Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2019-09-27, n. 201906464

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2019-09-27, n. 201906464
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201906464
Data del deposito : 27 settembre 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 27/09/2019

N. 06464/2019REG.PROV.COLL.

N. 06037/2011 REG.RIC.

N. 06038/2011 REG.RIC.

N. 06039/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6037 del 2011, proposto da Cooperativa Itaca a r.l. in persona del suo legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall’avvocato M L, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Lungotevere dei Mellini, n. 10;

contro

Roma Capitale (RM), in persona del suo legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati R M, S S, domiciliati presso l’Avvocatura di Roma Capitale in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21;



sul ricorso numero di registro generale 6038 del 2011, proposto da
Cooperativa Itaca a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato M L, con domicilio eletto presso lo studio M L in Roma, Lungotevere dei Mellini, n. 10;

contro

Roma Capitale (RM), in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati R M e S S, domiciliati presso l’Avvocatura di Roma Capitale in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21;



Sul ricorso numero di registro generale n. 6039 del 2011, proposti da
Cooperativa Itaca a r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato M L, con domicilio eletto presso lo studio M L in Roma, Lungotevere dei Mellini, n. 10;

contro

Roma Capitale (RM), in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati R M e S S, domiciliati in Roma presso l’Avvocatura di Roma Capitale, via del Tempio di Giove, n. 21;

per la riforma

quanto al ricorso n. 6037 del 2011:

della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (sezione Prima) n. 02363/2011, resa tra le parti, concernente demolizione opere abusive;

quanto al ricorso n. 6038 del 2011:

della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (sezione Prima) n. 38230/2010, resa tra le parti, concernente demolizione opere abusive;

quanto al ricorso n. 6039 del 2011:

della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (sezione Prima) n. 00798/2011, resa tra le parti, concernente demolizione opere abusive;


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti rispettivi atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 giugno 2019 il Consigliere Fulvio Rocco e uditi per le parti l’avvocato M L e l’avvocato S S;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.1. Al Lido di Roma, nella località balneare di Castelfusano, sorse e si sviluppò negli anni ’50 un campeggio denominato Camping Internazionale Castelfusano , ubicato su di un terreno di proprietà del Comune di Roma data dapprima in concessione all’Automobile Club Italiano e, quindi, ad altri soggetti, l’ultimo dei quali, l’Ente nazionale per l’assistenza ai lavoratori (ENAL) venne fu soppresso ai sensi dell’art. 1- bis della l. 21 ottobre 1978, n. 641.

Nel maggio del 1979 fu costituita la Cooperativa Itaca S.r.l. - l’attuale appellante - per iniziativa degli ex-dipendenti della struttura e di alcuni giovani disoccupati, la quale dopo un lungo contenzioso ottenne nel 1998 dal Comune di Roma il rilascio della concessione per l’utilizzo del suolo e l’autorizzazione per l’esercizio dell’attività.

La cooperativa riuscì a riqualificare la struttura, nel frattempo degradatasi, sanando mediante condono edilizio tutte le strutture campeggistiche nel frattempo realizzate.

Attualmente il campeggio si estende per un’area ampia oltre 4 ettari, inserita nel vigente Piano regolatore generale nel “sistema adottato dei servizi e delle infrastrutture;
tessuti ed ambiti campeggi”
.

Il campeggio dagli anni ’90 ad oggi si è dotato di varie strutture ricettive, costituite non soltanto da tende, roulottes e camper, ma anche da bungalows e dalle cc.dd. “case mobili” .

L’attuale appellante precisa in tal senso che i bungalows sono “semplicemente appoggiati su blocchetti in tufo” , mentre le “case mobili” sono appoggiate “su ruote”, essendo comunque “entrambi dotati del cc.dd. preingressi, che altro non sono se non tettoie ombreggianti” (cfr. pag. 2 dell’atto introduttivo dell’appello proposto sub R.G. 6039 del 2011).

1.2. Con determinazione n.3207 dd. 10 novembre 2009 il Dirigente dell’Unità organizzativa tecnica del Municipio XIII di Roma ha rilevato all’interno del campeggio l’avvenuta “installazione di numerosi bungalow di diverse dimensioni e e dislocati in vari punti dell’area e precisamente sul lato ponente rispetto all’entrata principale erano installati n. 6 bungalow tipo A di mt. 5,70 x mt. 2,50 alti mt. 2,00 con struttura in legno con antistante tettoia metallica di mt. 5,70 x mt. 2,20 poggianti su blocchetti di tufo;
n. 4 bungalow di tipo B di mt. 5,70 x mt. 5,70 alti mt. 2,80con struttura in legno e poggianti anch’essi su blocchetti di tufo;
n. 18 bungalow di tipo C di mt. 8,20 x mt. 2,90 con altezza al colmo di mt. 2,80 con struttura in lamiera coibentata, poggianti su ruote con antistanti tettoie di mt. 4,20 x mt. 2,80;
n. 23 bungalow di tipo D di mt. 6,50 x mt.

