Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-04-27, n. 202304243
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.
Segnala un errore nella sintesiTesto completo
Pubblicato il 27/04/2023
N. 04243/2023REG.PROV.COLL.
N. 09085/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9085 del 2018, proposto da Ericsson Telecomunicazioni S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato M D L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Ciampino, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato G G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
e con l'intervento di
ad opponendum:
Wind Tre Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato G S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Tommaso Gulli, 11;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 03207/2018, resa tra le parti, concernente della determinazione dirigenziale 9 aprile 2001, n. 77 Dir. 2011 ord. N. 118, prot. N. 11888 del 9.4.2001, fasc. n. 77/D notificata al Sig. Alessandro Innocenti il 29 maggio 2001, con cui il funzionario responsabile del servizio edilizia privata del Comune di Ciampino (Roma) ha deliberato di demolire entro 90 (novanta) giorni dalla notifica dell'ordinanza le opere eseguite dalla DAIAPI Srl e dal Sig. Alessandro Innocenti sulla copertura dell'immobile di proprietà della DAIAPI Srl in Ciampino (Roma), via Appia Nuova km 17,630 riportato nel nuovo catasto edilizio urbano del Comune di Ciampino al foglio 15, particelle 2DP, consistenti nella installazione di una stazione radio base per telefonia mobile cellulare (sistema GSM Wind), che sarebbe stata installata senza la prescritta concessione edilizia, nonché tutti gli atti preparatori, preordinati, presupposti e consequenziali, comunque connessi. Nonché per la condanna del Comune di Ciampino (Roma) in persona del Sindaco pro-tempore e del funzionario responsabile del procedimento al risarcimento dei danni subiti e subendi.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Ciampino;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza straordinaria del 22 marzo 2023 il Pres. M L
Udito l’avvocato M D L per parte appellante;
Viste altresì le conclusioni delle parte appellata Wind Tre s.p.a.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La sentenza impugnata ha respinto il ricorso proposto dall’odierna società appellante per l’annullamento del provvedimento n. 11888/2001, emesso dal Comune di Ciampino, di demolizione delle opere realizzate sull’immobile sito in Via Appia Nuova Km. 17,630 e costituite dalla installazione di una stazione radio base per telefonia mobile cellulare nonché per la condanna dell’amministrazione al risarcimento dei danni.
In particolare, il TAR prescindendo espressamente dall’esame dell’eccezione di difetto di legittimazione attiva della società ricorrente proposta dal Comune di Ciampino, accertava l’evidente infondatezza del ricorso in ragione del carattere pacifico e incontestato dell’installazione dell’antenna avvenuta in assenza di titolo abilitativo.
Il giudice di prime cure ha infatti ritenuto irrilevante il successivo annullamento giurisdizionale del diniego di autorizzazione alla installazione di cui al provvedimento del 12 giugno 2000, oggetto di autonomo giudizio conclusosi con sentenza Tar Lazio, Roma, Sez. II, dell’8.02.2018 n. 1537.
Del resto, precisa il TAR, l’illegittimità del diniego di autorizzazione non consentirebbe la realizzazione dell’antenna in assenza di titolo, sull’ulteriore assunto che neppure il riesame disposto in accoglimento dell’istanza cautelare avverso il diniego di autorizzazione (ordinanza cautelare n. 8062/2000) potrebbe comportare di per sé la sanatoria sull’avvenuta realizzazione dell’impianto.
La sentenza impugnata respingeva, dunque, il ricorso dichiarando altresì manifestamente infondata la censura di sviamento del potere, ritenuta generica e non supportata da elementi di fatto. Ne conseguiva, infine, il rigetto della domanda risarcitoria, compresa quella proposta in via subordinata, ritenuta assolutamente generica e contraddittoria, posta la legittimità del provvedimento demolitorio.
La parte appellante ripropone e sviluppa le censure disattese dal TAR mediante specifiche critiche alla decisione appellata.
Con il primo motivo di appello, “Error in iudicando. Eccesso di potere. Illegittimità derivata. Elusione di giudicato. Difetto di motivazione.” , richiamando quanto dedotto in punto di fatto, si evidenzia il passaggio in giudicato della sentenza del TAR Lazio, sez. II, n. 1537/2018 che ha definitivamente accertato l’illegittimità dei provvedimenti sui quali si fonda l’ordinanza oggetto del presente giudizio.
