Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-11-17, n. 202309875
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Testo completo
Pubblicato il 17/11/2023
N. 09875/2023REG.PROV.COLL.
N. 08839/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8839 del 2020, proposto da
L P e D C, rappresentati e difesi dall'avvocato L B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Rimini, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato A M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Alberico II, n. 33;
per la riforma
della sentenza del T per l’Emilia Romagna, Sezione Prima, n. 147/2020 resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Rimini;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 novembre 2023 il Cons. G P e uditi per le parti gli avvocati Maria Chiara Lista, per delega dell'avv. L B, e Gaia Stivali, in dichiarata delega dell'avvocato A M;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con ricorso del 2014, i signori L P e D C hanno chiesto al T per l’Emilia Romagna l’annullamento:
- dell'ordinanza ingiunzione di demolizione del 20/01/2014 del Comune di Rimini.
1.1 Con ricorso per motivi aggiunti hanno quindi chiesto anche l’annullamento:
- della determinazione del dirigente del Settore Sportello Unico per le Attività Produttive del Comune di Rimini del 17.6.2015 con la quale è stato disposto il diniego dell'istanza edilizia del 24.07.2014.
2. Così possono essere sintetizzate le premesse in fatto.
2.1 Con l’iniziale ricorso proposto avanti al T per l’Emilia Romagna, i coniugi L P e D C, proprietari del compendio immobiliare sito in Rimini, Via Francesco Sapori n. 30/B, adibito a laboratorio artigianale per la produzione di forni a legna e panificio, impugnavano l’ordinanza di demolizione del 20.01.2014 avente ad oggetto alcune opere difformi dai titoli edilizi precedentemente rilasciati.
2.1.1 Con l’ordinanza di demolizione del 20.01.2014 il Comune di Rimini ordinava la demolizione delle seguenti opere edilizie realizzate in assenza di titolo edilizio: « PIANO TERRA DEL FABBRICATO B LATO STRADA: 1) ampliamento del fabbricato di 13,40 x 5,03 = 67,40 h. 4,52,21 mt. realizzato con pannelli multistrato utilizzato come laboratorio artigianale;2) realizzazione di un manufatto di pannelli multistrato posto dal lato nord-ovest del fabbricato di mt. 5,60x4,47 = 25,03 mq h. 2,40 – 3,65 utilizzato come forno;3) portico realizzato con struttura metallica e copertura in pannelli multistrato di mq 27,80 posto come copertura del manufatto sopra descritto al punto 2;4) scala prefabbricata a chiocciola di collegamento tra il piano terra e il piano interrato. PIANO INTERRATO DEL FABBRICATO LATO STRADA: 5) copertura corsello di manovra in acciaio mq. 64;6) realizzazione di tramezzature interne ».
2.2 Successivamente gli odierni appellanti chiedevano, in applicazione della disciplina di cui all’art. 8 del d.p.r. n. 160/2010, l’attivazione del previsto procedimento ai fini dell’approvazione del progetto presentato in variante allo strumento urbanistico al fine di sanare le opere sanzionate con la suddetta ordinanza di demolizione.
2.2.1 Con nota del 25.05.2015 il Comune comunicava, ai sensi dell’art. 10- bis l. 241/90, i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza.
2.2.2 Con determinazione del 17.06.2015 veniva disposto il diniego dell’istanza proposta.
3. A sostegno del ricorso principale venivano formulati i seguenti motivi di ricorso:
I. Eccesso di potere per errato presupposto di fatto e di diritto – Difetto di istruttoria. I ricorrenti censuravano l’ordinanza di demolizione per aver ordinato la rimozione della scala a chiocciola già oggetto della D.I.A. prot. 60677 del 06.04.2004.
II. Violazione di legge per violazione ed errata applicazione dell’art 31 d.p.r. 380/01 e art 13 l.r. 23/2004. Difetto di motivazione. I ricorrenti sostenevano che le opere non costituissero una difformità totale rispetto al permesso di costruire, tale da giustificare l’applicazione del regime sanzionatorio di cui all’art 31 d.p.r. 380/01, trattandosi di strutture aventi natura pertinenziale o, al più, configuranti una difformità parziale.
4. A sostegno dei motivi aggiunti venivano formulate le seguenti censure:
I. Violazione ed errata applicazione dell’art 8 d.p.r. 160/2010. Eccesso di potere per falso presupposto di diritto: il procedimento di cui all’art 8 non sarebbe precluso dalle c.d. misure di salvaguardia.
