Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2019-12-16, n. 201908495

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2019-12-16, n. 201908495
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201908495
Data del deposito : 16 dicembre 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 16/12/2019

N. 08495/2019REG.PROV.COLL.

N. 07713/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7713 del 2012, proposto dal signor N S, rappresentato e difeso dagli avvocati B P e A V A G, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato B P in Roma, via Celimontana, n. 38,

contro

il Ministero dell’interno, in persona del Ministro in carica pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12,

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per la Campania, sede di Salerno, Sezione I, n. 406 del 27 febbraio 2012, resa inter partes , concernente l’accertamento del diritto all’anzianità di servizio riconducibile all’art. 47 della l. n. 121 del 1981 e all’art. 51 della l. n. 668 del 1986 e il risarcimento del danno consequenziale.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero dell’interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 15 ottobre 2019, il consigliere G S e uditi, per le parti rispettivamente rappresentate, l’avvocato A V A G e l’avvocato dello Stato Alessandro Maddalo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso proposto innanzi al T.a.r. per la Campania, sede di Salerno, l’odierno appellante, immesso nel ruolo degli agenti della Polizia di Stato a decorrere dal 15 settembre 1997, in seguito al superamento di concorso pubblico che prevedeva la riserva di una quota dei posti disponibili a personale proveniente dalle forze armate, chiedeva l’accertamento del proprio diritto a beneficiare del riconoscimento dell’anzianità maturata nell’amministrazione di provenienza, ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 51, della legge 10 ottobre 1986, n. 668, e all’art. 41, del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1077.

2. In particolare, lamentava che l’abrogazione delle predette disposizioni – intervenuta ad opera del d.lgs. 19 maggio 2000, n. 139, e del d.lgs. 5 ottobre 2000, n. 334 (a far data dal 15 dicembre 2000) – non pregiudicava il proprio diritto ad ottenere il beneficio reclamato, dal momento che esso opererebbe sin dal primo inquadramento in qualità di agente della Polizia di Stato, da cui erano nel caso di specie decorsi ormai tre anni. Infatti evidenziava che detta promozione, per espressa statuizione di legge, viene subordinata alla prestazione del servizio effettivo nella nuova carriera per un periodo di almeno tre anni (ridotti a due per le carriere direttive), come previsto dal comma 3 dell’art. 41 citato. Inoltre, lamentava che l’operato dell’Amministrazione era viziato da disparità di trattamento, dal momento che il beneficio era stato riconosciuto ad altri agenti provenienti anch’essi dai ruoli delle forze armate.

3. Costituitosi il Ministero dell’interno al fine di resistere, il Tribunale ha così deciso il gravame al suo esame:

- ha dichiarato il ricorso inammissibile per difetto d’interesse;

- ha compensato le spese di lite.

4. In particolare, il Tribunale, ha rilevato quanto segue:

- richiamate le sentenze del T.a.r. per il Lazio, Sez. I ter nn. 7254 e 7269, entrambe del 2008, è da ritenere insussistente in capo al ricorrente il preteso diritto a conseguire automaticamente il riconoscimento del servizio prestato nei ruoli delle forze armate, dal momento che il “ cumulo dell’anzianità maturata nella nuova carriera con quella riconosciuta sulla base del servizio prestato nell’amministrazione militare di provenienza ” sarebbe funzionale all’ “ abbreviazione dell’anzianità effettiva di servizio richiesta ‘ai fini dell’avanzamento nella Polizia di Stato’ (art. 47 e art. 51) e ai fini della partecipazione ai concorsi per l’accesso a qualifica superiore (art. 51) ”;

- infatti, “ tanto il beneficio disciplinato dall’art. 47 quanto quello regolamentato dall’art. 51 non operavano, come sostengono i ricorrenti, sin dal primo inquadramento in qualità di agente nei ruoli della P.S. prevedendo esplicitamente, la prima norma, che il servizio pregresso è valido ‘ai fini dell’avanzamento nella Polizia di Stato’ e disponendo, altrettanto esplicitamente, la seconda norma che la sua applicazione presuppone un periodo di servizio prestato nella nuova carriera di almeno tre anni (ridotto a due per le carriere direttive) ”;