Peraltro, ad avviso di parte appellante, il suddetto annullamento giurisdizionale, in via retroattiva, farebbe riacquistare efficacia all’istanza prot. n. 10827 del 21 aprile 1998 presentata dall’odierna appellante per l’autorizzazione edilizia e riaprirebbe il procedimento amministrativo di rilascio della stessa autorizzazione, che, in assenza di ragioni ostative dovrebbe essere assentita.
Ne deriverebbe, pertanto, l’illegittimità e irragionevolezza dell’ordine demolitorio di un’opera al servizio dell’interesse pubblico, nelle more del rilascio del titolo autorizzatorio sul quale per effetto del giudicato l’amministrazione dovrebbe ancora pronunciarsi.
Con il secondo mezzo, “Error in iudicando. Eccesso di potere. Carenza di pubblico interesse. Sviamento di potere. Violazione e falsa applicazione del Principio di buona fede e affidamento del privato. Difetto di motivazione.” , si deduce come l’annullamento dei presupposti di fatto e diritto del provvedimento ivi impugnato, renda quest’ultimo del tutto privo di giustificazione e carente di motivazione.
Si afferma, in tal senso, che la p.a. sarebbe tenuta a manifestare espressamente la sussistenza di un interesse attuale e concreto alla demolizione soprattutto a fronte, osserva la difesa di parte appellante, di un’inerzia dell’autorità protratta per un notevole lasso di tempo e idonea ad ingenerare un legittimo affidamento.
Sul punto, si evidenzia come il Comune avrebbe più volte autorizzato interventi di aggiornamento e potenziamento del segnale, così legittimando implicitamente, secondo la prospettazione di parte, la medesima opera pubblica.
Sotto altro profilo, si lamenta la sproporzionalità della sanzione demolitoria sull’assunto dell’assenza di un concreto e attuale interesse pubblico contrario a quello della società ricorrente.
In via conclusiva, poi, l’appellante deduce che il procedimento di autorizzazione, da ritenersi non ancora concluso, dovrebbe ormai soggiacere all’art. 87, d.lgs. 259/2003, in forza del quale per le opere sub iudice non sarebbe richiesto espresso e/o previo permesso di costruire, in quanto sufficiente il silenzio assenso dell’amministrazione anche mediante comportamenti concludenti.
Con il terzo motivo di appello, “ Error in iudicando. Risarcimento del danno ”, è riproposta la domanda risarcitoria sulla quale si insiste anche in relazione al profilo del danno da ritardo.
In data 30.11.2018, Wind Tre S.p.a. ha proposto opposizione ai sensi degli artt. 108 e 109, c.p.a., chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato in primo grado (n.11888 del 9 aprile 2001), ovvero, in via gradata la declaratoria d’inefficacia dell’ordine di demolizione;nonché in via ulteriormente subordinata la rimessione del giudizio a diversa Sezione del TAR del Lazio, Roma, per la riedizione del processo asseritamente svoltosi in assenza di una parte necessaria del processo.
Nello specifico, la società opponente deduce preliminarmente di aver, in qualità di titolare di licenze ministeriali per la gestione ed erogazione di servizi di telefonia mobile, aggiudicato alla Ericsson Siemens Networks Italia S.p.A. una gara per la fornitura nell’area del centro Italia della rete di telecomunicazioni DCS 1800 e GSM 900.
In particolare, l’accordo quadro stipulato prevedeva la fornitura degli impianti onerando l’aggiudicataria dell’obbligo di ottenere le necessarie autorizzazioni amministrative per la realizzazione degli stessi. Il presente contenzioso ha ad oggetto, per l’appunto, un impianto realizzato a tal fine sull’immobile sito presso la Via Appia Nuova Km 17.630.
Wind Tre S.p.A. deduce di aver avuto conoscenza solo di recente del presente contenzioso inerente l’ordine di demolizione;nonché della sentenza del TAR Lazio n. 1537/2018 di accoglimento del diverso ricorso proposto da Ericsson avverso al diniego di autorizzazione.
Tutto ciò premesso, sull’assunto che la sentenza resa in primo grado, e ivi appellata, rechi grave pregiudizio ai propri interessi, propone atto di opposizione di terzo sulla scorta delle seguenti doglianze in diritto.
