmenardo, proprietario di un terreno confinante con una delle particelle oggetto di vendita, impugnava gli atti con i quali il Comune di Rossano aveva disposto tale alienazione in favore del signor B, e in particolare: le deliberazioni n.13 del 25 marzo 2016 e n. 23 del 6 maggio 2016 (e i relativi pareri di regolarità tecnica e contabile), entrambe emesse dal Commissario Straordinario per la Provvisoria gestione del Comune di Rossano;
la determinazione dirigenziale n. 721 del 16 maggio 2016 recante autorizzazione a contrattare ai sensi dell’art.192 del D.lgs. 18 agosto 200, n. 267 e degli art. 11 e 53 del Codice dei Contratti Pubblici per l’alienazione in oggetto;
l’atto notarile di compravendita rep. n. 97921 del 17 maggio 2016;
l’art. 7 del Regolamento per l’alienazione dei beni immobili di proprietà del Comune di Rossano.

Il ricorrente deduceva l’illegittimità degli atti impugnati per violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 2, l. 15 maggio 1997, n. 127, in base al quale le procedure di alienazione dei beni immobili di Comuni e Province devono assicurare “criteri di trasparenza e adeguate forme di pubblicità per acquisire e valutare concorrenti proposte di acquisto” : il che non si sarebbe verificato, ad avviso del ricorrente, in quanto la norma regolamentare impugnata, in contrasto con la normativa primaria richiamata, consentiva l’alienazione degli immobili di proprietà comunale senza pubblicità, mediante la procedura negoziata e l’alienazione diretta.

Nel giudizio di primo grado non si costituivano né il Comune di Rossano né il signor B.

Con la sentenza segnata in epigrafe, il T.a.r. adito, previa declaratoria del difetto di giurisdizione per il contratto di compravendita a valle, ha accolto il ricorso, ritenendo fondato il terzo motivo e assorbite le altre doglianze, e ha per l’effetto annullato gli atti impugnati (delibere commissariali, determina dirigenziale e norma regolamentare).

Avverso tale sentenza ha proposto appello, previa adozione di misure cautelari, il signor B, chiedendone la riforma in quanto inficiata da plurimi errores in procedendo e in iudicando , in via preliminare per non aver rilevato d’ufficio ex art 35, comma 1, lett. a) Cod. proc. amm. la tardività del ricorso di primo grado e, nel merito, per violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 2, L. 127 del 1997 e del Regolamento per l’alienazione dei beni immobili del Comune di Rossano, per carenza ed erroneità della motivazione e per travisamento dei fatti.

Si è costituito nel giudizio il signor G di Castelmenardo, per resistere all’appello e ha depositato memorie chiedendo il rigetto dell’impugnazione proposta stante l’infondatezza delle censure formulate dall’appellante. L’appellato ha altresì riproposto, ai sensi dell’art. 101, comma 3, Cod. proc. amm., tutte le censure formulate nel ricorso di primo grado non esaminate dal TAR perché assorbite, deducendo la violazione dell’art. 12, comma 2, legge 127 del 1997 e degli articoli 7,8, 9, 10, 12,13, 15 del Regolamento per l’alienazione dei beni immobili di proprietà comunale, l’eccesso di potere per difetto di motivazione, la violazione dell’art. 192 del d.lgs. 267 del 2000 e il vizio di incompetenza.

All’udienza del 1 marzo 2018, previa discussione delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Deve essere preliminarmente esaminata l’eccezione sollevata in limine dalla difesa dell’odierno appellante di tardività del ricorso di primo grado.

L’appellante ha censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui non ha rilevato d’ufficio l’irricevibilità del ricorso per tardività, in quanto notificato soltanto il 14 aprile 2017, quindi oltre il termine decadenziale di sessanta giorni previsto dall’art. 29 Cod. proc. amm.: ciò in quanto le deliberazioni del Commissario Straordinario con le quali si è proceduto alla sdemanializzazione dell’area e alla successiva alienazione in favore dell’appellante sono state pubblicate nell’Albo pretorio del Comune fino al 20 aprile 2016 e al 28 maggio 2016 e il Regolamento comunale qui impugnato è stato approvato con la deliberazione consiliare n. 14 del 29.4.2015.

Ad ogni modo, anche a voler ritenere ininfluente la pubblicazione delle delibere o l’approvazione del Regolamento, non potrebbe, ad avviso dell’appellante, trascurarsi, come invece erroneamente avrebbe fatto il primo giudice, il dato dell’effettiva conoscenza del controverso atto di vendita in questione da parte del ricorrente in primo grado, desumibile dalla presentazione di un esposto denuncia di quest’ultimo in data 3.2.2017 in merito all’esecuzione di lavori sull’area acquistata.