- in ogni caso, secondo il Tribunale, la domanda diretta all’accertamento del diritto soggettivo al riconoscimento dell’anzianità maturata nei ruoli delle forze armate, oltre a non trovare fondamento in alcuna norma dell’ordinamento, a causa dell’intervenuta abrogazione delle disposizioni richiamate dal ricorrente ad opera dell’art. 15 del d.lgs. n. 53 del 2001 e dell’ art. 69 del d.lgs. n. 334 del 2000, sarebbe inammissibile, a causa dell’ “ omissione, ad essi addebitabile, dell’impugnativa dei provvedimenti incidenti sul relativo status ovvero della loro mancata adozione ”;

- infatti, trova applicazione “ il pacifico principio in sintonia al quale la contestazione dei provvedimenti attinenti alla progressione in carriera ovvero la loro mancata adozione costituisce oggetto di un’azione a carattere impugnatorio avente ad oggetto il provvedimento esplicito ovvero, attraverso il meccanismo del silenzio, la mancata adozione del provvedimento risultando inammissibile un’azione per il diritto alla ricostruzione di carriera che prescinda dalla tempestiva e rituale impugnazione dei singoli provvedimenti modificativi dello status ovvero della loro mancata adozione (giur.za costante: cfr., ex multis, Cons. St. n.2128/2006) ”.

5. Avverso tale pronuncia, si è interposto appello, notificato il 5 ottobre 2012 e depositato il 31 ottobre 2012, lamentandosi, attraverso due motivi di gravame (pagine 5-16), quanto di seguito sintetizzato:

I) avrebbe errato il Tribunale nel sostenere che il beneficio reclamato dal ricorrente è stato abrogato dall’art. 15 del d.lgs. n. 53 del 2001 e dall’art. 69 del d.lgs. n. 334 del 2000, dal momento che l’odierno appellante aveva maturato già tre anni di servizio nei ruoli della P.S. prima dell’entrata in vigore delle suddette disposizioni;

I.1) avrebbe errato il Tribunale nel ritenere prescritto il diritto da lui invocato, dal momento che, in materia di rapporti di lavoro alle dipendenze della p.A., opera il termine di prescrizione decennale stabilito dal codice civile per i diritti di natura economica e pertanto sarebbe erronea la statuizione recata dalla sentenza impugnata con la quale si è dichiarato il ricorso inammissibile perché né si è impugnato il provvedimento che ha negato il beneficio invocato né si è agito avverso il silenzio-inadempimento serbato dall’Amministrazione;

II) avrebbe errato il Tribunale nel ritenere che la ratio sottesa al riconoscimento del beneficio in questione è limitata all’abbreviazione dell’anzianità di servizio ai fini dell’avanzamento nei ruoli della Polizia di Stato ovvero ai fini della partecipazione ai concorsi per l’accesso a qualifica superiore essendo il diritto consolidatosi al momento del decorso del triennio a far data dal transito nei ruoli della Polizia di Stato “ ovvero sia il 15/09/2000 ” (cfr. pagina 13 dell’appello);

II.1) si reitera la censura relativa alla pretesa disparità di trattamento rispetto ad altri colleghi dei quali si specificano i nominativi e le date cui risalgono le rispettive domande, ai quali il beneficio è stato riconosciuto solo per avere inoltrato la domanda anticipatamente, prima del vedersi maturare i tre anni di servizio nella attuale carriera.