3.00 alti m. 2,80 al colmo con antistante patio di mt. 2 x mt. 6,30 con struttura in legno poggianti su blocchetti di tufo;
n. 2 bungalow di tipo E di m.t. 7,20 x mt. 3,80 alti mt. 2,70 al colmo con struttura in lamiera coibentata con antistanti tettoie di mt. 4,70 x mt. 2,70 poggianti su blocchetti di tufo. Sul lato levante dell’area parallelamente al lungomare Amerigo Vespucci al limite dell’area in concessione, installazione di n. 11 bungalow con struttura in lamiera coibentata di mt. 7,80 x mt. 3,00 alti mt. 2,10 con antistanti tettoie poggianti su ruote e altri 6 bungalow con struttura in legno di mq. 18 cadauno circa con antistanti tettoie, tutti adibiti ad assistenza alloggiativa nei casi di emergenza abitativa, n. 4 bungalow di mt. 7,50 x mt. 3,00, alti mt. 2,50 poggianti su ruote con struttura in lamiera coibentata ed utilizzati dai soci della cooperativa, altro bungalow delle medesime dimensioni con antistante area verandata in legno di mt. 8,20 x mt. 2,60. Inoltre nei locali adibiti a ristorante, bar e market è stata accertata la tamponatura delle tettoie mediante la realizzazione di un parapetto in muratura con sovrastanti infissi in alluminio e vetri ottenendo due superfici distinte, una di mq. 75 circa adibita a sala ristorante e all’altra antistante il bar market di mq. 180 circa con struttura e copertura in legno adibita a sala ristoro. Adiacente a tali locali insiste una sala da ballo completamente tamponata e coperta in legno di mq. 50 circa”
.

In dipendenza di ciò, e in considerazione della circostanza che per la realizzazione dei sopradescritti manufatti era stata respinta, il medesimo Dirigente ha pertanto ingiunto la rimozione dei manufatti anzidetti e il ripristino dello stato dei luoghi.

1.2. Con ricorso proposto sub R.G. 1816 del 2010 innanzi al T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, la Cooperativa Itaca ha chiesto l’annullamento di tale provvedimento, deducendo al riguardo i seguenti ordini di censure:

1) violazione di legge;
violazione dell’art. 3, comma 9, della l. 23 luglio 2009, n. 99;
violazione dell’art. 6 del Regolamento regionale n. 17 dd. 24 ottobre 2008;
violazione dell’art. 88, comma 2, delle norme tecniche di attuazione del Piano regolatore generale e conseguente violazione o errata applicazione dell’art. 24 della l.r. 11 agosto 2008, n. 15;

2) violazione di legge;
errata applicazione dell’art. 21 della l.r. n.15 del 2008 sotto altro profilo;
eccesso di potere per difetto dei presupposti per insussistenza dei relativi abusi se riferiti all’epoca della loro realizzazione.

Giova qui da subito rilevare che la parte ricorrente ha espressamente limitato la propria impugnativa alla sola realizzazione dei sopradescritti bungalows , in quanto per le residue opere contestate (e cioè l’area verandata in legno di mt. 8,20 x mt. 2,60, la tamponatura delle tettoie con creazione di due ulteriori superfici rispettivamente di mq. 75 e di mq. 180, nonché la sala da ballo di mq. 50) era stata presentata in data 9 aprile 2009 una domanda di accertamento di conformità a’ sensi dell’art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (cfr. al riguardo la pag. 11 dell’atto introduttivo di tale giudizio di primo grado).

1.3. Si è costituita in giudizio Roma Capitale, concludendo per la reiezione del ricorso.

1.4. Con ordinanza n. 1258 dd. 19 marzo 2010 la Sezione II- bis dell’adito T.A.R. ha accolto a’ sensi dell’allora vigente art. 21 della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, come integrato dall’art. 9 della l. 21 luglio 2000, n. 205, la domanda di sospensione cautelare del provvedimento impugnato limitatamente alla demolizione dei sopradescritti bungalows .