II. Violazione di legge per violazione degli artt. 3 e 10- bis l. 241/90. il Comune non avrebbe preso in considerazione le controdeduzioni formulate in risposta alla comunicazione di cui all’art. 10- bis .
5. Il Comune di Rimini si costituiva nel giudizio di primo grado chiedendo il rigetto del ricorso.
6. Con sentenza n. 147/2020 il T per l’Emilia Romagna (prescindendo dall’esaminare l’eccezione di improcedibilità sollevata dal Comune), ha rigettato il ricorso principale e quello per motivi aggiunti.
6.1 Il primo giudice ha ritenuto infondato il ricorso principale affermando che:
- gli artt. 31 d.p.r. 380/2001 e 13 l.r. 23/2004 consentono di applicare la sanzione della demolizione a fronte, tra l’altro, di una nuova costruzione in assenza del permesso di costruire come è accaduto nel caso di specie come risulta addirittura dall’istanza di sanatoria che così qualifica le opere da regolarizzare;
- la valutazione dell’abuso da parte dell’Amministrazione deve essere complessiva, senza esaminare atomisticamente il frazionamento dei singoli interventi cosicché nel caso di specie le realizzazioni sanzionate configurano ampliamenti funzionali all’attività esercitata dai ricorrenti.
6.2 Il primo giudice ha ritenuto infondato il ricorso per motivi aggiunti affermando che:
- il procedimento di cui all’art. 8 d.p.r. 160/2010 non consente di approvare progetti in spregio all’applicazione delle misure di salvaguardia operanti in relazione alla strumentazione urbanistica adottata (PSC-RUE);
- la norma derogatoria consente di attivare il procedimento per giungere ad una variante urbanistica funzionale ad individuare aree destinate all'insediamento di impianti produttivi: laddove il procedimento abbia esito favorevole può giungersi all’approvazione di una variante urbanistica in virtù della quale gli interventi relativi al progetto approvato sono avviati e conclusi dal richiedente secondo le modalità previste dall’art. 15 del d.p.r. 380/2001;
- se, però, come nel caso in esame, è in corso la procedura per l’approvazione di nuovi strumenti urbanistici, la redazione di un piano con valenza generale su tutto il territorio non consente di attivare una procedura che comporterebbe una variante parziale al vecchio strumento urbanistico;
- peraltro laddove si rilevi un’insufficienza delle aree destinate ad attività produttive dovrebbe essere il nuovo strumento ad individuare le modalità concrete per giungere a soluzione del problema;
- vi è un orientamento giurisprudenziale consolidato per il quale non può procedersi alla variante in questione in presenza di opere edilizie realizzate abusivamente.
6.3 Quanto alla mancata puntuale replica del Comune alle osservazioni dei ricorrenti il primo giudice ha richiamato il pacifico orientamento giurisprudenziale secondo cui l'obbligo di motivazione a fronte delle osservazioni proposte a seguito del preavviso di rigetto non impone, ai fini della legittimità del definitivo diniego dell'istanza dell'interessato, la puntuale e analitica confutazione delle singole argomentazioni svolte dall'interessato, essendo sufficiente la motivazione complessivamente e logicamente resa a sostegno del provvedimento finale.
7. Avverso la sentenza del T per l’Emilia-Romagna n. 147/2020 hanno proposto appello i signori Pavesi e Cappello per i motivi che saranno più avanti esaminati.
8. Si è costituito in giudizio il Comune di Rimini chiedendo che l’appello venga dichiarato improcedibile, inammissibile ovvero infondato in fatto e in diritto.
