Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2014-02-20, n. 201400786

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2014-02-20, n. 201400786
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201400786
Data del deposito : 20 febbraio 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 03605/2013 REG.RIC.

N. 00786/2014REG.PROV.COLL.

N. 03605/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3605 del 2013, proposto da:
Ministero dell'Economia e delle Finanze, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

St Srl, rappresentato e difeso dagli avv. F S, S M, con domicilio eletto presso F S in Roma, Lungotevere delle Navi 30;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE I n. 01174/2013, resa tra le parti, concernente risarcimento dei danni legati all'affidamento della concessione del servizio di riscossione dei tributi


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di St Srl;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 dicembre 2013 il Cons. Sergio De Felice e uditi per le parti gli avvocati S M, F S e l'avvocato dello Stato Carlo Maria Pisana;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso 10674 del 2001 proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio la società attuale appellata, appellante incidentale SIRT spa, agiva per il risarcimento dei danni legati alla illegittima pretermissione nell’affidamento della concessione del servizio di riscossione dei tributi e delle altre entrate dello Stato nella provincia di Avellino;
il TAR (sentenza 6055 del 2003) dichiarava inammissibile il ricorso per difetto di giurisdizione, con sentenza confermata in appello da Consiglio di Stato n.887 del 2005;
veniva proposta azione dinanzi al giudice ordinario, che (Tribunale di Napoli terza sezione civile) con sentenza n.592 del 2011 declinava a sua volta la giurisdizione sulla domanda di risarcimento dei danni;
la SIRT proponeva ricorso alla Corte di Cassazione per conflitto negativo di giurisdizione ex art. 362 c.p.c., che veniva definito con sentenza dalle sezioni unite n.4131 del 2012;
il giudice regolatore della giurisdizione dichiarava la giurisdizione del giudice amministrativo;
la SIRT proponeva atto di riassunzione chiedendo al Consiglio di Stato di riformare la sentenza del Tar Campania su menzionata;
la sezione, con sentenza n.3870 del 2012, riformando la sentenza del Tar n.6055 del 2003, rimetteva la causa dinanzi al primo giudice ai sensi dell’art. 105 cpa.

La St chiedeva quindi l’accoglimento del ricorso, con cui aveva rappresentato di essere stata illegittimamente pretermessa dall’affidamento per il servizio di riscossione dei tributi e delle altre entrate dello Stato per la provincia di Avellino per il quinquennio 1990-1994 e per il decennio 1995-2004.

Per il primo quinquennio, vi era stato affidamento alla Gesett, mentre sentenza passata in giudicato (sentenza Tar Campania, Napoli, n.2041 del 1998, confermata in appello da Cons. Stato, IV, 5482 del 2000) aveva stabilito che il servizio avrebbe dovuto essere affidato a SIRT, poiché alla data del 20 novembre 1989 i signori D R ed altri non erano soci Gesett ma soci SIRT;
per il successivo decennio, la mancata esecuzione del primo servizio le aveva apportato sicuro pregiudizio, costituendo titolo preferenziale la pregressa gestione del servizio.

Chiedeva quindi risarcimento dei danni (danno emergente e lucro cessante) per il primo quinquennio e danno per la legittima speranza di gestire il servizio nel successivo decennio 1995-2004, per un totale non inferiore a 16 (sedici) milioni di euro. Depositava parere pro veritate di un dottore commercialista, docente universitario di economia aziendale.

Il primo giudice accoglieva la domanda di condanna determinandola in euro sei milioni (sei milioni), distinguendo, nel ragionamento, tra la spettanza relativa al primo quinquennio e i danni derivanti dalla perdita di chance per il successivo decennio;
con riguardo al primo fatto illecito, il danno veniva limitato (nelle varie voci pretese) e determinato in cinque milioni di euro;
con riguardo alla perdita di chance per il successivo decennio, veniva limitato ad un milione di euro.