2.1. Con successivo provvedimento n. 531 dd. 18 maggio 2010 il Dirigente preposto al Dipartimento programmazione e attuazione urbanistica – Direzione attuazione degli strumenti urbanistici – Unità operativa permessi di costruire, ha respinto l’anzidetta domanda di accertamento di conformità presentata a’ sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 dalla Cooperativa Itaca in data 9 aprile 2009 relativamente alla “chiusura di tettoie stamponate e gazebo” all’interno del predetto campeggio, “Visto che in sede di istruttoria tecnica è stata rilevata la carenza di documentazione (nulla-osta paesaggistico-ambientale, nulla osta Ente Parco, perizia giurata carente sulla legittimità della preesistenza, nulla osta dell’Azienda sanitaria locale Roma C) ai fini dell’esame dell’intervento richiesto, pertanto non è stato compiutamente osservato dall’istante quanto prescritto dall’art. 3 e 4 del Regolamento edilizio … Visto che in sede di istruttoria tecnica è stato rilevato il contrasto delle realizzate opere, art. 4 – Eccesso di SUL (Superficie utile lorda) ai sensi dell’art. 88 del NPRG in quanto secondo il verbale della Polizia Municipale del 5 giugno 2006, oltre alle tamponature di alcune tettoie che sono oggetto della richiesta dell’art. 36 sopra citato, risultano essere altri abusi, realizzazione di bungalows di diverse dimensioni che non sono stati riportati sui grafici e né in perizia giurata”.

Con susseguente determinazione dirigenziale n. 1837 dd. 27 maggio 2010 il Dirigente dell’Unità organizzativa tecnica del Municipio XIII di Roma ha rilevato all’interno del campeggio l’avvenuta installazione dei medesimi manufatti dianzi descritti nella precedente determinazione del medesimo Dirigente n. 3207 dd. 10 novembre 2009, come sopra riportata al § 1.2. della presente sentenza, e ne ha pertanto disposto la demolizione d’ufficio, “visto il verbale di accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione a demolire Prot. n. 13033 del 9 marzo 2010”, sempre con riferimento all’anzidetta determinazione dirigenziale n. 3207 del 2009.

2.2. Tali due provvedimenti sono stati impugnati dalla Cooperativa Itaca con ricorso proposto sub R.G. 9235 del 2010 innanzi al T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, deducendo i seguenti ordini di censure:

1) eccesso di potere per difetto dei presupposti e di motivazione, oltreché erroneità della stessa (v, nulla osta dell’Azienda sanitaria locale);

2) in ordine al preteso eccesso di SUL, violazione ed errata interpretazione dell’art. 88 delle norme tecniche di attuazione del Piano regolatore generale.

2.2. Anche in questo procedimento si è costituita Roma Capitale, concludendo per la reiezione del ricorso.

3.1. Con un terzo ricorso proposto sub R.G. 11077 del 2010, sempre innanzi al T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, la Cooperativa Itaca ha ulteriormente chiesto l’annullamento dell’anzidetta determinazione dirigenziale n. 1837 del 2010 deducendo i seguenti, ulteriori ordini di censure:

1) illegittimità in via derivata quale conseguenza del presupposto diniego di accertamento di conformità a’ sensi dell’art. 36 del d.P.R. 380 del 2001, impugnato in sede straordinaria;

2) violazione del costante orientamento giurisprudenziale che impone la necessità di un nuovo provvedimento ingiuntivo nell’ipotesi di reiezione dell’istanza di accertamento di conformità;

3) violazione dell’ordinanza cautelare n. 1258 dd. 19 marzo 2010 emessa dalla Sez. II- bis del T.A.R. per il Lazio nel procedimento ivi pendente sub R.G. R.G. 1816 del 2010 avverso l’anzidetta determinazione dirigenziale n. 3207 dd. 10 novembre 2009.

3.2. Non si è costituito nel primo grado di tale giudizio il Comune di Roma.

4.1. Con sentenza n. 38230 dd. 22 dicembre 2010 la Sezione I- quater dell’adito T.A.R. ha parzialmente accolto il sopradescritto ricorso ivi proposto sub R.G. 11077 del 2010 “nei limiti di quanto specificato in parte motiva ” e - per l’effetto - ha annullato l’anzidetta determinazione dirigenziale n. 1837 del 2010 nella sola parte in cui disponeva “la demolizione di quelle opere per cui l’ordinanza cautelare n. 1258 del 2010 aveva escluso l’eseguibilità della prescrizione repressiva imposta con l’ordinanza n. 3207 del 20 novembre 2009” (cfr. ivi).

Tutti gli altri ordini di censure sono stati espressamente respinti dal T.A.R.

Le spese sostenute in tale grado di giudizio dalla parte ricorrente sono state dichiarate irripetibili.

4.2. Con successiva sentenza n. 798 dd. 28 gennaio 2011 la medesima Sez. I- quater ha respinto il ricorso ivi proposto sub R.G. 1816 del 2010 avverso l’ingiunzione a demolire n. 3207 dd. 10 novembre 2009, compensando integralmente tra le parti le spese e gli onorari di tale primo grado di giudizio.