9. All’udienza del 7 novembre 2023 l’appello è stato trattenuto per la decisione.
DIRITTO
1. L’appellante critica la sentenza impugnata sotto 3 profili.
1.1 Sotto un primo profilo l’appellante sostiene che:
- il T ha rigettato il ricorso principale affermando che il Comune, nell’assumere l’impugnata ordinanza di demolizione, aveva fatto corretta applicazione degli artt. 31 d.p.r. 380/2001 e 13 della l.r. 23/2004 trattandosi, nella specie, di opere di nuova costruzione prive del permesso di costruire;né poteva procedersi ad una valutazione separata dei singoli interventi dovendosi compiere una valutazione complessiva delle opere, siccome funzionali all’attività esercitata;
- le valutazioni compiute dal T non tengono nella dovuta considerazione la fattispecie in esame;
- la “scala prefabbricata a chiocciola”, come eccepito con il primo motivo di ricorso, non si configura quale opera abusiva, siccome legittimamente realizzata in esecuzione della D.I.A. del 06.04.2004;
- quanto alle ulteriori difformità edilizie le censure proposte attengono alla qualificazione giuridica operata con l’impugnato provvedimento;
- la questione non è, come sembra avere ritenuto il T, se tali opere siano o meno soggette a premesso di costruire, quanto se le stesse si configurano quale “difformità totale” avendo il Comune ritenuto di poter applicare, nella specie, la disciplina sanzionatoria (art. 31 d.p.r. 380/2001) prevista per tale categoria di abuso;
- deve escludersi che le opere in contestazione, avuto riguardo alle caratteristiche tipologiche, planovolumetriche e di utilizzazione, possano qualificarsi in termini di “totale difformità”;
- non possono qualificarsi tali le opere realizzate in soluzione interrata come sopra indicate (punti 5-6) non comportando, attesa la loro entità, una snaturalizzazione, per conformazione o struttura, dell’opera autorizzata, ma solo un adeguamento necessario ad una più funzionale utilizzazione del piano interrato;
- non viene mossa alcuna contestazione per quanto attiene l’utilizzazione del piano interrato (che resta inalterata): dal che si evince che tale porzione del fabbricato non ha mutato la sua conformazione o destinazione in virtù delle opere realizzate;
- per quanto attiene alle opere sopra indicate ai punti 2) e 3) e cioè il “forno per la cottura del pane” ed il portico a protezione dello stesso forno, si tratta di strutture accessorie e pertinenziali prive di quella “autonomia” (anche in termini di “utilizzabilità”) che solo potrebbe giustificare la misura sanzionatoria in esame;
- non appare pertinente il richiamo contenuto nell’impugnato provvedimento alla qualificazione degli interventi edilizi quali interventi di “nuova costruzione” secondo la catalogazione contenuta alle lettere g.1 e g.5 dell’Allegato alla l.r. 31/2002 (all’epoca vigente);
- non qualsiasi “nuova costruzione” si configura quale “totale difformità” dovendosi ritenere tale solo l’intervento che comporta la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello realizzato legittimamente;
- il percorso logico seguito dall’Amministrazione, e condiviso dal T, secondo cui trattandosi di opere riconducibili alla categoria degli interventi di “nuova costruzione” troverebbe, in ogni caso, applicazione il regime sanzionatorio disciplinato dalla normativa statale e regionale sopra richiamata è errato;
- la “totale difformità” si fonda su una diversa valutazione correlata alla omogeneità o meno del risultato complessivo rispetto a quello previsto nel titolo edilizio rilasciato;
- questo significa che non sono inquadrabili nella fattispecie disciplinata dalla normativa sanzionatoria in forza della quale è stata adottata l’impugnata ordinanza quegli interventi edilizi che, ancorché possono configurarsi quali “nuove costruzioni”, e che per la loro realizzazione necessitano di autonomo titolo edilizio, nondimeno non determinano quella diversità qualitativa e quantitativa dell’opera che giustifica il ricorso alla più grave delle misure sanzionatorie previste dall’ordinamento;
- nell’impugnato provvedimento non vengono minimamente indicate le ragioni per le quali le dette opere rivestirebbero le caratteristiche di “totale difformità”, limitandosi a riferire che tali interventi avrebbero necessitato del rilascio del permesso di costruire;
- non è questa l’indagine che andava condotta, dovendo l’Amministrazione compiere una diversa istruttoria al fine di valutare e fornire adeguata motivazione in ordine alla riconducibilità delle contestate opere abusive, anche complessivamente considerate, alla tipologia di cui agli artt. 31 d.p.r. 380/2001 e 23 l.r. 23/2004;
- sotto tale ulteriore profilo il provvedimento difetta di motivazione;
- analoghe censure vanno mosse anche avuto riguardo all’ “ampliamento” adibito a “laboratorio artigianale” indicato al punto 1);
- se è indiscutibile, infatti, che tale opera ha comportato un incremento di superficie e cubatura dell’edificio esistente, nondimeno vi era l’obbligo di compiere una adeguata istruttoria e fornire una congrua motivazione e di motivazione allo scopo di rendere palese alla proprietà a quale tipologia di abuso l’opera è riconducibile;
- l’avere semplicemente riferito che l’opera è soggetta al regime del permesso di costruire non soddisfa il detto obbligo di motivazione;
- tale censura è stata totalmente ignorata dal T che solo si è limitato ad affermare l’applicabilità alle opere in contestazione, complessivamente consistente, la disciplina sanzionatoria prevista dall’art. 31 del d.p.r. 380/2001 senza compiere alcuna valutazione critica della detta censura proposta sul difetto di qualificazione giuridica di tali opere e sul conseguente difetto di motivazione.