6. In data 9 novembre 2012, il Ministero dell’interno si è costituito chiedendo il rigetto del ricorso.

7. In vista della trattazione nel merito del ricorso le parti non hanno svolto difese scritte.

8. Il ricorso, discusso alla pubblica udienza del 15 ottobre 2019, è stato introitato in decisione.

9. Ritiene il Collegio che il ricorso sia infondato e sia pertanto da respingere.

9.1. Le questioni sollevate nei due motivi di appello sono suscettibili, per il loro tenore, di trattazione congiunta.

9.2. La parte appellante avversa le statuizioni di rito e di merito recate dall’impugnata sentenza, invocando a sostegno precedenti in proprio favore anche di questo Consiglio e deducendo, fondamentalmente, che le norme di cui all’art. 40, d.lgs. 19 maggio 2000, n. 139, e all’art. 69, d.lgs. 5 ottobre 2000, n. 334, che hanno abrogato il beneficio di carriera controverso, non avrebbero alcuna refluenza sulla vicenda di causa non essendo suscettibili di applicazione retroattiva ai sensi di quanto disposto dall’art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile ai sensi del quale “ La legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo ”. Tali previsioni abrogatrici, pertanto, troverebbero applicazione nei confronti di coloro i quali, al momento dell’entrata in vigore delle stesse, non avevano maturato alcun servizio nell’attuale carriera della Polizia di Stato e non anche nei riguardi di chi, come l’odierno appellante, avevano già maturato il proprio diritto ai sensi dell’art. 51 della l. n. 668 del 1986 al momento del passaggio nella nuova amministrazione.

Tale posizione giuridica, consolidatasi a seguito del decorso del prescritto triennio dalla presa di servizio, sarebbe azionabile, a parere dell’appellante, senza la necessaria mediazione dell’impugnativa giurisdizionale cosicché sarebbe erronea la statuizione d’inammissibilità recata dalla sentenza impugnata.

9.3. Quanto dedotto dall’appellante a tale specifico riguardo assume rilievo preliminare e potenzialmente assorbente, stante l’effetto preclusivo prodotto da tale statuizione di ogni indagine di merito circa la fondatezza della domanda di accertamento del diritto.

9.4. Orbene, la declaratoria d’inammissibilità va confermata, dovendosi rilevare che, come correttamente osservato dal Tribunale, l’appellante ha mancato di impugnare tempestivamente i rispettivi atti d’inquadramento ancorché lesivi del preteso diritto al riconoscimento dell’anzianità pregressa, e comunque non hanno agito per far valere il silenzio-inadempimento dell’amministrazione di appartenenza a seguito di apposite istanze intese al conseguimento del sospirato beneficio.

Invero, la materia del pubblico impiego è governata dai principi che regolano l’impugnativa degli atti autoritativi, cosicché, come da orientamento di questo Consiglio del tutto consolidato, “ E’ inammissibile il ricorso proposto per l’accertamento del diritto del pubblico dipendente ad una qualifica funzionale superiore a quella attribuitagli e non tempestivamente contestata, atteso che la materia dell’inquadramento nel pubblico impiego si caratterizza per la presenza di atti autoritativi, con la conseguenza che ogni pretesa al riguardo, in quanto radicata su posizioni di interesse legittimo, può essere azionata soltanto mediante tempestiva impugnazione dei provvedimenti ritenuti illegittimamente incidenti su di esse ” (cfr. sentenza, sez. V, 4 settembre 2017, n. 4177).

La pretesa dell’appellante, ai fini dell’accertamento del diritto all’anzianità comprensiva del servizio svolto presso altri comparti delle forze armate, si traduce infatti in un migliore inquadramento, che però è consacrato in un apposito atto dell’amministrazione di appartenenza (Consiglio di Stato, sez. IV, 30 gennaio 2013, n. 607) cosicché i sospirati effetti sulla carriera del dipendente non possono prodursi senza l’eliminazione di tale sbarramento formale.

Mette conto evidenziare le precise coordinate fattuali della vicenda all’esame avendo l’appellante precisato di avere preso servizio presso l’amministrazione ad quem della Polizia di Stato in data 15 settembre 1997 e pertanto il diritto al più favorevole inquadramento sarebbe maturato il 15 settembre 2000 con il decorso del prescritto triennio, data che coincide con quella in cui ha avuto luogo la notifica del ricorso di primo grado al T.a.r. di Salerno.