L’eccezione è infondata.

Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa (si vedano anche i precedenti di questa Sezione: Cons. Stato, V, 16 aprile 2014, n.1863;
Cons. St., Sez. V, 13 luglio 2010, n. 4501) per l’impugnazione delle deliberazioni comunali occorre distinguere tra soggetti direttamente contemplati nell'atto ovvero immediatamente incisi dai suoi effetti, per i quali il termine decadenziale decorre dalla data di notifica o da quella dell’effettiva piena conoscenza, intesa come percezione dell’esistenza di un provvedimento amministrativo e dei profili che rendono evidente la lesività della sfera giuridica del potenziale ricorrente, e terzi, per i quali il termine dell’impugnativa decorre invece dalla data di pubblicazione nell’Albo pretorio.

Nella fattispecie oggetto di giudizio, non può ritenersi che l’odierno appellato, proprietario di un terreno confinante rispetto a quello oggetto di sdemanializzazione e di successiva alienazione, e quindi titolare di un interesse qualificato e differenziato, non sia stato direttamente leso dagli atti impugnati, suscettibili di produrre effetti negativi sulla sua proprietà in ragione della collocazione delle particelle alienate: l’area in questione si trova, infatti, a ridosso dello storico Palazzo Labonia, di proprietà dell’appellato e della sua famiglia, e costituirebbe, secondo l’assunto del signor G, spazio di isolamento tra quest’ultimo edificio (di cui costituirebbe pertinenza) e la villa comunale, essendo perciò escluso dalla destinazione ad uso pubblico e insistendo peraltro sulla medesima area (in particolare sulla particella 1944), sin da tempi antecedenti alla procedura di espropriazione, anche una scala esterna di accesso al primo piano del Palazzo.

Alla luce di tali circostanze puntualmente evidenziate nel ricorso di primo grado e ribadite nelle memorie depositate dall’appellato nel presente giudizio, non può revocarsi in dubbio che, ai fini della valutazione in ordine alla tempestività del ricorso e dell’individuazione del momento della decorrenza del termine decadenziale, assuma rilievo piuttosto il dato dell’effettiva e piena conoscenza degli atti impugnati nei loro aspetti lesivi per la sfera giuridica del ricorrente, che non può ritenersi affatto integrata, come sostenuto dall’appellante, dalla mera presentazione di un esposto denuncia in data 3.2.2017 da parte del signor G, posto che in tale atto quest’ultimo faceva riferimento esclusivamente allo svolgimento di lavori intrapresi sull’area confinante dal signor B presumibilmente in assenza di titoli abilitativi, segnalando l’invasione di terreni di proprietà del denunciante.

La piena ed effettiva conoscenza da parte dell’odierno appellato del provvedimento di sdemanializzazione e della contestata alienazione del bene di proprietà comunale posta in essere dall’Amministrazione può desumersi invero soltanto dall’istanza di revoca della compravendita formulata dal signor G e depositata al Comune in data 16 febbraio 2017.

Né aveva rilievo alcuno l’approvazione del Regolamento, atto generale privo di diretta ed immediata efficacia lesiva degli interessi del ricorrente, concretizzandosi la lesione della sua posizione giuridica soggettiva solo con i provvedimenti amministrativi che, in applicazione della disciplina regolamentare contestata, hanno autorizzato la sdemanializzazione e l’alienazione dell’area in questione.

L’odierno appellante non ha dunque fornito alcuna prova della piena conoscenza degli atti impugnati da parte del ricorrente in primo grado ai fini della decorrenza del termine decadenziale per la proposizione del ricorso.

Può dunque passarsi all’esame nel merito dell’appello proposto.

L’appellante assume l’erroneità della sentenza di primo grado lì dove ha ritenuto illegittimi sia il Regolamento per l’alienazione degli immobili comunali, in quanto in contrasto con la normativa primaria di settore, sia i provvedimenti amministrativi impugnati con cui è stata autorizzata la sdemanializzazione e l’alienazione dell’area, in quanto il giudice di prime cure non avrebbe fatto buon governo dei principi ricavabili dalla disciplina normativa in materia di atti negoziali dispositivi aventi ad oggetto beni immobili di proprietà degli Enti locali, di seguito richiamati.

L’art. 3 del R.D. 18 novembre 1923, n. 2240 (Nuove disposizioni sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato), stabilisce, in via generale, che “I contratti dai quali derivi un’entrata per lo Stato debbono essere preceduti da pubblici incanti, salvo che per particolari ragioni, delle quali dovrà farsi menzione nel decreto di approvazione del contratto, e limitatamente ai casi da determinare con regolamento, l’amministrazione non intenda far ricorso alla licitazione ovvero nei casi di necessità alla trattativa privata” ;
mentre l’ art. 6, comma 1 del medesimo R.D. prevede che “qualora, per speciali ed eccezionali circostanze, che dovranno risultare nel decreto di approvazione del contratto, non possano essere utilmente seguite le forme indicate negli artt. 3 e 4, il contratto potrà essere concluso a trattativa privata”.