1.2 Sotto un secondo profilo l’appellante sostiene che:
- neppure merita condivisione l’appellata sentenza nella parte in cui ha rigettato il ricorso per motivi aggiunti;
- l’affermazione secondo la quale l’art. 8 del d.p.r. 160/2010 non consente di approvare progetti in variante allo strumento urbanistico qualora si sia in presenza di previsioni contenute nello strumento urbanistico adottato, e non ancora approvato, tali da porsi in contrasto con il proposto intervento edilizio, (cc.dd. misure di salvaguardia) è priva di giuridico fondamento;
- deve escludersi che la speciale disciplina prevista dal citato art. 8 del d.p.r. 160/2010 possa ritenersi preclusa dall’applicazione delle misure di salvaguardia (che, in ogni caso, avrebbero dovuto comportare una sospensione del procedimento e non il rigetto della domanda);
- la finalità di tali misure è quella di evitare che il nuovo assetto del territorio programmato dal Comune, ma non ancora approvato, possa essere compromesso da una edificazione realizzata nelle more e con essa contrastante (ancorché rispettosa delle prescrizioni dettate dallo strumento urbanistico ancora vigente);
- tale condizione non si verifica in presenza del procedimento semplificato di variante agli strumenti urbanistici previsto dal citato art. 8 e ciò in quanto l’assenso espresso dal Consiglio Comunale (e, in sede di conferenza, dalla Provincia) alla variazione dello strumento urbanistico (sia esso approvato che adottato) è condizione essenziale al rilascio del titolo edilizio;
- non si verifica, pertanto, alcuna condizione di contrasto con gli strumenti urbanistici in itinere e ciò proprio in ragione della concentrazione procedimentale disciplinata dalla richiamata normativa che consente di adeguare (variandoli) gli strumenti urbanistici – sia quelli vigenti e, a maggior ragione, quelli solo adottati – in modo tale da consentire l’approvazione dell’intervento;
- nella specie il compendio immobiliare oggetto del proposto intervento veniva disciplinato dal RUE adottato nell’ambito della categoria degli “Impianti produttivi isolati in ambito rurale” – art. 4.6.6. – prevedendosi la possibilità di ampliamenti da programmarsi in sede di POC.;
- il progetto proposto, da approvarsi in variante, rispetto al RUE adottato, comportava, pertanto, un modesto incremento della superficie dell’area già edificata, ove già erano presenti costruzioni facenti parte degli attuali impianti produttivi e, pertanto, lo strumento coinvolto era essenzialmente il RUE adottato che regolava le trasformazioni di tali impianti esistenti;
- se, a ciò si aggiunge che secondo quanto previsto dall’art. 30, comma 13, della l.r. n. 20/2000 (all’epoca vigente) era espressamente riconosciuta la possibilità di approvare progetti di ampliamento degli impianti produttivi esistenti in variante al POC, a maggior ragione sussistevano le condizioni per l’applicazione del procedimento della variante semplificata nella specie proposto in presenza di una previsione del RUE, quale quella richiamata, che prevedeva espressamente ampliamenti degli impianti produttivi esistenti;
- contrariamente a quanto affermato nella appellata sentenza deve escludersi che nella specie l’applicazione delle misure di salvaguardia potesse costituire impedimento all’esame del progetto presentato ai sensi dell’art. 8 d.p.r. n. 160/2010.
1.3 Sotto un terzo profilo l’appellante sostiene che:
- il T ha ritenuto infondata la ulteriore censura relativa alla violazione degli artt. 3 e 10- bis della l. 241/1990 per non avere l’Amministrazione dato risposta, nel provvedimento conclusivo, alle deduzioni svolte dai ricorrenti a seguito del ricevimento del preavviso di rigetto;
- il primo giudice ha richiamato il consolidato orientamento secondo il quale non è necessaria una puntuale e analitica confutazione delle singole argomentazioni svolte dall’interessato, “essendo sufficiente la motivazione complessivamente e logicamente resa a sostegno del provvedimento finale”;
- nella specie le valutazioni compiute nel provvedimento di rigetto appaiono del tutto estranee rispetto a quanto prospettato dai ricorrenti nelle proprie deduzioni mentre l’affermazione contenuta nel medesimo provvedimento secondo la quale “nulla è emerso che possa confutare gli elementi ostativi all’applicazione del procedimento di cui all’art. 8 del d.p.r. 160/2010”, si risolve in una formula di mero stile, priva del benché minimo contenuto motivazionale.