E’ del tutto plausibile ritenere che, nell’arco di ben dieci anni, l’amministrazione abbia provveduto ad inquadrare l’appellante attraverso l’adozione di atti formali coperti, come sopra evidenziato, da preciso onere d’impugnativa o comunque vi sia stato tutto il tempo per invocare l’intervento del giudice amministrativo secondo il rito del silenzio.

9.3. Ma risultano impermeabili alle critiche sollevate dall’appellante anche le ulteriori statuizioni recate dalla sentenza impugnata, afferenti questa volta alla effettiva spettanza del diritto alla luce dello stesso tenore delle norme invocate secondo l’indirizzo interpretativo seguito da un consolidato orientamento giurisprudenziale di prime cure, per il quale il cumulo delle anzianità maturate nei diversi ruoli è preordinato solo all’avanzamento di carriera nella Polizia di Stato (art. 47) e alla partecipazione ai concorsi per l’accesso a qualifica superiore (art. 51).

La questione relativa al diritto degli agenti della Polizia di Stato provenienti dalle forze armate a vedersi riconosciuta l’anzianità di servizio maturata nei precedenti ruoli è stata oggetto di numerose sentenze della giurisprudenza di prime cure ( ex multis , nn. 3553/2017, 1945/2017, 5204/2011 del T.a.r. per il Lazio, sede di Roma, tutte non appellate) del seguente tenore: “ le censure indicate risultano prive di fondamento (…) L’art. 47, co. 8, della legge n. 121 del 1981, prima della sua abrogazione avvenuta per effetto dell’art. 15 del d.lgs. 28.2.2001 n. 53, considerava utile, con norma sostanzialmente analoga a quella dettata per il personale civile delle amministrazioni dello Stato dall’art. 41 del d.P.R. n. 1077 del 1970 (norma poi estesa al personale della P.S. dall’art. 51 della legge n. 668 del 1986), ai fini della progressione di carriera nella P.S., il servizio prestato, in ferma od in rafferma volontaria (e dunque non nella leva obbligatoria), nella F.A. di provenienza nella misura della metà ed, in ogni caso, per non oltre tre anni;
mentre il predetto art. 51 prevedeva per il personale della P.S., e per una sola volta, che, ai fini della progressione in carriera e della partecipazione ai concorsi per l’accesso alla qualifica superiore, il servizio prestato senza demerito, in carriera corrispondente o superiore era valutato per intero;
quello prestato nella carriera immediatamente inferiore era valutato per metà. Rimane fermo che il beneficio de quo consentiva l’utile valutazione del servizio pregresso per un periodo non superiore, nel massimo, a quattro anni e richiedeva, quale condizione per il suo riconoscimento, che nella nuova carriera fosse stato prestato servizio effettivo per almeno tre anni, ridotti a due per le carriere direttive (così art. 41 del d.P.R. n. 1077 del 1970 richiamato dal predetto art. 51). Il beneficio disciplinato dall’articolo 47 e quello regolamentato dall’articolo 51 non operavano sin dal primo inquadramento in qualità di agente nei ruoli della P.S. prevedendo esplicitamente, la prima norma, che il servizio pregresso è valido ‘ai fini dell’avanzamento nella Polizia di Stato’ e disponendo, altrettanto esplicitamente, la seconda norma che la sua applicazione presuppone un periodo di servizio prestato nella nuova carriera di almeno tre anni (ridotto a due per le carriere direttive). Evidenza questa cui accede la non invocabilità del beneficio de quo agitur (sia che lo si faccia rivenire dall’articolo 47, sia che lo si raccordi all’articolo 51) ai fini dell’inquadramento nel ruolo degli agenti della P.S. che avveniva, ex art. 48 della legge n. 121 del 1981, secondo la graduatoria finale del corso e senza alterazione della posizione così conseguita da ciascuno degli allievi agenti frequentanti il corso formativo. Pertanto, il beneficio in questione si traduceva nell’abbreviazione dell’anzianità effettiva di servizio richiesta ‘ai fini dell’avanzamento nella Polizia di Stato’ (art. 47 e art. 51) e ‘ai fini della partecipazione ai concorsi per l’accesso a qualifica superiore’ (art. 51) consentendo, in tali evenienze, il cumulo dell’anzianità maturata nella nuova carriera con quella convenzionalmente riconosciuta sulla base del servizio prestato nell’amministrazione militare di provenienza. Tale chiaro postulato comporta l’inconsistenza della domanda di parte attrice rinvenendo la stessa il suo perno centrale e determinante nel convincimento, errato per quanto chiarito, che l’invocato diritto sia applicabile sin dal momento dell’iniziale inquadramento nella carriera degli agenti di p.s. con conseguente insensibilità dello stesso diritto agli enunciati legislativi che hanno abrogato le norme dalle quali traeva supporto (art. 15 del d.lgs. n. 53 del 28.2.2001 e art. 69 del d.lgs. n. 334 del 2000: norma quest’ultima che abroga l’art. 51 della legge n. 668 del 1986 sic et simpliciter
(cfr. T.a.r. per il Lazio, sede di Roma, sez. I, 13 giugno 2011, n. 5204).

