Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2015-05-14, n. 201502441

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2015-05-14, n. 201502441
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201502441
Data del deposito : 14 maggio 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 04336/2014 REG.RIC.

N. 02441/2015REG.PROV.COLL.

N. 04336/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4336 del 2014, proposto da:
Comune di Barletta, rappresentato e difeso dagli avv. I P, D C M, R M D, G C, con domicilio eletto presso Benito Panariti in Roma, Via Celimontana n. 38;

contro

C E V D M, rappresentato e difeso dall'avv. F E L, con domicilio eletto presso F E L in Roma, Via della Scrofa 64;
L D Ri, rappresentato e difeso dall'avv. L G, con domicilio eletto presso L G in Roma, Via delle Quattro Fontane 10;
V S, Fo Oleario Settanni Vincenzo &
C. Sas, Savino Antonio Carpagnano, Srl il Borgo, Cosimo Settanni, Biagia Guacci, Maria Guacci, Ruggiero Fiorella, Francesco Fiorella, Giuseppe Fiorella, Severina Carmela Napoletano, Giuseppe Fiorella in qualità di socio accomandante della "Fo Oleario Settanni Vincenzo &
C Sas", Severina Carmela Napoletano in qualità di socio accomandante della "Fo Oleario Settanni Vincenzo &
C Sas", Monica Mascolo, Anna Vino, Francesco Mennea, Antonio Carone, Luigi Terrone, Giancarlo Roberto Gianfrancesco, Emanuele Doronzo, Ruggiero Acconciaioco, Angelo Roggio, Francesco Baldassarre, Savino Cariati, Maria Dibenedetto, Rosa Bruno, Giuseppe Depalma, Angela Frisario, Regione Puglia;
Mariano Dipalma, rappresentato e difeso dall'avv. Vito Agresti, con domicilio eletto presso Vito Agresti in Roma, Via dei Banchi Nuovi, 58/A;

per ottenere chiarimenti, ex art. 112, co. 5, Cpa, in ordine all’ottemperanza

della sentenza del CONSIGLIO DI STATO - SEZ. IV n. 00830/2013, resa tra le parti, - piano di lottizzazione di un insediamento turistico-rurale


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di C E V D M e di L D Ri e di Mariano Dipalma;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 17 febbraio 2015 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Palmiotti, Lorusso e D R, per delega dell'Avv. Ghia;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con il ricorso in esame, il Comune di Barletta, ai sensi dell’art. 112, co. 5, Cpa, chiede a questo Consiglio di Stato chiarimenti in ordine alle modalità di ottemperanza della propria sentenza 12 febbraio 2013 n. 830.

La controversia in oggetto riguarda, in sostanza, la legittimità di un Piano di lottizzazione di un insediamento turistico – rurale (e dei conseguenti permessi di costruire), che contempla la realizzazione di 46 palazzine di 4 unità immobiliari ciascuna, per complessivi 44.850 mc. e 448 abitanti potenziali, oltre al ulteriori 5200 mc. relativi ad un punto di ristoro;
il tutto (come affermato in sentenza: pag. 19) “in piena campagna, nell’ambito di un territorio deputato (almeno sino al rilascio dei permessi di costruire) alla coltura dell’ulivo”.

Il Comune ricorrente:

- ha ricordato che con la citata sentenza “il giudice del gravame respingeva l’appello e confermava la decisione di prima fase, sulla base di una motivazione in parte diversa da quella di I grado” e che “si pone la necessità, per l’amministrazione soccombente, di dare seguito alla decisione demolitoria degli atti gravati”;

- ha rappresentato che “successivamente al gravame degli atti di approvazione del piano di lottizzazione e dei permessi di costruire rilasciati, il privato, in pendenza di giudizio di primo grado, ha proceduto alla realizzazione di parte del progetto edificatorio assentito dal Consiglio Comunale di Barletta, sulla base della validità degli atti amministrativi approvati”;

- si è quindi posto il problema se, sulla base della decisione di appello, l’edificazione già realizzata “possa essere mantenuta ovvero debba essere demolita”, posto che “la decisione del giudice del gravame non offre spunti certi sul punto”. Ciò tenuto conto anche della “possibilità di attivazione della tutela risarcitoria, da parte del proponente la lottizzazione, dei promissari acquirenti e del ricorrente”.

In definitiva – secondo il ricorrente – dalla sentenza di questo Consiglio di Stato “non si evince con chiarezza se sia necessariamente inibita un’attività amministrativa successiva che permetta di mantenere l’edificazione già realizzata e contenuta nell’indice agricolo per la residenza, pari a 0,03 mc/mq, ovvero se, anche mantenendo detto indice di edificabilità, la demolizione di quanto realizzato sia inevitabile”.

Onde rappresentare le perplessità derivanti dalla stessa sentenza, ai fini dell’ottemperanza, il Comune riporta passaggi della sentenza medesima (v. pagg. 14 – 22), che, a suo dire, non chiarirebbero l’effettivo dictum del giudice.

