Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2024-01-22, n. 202400659
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Pubblicato il 22/01/2024
N. 00659/2024REG.PROV.COLL.
N. 10113/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10113 del 2019, proposto dalla sig.ra Assunta Mocerino, rappresentata e difesa dall’avvocato V C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia
contro
il Comune di Casoria, in persona del Sindaco
pro tempore
, non costituito in giudizio
per la riforma
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’art. 87, comma 4- bis , c.p.a.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del giorno 15 dicembre 2023 – tenuta da remoto attraverso videoconferenza, con l’utilizzo della piattaforma “ Microsoft Teams ” – il Cons. B B;
Viste le conclusioni della parte appellante come in atti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. L’appellante impugna la sentenza indicata in epigrafe, con la quale il TAR per la Campania ha respinto il ricorso, come integrato da motivi aggiunti, proposto avverso l’ordinanza n. 30 del 20 aprile 2017 (di demolizione di “ ambiente in muratura e alluminio anodizzato con copertura in lamiere coibentate superficie di circa mq 13,00 con h m 3,00 circa ” realizzato senza permesso di costruire “ in ampliamento all’appartamento ”), il silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di sanatoria ordinaria, nonché i provvedimenti successivi, di irrogazione della sanzione pecuniaria per inottemperanza all’ordine di demolizione, di diniego della domanda di permesso in costruire in sanatoria, di acquisizione gratuita al patrimonio comunale del manufatto abusivo e di ingiunzione dello sgombero dell’immobile.
2. L’appellante critica la sentenza impugnata, riproponendo le censure formulate con il ricorso di primo grado e i relativi motivi aggiunti.
3. Il Comune di Casoria non si è costituito in giudizio.
4. Successivamente, in data 6 novembre 2023, l’appellante ha prodotto memoria, insistendo per l’accoglimento delle censure proposte.
5. All’udienza straordinaria del 15 dicembre 2023 la causa è stata trattenuta per la decisione.
6. Preliminarmente il Collegio rileva l’inammissibilità del ricorso in appello, con il quale sono state riproposte le censure articolate nel giudizio di primo grado, senza alcuna confutazione delle statuizioni del primo giudice (Consiglio di Stato sez. IV, 24 febbraio 2020, n.1355). Il principio di specificità dei motivi di impugnazione, posto dall'art. 101, comma 1, c.p.a., impone, infatti, che sia rivolta una critica puntuale alle ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata, non essendo sufficiente la mera riproposizione dei motivi contenuti nel ricorso introduttivo (Consiglio di Stato sez. II, 20 febbraio 2020, n.1308). Il fatto che l'appello sia un mezzo di gravame ad effetto devolutivo, non esclude l'obbligo dell’appellante di indicare nell'atto le specifiche critiche rivolte alla sentenza impugnata e, inoltre, i motivi per i quali le conclusioni del primo giudice non sono condivisibili, non potendo il ricorso in appello limitarsi ad una generica riproposizione degli argomenti originariamente dedotti.
7. Anche a prescindere dai profili di inammissibilità sopra evidenziati, l’appello è, in ogni caso, infondato nel merito, per le ragioni di seguito esposte.
8. Nella fattispecie viene in rilievo l’intervento realizzato dall’appellante sull’area in proprietà, inserita nella zona B2 residenziale, di ampliamento dell’immobile esistente, attraverso l’edificazione, sul terrazzo adiacente e in assenza del titolo edilizio, di un ambiente in muratura e alluminio anodizzato, con copertura in lamiere coibentate che ha comportato un incremento di superficie di 13 mq. e di volume pari a 39 mc..
9. Il Collegio integralmente condivide le valutazioni espresse dal primo giudice in relazione alla qualificazione delle opere in contestazione, le quali hanno determinato un aumento della volumetria dell’edificio e una modifica della sua sagoma, con conseguente riconducibilità al regime del permesso di costruire (cfr., ex multis , Cons. St., n. 5801 del 2018). A quanto esposto va, altresì, soggiunto che, alla luce delle caratteristiche dell’opera, emergenti dalla documentazione agli atti del giudizio di primo grado, risulta la sussistenza – correttamente evidenziata dal primo giudice –, di una potenziale autonomia funzionale, con compatibilità a un uso abitativo, risultando non pertinente il riferimento dell’appellante tanto con concetto di pertinenza quanto alla connotazione dell’opera quale mero vano tecnico.