4.3. Da ultimo, con sentenza n. 2363 dd. 15 marzo 2011 la medesima Sez. I- quater ha respinto il ricorso ivi proposto sub R.G. 9235 del 2010 avverso le impugnative ivi proposte nei riguardi della determinazione dirigenziale n. 531 dd. 18 maggio 2010 e la determinazione dirigenziale n. 1817 dd. 27 maggio 2010, compensando integralmente tra le parti le spese e gli onorari di tale primo grado di giudizio.

5.1. Ciò posto, con il primo degli appelli in epigrafe (R.G. n. 6037 del 2011) la Cooperativa Itaca chiede la riforma della predetta sentenza n. 2363 del 2011, riproponendo di fatto quali motivi di appello le medesime censure proposte nel primo grado di giudizio, riferendole comunque allo specifico contenuto della sentenza impugnata.

5.2. Si è costituita in questo ulteriore grado di giudizio Roma Capitale, concludendo per la reiezione dell’appello.

6.1. Con il secondo degli appelli in epigrafe (R.G. n. 6038 del 2011) la Cooperativa Itaca chiede la riforma della sentenza n. 38230 del 2010, riproponendo quali motivi d’appello le censure già dedotte in primo grado e respinte dal T.A.R., riferendole comunque allo specifico contenuto della sentenza impugnata.

6.2. Anche in questo giudizio d’appello si è costituita Roma Capitale, concludendo per la reiezione dell’impugnativa avversaria.

7.1. Con il terzo appello in epigrafe (R.G. n. 6039 del 2011) la Cooperativa Itaca chiede la riforma della sentenza n. 790 del 2011, deducendo innanzitutto l’avvenuta violazione dell’art. 73, comma 3, c.p.a. e il travisamento del contenuto della sentenza della Corte Costituzionale n. 278 dd. 22 luglio 2010, e per il resto sempre sostanzialmente riproponendo quali motivi di ricorso le censure già dedotte in primo grado, riferendole peraltro anche in questo caso allo specifico contenuto della sentenza impugnata.

7.2. Anche in questo giudizio d’appello si è costituita Roma Capitale, concludendo per la reiezione dell’impugnativa avversaria.

8. All’odierna pubblica udienza tutti e tre gli appelli in epigrafe sono stati trattenuti per la decisione.

9. Il Collegio reputa innanzitutto opportuno disporre, a’sensi dell’art. 70 c.p.a., la riunione dei tre appelli in epigrafe per evidenti ragioni di connessione soggettiva e oggettiva.

10.1. Tutto ciò premesso, gli appelli vanno respinti.

10.2. Il Collegio reputa utile, ai fini di un’ottimale disamina della vicenda, considerare il contenuto delle sentenze impugnate con riguardo alla successione cronologica dei provvedimenti in prosieguo di tempo emanati e giudizialmente contestati dalla parte attualmente appellante.

10.3.1. In dipendenza di ciò, va pertanto innanzitutto scrutinato l’appello proposto sub R.G. 6039 del 2011 avverso l’ingiunzione a demolire n. 3207 dd. 10 novembre 2009 che attiene – come precisato dianzi al § 1.2. della presente sentenza - alla sola parte di tale provvedimento con cui è stata ingiunta la demolizione dei sopradescritti bungalows sia appoggiati al suolo su blocchetti di tufo, sia appoggiati su ruote.

Secondo l’appellante, poiché il giudice di primo grado ha fondato la propria decisione sulla sentenza della Corte Costituzionale n. 278 dd. 22 luglio 2010 con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 9, della l. 23 luglio 2009, n. 99, il medesimo giudice avrebbe con ciò posto alla base della sua sentenza “una questione d’ufficio, in quanto non sollevata dalla ricorrente né dalla difesa del Comune” (così, testualmente, a pag. 15 dell’atto introduttivo del presente grado di giudizio), con conseguente violazione dell’art. 73, comma 3, c.p.a. laddove impone al giudicante di esporre la questione con apposita ordinanza di ricostituzione del contraddittorio processuale con assegnazione alle parti di un termine per il deposito di eventuali memorie al riguardo.

Sempre secondo l’appellante, l’anzidetta sentenza del Giudice delle Leggi sarebbe stata travisata nel suo contenuto da parte del T.A.R., in quanto essa non escluderebbe che le Regioni possano dettare una disciplina particolare in ordine alla necessità di un titolo abilitativo per la collocazione di mezzi mobili di pernottamento e alla conseguente normativa di dettaglio, ma avrebbe, anzi, sancito nella specie l’esorbitanza dell’intervento nella materia di cui trattasi da parte del legislatore statale, con conseguente violazione sul punto dell’art. 117 Cost.