Innanzitutto, con motivo recante “ Ammissibilità dell’opposizione – omessa tutela di interesse legittimo qualificato e differenziato della società opponente – violazione del principio del contraddittorio ”, deduce la propria legittimazione a proporre opposizione ai sensi dell’art 108 c.p.a. in forza della titolarità “di una situazione giuridica soggettiva autonoma e incompatibile , rispetto a quella accertata nella sentenza oggetto di opposizione.
Lamenta, nello specifico, come dagli atti di causa potesse agevolmente desumersi il pregiudizio recato dal provvedimento impugnato all’impianto destinato al servizio di pubblica utilità della Rete Wind Tre, anche da parte del TAR che avrebbe dunque dovuto disporre l’integrazione del contraddittorio. Evidenzia, inoltre, come negli atti impugnati la società sarebbe stata indicata quale gestore destinatario dell’impianto;nonché la possibile configurabilità di un interesse qualificato e differenziato, al mantenimento dello specifico impianto sub iudice .
Precisa, poi, la competenza del Consiglio di Stato a conoscere dell’opposizione, per effetto della previsione di cui al comma secondo dell’art 109, c.p.a.
Con il secondo mezzo, “Error in iudicando -eccesso di potere- illegittimità derivata- difetto di motivazione”, censura l’erroneità della decisione di prime cure, argomentando come a seguito della sentenza Tar Lazio n. 1537/2018 sia stata accertata l’illegittimità dell’unica ragione ostativa al rilascio dell’autorizzazione richiesta, da ritersi, pertanto, attualmente assentita per silentium come previsto dalla normativa applicabile ratione temporis all’istanza (art.87, d.lgs. n. 259/2003).
Desume da tali circostante, come il provvedimento demolitorio ormai privo di ogni giustificazione in punto di fatto e di diritto si porrebbe altresì in contrasto con il titolo abilitativo formatosi con il decorso del relativo termine dall’annullamento giurisdizionale dell’originario diniego di autorizzazione. Sarebbe, pertanto, viziata la sentenza appellata nel presente giudizio per la parte in cui avrebbe omesso di prendere atto della sopravvenuta inefficacia della demolizione.
Si lamenta, peraltro, l’erroneità della medesima sentenza anche sotto ulteriori profili.
Wind evidenzia, infatti, la conformità urbanistica dell’impianto: sia al momento della presentazione dell’istanza di autorizzazione;sia rispetto alla normativa vigente al momento della pubblicazione della richiamata sentenza n. 1537/2018 che avrebbe fatto sorgere in capo alla p.a. l’obbligo di rideterminarsi, come, del resto, confermerebbe la mancata adozione di ulteriori provvedimenti negativi da parte dell’amministrazione.
Da ciò, deriverebbe l’illegittimità e l’irragionevolezza, anche per contrasto ai principi di economicità e buon andamento della p.a., dell’ordine demolitorio di un impianto che, benché realizzato senza titolo, potrebbe essere ricostruito considerata la suddetta conformità urbanistica. Da qui, la conseguente erroneità della decisione di prime cure.
Con il terzo motivo, “Error in iudicando -eccesso di potere- illegittimità derivata- violazione del principio del legittimo affidamento” , si deduce come il notevole lasso di tempo trascorso senza che la p.a. abbia portato ad esecuzione l’ordinanza di demolizione avrebbe determinato un legittimo affidamento in capo al privato nonché un obbligo motivazionale rafforzato in capo alla p.a., asseritamente gravata dell’individuazione di un interesse pubblico specifico, diverso e ulteriore, rispetto al mero ripristino della legalità violata.
Del resto, si ribadisce come, per effetto dell’annullamento giurisdizionale del diniego di autorizzazione, l’ordinanza di demolizione risulti priva di motivazione, potendosi perfino ipotizzare l’assenza totale di un interesse pubblico idoneo a fondare la suddetta sanzione soprattutto, si osserva, a fronte del contrapposto interesse alla fornitura del servizio pubblico di telefonia mobile.
Si insiste, dunque, sull’erroneità della sentenza appellata in ragione dell’illegittimità, “ sia pure sopravvenuta e derivata ”, del provvedimento impugnato.