Si è costituito nel presente giudizio il sig. Carlo Emanuele V di Masino, parte appellata, già ricorrente e parte vittoriosa nel giudizio di I grado, il quale ha preliminarmente contestato la competenza del Consiglio di Stato a rendere i chiarimenti richiesti, radicandosi invece l’azione di ottemperanza innanzi al giudice di I grado, la cui sentenza è stata confermata in appello. Ha, comunque, concluso per il rigetto del ricorso, ritenendo l’ipotesi della “conservazione delle costruzioni già realizzate”, di “assoluta impraticabilità” (v. memoria 5 febbraio 2015, pag. 5).

Si è altresì costituito in giudizio il dott. L D Ri, già appellante (e soccombente) nel giudizio conclusosi con la sentenza n. 830/2013, il quale rappresenta di “ritenere non necessario l’abbattimento delle unità immobiliari già realizzate” (v. atto di costituzione maggio 2014, pag. 2).

Infine, si è costituito in giudizio il sig. Mariano Di Palma.

All’udienza di trattazione, la causa è stata riservata in decisione.

DIRITTO

2. Il Collegio ritiene necessario definire, preliminarmente, l’ambito dell’azione di ottemperanza ex art. 112, co. 5 Cpa, proposta nel caso in esame. E ciò anche alla luce delle “riserve” espressamente rappresentate dal sig. V, il quale ha revocato in dubbio la “competenza” di questo Consiglio di Stato, e dunque la possibilità stessa di rendere i chiarimenti richiesti;
il che comporterebbe, ove condiviso, la declaratoria di inammissibilità dell’azione.

A tal fine, occorre ricordare quanto affermato dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato (sent. 13 gennaio 2013 n. 2), secondo la quale

“nell’ambito del giudizio di ottemperanza, il Codice disciplina azioni diverse (al di là della mera – e tradizionale – distinzione inerente la riconducibilità dell’ “attuazione” richiesta ad una “esecuzione” della sentenza (o provvedimento equiparato), ovvero a più ampi ambiti di conformazione della successiva azione amministrativa, in dipendenza del giudicato medesimo.

A tale quadro, va aggiunto il ricorso, ex art. 112, comma 5, proposto al fine di “ottenere chiarimenti in ordine alle modalità dell’ottemperanza”: anche questo non presenta caratteristiche che consentano di ricondurlo, in senso sostanziale, al novero delle azioni di ottemperanza. Ciò emerge anzitutto dalla stessa terminologia usata dal legislatore, il quale - lungi dall’affermare che è l’ “azione di ottemperanza” ad essere utilizzabile in questi casi - afferma che è “il ricorso” introduttivo del giudizio di ottemperanza (cioè l’atto processuale) ad essere a tali fini utilizzabile, ma risulta anche chiaro dalla circostanza che, a differenza dell’azione di ottemperanza, che è naturalmente esperita dalla parte già vittoriosa nel giudizio di cognizione o in altra procedura a questa equiparabile, in questo caso il ricorso appare proponibile dalla parte soccombente (e segnatamente dalla Pubblica Amministrazione soccombente nel precedente giudizio).

In conclusione, l’esame della disciplina processuale dell’ottemperanza, di cui agli artt. 112 ss. cpa (ai quali occorre doverosamente aggiungere l’art. 31, co. 4), porta ad affermare la attuale polisemicità del “giudizio” e dell’ “azione di ottemperanza”, dato che, sotto tale unica definizione, si raccolgono azioni diverse, talune meramente esecutive, talaltre di chiara natura cognitoria, il cui comune denominatore è rappresentato dall’esistenza, quale presupposto, di una sentenza passata in giudicato, e la cui comune giustificazione è rappresentata dal dare concretezza al diritto alla tutela giurisdizionale, tutelato dall’art. 24 Cost. Di conseguenza il giudice dell’ottemperanza, come identificato per il tramite dell’art. 113 cpa, deve essere attualmente considerato come il giudice naturale della conformazione dell’attività amministrativa successiva al giudicato e delle obbligazioni che da quel giudicato discendono o che in esso trovano il proprio presupposto”.

Anche alla luce di quanto affermato dall’Adunanza Plenaria, il Collegio ritiene di poter rendere i chiarimenti richiesti, proprio perché tale attività – non connotandosi come conseguenza di un (particolare tipo di) azione di ottemperanza – non inficia l’esperibilità di tale azione, né interferisce sui criteri di individuazione del giudice competente, ai sensi dell’art. 113 Cpa.

Il ricorso previsto dall’art. 112, comma 5, Cpa, appare dunque come un rimedio concesso all’amministrazione, onde rendere possibile la conformazione della sua azione al giudicato, in via antecedente ed indipendente dall’azione di ottemperanza (cui è legittimata, sussistendone le condizioni, la parte vittoriosa), ed impregiudicato il ricorso a quest’ultima, ove ne ricorrano le condizioni.

A ciò deve essere aggiunto che, nel caso di specie, il rigetto dell’appello (proposto da D R ed altri) e dell’appello incidentale (proposto dal Comune di Barletta), ha comportato la conferma della sentenza di I grado, ma “per le ragioni e con le precisazioni in ordine alla motivazione della stessa” (v. pag. 20 sent. n. 830/2013).