Avverso tale sentenza, ritenuta errata e ingiusta, propone appello il Ministero delle Finanze, deducendo i seguenti motivi di appello: 1) con un primo motivo si lamenta il difetto di legittimazione passiva del Ministero delle finanze, in quanto a seguito di modifiche legislative (D.Lgs.300 del 1999 e d.m. 28 dicembre 2000) dal 1 ottobre 2006 le relative funzioni sono transitate alla Agenzia delle entrate, poi alla spa Riscossione, dal 2007 Equitalia spa;
di tale successione era consapevole la parte istante, che aveva presentato istanza di accesso rivolgendosi alla Agenzia delle entrate;
2) con altro motivo di appello si contesta la sentenza, che ha argomentato sulla base di una perizia di parte, che aveva apportato una quadri partizione in danno emergente, lucro cessante, danno patrimoniale e perdita di chance acriticamente recepita dal giudice, che avrebbe dovuto disporre consulenza tecnica di ufficio, che viene richiesta in appello;
3) con un altro motivo si contesta la sentenza nella parte in cui ha ritenuto di qualificare come danno curriculare il richiesto danno da perdita di chance, relativo al decennio successivo, mentre invece proprio la società ricorrente aveva fatto presente che essa era sorta soltanto per quell’affidamento e non aveva in nessun modo chiesto se non il danno da perdita di chance per quel periodo;
tra l’altro, si contesta che tale danno curriculare sia stato liquidato nella misura del 20% del lucro cessante in relazione al precedente affidamento quinquennale.

Con controricorso SIRT spa chiede il rigetto dell’appello perché infondato.

Con appello incidentale ripropone la domanda risarcitoria in relazione ad alcune voci di danno, non riconosciute in prime cure e cioè: 1) agisce per il danno patrimoniale derivatole dalla impossibilità di far maturare attraverso il concreto esercizio della concessione quinquennale illegittimamente negata le capacità del proprio personale;
si tratta di voce diversa dal lucro cessante come mancato utile;
2) si contesta il ragionamento del primo giudice secondo cui la mancata decurtazione dell’aliunde perceptum rappresenta una giusta compensazione della mancata valorizzazione del capitale umano;
3) si contesta la sentenza laddove ha rigettato la richiesta di danno emergente corrispondente ai costi di costituzione e mantenimento della società, che spetterebbero secondo il Tar solo in caso di illegittima esclusione e non anche in caso di mancata aggiudicazione, in quanto se ciò vale per i primi cinque anni, non varrebbe per il successivo decennio, in cui SIRT ha dovuto affrontare spese di mantenimento in vita, anche solo per affrontare il giudizio in questione;
4) si contesta il riconoscimento della voce di danno per perdita di chance, riconosciuto con riferimento all’utile del quinquennio precedente, mentre il danno avrebbe dovuto tener conto che il valore della concessione decennale era di 200 milioni di euro.

In definitiva, l’appellante incidentale conclude chiedendo: cinque milioni di euro per lucro cessante, a conferma della sentenza di primo grado;
euro 1.216.419,11 per danno patrimoniale (primo motivo di appello incidentale);
euro 420.648,22 come danno emergente (secondo motivo di appello incidentale);
euro 10.000.000,00 per danno da perdita di chance (terzo motivo di appello incidentale) e quindi una condanna totale di euro 16.637.067,33.

Alla udienza pubblica del 17 dicembre 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.In primo luogo vanno esaminati i motivi di appello principale svolti dal Ministero.

Con un primo motivo, l’appellante Ministero deduce il suo difetto di legittimazione passiva, in quanto a seguito di modifiche legislative (D.Lgs.300 del 1999 e d.m. 28 dicembre 2000) dal 1 ottobre 2006 le relative funzioni sarebbero transitate alla Agenzia delle entrate, poi alla spa Riscossione, dal 2007 Equitalia spa;
di tale successione era consapevole la parte istante, che aveva presentato istanza di accesso rivolgendosi alla Agenzia delle entrate.

Il motivo non è fondato.

Come questo Consesso già ha avuto modo di sostenere (sezione IV, 15 dicembre 2010, n.8937), l'istituzione delle Agenzie fiscali disposta dell'art. 1 d.m. 28 dicembre 2000, ai sensi del d.lg. 30 luglio 1999 n. 300, divenute operative a partire dal 1 gennaio 2001 ed aventi personalità giuridica di diritto pubblico, e con conseguente trasferimento ad esse delle funzioni già esercitate dai vari dipartimenti ed uffici del Ministero delle Finanze, al quale rimangono le sole funzioni statali elencate nell'art. 56, non ha dato luogo ad un'ipotesi di successione nel processo, ai sensi dell'art. 110 c.p.c., ma ad una successione a titolo particolare nel diritto controverso, ai sensi dell'art. 111 dello stesso codice, in quanto le Agenzie sono destinatarie di posizioni attive e passive specificamente determinate.

Di conseguenza resta ferma la legittimazione passiva del Ministero in relazione a fattispecie di danno dallo stesso originate, trattandosi di vicende risalenti agli anni novanta, come si evince dalle domande proposte.