L’appellante a tale proposito menziona il consistente numero di leggi regionali intervenute nel tempo a disciplinare nel contesto dell’attività campeggistica la collocazione dell’insieme dei diversi mezzi mobili di pernottamento, di fatto liberalizzandone lo svolgimento (cfr., ad es.: art. 6 l.r. Emilia Romagna 28 luglio 2004, n. 16;
art. 30 l.r. Veneto 4 novembre 2002, n. 33: art. 2, comma 3, l.r. Abruzzo 23 ottobre 2002, n. 16;
art. 19, commi 6 e 7, l.r. Marche 11 luglio 2006, n. 9;
art. 9 l.r. Toscana 23 marzo 2000, n. 42 e successive modifiche;
art. 55, comma 3, l.r. Lombardia 16 luglio 2007, n. 15;
art. 1, comma 1, l.r. Sicilia 6 febbraio 2006, n. 13) e senza che sia intervenuta in proposito alcuna dichiarazione di illegittimità costituzionale di tali fonti normative.

Né andrebbe sottaciuto che a’ sensi dell’art. 1, comma 2, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, come vigente all’epoca dei fatti di causa, “restano” comunque “ferme” , anche nella pur concomitante vigenza della disciplina di principio contenuta nel medesimo d.P.R., “le altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia” , ossia – per quanto qui segnatamente interessa – anche quella disciplinante il turismo: materia, quest’ultima, per certo rientrante nella competenza esclusiva delle Regioni a’ sensi dell’art. 117 Cost., come novellato dall’art. 3 della l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3.

In tal senso – rimarca sempre l’appellante – l’art. 6 del Regolamento regionale 24 ottobre 2008, n. 18 di attuazione della l.r. Lazio 6 agosto 2007, n. 13 distingue due tipi di strutture: quelle mobili ( roulottes , caravans e case mobili) per la cui collocazione non necessita alcun titolo edilizio, e i bungalow realizzati con materiale leggero e che necessitano – per contro – di denuncia d’inizio di attività (DIA).

Se così è, pertanto, ad avviso dell’appellante l’ingiunzione a demolire risulterebbe di per sé illegittima in quanto emanata a fronte di installazioni che non sono assoggettate al rilascio del permesso di costruire di cui all’art. 10 e ss.;
senza sottacere che, per quanto segnatamente attiene alla scelta della Regione di assoggettare i bungalows realizzati con materiale leggero del d.P.R. n. 380 del 2001 al regime della DIA, ciò è avvenuto in perfetta coerenza alla previsione contenuta nel testo all’epoca vigente dell’art. 22, comma 4, del medesimo d.P.R. n. 380 del 2001, in forza del quale “le Regioni a statuto ordinario con legge possono ampliare o ridurre l’ambito applicativo delle disposizioni di cui ai commi precedenti” , per l’appunto riguardanti la DIA.

In dipendenza di tutto quanto sopra, pertanto, il T.A.R. avrebbe errato laddove ha sostenuto la sussistenza nell’ordinamento di un divieto imposto alle Regioni sia di introdurre nel proprio ordinamento una normativa di dettaglio per le aree campeggistiche, sia di estendere alla realizzazione dei bungalow il regime della DIA.

L’appellante reputa altresì illegittima l’interpretazione restrittiva – ma nondimeno affermata nella sentenza impugnata come “costituzionalmente orientata” – che il T.A.R. impone nei riguardi dell’art. 23, comma 6, della l.r. n. 13 del 2007, con il risultato di comunque rendere obbligatorio a’ sensi dell’art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001 il rilascio del permesso di costruire per l’installazione die manufatti per cui è causa;
e reputa illegittima anche la disapplicazione delle conseguenti disposizioni contenute nell’anzidetto Regolamento regionale n. 18 del 2008 in quanto esplicitamente autorizzato dal combinato disposto dell’anzidetto art. 23, comma 6, e dell’art. 56 della l.r. n. 13 del 2007, nonché dell’art. 47, comma 2, lett. c) dello Statuto della Regione Lazio approvato con legge statutaria 11 novembre 2004, n. 1 (cfr. ivi, laddove si prevede l’emanazione di “regolamenti autorizzati da apposita legge regionale, che determina le norme generali regolatrici della materia e dispone, ove necessario, l’abrogazione delle norme vigenti, con effetto dalla data di entrata in vigore delle norme regolamentari, purché relativi a disciplina non coperta da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione né riservata alla legge regionale ai sensi dello Statuto” ).

Nel merito, comunque, l’appellante contesta l’assunto del giudice di primo grado secondo cui la disciplina legislativa e regolamentare invocata come legittimante l’installazione dei manufatti in questione non risulterebbe nella specie applicabile in quanto non sarebbe stata comunque comprovata la regolarità dell’attività campeggistica svolta.