2. La difesa del Comune ha preliminarmente eccepito l’improcedibilità e l’inammissibilità dell’appello sostenendo che:
- come già ampiamente argomentato e dedotto in primo grado, nel caso di specie, il Comune di Rimini ha emanato una nuova ordinanza ingiunzione di demolizione di opere abusive ex art. 31 d.p.r. 380/2001 e 13 l.r. 23/04, prot. n. 41326 del 23 febbraio 2017 (doc.18 fascicolo di primo grado del Comune) che non è mai stata impugnata dai signori Pavesi e Cappiello ed inoltre, a seguito del diniego prot. n. 213180 del 29 agosto 2017, ha accertato l’inottemperanza del provvedimento repressivo (verbale tecnico prot.n. 76690 del 16 marzo 2018 - doc. 16 fascicolo di primo grado del Comune) dando corso alle procedure di esecuzione coattiva (prot. n. 145114 del 22 maggio 2018 – doc. 14 fascicolo di primo grado del Comune e prot. n. 160420 del 6 giugno 2018 – doc. 15 fascicolo di primo grado del Comune) ed irrogando, nei confronti degli odierni ricorrenti, la sanzione pecuniaria prevista ex art. 31, comma 4-bis d.p.r. 380/01 (prot. n. 84068 del 22 marzo 2018 – doc. 13 fascicolo di primo grado del Comune);
- nessuno di tali atti è mai stato oggetto di contestazione dagli odierni appellanti;
- pertanto, i provvedimenti impugnati in primo grado sono stati sostituiti da atti successivi divenuti definitivi perché mai impugnati dai privati, con conseguente improcedibilità dell’odierno giudizio.
2.1 L’eccezione è fondata.
Relativamente ai rapporti fra ordinanza di demolizione e successiva istanza di sanatoria, la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha avuto modo di chiarire che la presentazione di una istanza di sanatoria ex art. 36 d.p.r. 380/2011 non rende inefficace il provvedimento sanzionatorio pregresso ma determina una mera sospensione dell'efficacia dell'ordine di demolizione con la conseguenza che, in caso di rigetto dell'istanza di sanatoria, l'ordine di demolizione riacquista la sua efficacia (cfr., ex multis , Cons. Stato, Sez. VI, 27 settembre 2022, n. 8320). Infatti, per i principi di legalità e di tipicità del provvedimento amministrativo e dei suoi effetti, soltanto nei casi previsti dalla legge una successiva iniziativa procedimentale del destinatario dell'atto può essere idonea a determinare ipso iure la cessazione della sua efficacia. Diversamente da quanto previsto in materia di condono, nel caso di istanza di accertamento di conformità non vi è alcuna regola che determini la cessazione dell'efficacia dell'ordine di demolizione i cui effetti sono, quindi, meramente sospesi fino alla definizione del procedimento ex art. 36 d.p.r. n. 380/2001 (Cons. Stato, Sez. VI, 25 ottobre 2022, n. 9070). Dunque la presentazione di una istanza di accertamento di conformità ex art. 36 d.p.r. n. 380 del 2001, non rende inefficace il provvedimento sanzionatorio pregresso;non vi è pertanto alcuna automatica necessità per l'Amministrazione di adottare, se del caso, un nuovo provvedimento di demolizione. Essa determina soltanto un arresto dell'efficacia dell'ordine di demolizione, che opera in termini di mera sospensione dello stesso. In caso di rigetto dell'istanza, che peraltro sopravviene in caso di inerzia del Comune dopo soli 60 giorni, l'ordine di demolizione riacquista la sua piena efficacia (cfr. ancora, Cons. Stato, sez. VI, 28 settembre 2020, n. 5669). La giustificazione di questo orientamento sta nell'evitare che l'ente locale, in caso di rigetto dell'istanza di sanatoria, sia tenuto ad adottare un nuovo provvedimento di demolizione delle opere abusive, altrimenti finendosi per riconoscere in capo al privato, destinatario del provvedimento sanzionatorio, il potere di paralizzare, attraverso un sostanziale suo annullamento, quel medesimo provvedimento (Cons. Stato, Sez. VI, 5 novembre 2018, n. 6233).
In linea di principio, dunque, la presentazione di un’istanza di accertamento di conformità non priva di efficacia il precedente ordine di demolizione, né impone al Comune di adottare un nuovo provvedimento sanzionatorio a seguito della definizione dell’istanza.