In più, valgono al riguardo ad abundantiam altresì le seguenti due considerazioni:

1) non risulta in precedenza sollevata alcuna eccezione in tal senso, prescindendo dal richiamo della disciplina di cui alla legge 260 del 1958, art. 4 al rapporto tra Ministero e Agenzia (“L'errore di identificazione della persona alla quale l'atto introduttivo del giudizio ed ogni altro atto doveva essere notificato, deve essere eccepito dall'Avvocatura dello Stato nella prima udienza, con la contemporanea indicazione della persona alla quale l'atto doveva essere notificato.

Tale indicazione non è più eccepibile”;
tra varie sul punto da ultimo, Cassazione civile sez. III, 26 giugno 2013, n. 16104);

2) il processo originario ha avuto inizio nell’anno 2001, anteriormente ai passaggi di funzione, si ripete, determinanti mera successione a titolo particolare;
le successive fasi, dinanzi al giudice regolatore della giurisdizione per il conflitto negativo originatosi, così come la successiva riassunzione, devono intendersi come prosecuzione dell’unico processo (r.g.n. 10674 del 2011 dinanzi al Tar Campania, come risulta dalla sentenza;
secondo Cassazione civile sez. un. 22 novembre 2010 n. 23596, in tema di translatio iudicii, il processo che, dopo la pronuncia sulla giurisdizione, si instaura, per effetto della tempestiva riassunzione, davanti al giudice indicato come munito di giurisdizione non è un nuovo ed autonomo procedimento, ma la naturale prosecuzione dell'unico giudizio).

2. Con il secondo motivo di appello il Ministero lamenta che la condanna sia avvenuta senza la previa disposizione di apposita consulenza tecnica di ufficio, sostenendo che la sentenza abbia ripreso in modo acritico i suggerimenti apportati dalla perizia tecnica di parte, che non sarebbero stati adeguatamente contestati.

Viene quindi reiterata la richiesta di consulenza tecnica di ufficio in appello.

Il motivo è infondato, essendo principio pacifico e noto (tra varie, da ultimo, Consiglio di Stato sez. IV, 30 maggio 2013,: n. 2974) quello secondo cui la consulenza tecnica di ufficio non è un mezzo di prova vero e proprio, ma uno strumento istruttorio per la soluzione, sulla scorta delle acquisizioni di causa, di questioni di carattere non strettamente giuridico con l'ausilio di un soggetto tecnicamente qualificato;
al pari di ogni altro mezzo istruttorio il giudice di merito dispone di un'ampia sfera di apprezzamento discrezionale sull'opportunità di disporre o non la consulenza tecnica di ufficio anche in materia di risarcimento dei danni e la scelta se avvalersene o non è sindacabile solo entro limiti molto ristretti.

La circostanza, poi, che il primo giudice, in difetto di adeguate difese dell’amministrazione statale in punto di contestazione dei danni pretesi e asseriti dalla perizia di parte, abbia poggiato le sue motivazioni proprio sulla base della stessa, ritenuta alla stregua quantomeno di base di prova, non collide con il dovere e la prudenza del giudice di ritenere raggiunta la prova del danno.

Le perizie stragiudiziali, pur sfornite in assoluto di autonomo valore probatorio, possono ben essere utilizzate dal giudice per trarre elementi della sua decisione, nella formazione del suo libero convincimento.

3. Con altro motivo di appello si contesta la sentenza nella parte in cui ha ritenuto di qualificare come danno curriculare il richiesto danno da perdita di chance, relativo al decennio successivo, mentre invece proprio la società ricorrente aveva fatto presente che essa era sorta soltanto per quell’affidamento e non aveva in nessun modo chiesto se non il danno da perdita di chance per quel periodo;
tra l’altro, si contesta che tale danno curriculare sia stato liquidato nella misura del 20% del lucro cessante in relazione al precedente affidamento quinquennale.

Il motivo è infondato se con esso si vuol contestare in radice la spettanza di una qualche voce di danno alla società per la mancata chance sulla seconda gara;
va inteso come degno di considerazione, nella sua argomentazione logica, soltanto in relazione alla problematica della giusta qualificazione giuridica della voce di danno comunque spettante anche per la seconda gara decennale e ciò costituisce oggetto anche di motivo di appello incidentale autonomo.