L’ art. 37, comma 1, Regolamento di contabilità generale dello Stato (R.D. 23 maggio 1924, n. 827) stabilisce che “Tutti i contratti dai quali derivi entrata o spesa dello Stato debbono essere preceduti da pubblici incanti, eccetto i casi indicati da leggi speciali e quelli previsti nei successivi articoli ”. Inoltre, ai sensi dell'art. 4 del Regolamento da ultimo indicato “si procede alla stipulazione dei contratti a trattativa privata: 1) Quando gl'incanti e le licitazioni siano andate deserte o si abbiano fondate prove per ritenere che ove si sperimentassero andrebbero deserte (...).”

Pertanto, secondo l’appellante, alla luce delle norme richiamate, se è vero che, nell’ambito dei procedimenti finalizzati alla vendita dei beni pubblici, l’evidenza pubblica rappresenta un indispensabile presidio a tutela del corretto dispiegarsi della libertà di concorrenza, della trasparenza, dell'imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione, non pare tuttavia revocabile in dubbio che gli Enti territoriali possono comunque derogare a tale procedura, ricorrendo alla trattativa privata, “... in presenza di specifici presupposti da individuarsi ed esplicitarsi a monte della procedura, proprio per giustificare la deroga alle regole ordinarie dell'evidenza pubblica” (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 14.4.2008, n. 1600).

Ciò è quanto avvenuto, ad avviso nell’appellante, nella fattispecie in esame ove non sarebbe dato ravvisare gli addotti profili di illegittimità nell’operato del Comune alienante il quale si è limitato all’applicazione dell’art. 7 del Regolamento, norma che consente il ricorso alla procedura negoziata o alla vendita diretta con riguardi a “fondi interclusi, reliquati stradali sdemanializzati o, comunque, immobili per i quali è dimostrabile che non vi sarebbero pluralità di offerte, sempre che il prezzo non sia inferiore a quello di mercato” : senza contare che nel caso di specie la controversa compravendita è avvenuta a favore d soggetto anche titolare del diritto di prelazione ai sensi dell’art. 38 della l.392 del 1978 in quanto conduttore del terreno sin dal 1991, in virtù di regolare contratto di locazione con l’Ente;
sicché l’area in questione, oggetto di numerosi interventi di riqualificazione a spese dell’acquirente, avrebbe perso ogni destinazione ad uso pubblico, finendo per diventare parte essenziale e pertinenza dell’esercizio commerciale nella titolarità dell’appellante, mentre per altro verso non risponderebbe alla realtà dei fatti che l’area in discorso sia mai stata nella disponibilità dell’appellato o della sua famiglia, vista l’espropriazione disposta dal Comune di Rossano già nel 1969 nei confronti della famiglia Avati.

Di conseguenza l’adozione della procedura ad evidenza pubblica per l’alienazione del bene, in luogo del ricorso alla trattativa privata, non avrebbe arrecato alcuna concreta utilità all’interesse dell’Ente, ma soltanto un concreto pregiudizio patrimoniale all’appellante, anche in considerazione del fatto che il prezzo convenuto e pagato per l’acquisto è pienamente in linea con il valore di mercato del bene.

L’appello è infondato.

È oggetto di contestazione la conformità alla norma primaria della normativa regolamentare, in particolare dell’art. 7 del Regolamento del Comune di Rossano che, nel prevedere e consentire il ricorso alla procedura negoziata e all’alienazione diretta, non avrebbe contemplato in alcun modo strumenti per garantire le esigenze primarie di pubblicità e trasparenza della procedura allo scopo di acquisire e valutare concorrenti proposte di acquisto.

Tale rilievo è meritevole di condivisione.

In disparte ogni considerazione circa l’assenza di coincidenza tra “il piccolo reliquato di terreno” , descritto nel contratto di locazione invocato dall’odierno appellante come avente un’estensione pari a 80 mq, e l’area oggetto della sdemanializzazione e successiva alienazione (con l’indicazione nel contratto notarile di compravendita di un’ estensione pari a mq 265), nonché in relazione all’effettiva esecuzione di numerose e dispendiose opere di riqualificazione - circostanze entrambe contestate dalla parte appellata-la Sezione osserva come sia corretta e immune dalle censure formulate la statuizione della sentenza impugnata che ha ritenuto l’illegittimità della norma di cui all’art. 7 lett. b) e c) del Regolamento impugnato e dei provvedimenti amministrativi che ne hanno fatto applicazione, autorizzando la sdemanializzazione e la vendita di un bene immobile di proprietà comunale mediante procedura negoziata e diretta nella totale assenza di adeguate forme di pubblicità, idonei a garantire la tutela dell’interesse pubblico alla massima trasparenza e imparzialità nella scelta del contraente.