2.1.1 Ciò nondimeno, qualora il Comune decida di adottare un nuovo atto demolitorio, alla luce dell’istruttoria compiuta in sede di accertamento di conformità, questo si sostituisce al precedente, rendendo il ricorso originario improcedibile. Ogni nuovo provvedimento innovativo e dotato di autonoma efficacia lesiva della sfera giuridica del suo destinatario, anche di conferma propria (che si ha quando la Pubblica Amministrazione, sulla scorta di una rinnovata istruttoria e sulla base di una nuova motivazione, dimostri di voler confermare la volizione espressa in un precedente provvedimento) ed anche se frutto di un riesame non spontaneo, ma indotto da un provvedimento del giudice amministrativo, che tuttavia rifletta nuove valutazioni dell'Amministrazione e implichi il definitivo superamento di quelle poste a base di un provvedimento impugnato giurisdizionalmente, comporta sopravvenienza di carenza di interesse del ricorrente alla coltivazione del relativo gravame, non potendo esso conseguire alcuna utilità da un eventuale esito favorevole dello stesso (ex multis , Cons. Stato sez. II, 16/06/2023, n. 5955). Secondo Cons. Stato, sez. III, 02/09/2013, n. 4358 qualora l'Amministrazione, sulla scorta di una rinnovata istruttoria e sulla base di una aggiornata motivazione, dimostri di voler confermare la volizione espressa in un precedente atto, il successivo provvedimento si qualifica come atto del tutto nuovo, sia pure con effetto confermativo, e non meramente confermativo;di conseguenza deve essere dichiarato improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, il ricorso diretto avverso il provvedimento che, in pendenza del giudizio, sia stato sostituito dal provvedimento di conferma, innovativo e dotato di autonoma efficacia lesiva della sfera giuridica del suo destinatario e, come tale, idoneo a rendere priva di ogni utilità la pronuncia sul ricorso proposto avverso il precedente provvedimento.
2.1.2 Anche relativamente al diniego di sanatoria deve prendersi atto della successiva istanza presentata dagli appellanti e respinta dal Comune, con provvedimento mai impugnato in sede giurisdizionale e dunque divenuto definitivo.
2.1.3 Peraltro, nel caso di specie il Comune non si è limitato ad adottare nuovi provvedimenti sostitutivi di quelli impugnati in questa sede, ma ha proceduto accertando l’inottemperanza all’ordinanza di demolizione prot. n. 41326 del 23.02.2017 e dando corso alle procedure di esecuzione coattiva della stessa.
Ne deriva il venir meno dell’interesse alla coltivazione del presente giudizio, posto che gli appellanti non potrebbero ricevere alcun vantaggio dall’accoglimento dell’appello, alla luce dell’esecuzione coattiva dell’ordine di demolizione delle opere come conseguenza dell’inottemperanza all’ordine di demolizione del 2017 mai impugnato.
Tale interesse alla decisione non permane neanche ai fini risarcitori, posto che gli appellanti non hanno dichiarato di avere interesse all’accertamento dell’illegittimità dell’atto ai sensi dell’art 34 co. 3 c.p.a. (cfr. Cons. Stato, ad. plen., 13/07/2022, n. 8: « L'accertamento dell'illegittimità dell'atto ai sensi dell'art. 34, comma 3, c.p.a. richiede la sola dichiarazione della parte di avervi interesse a fini risarcitori mentre non è necessario specificare gli elementi costitutivi della domanda risarcitoria né è necessario proporla nello stesso giudizio di impugnazione, fermo restando che la dichiarazione deve essere resa nelle forme e nei termini previsti dall'art. 73 c.p.a., a garanzia del contraddittorio nei confronti delle altre parti »).
3. In ogni caso l’appello è infondato nel merito.
4. Infondato è il primo profilo di appello con il quale, come si è già esposto, si censura la sentenza di primo grado nella parte in cui ha respinto il ricorso principale.
4.1 Occorre preliminarmente ricordare che al fine di valutare l'incidenza sull'assetto del territorio di un intervento edilizio, consistente in una pluralità di opere, va compiuto un apprezzamento globale, atteso che la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprenderne in modo adeguato l'impatto effettivo complessivo;ne consegue che i molteplici interventi eseguiti non vanno considerati in maniera frazionata (Cons. Stato, sez. IV, 14/04/2023, n. 3800).