In particolare, prosegue Wind, dopo l’annullamento giurisdizionale, sorto l’obbligo per la p.a. di rideterminarsi, il TAR avrebbe dovuto accertare l’inefficacia dell’ordinanza di demolizione dovendo comunque procedersi a un riesame dell’istanza di autorizzazione con la conseguente formazione di un nuovo provvedimento sia esso implicito o esplicito. Circostanze dalle quali si desume l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse del ricorso avente ad oggetto l’impugnazione dell’ordine demolitorio, che il TAR avrebbe invece omesso erroneamente di rilevare.
Con il quarto mezzo, “Violazione di legge – violazione dell’art. 2933 cod. civ. – violazione dell’art. 90 del codice delle comunicazioni – violazione dell’art. 7 della L. 21.7.2000 n. 205 – violazione del D.P.R. 19.9.97 n. 318 – eccesso di potere – illogicità- violazione del giusto procedimento – violazione dei principi di salvaguardia dell’economia nazionale”, si lamenta il danno che dalla demolizione dell’impianto deriverebbe sulla funzionalità del servizio, invocando il limite del pregiudizio all’economia nazionale di cui all’art. 2933 c.c.
Si valorizza, in particolare, la sussistenza di un interesse generale alla realizzazione e al mantenimento di infrastrutture per le telecomunicazioni, desumibile dal vigente quadro normativo di settore. Sul punto, poi, è richiamata altresì la nota del Ministero delle comunicazioni del 28.02.2003 sul riparto di competenze con le Regioni: spetterebbe alle prime l’adozione di sanzioni pecuniarie, mentre sarebbero di competenza del Ministero gli interventi di disattivazione o spostamento di impianti ovvero la sospensione di atti autorizzatori.
In via conclusiva, si osserva come al più l’unica sanzione applicabile alla fattispecie in esame fosse quella pecuniaria e non quella demolitoria, in quanto l’intervento realizzato sarebbe sottoposto a regime autorizzatorio piuttosto che al rilascio di permesso di costruire.
Il Comune di Ciampino si è costituito in giudizio, solo formalmente, concludendo per l’inammissibilità, improcedibilità e, comunque, per l’infondatezza in fatto ed in diritto dell’appello.
All’udienza del 22 marzo 2023, svoltasi da remoto, il ricorso è trattenuto in decisione.
In linea preliminare deve dichiararsi l’infondatezza della opposizione di terzo proposta dalla società Wind TRE S.p.A.
Tale soggetto, infatti, non subisce un pregiudizio diretto dalla sentenza impugnata, bensì dai provvedimenti del comune di Ciampino oggetto del giudizio di primo grado.
Pertanto, nella sua qualità di cointeressata, Wind TRE avrebbe dovuto far valere le proprie ragioni proponendo tempestivo ricorso avverso gli atti del Comune, anziché impugnando la sentenza di rigetto con opposizione di terzo.
L’appello di Ericsson è fondato.
La pronuncia impugnata si basa sulla circostanza che l’impianto per cui è causa è stato realizzato “senza titolo”.
Tale argomento, tuttavia, trascura il dato fondamentale secondo cui il diniego di autorizzazione alla costruzione dell’impianto è stato successivamente annullato con sentenza del TAR passata in giudicato.
Ora, è vero che l’annullamento del diniego di un provvedimento ampliativo non equivale affatto al rilascio del prescritto titolo. La sentenza di annullamento, infatti, comporta un effetto conformativo che obbliga l’amministrazione comunale a ripronunciarsi sull’istanza proposta dall’interessato, rispettando i limiti derivanti dalla pronuncia.
Tuttavia, è evidente che la situazione creatasi per effetto dell’annullamento del diniego crea un vincolo nei confronti dell’amministrazione, che non può assumere iniziative, quali la demolizione dell’opera, destinate a vanificare le conseguenze dell’annullamento.
Tale conclusione è certamente rafforzata dal rilievo, espresso dall’appellante, secondo cui il provvedimento di demolizione, intervenuto a distanza di tempo, è idoneo a ledere il legittimo affidamento dell’interessato.
Il provvedimento impugnato in primo grado va pertanto annullato.
È infondata la domanda di risarcimento del danno, poiché, a fronte dell’inesecuzione della demolizione, l’appellante non ha dimostrato di aver subito apprezzabili pregiudizi di carattere patrimoniale.
Le spese del doppio grado devono essere compensate, tenendo conto dei peculiari aspetti di novità del presente contenzioso.