Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2018-01-22, n. 201800396
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Pubblicato il 22/01/2018
N. 00396/2018REG.PROV.COLL.
N. 08610/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8610 del 2010, proposto dalla Regione Abruzzo, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, pressoi cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
contro
La s.n.c. Laboratorio Analisi Chimico Cliniche e Microbiologiche Iulius, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'Avvocato M C L, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via E. Gianturco, n. 1;
nei confronti di
Il Commissario ad acta per la realizzazione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanità della Regione Abruzzo, l’Agenzia Sanitaria Regionale della Regione Abruzzo, l’A.s.l. Teramo, la s.r.l. Laboratorio Clini. Lab., il Ministero dell'Economia e delle Finanze ed Ministero della Salute, in persona dei rispettivi legali rappresentanti
pro tempore
, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, L’Aquila, n. 325/2010, resa tra le parti, concernente la determinazione dei tetti di spesa;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della s.n.c. Laboratorio Analisi Chimico Cliniche e Microbiologiche Iulius;
Viste le memorie difensive;
Vista la memoria del 20 ottobre 2017, con la quale parte ricorrente dichiara essere intervenuta la cessazione della materia del contendere per conclusione di una transazione;
Visti gli artt. 35, co. 1 lett. c), 38 e 85, co. 9, cod. proc. amm.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 novembre 2017 il Cons. Solveig Cogliani e uditi per le parti gli Avvocati Paolo Caruso su delega dell’Avvocato M C L e l'Avvocato dello Stato Attilio Barbieri;
I – Con il ricorso presentato in appello, la Regione Abruzzo chiede la riforma della sentenza n. 325/2010 resa inter partes in data 10 aprile 2010 dal Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo, notificata il 6 luglio 2010, con cui il giudice di prime cure accoglieva il ricorso di prima istanza presentato per l’annullamento del provvedimento recante le proposte di “definizione dei valori massimi di fatturato riconoscibile per struttura privata esercizio 2008” e la determinazione dei tetti di spesa aziendali relativo all’acquisto di prestazioni sanitarie da privato anno 2009;la deliberazione del Commissario ad acta 26 marzo 2009, n. 19, e la deliberazione in pari data n. 32, avente ad oggetto “le linee negoziali per la regolamentazione dei rapporti di specialistica ambulatoriale erogate dalla rete privata accreditata per l’ano 2008, definizione del budget complessivo 2008 e ripartizione dello stesso per singolo erogatore privato – integrazione deliberazione commissariale n. 19/2009”.
Deduce l’Amministrazione regionale, in via pregiudiziale, le eccezioni di inammissibilità del ricorso introduttivo, che sarebbero state erroneamente disattese dal Giudice di primo grado, basate sulla avvenuta sottoscrizione da parte della struttura sanitaria dell'accordo con l'Amministrazione regionale, essendosi, dunque, la stessa espressamente impegnata a non contestare gli atti amministrativi presupposti all'accordo medesimo, così operando a tutti gli effetti una forma di rinuncia (per acquiescenza).
Nel merito, l’appellante censura la sentenza gravata, poiché questa non avrebbe valutato che la fissazione dei limiti di spesa in materia sanitaria costituisce una valutazione amministrativa discrezionale, con la quale l'Amministrazione è tenuta ad effettuare un delicato contemperamento di interessi.
Si è costituito il Laboratorio appellato per resistere.
La richiesta di sospensione dell’esecutorietà della sentenza è stata respinta con l’ordinanza cautelare n. 5281 del 2010, anche in ragione dell’essersi formato in materia il giudicato sulla pronunzia di annullamento dei provvedimenti oggetto di contenzioso.
Il Laboratorio, in data 20 ottobre 2017, ha depositato un accordo transattivo intercorso tra la A.S.L. di Teramo ed il Laboratorio medesimo in data 29 luglio 2011 ed inerente il contenzioso ed il credito vantato dalla struttura negli anni 2005-2010, nonché i bonifici di pagamento effettuati in esecuzione del predetto accordo.
Sostiene l’appellata che l’accordo transattivo determinerebbe la cessazione della materia del contendere o comunque il sopravvenuto difetto di interesse ed, in ogni caso evidenzia che altre due pronunzie sui medesimi provvedimenti qui in contenzioso risultano coperte da giudicato.
All’udienza del 21 novembre 2017, a seguito del deposito di ulteriori memorie, la causa è stata trattenuta in decisione.
II – Osserva il Collegio, in via preliminare, che l’accordo transattivo depositato in atti è intercorso tra la A.S.L. di Teramo e l’originario ricorrente ed, effettivamente, ha ad oggetto i crediti vantati dall’istante anche per il periodo oggetto di causa.
Esso è intercorso senza la partecipazione della Regione che sicuramente risulta, nella controversia in esame, portatrice di un interesse giuridicamente qualificato nei confronti della sentenza emessa dal Tribunale di prime cure, che ha annullato la delibera con la quale il Commissario ad acta per la realizzazione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanità ha fissato, in generale e per singolo operatore, i tetti di spesa per l’anno 2008.