4.2 La giurisprudenza ha chiarito che per opere eseguite in difformità totale dal permesso di costruire devono intendersi interventi volti a realizzare un'opera diversa da quella prevista dal titolo edilizio per conformazione, strutturazione, destinazione o ubicazione (Cons. Stato, sez. VI, 06/09/2021, n.6218: « Il concetto di parziale difformità, in materia edilizia, presuppone che un determinato intervento costruttivo, pur se contemplato dal titolo autorizzatorio rilasciato dall'autorità amministrativa, venga realizzato secondo modalità diverse da quelle previste e autorizzate a livello progettuale, quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell'opera;mentre si è in presenza di difformità totale del manufatto o di variazioni essenziali, sanzionabili con la demolizione, quando i lavori riguardino un'opera diversa da quella prevista dall'atto di concessione per conformazione, strutturazione, destinazione, ubicazione: nella specie, il Consiglio di Stato ha confermato la legittimità dell'ordinanza di demolizione di due vani abusivi, non compresi nella domanda di condono, consistenti in un manufatto della superficie lorda di mq 41,00 e di volume 137,28, nonché in un seminterrato ad uso deposito di mq 45,58 e del volume di mc 86, con ripristino dello stato dei luoghi »).
L’ampiamento dell’originario manufatto di 67 mq, unitamente alla realizzazione di un manufatto di 25,03 mq e di un portico di mq 27,80, configurano senz’altro una difformità totale dal permesso di costruire idonea a giustificare l’applicazione del regime sanzionatorio di cui all’art 31 d.p.r. 380/01.
Deve inoltre negarsi la natura pertinenziale delle opere realizzate ai punti n. 2 e 3 dell’ordine di demolizione. La giurisprudenza di questo Consiglio ha più volte ribadito che la natura di pertinenza può essere riconosciuta, ai fini edilizi, in presenza di un oggettivo nesso funzionale e strumentale tra la cosa accessoria e quella principale, nesso tale da consentire esclusivamente la destinazione della cosa ad un uso pertinenziale durevole, il quale emerge se l'opera pertinenziale ha una dimensione ridotta e modesta rispetto alla cosa cui inerisce, tale da rendere l'opera priva di un autonomo valore di mercato e non comportante un carico urbanistico o una alterazione significativa dell'assetto del territorio;sicché non può ritenersi meramente pertinenziale un abuso che, pur avendo proporzione sensibilmente ridotta rispetto all'opera principale, presenta incontestate caratteristiche di rilevante dimensione, di autonomo valore di mercato, di rilevante carico urbanistico, e occupa un'area diversa e ulteriore rispetto a quella già occupata dal preesistente edificio principale. Pertanto, in materia edilizia la natura pertinenziale è riferibile soltanto ad opere di modesta entità ed accessorie rispetto a quella principale, quali i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici e simili ma non anche a opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto a quella considerata principale e non siano coessenziali alla stessa (Cons. Stato, sez. VI, 07/03/2022, n.1605).
Nel caso di specie le opere hanno una volumetria tutt’altro che trascurabile e sono suscettibili di utilizzo autonomo;pertanto, le stesse non possono ritenersi avere carattere pertinenziale nei termini sopra precisati.
In ogni caso non appare corretta l’impostazione di parte appellante, volta a parcellizzare i singoli abusi contestati con l’ordine di demolizione al fine di sottrarli al regime sanzionatorio di cui all’art 31 d.p.r. 380/01;la valutazione dell'abuso edilizio presuppone infatti una visione complessiva e non atomistica delle opere realizzate, dovendosi valutare l'insieme delle opere realizzate nel loro contestuale impatto edilizio e non il singolo intervento (Cons. Stato, Sez. VI, 26.7.2018, n. 4568). Non è dato, infatti, scomporne una parte per negare l'assoggettabilità ad una determinata sanzione demolitoria, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio deriva non da ciascun intervento a sé stante bensì dall'insieme delle opere nel loro contestuale impatto edilizio e nelle reciproche interazioni. L'opera edilizia abusiva va infatti identificata con riferimento all'immobile o al complesso immobiliare, essendo irrilevante il frazionamento dei singoli interventi avulsi dalla loro incidenza sul contesto immobiliare unitariamente considerato.
Nel caso di specie, quindi, come riportato dal primo giudice, gli abusi nel complesso realizzati, avendo comportato un consistente aumento di superficie utile e di volumetria, necessitavano di permesso di costruire.