9.1. Si osserva, infatti, che il concetto di pertinenza in senso urbanistico ed edilizio è più ristretto della nozione civilistica, posto che il primo richiede che il manufatto sia non solo preordinato ad una oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio ma anche che sia sfornito di un autonomo valore di mercato e dotato, comunque, di un volume modesto rispetto all’edificio principale, in modo da evitare ogni incidenza sul carico urbanistico;tali requisiti non ricorrono nella fattispecie, in considerazione delle caratteristiche dell’opera realizzata.
9.2. Deve, altresì, evidenziarsi che, ai fini in esame, non occorre considerare solo il rapporto funzionale di accessorietà con la cosa principale, ma anche le caratteristiche dell’opera in sé sotto il profilo dell’autonomo impatto urbanistico sul territorio, dell’assenza di autonoma destinazione del manufatto pertinenziale, dell’incidenza sul carico urbanistico e della modifica all’assetto del territorio (Consiglio di Stato, Sez. II, 20 luglio 2022, n. 6371;Sez. VI del 23 maggio 2023 n. 5087).
9.3. Alla luce di tali considerazioni, per la realizzazione delle opere in contestazione era necessario il rilascio del permesso di costruire, trattandosi di nuovo volume edificato.
9.4. A quanto esposto deve, altresì, soggiungersi che neppure può essere utilmente invocata, ai fini pretesi dall’appellante, la qualificazione di quanto edificato in termini di volume tecnico, per tale intendendosi esclusivamente un’opera priva di qualsivoglia autonomia funzionale, anche potenziale, perché destinata solo a contenere, senza possibilità di alternative e comunque per una consistenza volumetrica del tutto contenuta, impianti serventi a una costruzione principale per essenziali esigenze tecnico-funzionali della medesima.
10. Del pari correttamente il primo giudice ha rilevato il contrasto con la normativa urbanistica vigente che nella specie è quella “B2- residenziale nuovo centro” per la quale opera il regime di conservazione dei volumi edilizi esistenti, potendosi solo procedere a interventi di ristrutturazione edilizia a parità dei volumi già realizzati e destinati a residenza.
10.1. Ne deriva, quindi, che doverosamente e legittimamente l’amministrazione ha ingiunto la demolizione delle opere in contestazione, dovendosi escludere qualsivoglia fiscalizzazione dell’abuso sia perché l’art. 37 del d.P.R. n. 380 del 2001 non può essere invocato non venendo in rilievo un intervento assentibile con d.i.a. sia in quanto l’abuso non costituisce una mera difformità parziale, con conseguente inapplicabilità anche dell’art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001.
11. In conformità all’orientamento espresso dalla giurisprudenza (Adunanza Plenaria n. 9 del 2017), inoltre, poiché l’adozione dell’ingiunzione di demolizione non può ascriversi al genus dell’autotutela decisoria, si deve escludere che l’ordinanza di demolizione di opere abusive debba essere motivata con riferimento alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata. Ciò in quanto il decorso del tempo non può incidere sull’ineludibile doverosità degli atti volti a perseguire l’illecito attraverso l’adozione della relativa sanzione. Allo stesso modo, il decorso del tempo non può radicare, di per sé considerato, un affidamento di carattere “legittimo” in capo ai proprietari dell’abuso. Invero, la tutela del legittimo affidamento - qualificato come ‘principio fondamentale ’ dell'Unione Europea dalla stessa Corte di Giustizia UE – è quello ingenerato nel privato da provvedimenti amministrativi, ed è correlato all’interesse pubblico alla certezza dei rapporti giuridici costituiti dall’atto amministrativo, nonché più in generale alla stabilità dei provvedimenti amministrativi, ipotesi, questa, che – all’evidenza - non ricorre nella fattispecie in esame, in cui non sussiste alcun provvedimento favorevole sulla cui base siano state realizzate le opere in questione, che risultano, quindi, essere prive dei prescritti titoli.
11.1. Nella fattispecie, la descrizione delle opere contestate e le motivazioni alla base dell’irrogazione della sanzione demolitoria emergono puntualmente e inequivocabilmente dal provvedimento impugnato.