Il Collegio ritiene di condividere tale ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, di tal che non vi sono spiragli per l’applicazione delle norme invocate dall’appellante e ciò, stante l’insussistenza del diritto, con effetti assorbenti della questione, pure sollevata, della decorrenza del termine prescrizionale.

Nemmeno possono soccorrere gli artt. 199 e 200 del d.P.R. n. 3 del 1957, laddove prevedono la possibilità per le pubbliche amministrazioni di trasferire gli impiegati civili da un ruolo ad un altro di corrispondente carriera della stessa amministrazione, conservando l’anzianità e la qualifica acquisite, in quanto, come evidenziato da condivisibile giurisprudenza (vedi la già citata T.a.r. Lazio, n. 3553/2017;
Cons. Stato, sez. VI, 16 febbraio 2009, n. 854) l’art. 199 disciplina il trasferimento di pubblici impiegati da una amministrazione all’altra, per esigenze proprie di questa, e ciò giustifica la conservazione dell’anzianità di servizio. L’art. 200, t.u. n. 3/1957, a sua volta, al comma 2 dispone che il Ministro competente può disporre il trasferimento degli impiegati civili da un ruolo ad altro di corrispondente carriera della stessa amministrazione, e al comma 3 dispone che gli impiegati trasferiti conservano l’anzianità di carriera e di qualifica acquisita, venendo collocati nei nuovi ruoli con la qualifica corrispondente a quella di provenienza e nel posto che loro spetta secondo l’anzianità nella qualifica già ricoperta. Ancora una volta, la conservazione dell’anzianità maturata riguarda gli “ impiegati trasferiti ”, fattispecie alla quale non può essere assimilata quella in esame, in cui trattasi di impiegato che supera un concorso pubblico.

Questo Consiglio, pur non avendo esaminato la specifica questione agitata nel presente giudizio, ha comunque rilevato che:

- “ L’anzianità maturata ai fini del beneficio previsto dalle norme speciali dettate per le forze armate non è elemento della fattispecie prevista dall’art. 43 l. n. 121 del 1981, in termini di validità per giungere alla maturazione dei previsti 15 anni di anzianità di servizio. Ciò è impedito, nella sostanza, dalla diversità funzionale dei rispettivi servizi, ribadita dalle disposizioni dei distinti ordinamenti in rilievo che si incentrano sulla diversità normativa dei fini istituzionali, rispettivamente, della difesa militare e del mantenimento della pubblica sicurezza. Ne discende che la non transitabilità agisce in tutti e due i sensi, sia nell’impedire che il servizio nell’esercito rilevi ai fini del beneficio di cui all’art. 43 l. n. 121 del 1981, per chi sia successivamente transitato nei ruoli della polizia di Stato, sia per l’eventuale ipotesi opposta, ferma restando la vigenza della diversa «omogeneizzazione» stipendiale, che deriva da espresse scelte del legislatore e implica, però, in linea di principio, una continuità di servizio all’interno dello stesso ruolo. La diversità dell’elemento funzionale così descritta esclude, altresì, che si possa sospettare la violazione dei principi costituzionali ai sensi degli art. 3 e 36 cost .” (cfr. Cons. Stato sez. VI, 28 febbraio 2006, n. 857);