Riguardo al motivo di appello principale del Ministero, il Collegio osserva è che, come ha ben dedotto il Ministero appellante, la stessa società SIRT, nelle sue pretese, ha affermato di essersi costituita all’esclusivo scopo della partecipazione alla gara indetta dal Ministero delle Finanze per l’affidamento del servizio nella provincia di Avellino.

Se è vero che (in tal senso, Consiglio di Stato sez. VI, 18 marzo 2011, n. 1681, secondo cui il danno curriculare, costituente una specificazione del danno per perdita di chance, si correla necessariamente alla qualità dell'impresa operante nel settore degli appalti pubblici e, più in particolare, al fatto stesso di eseguire uno di questi tipi di contratto perché accresce la capacità di competere sul mercato e, quindi, la chance di aggiudicarsi ulteriori e futuri appalti), essa società aveva chiesto (e in buona misura ottenuto) il risarcimento del danno patrimoniale per la gara del primo quinquennio e per la gara del secondo, ed essendo tale attività per definizione lo scopo esclusivo della stessa società, probabilmente il danno che le deve essere riconosciuto attiene non tanto alla specificazione di danno curriculare, ma alla generica voce di perdita di chance.

D’altronde, la spettanza dei danni riconosciuti avviene proprio considerando la esclusività dello scopo sociale, dedicato alla gestione del servizio riscossione in quella provincia.

Pertanto, in definitiva, anche ritenendo spettante qualche voce di danno da perdita di chance in relazione al secondo decennio di affidamento pretermesso, in ogni caso torna inutile più che errato, nella specie, comunque da riconoscere e spettante, qualificare tale voce a titolo di danno curriculare.

4. Va ora esaminato l’appello incidentale, non mancando di osservare che, a causa della reiezione dei motivi di appello principale riguardanti la condanna a cinque milioni di euro a titolo di danno per lucro cessante, va certamente confermata in parte qua la sentenza di prime cure al riguardo.

Con distinti motivi di appello l’appellante pretende, dopo aver chiesto la conferma della condanna a cinque milioni di euro, nuove voci di danno per la prima gara (coperta dal giudicato a suo favore) e precisamente: agisce per il danno patrimoniale derivatole dalla impossibilità di far maturare attraverso il concreto esercizio della concessione quinquennale illegittimamente negata le capacità del proprio personale;
si tratta di voce diversa dal lucro cessante come mancato utile;
si contesta il ragionamento del primo giudice secondo cui la mancata decurtazione dell’aliunde perceptum rappresenta una giusta compensazione della mancata valorizzazione del capitale umano;
si contesta la sentenza laddove ha rigettato la richiesta di danno emergente corrispondente ai costi di costituzione e mantenimento della società, che spetterebbero solo in caso di illegittima esclusione e non anche in caso di mancata aggiudicazione, in quanto se ciò vale per i primi cinque anni, non varrebbe per il successivo decennio, in cui SIRT ha dovuto affrontare spese di mantenimento in vita anche per affrontare il giudizio in questione.

In sostanza, agisce per la mancata valorizzazione del capitale umano e per le spese di funzionamento e di vita della società, che ha dovuto affrontare anche un lungo contenzioso per vedere riconosciute le sue ragioni.

Le pretese sono infondate ad opinione del Collegio.

Il danno emergente è la perdita o necessitata erogazione di valori economici già esistenti nel patrimonio del danneggiato;
lucro cessante è la mancata acquisizione di valori.

Nella specie, è stata riconosciuta la voce del lucro cessante, sull’assunto da giudicato che la stessa parte attrice sarebbe stata la sicura e giusta aggiudicataria.

Non può non evidenziarsi, tuttavia, che essa, di fatto, non ha espletato il servizio, né ha affrontato i costi relativi.

In sede di risarcimento del danno arrecato dalla illegittimità della mancata aggiudicazione, il «lucro cessante» direttamente rapportato all'utile che l'impresa avrebbe conseguito a seguito dell'aggiudicazione illegittimamente negata, va determinato in somma che deve considerarsi compensativa anche del «danno emergente», identificato nel costo affrontato dalla società per la presentazione dell'offerta (Consiglio Stato sez. VI, 2 marzo 2009, n. 1180).

Altre somme e voci non sono da ritenersi dovute, quindi, né a titolo di rimborso delle spese affrontate, né a titolo di ulteriori differenze patrimoniali vantaggiose, in quanto la attività costituisce un investimento ma anche un rischio per l’impresa, funzionale alla previsione di guadagno già sopra quantificata e ritenuta liquidabile.