Al riguardo l’appellante evidenzia che i titoli autorizzativi di tale attività – comunque esistenti – non erano stati depositati nel giudizio innanzi al T.A.R. in quanto reputati del tutto ultronei rispetto alla contestazione del contenuto dell’atto impugnato, avente una connotazione meramente edilizia.

L’appellante ripropone inoltre quale motivo d’appello la censura già dedotta in primo grado in ordine all’asserita non sanzionabilità secondo le disposizioni normative contenute nella l.r. 11 agosto 2008, n. 15 della collocazione dei manufatti che si pretenderebbero illegittimi, e ciò in quanto gli stessi sarebbero stati collocati nel sito prima dell’entrata in vigore di tale disciplina, ossia in un’epoca in cui l’allora vigente l.r. 19 dicembre 1995 n. 59 non contemplava alcuna necessità, al riguardo, di titoli abilitativi.

In particolare, l’appellante censura l’assunto del T.A.R. secondo cui essa non avrebbe fornito alcuna prova circa la data dell’avvenuta installazione dei manufatti in questione.

L’appellante rimarca in proposito di aver depositato agli atti di causa in primo grado in data 17 marzo 2010 una congrua documentazione comprovante la risalenza dell’installazione dei manufatti in questione ad epoca precedente all’entrata in vigore sia della l.r. n. 15 del 2008, sia del d.P.R. n. 380 del 2001, e segnatamente costituita dalle fatture relative alla consegna dei manufatti e ricevute fiscali riferite al loro utilizzo nel corso dell’anno 2000.

Da ultimo l’appellante afferma che “singolare appare pure l’affermazione contenuta nella sentenza” impugnata “secondo cui i 30 giorni assegnati ai fini demolitori” dei manufatti anzidetti “sono da considerare congrui posta la facile amovibilità delle opere, al numero delle quali (80 circa) non è stato fatto” peraltro “cenno” (così a pag. 26 dell’atto introduttivo del presente grado di giudizio).

10.3.2. Il Collegio, per parte propria, reputa che l’insieme delle argomentazioni suesposte non possa fondare la legittimità del provvedimento impugnato: ma – va da subito precisato – per un ordine di motivazioni alquanto diverse da quelle contenute nella sentenza impugnata.

10.3.3. Innanzitutto, è manifestamente destituito di qualsivoglia fondamento l’assunto dell’appellante secondo cui costituirebbe violazione dell’art. 79, comma 3, c.p.a. il richiamo operato dal giudice di primo grado al contenuto della sentenza della Corte Costituzionale n. 278 dd. 22 luglio 2010 con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 9, della l. 23 luglio 2009, n. 99.

Al riguardo è sufficiente rilevare che l’ incipit della prima censura rubricata nel ricorso proposto in primo grado dalla stessa attuale appellante è testualmente riferito alla “violazione di legge: art. 3, comma 9, della l. 23 luglio 2009, n. 99”.

È evidente, quindi, che in tal modo la medesima parte ora appellante ha proposto al riguardo innanzi al T.A.R. una puntuale censura in ordine ad una disciplina di legge altrettanto puntualmente individuata e che determina in capo al giudice il conseguente obbligo di disaminarla e di statuire su di essa: e se il giudice provvede in proposito richiamando la circostanza – del tutto ineludibile - che la Corte Costituzionale ha medio tempore rimosso dall’ordinamento giuridico con effetto ex tunc la disciplina su cui la medesima parte ha parzialmente fondato le proprie censure, ciò non costituisce per certo una violazione delle regole del contraddittorio processuale, bensì una necessaria estrinsecazione del fondamentale e del tutto irrinunciabile principio per cui “iura novit curia ”.

10.3.3. Posto ciò, va evidenziato che l’art. 3, comma 9, della l. n. 99 del 2009 disponeva che “al fine di garantire migliori condizioni di competitività sul mercato internazionale e dell’offerta di servizi turistici, nelle strutture turistico-ricettive all’aperto, le installazioni e i rimessaggi dei mezzi mobili di pernottamento, anche se collocati permanentemente, per l’esercizio dell’attività, entro il perimetro delle strutture turistico-ricettive regolarmente autorizzate, purché ottemperino alle specifiche condizioni strutturali e di mobilità stabilite dagli ordinamenti regionali, non costituiscono in alcun caso attività rilevanti ai fini urbanistici, edilizi e paesaggistici” .