La correttezza di siffatta prospettazione appare, anzi, avvalorata dalle disposizioni richiamate dall’appellante a fondamento della legittimità del suo acquisto.

Infatti, l’art. 37, comma 1, Regolamento di contabilità generale dello Stato (R.D. 23 maggio 1924, n. 827) stabilisce che “ Tutti i contratti dai quali derivi entrata o spesa dello Stato debbono essere preceduti da pubblici incanti, eccetto i casi indicati da leggi speciali e quelli previsti nei successivi articoli” .

L’art.12 della legge 15 maggio 1997, n. 127 (Misure urgenti per lo snellimento dell'attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo), fatti salvi i principi generali desumibili dalle norme richiamate, prevede che: “(...) i Comuni e le Province possono procedere alle alienazioni del proprio patrimonio immobiliare anche in deroga alle norme di cui alla Legge 24 dicembre 1908 n.783 e successive modificazioni ed al regolamento approvato con RD 17 giugno 1909 n. 454 e successive modificazioni, nonché alle norme sulla contabilità generale degli enti locali, fermi restando i principi generali dell’ordinamento giuridico contabile. A tal fine sono assicurati criteri di trasparenza e adeguate forme di pubblicità per acquisire e valutare concorrenti proposte di acquisto, da definire con regolamento dell’ente interessato (...)”.

Pertanto, proprio nel caso della scelta della trattativa privata- caso ricorrente nella fattispecie in esame- i criteri di trasparenza e pubblicità dovevano costituire oggetto di espressa previsione regolamentare, che consentisse di derogare alla regola generale dell’evidenza pubblica, allo scopo di acquisire e valutare concorrenti proposte di acquisto, anche e soprattutto a tutela dei proprietari confinanti con i terreni oggetto di vendita, garantendone il confronto concorrenziale.

Nel caso di specie, invece, la norma di cui all’art. 7 lett. b) e c) del Regolamento, nel contemplare la possibilità di vendita mediante procedura negoziata e alienazione diretta, senza alcuna pubblicità, risulta irrimediabilmente inficiata da evidente illegittimità che attinge anche i provvedimenti amministrativi assunti dall’Amministrazione per la controversa alienazione.

Giova anche evidenziare che l’appellato, comproprietario di Palazzo Labonia, ha dedotto che il terreno compravenduto, confinante con la sua proprietà, faceva originariamente parte di un più ampio appezzamento di pertinenza di tale edificio, oggetto di procedura espropriativa da parte del Comune di Rossano nel 1969 e non asservito ad uso pubblico al fine di assicurare un minimo spazio di isolamento fra l’edificio privato e l’area pubblica, ad uso esclusivo della famiglia G che vi esercitava la servitù di passaggio: pertanto, non paiono neppure ravvisabili plausibili e verosimili ragioni per ritenere che i pubblici incanti sarebbero andati deserti (come richiede la norma), avendo l’appellato dimostrato l’esistenza di un suo concreto e attuale interesse all’acquisto del bene immobile comunale quale proprietario confinante.

Ad ogni modo i provvedimenti impugnati sono carenti di qualsivoglia motivazione sia in ordine alla presumibile assenza di pluralità di offerte per l’acquisto dell’area controversa sia in merito alla sussistenza dei presupposti che legittimavano il Comune all’adozione della procedura derogatoria all’evidenza pubblica, tale non potendo essere certamente considerata la mera detenzione del bene da parte dell’odierno appellato, circostanza peraltro contestata in ragione della mancanza di piena coincidenza tra il terreno locato e quello venduto, avente maggiore estensione.

A nulla rileva, poi, la pubblicazione delle delibere commissariali sull’Albo pretorio, trattandosi di adempimento relativo a provvedimenti che davano unicamente atto della sdemanializzazione e della vendita a favore del signor B e quindi privo di valenza alcuna al fine di consentire l’acquisizione di altre proposte di acquisto, sì da realizzare le finalità perseguite dalla normativa primaria di settore su indicata.

All’infondatezza delle censure formulate dall’appellante per le ragioni esposte, consegue il rigetto dell’impugnazione proposta, con conferma della sentenza di primo grado.

Restano assorbiti i restanti motivi comunque inidonei a fondare una pronunzia di tipo diverso.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

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