Il che rende ancor più plausibile (e dunque ammissibile) la richiesta di chiarimenti da parte dell’amministrazione che intende ottemperare, ben potendo questi ultimi – nella misura in cui chiariscono, ove necessario, il decisum –costituire anch’essi elemento di valutazione da parte del (successivo) giudice dell’ottemperanza, ove si giunga alla instaurazione di tale giudizio.


3. Tanto precisato, il Collegio ritiene che non appaiono fondati i dubbi interpretativi rappresentati dal Comune di Barletta, alla luce della complessiva motivazione della sentenza n. 830/2013.

A tal fine, giova riportare quanto esaustivamente affermato in sentenza (pag. 36):

“In punto di fatto, ed alla luce delle considerazioni sin qui svolte, appare difficile sostenere che un intervento edificatorio, pur denominato “insediamento turistico – rurale”, che contempla 46 palazzine di 4 unità immobiliari ciascuna, per un totale di 184 appartamenti e per complessivi 44.850 mc. e 448 abitanti potenziali, oltre al ulteriori 5200 mc. relativi ad un punto di ristoro, possa essere compatibile con una (pur flessibile) individuazione delle destinazioni ammissibili in zona E, ovvero possa costituire – come sostenuto dagli appellanti – “semplici insediamenti residenziali, radi e disaggregati”, come tali compatibili con il carattere agricolo delle aree impresso dalla zonizzazione “E”.

Per giungere a tale affermazione la sentenza aveva, tra l’altro, in precedenza affermato (pagg. 31-33):

“Ciò che caratterizza, dunque, la zona “E” non è tanto la immediata, presente (e futura) destinazione all’uso agricolo, quanto, in negativo, l’esclusione di destinazione ad utilizzazioni edificatorie, quali, in particolare, i “nuovi complessi insediativi”, che trovano la loro localizzazione nell’ambito della “zona C”, ovvero i “nuovi insediamenti per impianti industriali o ad essi assimilati”, che trovano la loro collocazione nell’ambito della”zona F”.

E che la “zona E” si caratterizza quale zona in assenza di possibilità edificatorie (salvo i minimi interventi consentiti dall’indice di densità fondiaria), si evince anche da quanto affermato dalla giurisprudenza in tema di cd,”zone bianche”, quelle zone cioè dove le previsioni vincolistiche degli strumenti di edificazione primaria siano decadute ex lege per decorso del tempo, ovvero per annullamento in sede giurisdizionale, attesa la riconducibilità delle medesime agli indici di densità fondiaria delle zone E.

Pur in presenza, dunque, di aperture giurisprudenziali, tali da escludere sia una applicazione rigida della cd. “zonizzazione”, di cui al D.M. n. 1444/1968, sia la stessa denominazione delle zone prescritta dal D.M., ciò che resta ferma è, per un verso, la necessità di disciplinare le destinazioni del territorio comunale per il tramite della pianificazione;
per altro verso, il “discrimine” della identificazione delle zone del territorio comunale in relazione alla loro suscettività ad essere utilizzate o meno per la futura edificazione.

Si intende, in definitiva, affermare che, se è vero che la “zona E” non caratterizza di per sé aree destinate necessariamente e direttamente all’uso agricolo, e che essa consente anche utilizzazioni edificatorie (come peraltro testimonia la previsione di un sia pur minimo indice di densità fondiaria), ciò che comunque non può ritenersi possibile in zona E è la utilizzazione delle aree della stessa in modo tale da “invadere” quello che è il contenuto tipizzante di altre destinazione di zona.

E ciò sia in quanto ogni possibile interpretazione del “contenuto” della destinazione di zona, come normativamente disposto, incontra il proprio limite nel contenuto di altra destinazione di zona;
sia in quanto – con specifico riguardo alle zone E - è la stessa norma che consente, in via di eccezione e a precise condizioni (quali il frazionamento della proprietà), di individuare, nell’ambito della più ampia zona E, “insediamenti . . . come zone C”, (in tal modo completando e delimitando il contenuto precettivo della norma anche con la previsione della sua eccezione).

Quanto affermato, comporta che, una volta che uno strumento di pianificazione (piano regolatore o variante al medesimo) abbia definito la destinazione di aree quali “zona E”, ogni plausibile interpretazione delle possibilità di utilizzazione di tali aree incontra un limite sia logico sia normativo, costituito dalla impossibilità, in dette zone, di realizzare insediamenti che, per natura, standard e proprie particolari caratteristiche, siano riconducibili a quelli che costituiscono il contenuto tipico di altre forme di zonizzazione”.

Ha ancora affermato la sentenza (pagg. 33 – 34):

“La affermata indisponibilità di aree destinate ad uso agricolo (localizzate in “zona E”), a rendere possibili interventi edificatori del tipo oggetto della presente controversia, è già sufficiente ad escludere la fondatezza dell’appello principale e dell’appello incidentale proposto dal Comune di Barletta.

Ciò comporta l’ulteriore conseguenza che, laddove gli artt,.

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