Va incidentalmente evidenziato pure che il giudizio di costituzionalità su tale disciplina è stato proposto in via principale anche dalla Regione Lazio, nel presupposto che essa confliggesse con l’art. 117, terzo comma, Cost. dal momento che avrebbe trasceso “l’ambito di intervento della fonte statale in materia di governo del territorio, circoscritto alla fissazione dei princìpi fondamentali” , dettando “una disciplina analitica e puntuale” , in tal modo “precludendo al legislatore regionale la possibilità di operare differenti valutazioni in ordine alla rilevanza ai fini urbanistici ed edilizi degli interventi in questione” (così nella predetta sentenza n. 278 del 2010).

La Corte Costituzionale ha accolto questa prospettazione e ha, per l’appunto, statuito l’incostituzionalità della disciplina surriportata per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., affermando peraltro al riguardo che “la realizzazione di strutture mobili è espressamente disciplinata dal legislatore statale, che, all’art. 3 (L) del d.P.R. n. 380 del 2001, qualificando come “interventi di nuova costruzione” gli interventi di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio, specifica, al punto e.5), che comunque devono considerarsi tali “l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”. La realizzazione di tali interventi è subordinata al conseguimento di specifico titolo abilitativo costituito dal permesso di costruire (salve le ipotesi in cui è prevista la denuncia inizio attività;
confronta artt. 10 e 22). In sostanza, la normativa statale sancisce il principio per cui ogni trasformazione permanente del territorio necessita di titolo abilitativo e ciò anche ove si tratti di strutture mobili allorché esse non abbiano carattere precario. Il discrimine tra necessità o meno di titolo abilitativo è data dal duplice elemento: precarietà oggettiva dell’intervento, in base alle tipologie dei materiali utilizzati, e precarietà funzionale, in quanto caratterizzata dalla temporaneità dello stesso. Tale principio è stato ribadito da molti legislatori regionali (in particolare si vedano, in tal senso, la legge della Regione Toscana 3 gennaio 2005, n. 1, recante
“Norme per il governo del territorio” , art. 78 e la legge della Regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 recante “Legge per il governo del territorio»” , art. 27, comma 1, lettera e5). Il comma 9 dell’art. 3 in questione detta una disciplina concernente un ambito specifico, in quanto si riferisce esclusivamente alle «strutture turistico-ricettive all’aperto» (campeggi, villaggi turistici – secondo la individuazione fatta dalle varie leggi regionali). Inoltre, tale disposizione ha ad oggetto unicamente la installazione di mezzi mobili di pernottamento e dei relativi rimessaggi (il riferimento è a campers, roulottes, case mobili, ecc.). In queste ipotesi la disposizione impugnata esclude la rilevanza di tali attività a fini urbanistici ed edilizi (oltre che paesaggistici), e, conseguentemente, la necessità di conseguire apposito titolo abilitativo per la loro realizzazione, sulla base del mero dato oggettivo, cioè della precarietà del manufatto, dovendo trattarsi di «mezzi mobili» secondo quanto stabilito dagli ordinamenti regionali. Tale elemento strutturale è considerato a priori di per sé sufficiente, ed anzi è espressamente esclusa la rilevanza del dato temporale e funzionale dell’opera, in quanto si prevede esplicitamente che possa trattarsi anche di opere permanenti, sia pure connesse all’esercizio dell’attività turistico-ricettiva. Risulta pertanto evidente che l’intervento del legislatore statale presenta carattere di norma di dettaglio, in quanto ha ad oggetto una disciplina limitata a specifiche tipologie di interventi edilizi realizzati in contesti ben definiti e circoscritti. Se, come più volte chiarito da questa Corte, alla normativa di principio spetta di prescrivere criteri e obiettivi, mentre alla normativa di dettaglio è riservata l’individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere tali obiettivi ( ex plurimis : sentenze n. 16 del 2010, n. 340 del 2009 e n. 401 del 2007), l’art. 3, comma 9, introduce una disciplina che si risolve in una normativa dettagliata e specifica che non lascia alcuno spazio al legislatore regionale”.

Per effetto del venir meno del surriportato art. 3, comma 9, della l. n. 99 del 2009, hanno dunque ripreso piena vigenza nell’ordinamento sia il parimenti surriportato art. 3, comma 1, lett. e.5). che – come detto innanzi – configura quali “interventi di nuova costruzione” - in ordine ai quali è imposto il rilascio del permesso di costruire di cui all’art. 10 e ss. del medesimo d.P.R. - “l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee” , sia la potestà derogatoria attribuita alle Regioni dall’art. 22, comma 4, dello stesso d.P.R., anche con riferimento alle ipotesi di “installazione” sopradescritte , e che – per quanto qui segnatamente interessa - consentiva all’epoca dei fatti di causa alle Regioni a statuto ordinario la facoltà di ampliare l’ambito applicativo dell’istituto della denuncia d’inizio di attività (DIA), ricomprendendo nella relativa disciplina anche fattispecie che il legislatore statuale assoggettava – di per sé – a quella propria del permesso di costruire (attualmente la medesima disciplina derogatoria è ancora in vigore, ma è riferita al diverso istituto della segnalazione certificata d’inizio di attività - SCIA, medio tempore introdotta dal legislatore statale).