Pertanto, deve valere anche il generale principio della compensatio lucri cum damno: essendo stato riconosciuto l’intero danno da lucro cessante, commisurato alla intera quantità di utile non percepito, pur senza avere svolto alcuna attività né avendo affrontato alcun rischio, nulla è dovuto evidentemente né per lucri cessanti ulteriori, consistenti nella mancata professionalizzazione dell’impresa e dei suoi lavoratori (primo motivo di appello incidentale) essendo ricompresi già nel pieno riconoscimento del mancato utile, al fine di evitare ingiuste locupletazioni, né per le spese affrontate (secondo motivo di appello incidentale), ripagate ampiamente dal riconoscimento dell’utile.

Infatti, l’utile spetta proprio in virtù della partecipazione alla gara e della positiva collocazione, sia pur riconosciuta solo in sede giurisdizionale.

Pertanto, vanno rigettati i primi due motivi di appello incidentale.

5. Va ora affrontato anche il motivo con cui l’appellante incidentale pretende una maggiore somma (fino a dieci milioni di euro) rispetto alla perdita di chance sul secondo decennio messo a gara, osservando che la concessione decennale valeva duecento milioni di euro.

Il motivo non è fondato.

Il primo giudice ha argomentato, nel riconoscere il danno per perdita di chance per la seconda gara decennale, dai parametri della prima gara, riducendo contestualmente il valore dell’utile al venti per cento del primo utile di cinque milioni.

Questo Consesso ritiene di confermare la condanna ad un milione di euro per danno da perdita di chance per la seconda gara, sulla base delle seguenti argomentazioni.

In primo luogo, nella specie, la particolarità della fattispecie induce a considerare che non si tratta di un frequente danno da perdita di chance, se non altro per la circostanza che l’impresa non è stata di fatto affidataria né nella prima gestione né nella seconda.

Il danno da perdita di chance per la seconda gara può ben essere riconosciuto e liquidato in via equitativa e forfettaria, essendo esso (quale conseguenza immediata e diretta del fatto illecito) basato su un argomento di efficienza causale: se la società SIRT avesse gestito effettivamente l’affidamento che le spettava, avrebbe avuto buone possibilità competitive anche per la seconda gara.

Va osservato che il danno per lucro cessante per il primo quinquennio deve intendersi onnicomprensivo di ogni voce, comprese quelle definibili come accrescimento della qualifica imprenditoriale (servizio svolto e altro).

Dall’altro lato, come argomenta il primo giudice, dalla disamina delle precedenti decisioni sulle due gare, in ordine alla seconda gara non vi è alcuna prova in ordine alla certezza dell’affidamento della successiva concessione decennale, avendo la GEI spa presentato un’offerta molto valida anche in relazione agli altri parametri di valutazione, come la organizzazione tecnica, la capacità finanziaria, la disponibilità di locali e mezzi informatici.

In ordine a tali motivazioni, invero, l’appello incidentale, nel punto in cui propone tale (terzo) motivo di appello incidentale, nulla argomenta o controdeduce (pagine 25 e 26 dell’appello).

D’altronde, il danno da perdita di chance, sulla possibilità di essere affidatario di un servizio di riscossione, ben può essere liquidato in via equitativa, in applicazione dell'art. 1226 c.c. (così, tra varie, Consiglio Stato sez. VI, 23 marzo 2009, n. 1716) tenendo conto che gli indicatori della precedente gara costituiscono parametro non irragionevole, sulla cui base vanno commisurate le possibilità (non certezze e neanche probabilità) dell’appellante incidentale.

Conseguentemente, con la specificazione che il danno da perdita di chance nella specie non coincide con il danno curriculare ma va rapportato alla mera possibilità di partecipare in modo competitivo alla successiva gara, il ragionamento del primo giudice si profila corretto al riguardo, anche sulla base di una valutazione equitativa, sempre consentita al giudice, laddove rapporta il danno al quinto (pagina 16 della sentenza appellata) rispetto al lucro cessante riconosciuto in relazione all’affidamento quinquennale mancato in modo illegittimo e illecito.

6.Sulla base delle sopra esposte considerazioni, ai sensi e limiti di cui in motivazione, vanno rigettati sia l’appello principale che l’appello incidentale, con conseguente conferma ai sensi di cui in motivazione dell’appellata sentenza. Rimane assorbito ogni altro motivo od eccezione in quanto ininfluenti ai fini della presente decisione.

Sussistono giusti motivi per disporre tra le parti la compensazione delle spese di giudizio del presente grado di giudizio.

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