Le considerazioni appena esposte vanno applicate anche con riferimento alle osservazioni relative alla legittimità della scala a chiocciola, che si assume già assentita con DIA del 06.04.2004. Come ribadito da Cons. Stato, sez. VII, 12/06/2023, n. 5749 laddove (come nel caso di specie) vengano in rilievo una serie di abusi, edilizi o paesaggistici, effettuati sul medesimo immobile, la loro valutazione, per individuare quelli assentibili con una semplice D.I.A. e quelli che invece necessitano di un permesso di costruire, richiede una visione complessiva e non atomistica delle opere eseguite, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio o al paesaggio deriva, non da ciascun intervento in sé considerato, ma dall'insieme dei lavori nel loro contestuale impatto edilizio e paesistico e nelle reciproche interazioni.
5. Infondato è il secondo motivo di appello con il quale, come si è già esposto, si censura la sentenza di primo grado per aver respinto il ricorso per motivi aggiunti. Ad avviso di parte appellante, le opere erano sanabili attraverso il procedimento di cui all’art. 8 d.p.r. 160/2010.
L’art 8 d.p.r. 160/10 prevede che nei comuni in cui lo strumento urbanistico non individua aree destinate all'insediamento di impianti produttivi o individua aree insufficienti, fatta salva l'applicazione della relativa disciplina regionale, l'interessato può richiedere al responsabile del SUAP la convocazione della conferenza di servizi di cui agli articoli da 14 a 14- quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241, e alle altre normative di settore, in seduta pubblica. Qualora l'esito della conferenza di servizi comporti la variazione dello strumento urbanistico, ove sussista l'assenso della Regione espresso in quella sede, il verbale è trasmesso al Sindaco ovvero al Presidente del Consiglio comunale, ove esistente, che lo sottopone alla votazione del Consiglio nella prima seduta utile. Gli interventi relativi al progetto, approvato secondo le modalità previste dal presente comma, sono avviati e conclusi dal richiedente secondo le modalità previste all'articolo 15 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia, di cui al d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380.
Come correttamente rilevato dal T, tale procedura non è attivabile al fine di ottenere la sanatoria di opere edilizie realizzate abusivamente (cfr. Cons. Stato, sez. V, 26/05/2015, n.2605: « Da un lato, il ruolo della conferenza di servizi è tipicamente autorizzatorio in relazione ad attività da svolgere successivamente. La conferenza di servizi può accertare simultaneamente la sussistenza dei presupposti per il rilascio dei titoli richiesti, e se del caso anche la modifica dello strumento urbanistico, al fine di prevedere un insediamento produttivo in luogo di una precedente area agricola, ma non può essere convocata per disporre la sanatoria di opere già realizzate. Infatti, per i principi di tipicità del provvedimento e di legalità, la sanatoria di opere abusive può essere disposta in sede amministrativa solo nei casi previsti dalla legge, e cioè o nei casi di condono straordinario (già disposti in passato con leggi ad tempus, irrilevanti nel presente giudizio), ovvero nei casi in cui vi può essere il cd accertamento di conformità ai sensi dell'art. 36 del testo unico sull'edilizia (Cons. Stato, Sez. V, 2 ottobre 2014, n. 4892) ».
L'art. 8 del d.p.r. n. 160 del 2010 ha consentito l'attivazione del relativo procedimento per individuare di aree destinate «all'insediamento» di impianti produttivi (cioè alla realizzazione in loco di nuove opere), ma non anche per disporre la sanatoria di insediamenti già realizzati.
Ne deriva che non può essere attivato un procedimento di variante urbanistica (anche in sede di conferenza di servizi), al fine di sanare o di consentire la sanatoria di quanto è stato realizzato abusivamente: cfr. la già citata sentenza Cons. Stato, sez. V, 26/05/2015, n.2605).
6. Infondato è il terzo motivo di appello con il quale, come si è già esposto, si denuncia l’illegittimità del diniego per violazione dell’art 10- bis l. 241/90.
Come precisato in più occasioni dalla giurisprudenza del questo Consiglio di Stato, l'Amministrazione non ha un onere di specifica e analitica confutazione delle osservazioni presentate dalla parte privata a seguito della comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza, bastando che ne abbia dato conto in modo sintetico ed essendo sufficiente, ai fini della giustificazione del provvedimento adottato, la motivazione complessivamente resa a sostegno dell'atto stesso (Cons. Stato, sez. II, 03/07/2023, n.6420).
Nel caso di specie, inoltre, il diniego di sanatoria era un atto dovuto, stante l’incompatibilità delle opere con il PRG e l’impossibilità di ricorrere al procedimento di cui all’art 8 del d.p.r. n. 160 del 2010;ne deriva, in ogni caso, l’impossibilità di annullare il procedimento per vizi procedurali in applicazione dell’art 21- octies , co. 2, della l. 241/90.
7. Per le ragioni esposte l’appello deve essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.