La sentenza impugnata ha determinato la soccombenza della Regione appellante, con effetti che si riverberano direttamente sul suo bilancio e che produce effetti sotto molteplici piani che la coinvolgono, sia nel rapporto con il Governo centrale, per il rispetto degli accordi presi per il piano di rientro dai disavanzi del settore sanità, sia con i propri abitanti per le prestazioni sanitarie che, in relazione alla determinazione dei tetti di spesa, possono ricevere dal servizio pubblico (in materia, ex multis , Consiglio Stato, sez. VI, 29 settembre 2010, n. 7197).
O, ai sensi dell’art. 1965 c.c., le parti con la transazione, attraverso reciproche concessioni, fanno cessare una lite giudiziaria già cominciata o la prevengono prima che nasca (sul punto, Cass., Sez. III, 21 settembre 2005, n. 18616;Cass., Sez. lav., 14 giugno 2006, n. 13717;Cass., Sez. III, 18 aprile 2006, n. 8946;Cass. civ., Sez. III, 6 aprile 2006, n. 8101;Cass. civ., Sez. I, 17 settembre 2004, n. 18737).
L’oggetto della transazione, peraltro, non è il rapporto o la situazione giuridica cui si riferisce la discorde valutazione delle parti, ma la res litigiosa cui questa ha dato origine o potrebbe dar luogo e che le parti stesse, volontariamente, intendono eliminare definitivamente attraverso concessioni reciproche, che possono consistere anche in una bilaterale e congrua riduzione delle opposte pretese, in modo da realizzare una regolamentazione degli interessi contrapposti sulla base di un quid medium tra le iniziali prospettazioni (Cass., Sez. lav., 3 settembre 2013, n. 20160).
Giova, dunque, ai fini della decisione in ordine alla permanenza dell’interesse alla pronunzia in appello, stante la particolarità della esposta situazione, esaminare i principi applicabili quando la cessazione della materia del contendere si verifichi in sede d'impugnazione ed abbia per oggetto diritti soggettivi.
O, la cessazione della materia di contendere comporta non l'inammissibilità dell'appello, dal momento che il soccombente conserva pienamente l’interesse a far rimuovere in sede di impugnazione la sentenza che ritenga ingiusta, bensì la rimozione della sentenza emessa nel precedente grado, perché priva di attualità: si ha, infatti, la sopravvenuta carenza d'interesse dell’originario ricorrente alla definizione del giudizio, postulando che siano accaduti nel corso del processo fatti tali da determinare il venir meno delle ragioni di contrasto, senza che neppure debba sussistere un espresso accordo delle parti anche sulla fondatezza (o infondatezza) delle rispettive posizioni originarie nel giudizio, perché, altrimenti, il rapporto controverso riceverebbe una regolamentazione nel merito espressamente favorevole ad una delle parti, con conseguente soccombenza dell'altra, e non vi sarebbero neppure i presupposti per procedere all'accertamento di una soccombenza "virtuale" ai fini della regolamentazione delle spese, che invece costituisce il naturale corollario di un tal genere di pronuncia, a meno che non siano le stesse parti a chiedere congiuntamene la compensazione delle spese (cfr. Corte Cass., Sez. I, 7 maggio 2009, n. 10553).
Ne deriva che il sopravvenire di un fatto nuovo, esterno al processo, diretto ad estinguere, modificare o sostituire l'originario rapporto controverso avente per oggetto un diritto soggettivo, e dunque a far venire meno l'oggetto stesso del giudizio, priva le parti dell'interesse ad ottenere una (ormai inutile) pronuncia determinativa della regola del rapporto giuridico sostanziale (cfr. Corte Cass., Sez. I, 13 settembre 2007, n. 19160;id., Sez. I, 7 dicembre 2004, n. 22972).
Ne deriva che si deve dichiarare la sopravvenuta carenza di interesse rispetto al ricorso di primo grado, con annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, non potendo riconoscersi la idoneità al passaggio in giudicato di una regolamentazione del rapporto controverso non più attuale, né voluta dalle parti (cfr. Corte Cass., Sez. 5, sentenza n. 19533 del 23 settembre 2011;id. Sez. 5, ordinanza n. 13109 del 25 luglio 2012).
III – Dalle osservazioni sin qui svolte, rilevato, peraltro, che l’annullamento dei provvedimenti gravati in primo grado non poteva che svolgere il proprio effetto limitatamente alla posizione del Laboratorio ricorrente (cfr. Cons. Stato Sez. III, sent., 1° agosto 2011, n. 4551), discende che essendo venuto meno l’interesse alla definizione della res litigiosa , deve essere dichiarato il sopravvenuto difetto di interesse del ricorso proposto in primo grado, e, per l’effetto, deve essere annullata la sentenza gravata.
La particolarità della vicenda processuale comporta la compensazione delle spese tra le parti per entrambi i gradi di giudizio.