12. Quanto al rigetto della domanda di permesso di costruire in sanatoria, non emergono né lacune istruttorie né carenza sotto il profilo della motivazione assunta a fondamento della determinazione adottata dall’amministrazione. Come risulta dal provvedimento di rigetto agli atti del giudizio di primo grado, le zone B2 e B3 del PRG sono “ vincolate alla conservazione dei volumi esistenti ”, essendo consentii solo interventi di ristrutturazione a parità di volumi esistenti destinati a residenza. Inoltre, << dai grafici della licenza edilizia n.622 del 16/9/60 si rileva che al quarto piano doveva esistere un’unica unità abitativa mentre dal riscontro degli atti catastali depositati presso il catasto in data 18/9/62 le unità abitative sono in numero di due e, quella contraddistinta dal sub. 20, non contempla l’ampliamento di cui alla richiesta di accertamento;che trattasi di un incremento di volumetria effettuato nella zona B2 >>.
12.1. Ne deriva, dunque, l’evidente assenza del requisito della c.d. doppia conformità, prescritto dalla normativa di riferimento quale presupposto imprescindibile per accedere alla sanatoria ordinaria.
13. Vanno disattese anche le deduzioni proposte avverso l’irrogazione della sanzione pecuniaria, per la cui quantificazione sono stati applicati i criteri approvati con la delibera commissariale n. 9 dell’8 ottobre 2015 che, peraltro, non ha costituito oggetto di impugnazione, dovendosi escludere che la mera pendenza del giudizio proposto avverso gli atti antecedenti dall’interessata costituisca circostanza preclusiva all’irrogazione di detta sanzione, risultando ininfluente anche l’assenza di vincoli paesaggistici insistenti sull’area interessata dall’intervento abusivo, venendo in rilievo un’attività doverosa dell’amministrazione in applicazione della disciplina di riferimento. Correttamente, inoltre, il primo giudice ha escluso l’obbligo di comunicazioni preventive, per le ragioni rilevate nella sentenza impugnata, rimaste insuperate anche nel giudizio di appello, non sussistendo neppure lacune sotto il profilo della motivazione, in considerazione delle precedenti determinazioni adottate dall’ente locale.
14. Con riferimento alla disposta acquisizione del bene al patrimonio comunale, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante e come, invece, chiaramente rilevato dal primo giudice, detta acquisizione non ha avuto ad oggetto l’immobile nella sua integralità bensì solo le opere abusive sanzionate con il provvedimento di irrogazione della sanzione demolitoria rimasto ineseguito, come reso evidente tanto dall’espresso riferimento al “diritto di accesso” al bene che si giustifica proprio nella considerazione della limitata acquisizione disposta, quanto dalla puntuale indicazione degli estremi catastali relativi alla sola unità abitativa abusiva (sub. 21).
14.1. Nel rilevare, inoltre, l’inammissibilità delle deduzioni nuove proposte in violazione del divieto di cui all’art. 104 c.p.a., non essendo stata formulata nel ricorso per motivi aggiunti di primo grado alcuna contestazione specificamente riferita al cumulo della sanzione pecuniaria con quella dell’acquisizione, il Collegio evidenzia che il provvedimento acquisitivo si pone quale diretta conseguenza dell’accertata inottemperanza dell’ordine di demolizione delle opere abusive, risultando, dunque, non pertinente il riferimento dell’appellante al principio di proporzionalità, tenuto segnatamente conto della natura e della consistenza delle opere abusive (secondo quanto già evidenziato nei capi precedenti capi della presente pronuncia), nonché irrilevante la destinazione delle stesse.
14.2. Quanto esposto esclude, inoltre, la fondatezza delle deduzioni dirette a contestare la carenza di motivazione del provvedimento con il quale è stata disposta l’acquisizione del bene al patrimonio comunale, la quale integra un provvedimento vincolato in relazione al quale l’amministrazione non esercita valutazioni di carattere discrezionale.
15. In conclusione, per le ragioni sopra esposte, l’appello deve essere respinto.
16. Non vi è luogo a provvedere sulle spese del presente grado di giudizio in quanto l’amministrazione comunale appellata non si è costituita.