Nella legittimazione – per così dire “sistematica” - promanante da tale contesto normativo vengono pertanto ad inserirsi sia l’art. 23, comma 6, della l.r. Lazio 6 agosto 2007, n. 13, sia l’art. 6 del Regolamento regionale 24 ottobre 2008, n. 18 emanato a’ sensi dell’art. 56 della medesima l.r. n. 13 del 2007, recante disposizioni autorizzate ai sensi dell’ art. 47, comma 2, lettera c), dello Statuto regionale approvato con legge statutaria 11 novembre 2004, n. 1 e introdotte nell’ordinamento sulla base delle norme generali contenute nell’anzidetta l.r. n. 18 del 2008.

Posto ciò, va rilevato che nel testo vigente all’epoca dei fatti di causa l’art. 23, comma 6, della l.r. 13 del 2007 rinviava al fine dell ’“individuazione delle strutture ricettive” alla fonte regolamentare autorizzata a’ sensi dell’art. 56 della medesima legge.

Il conseguente art. 6, del Regolamento regionale n. 18 del 2008 – a sua volta, e per quanto qui segnatamente interessa – all’epoca dei fatti di causa distingueva due tipologie di strutture: quelle mobili ( roulottes, caravans e case mobili), per la cui collocazione non necessitava alcun titolo edilizio, e i bungalows realizzati con materiale leggero e per la cui collocazione necessitava viceversa la DIA.

Orbene, era dunque di per sé legittima la scelta della Regione Lazio, esercitata a’ sensi dell’anzidetto art. 22, comma 4, del d.P.R. n. 380 del 2001, di assoggettare a DIA anziché a permesso di costruire l’installazione di bungalows , in deroga rispetto a quanto previsto dall’art. 3, comma 1, lett. e.5), del d.P.R. n. 380 del 2001, dovendosi precisare al riguardo, altresì, che – oltre al ricorso per tale fine alla fonte legislativa letteralmente contemplata dal medesimo art. 22, comma 4, dell’anzidetto d.P.R., era ed è possibile ricorrere pure alla fonte regolamentare c.d. “autorizzata” presupposta dall’art. 56 della l.r. n. 18 del 2008 sulla base di quanto stabilito dall’anzidetto art. 47, comma 2, lettera c), dello Statuto regionale approvato con legge statutaria 11 novembre 2004, n. 1, nonché secondo i principi fissati dall’attuale testo dell’art. 117, sesto comma, Cost. e dall’art. 4 della l. 5 giugno 2003, n. 131.

Viceversa, non era possibile per la Regione derogare alla disciplina contemplata dal predetto art. 3, comma 1, lett, e.5), del d.P.R. n. 380 del 2001 per le cc.dd . “case mobili” prescindendo per la loro installazione dal rilascio del permesso di costruire – per l’appunto, richiesto da tale fonte legislativa statuale – in modo da rendere la loro installazione esente dal rilascio di qualsivoglia titolo abilitativo edilizio (e quindi, di fatto con ciò ricondotta ad un’ipotesi di edilizia c.d. “libera” ).

In tal senso va infatti rimarcato che l’ambito di operatività dell’art. 22, comma 4, del d.P.R. n. 380 del 2001 poteva estrinsecarsi esclusivamente nella scelta di assoggettare nell’ordinamento regionale a DIA determinati interventi che nella legislazione statuale erano assoggettati al rilascio del permesso di costruire, restando viceversa a quel tempo inibito alla Regione l’estensione delle ipotesi di edilizia c.d. “libera” oltre ai casi all’epoca previsti dall’art. 6 del predetto d.P.R. n. 380 del 2001: e ciò in quanto non erano a quel momento esercitabili dalla Regione medesima quelle potestà derogatorie ad essa conferite al riguardo soltanto per effetto delle novelle dapprima introdotte con l’art. 5, comma 1, del d.l. 25 marzo 2010, n. 42, convertito, con modificazioni, in l. 22 maggio 2010, n. 73 e – quindi – dall’art. 1, comma 1, lett. b), numero 5) del d.lgs. 25 novembre 2016, n. 222.

A fronte di tale stato di cose, non può non rilevarsi che il giudice di primo grado non ha innanzitutto distinto tra l’intrinseca legittimità dell’intervento normativo regionale in tema di bungalows e l’altrettanto evidente illegittimità della previsione della fonte regolamentare autorizzata in materia di “case con ruote”.

Dopo aver imposto una pretesa lettura “costituzionalmente orientata” che - per

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