- costituisce principio generale quello secondo cui la conservazione dell’anzianità già maturata dal pubblico dipendente è limitata a casi tassativi e, segnatamente, al caso dell’art. 200, t.u. n. 3/1957, di dipendenti trasferiti da uno ad altro ruolo di corrispondente carriera della stessa amministrazione, e al caso dell’art. 199, medesimo t.u. che del pari disciplina una forma di trasferimento del dipendente, con il suo consenso, per specifiche esigenze dell’amministrazione;
- diverso è il caso di passaggio volontario del dipendente da una ad altra amministrazione a seguito di concorso del tutto autonomo: la volontarietà del concorso esclude il diritto di chi lo compie ad essere collocato nel nuovo ruolo in posizione tale da pregiudicare gli interessi dei dipendenti che già vi appartenevano
(cfr. Cons. Stato, sez. VI, 3 febbraio 2004, n. 338);

- “ non esiste alcun principio generale che assicuri al dipendente pubblico, che superi un nuovo concorso pubblico aperto all’esterno, la conservazione della pregressa anzianità di servizio, e salvo che non vi siano espresse disposizioni normative in tal senso ” (cfr . Cons. Stato n. 854 cit.).

Da tali pronunciamenti è dato inferire come questo Consiglio abbia escluso la possibilità di pervenire al riconoscimento automatico dell’anzianità di servizio maturata nei ruoli delle forze armate avvertendo l’esigenza, più in generale, di evitare che l’eventuale riconoscimento dell’anzianità pregressa possa alterare l’originario ordine di anzianità tra i dipendenti a danno di coloro già presenti nell’organigramma dell’amministrazione ad quem .

9.4. Per quanto infine attiene alla censura di disparità di trattamento, riproposta in questa sede, va ribadito quanto già osservato dalla citata giurisprudenza di merito in ordine ad analogo rilievo e cioè che esso non risulta persuasivo se assume quale tertium comparationis la posizione di dipendenti che hanno presentato la domanda per il conseguimento dei sospirati benefici prima dell’abrogazione delle norme poste a suo fondamento.

E’ comunque decisivo evidenziare che la censura di eccesso di potere per disparità di trattamento è riscontrabile soltanto in caso di assoluta identità di situazioni di fatto e di conseguente assoluta irragionevole diversità del trattamento riservato, situazioni la cui prova rigorosa deve essere fornita dall’interessato, con l’ulteriore precisazione che la legittimità dell’operato della pubblica amministrazione non può comunque essere inficiata dall’eventuale illegittimità compiuta in altra situazione (Cons. Stato, sez. VI, 17 marzo 2016, n. 1098; id ., 29 gennaio 2016 n. 356; id. , 13 marzo 2013 n. 1514; id. , 27 marzo 2012 n. 1813). E’ del tutto evidente, infatti, che il soggetto illegittimamente escluso da un determinato beneficio non può invocare l’eventuale illegittimità commessa in favore di altri al fine di ottenere che essa venga compiuta anche in suo favore.

10. In conclusione, l’appello è infondato e deve essere respinto.

11. Per quanto attiene alle spese del presente grado di giudizio, sussistono le condizioni, ex artt. 26, comma 1, c.p.a. e 92, comma 2, c.p.c., per dichiararle integralmente compensate fra le parti.

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